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La nonviolenza e' in cammino. 647
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 647
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Tue, 19 Aug 2003 00:06:45 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 647 del 19 agosto 2003
Sommario di questo numero:
1. Etty Hillesum: e sotto i nostri occhi
2. Silvia Marcuz: tempo di nonviolenza
3. Per fermare e impedire le guerre sono indispensabili disarmo e
smilitarizzazione
4. Maria G. Di Rienzo: cio' che abbiamo imparato
5. Enrico Peyretti: Europa
6. Claudio Ragaini: alcuni operatori di pace del Novecento, secolo di guerre
e di speranza
7. Luigi Cavallaro: Joan Robinson e la piena occupazione
8. Emiliano Brancaccio: Joan Robinson e una politica economica alternativa
9. Hannah Arendt: la perdita
10. Simone Weil: tutta la societa'
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. MAESTRE. ETTY HILLESUM: E SOTTO I NOSTRI OCCHI
[Da Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, p. 65 (e'
un brano da una lettera dal campo di Westerbork dell'8 giugno 1943). Etty
Hillesum e' nata nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e
le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi
ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano
oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty
Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943,
Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza
esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60,
novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema
compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty
Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie
Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000;
Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero,
Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty
Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile, Apeiron,
Sant'Oreste (Rm) 2002 (catalogo della mostra svoltasi a Roma nel 2002)]
Il cielo e' pieno di uccelli, i lupini violetti stanno la' cosi'
principeschi e cosi' pacifici, su quella cassa si sono sedute a
chiacchierare due vecchiette, il sole splende sulla mia faccia e sotto i
nostri occhi accade una strage, e' tutto cosi' incomprensibile.
2. INIZIATIVE. SILVIA MARCUZ: TEMPO DI NONVIOLENZA
[Ringraziamo Silvia Marcuz (per contatto: smarcuz@libero.it) per questo
intervento. Silvia Marcuz e' impegnata nell'esperienza della Carovana della
pace che nel settembre 2003 attraversera' l'Italia per promuovere una
coscienza di pace, solidarieta', nonviolenza]
Siamo i giovani della Carovana della pace 2003 che a settembre insieme ad
alcuni missionari comboniani gireranno parte dell'Italia per "Osare un tempo
nuovo". Anche noi saremo ad Assisi il 4 settembre per la partenza della
camminata Assisi-Gubbio, anzi abbiamo scelto di iniziare il nostro cammino
insieme al vostro cammino.
Questa scelta nasce dalla convinzione che non vi puo' essere un tempo nuovo
senza che sia anche un tempo in cui la (il)logica della violenza venga
stravolta nella logica nonviolenta della forza della verita', della
coscienza, dell'amore, della festa, della sobrieta'. della giustizia, della
liberazione, del potere di tutti, della bellezza, della persuasione.
Alleghiamo il comunicato che illustra questa nostra nuova avventura che
partira' insieme al Movimento Nonviolento per percorrere percorsi diversi,
costruendo pero' la stessa strada di pace.
Un fraterno abbraccio e buon cammino.
*
Osare un tempo nuovo. Carovana della pace 4-15 settembre 2003
La Carovana della pace, che nel 2002 ha toccato dieci citta' italiane
proponendo il tema "La pace nelle nostre mani: non solo utopia", si rimette
in cammino per ascoltare ed incontrare le attese della gente, le speranze
dei poveri e raccogliere i tanti semi di impegno attivo che testimoniano che
il nuovo e' possibile.
A 40 anni dalla Pacem in terris urge osare un tempo nuovo per tutti. I
documenti, gli slogan, le azioni si riciclano e si archiviano; molte parole
sono state dette in difesa della pace, della giustizia e della verita', ma
il ritmo e le attese dei popoli molte volte non vengono ascoltati; la logica
del nemico e della guerra continua a crescere creando un divario sempre piu'
evidente tra l'umano e il non umano, il cittadino e lo straniero, la
legalita' e il "lecito opportunismo", l'aiuto ai poveri e la distribuzione
delle ricchezze, la verita' e la "giusta menzogna", la vera pace e la corsa
armata per garantire i propri interessi.
Osare un tempo nuovo e' ridurre questo divario con la forza dell'incontro e
della responsabilita' comune, del farsi carico comunitario del cambiamento,
della distribuzione equa dei beni e della costruzione attenta, fedele e
quotidiana della vita per tutti.
I 20 giovani che formeranno la carovana della pace partiranno il 4 settembre
da Assisi incontrando alcune realta' di base, associazioni, gruppi e singole
persone attraverso l'Italia: da Napoli (5-7 settembre) a Roma (8-11
settembre), Montesole e Marzabotto (12 settembre), Barbiana e Quarrata (13
settembre), Brescia (14 settembre). Il 15 settembre saranno a Limone per
fare memoria attiva e celebrare la profezia del missionario Daniele Comboni.
Si vogliono mettere in ascolto e al servizio: passeranno per i quartieri
delle citta', formeranno punti d'ascolto (tende del vangelo), pregheranno
con gruppi parrocchiali, proporranno incontri di formazione popolare sulla
Pacem in terris, spezzeranno il loro tempo nelle "citta'" fuori le mura,
provocheranno a forme di solidarieta' attiva in difesa dei piu' deboli.
Tocca a noi osare un nuovo tempo. Per superare l'indifferenza di molti e le
alienazioni di massa, osiamo insieme il tempo della responsabilita' attiva e
quotidiana. Incontrarci nel volto dell'altro e cogliere che abbiamo in
comune la sete di pace vera, ci porta ad assumere scelte impegnative e
quotidiane.
Due proposte d'azione viaggiano con la carovana, perche' tutti le
raccolgano:
- reagire con indignazione e scelte concrete alla gestione inumana del
fenomeno immigrazione (vedi documento "Non molesterai il forestiero: un
decalogo per aiutare gli immigrati oggi" al link
www.giovaniemissione.it/news/decalogo_immigrazione.htm);
- opporsi all'espansione non democratica del Wto a Cancun, verso un sistema
internazionale giusto, equo e sostenibile nelle relazioni commerciali,
economiche e finanziarie (vedi sito della campagna "Questo mondo non e' in
vendita" www.campagnawto.org).
Invitiamo ciascuno a "fare carovana" con noi: esserci, condividere, tessere
trame solide di impegno nel locale e di partecipazione creativa e' il minimo
che possiamo fare perche' vinca la vita.
"La pace rimane solo suono di parole, se non e' fondata su quell'ordine che
il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato
sulla verita', costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla
carita' e posto in atto nella liberta'" (Pacem in Terris, 89).
Per informazioni: www.giovaniemissione.it
Per qualunque tipo di spiegazione, di informazione e quant'altro, potete
contattarci: missionari comboniani, p. Dario e fr. Claudio, via S. Giovanni
da Verdare 139, 35137 Padova, tel. 0498751506, e-mail: gimpadova@libero.it;
Silvia Marcuz: cell. 3332398351, tel. 044520687, e-mail: smarcuz@libero.it;
Diego Bortolotto: tel. 0445606153, cell. 3476048608, e-mail:
diego.bortolo@libero.it
3. EDITORIALE: PER FERMARE E IMPEDIRE LE GUERRE SONO INDISPENSABILI DISARMO
E SMILITARIZZAZIONE
La marcia Peugia-Assisi specifica per la nonviolenza svoltasi nel settembre
2000 poneva un messaggio e un obiettivo preciso: "Mai piu' eserciti e armi".
Poiche' per impedire la guerra sono indispensabili disarmo e
smilitarizzazione, essendo eserciti ed armi di essa strumenti e condizione.
Quell'obiettivo, e quel percorso, riprende in settembre, dal 4 al 7, con la
camminata nonviolenta da Assisi a Gubbio, che della Perugia-Assisi del 2000
e' la prosecuzione diretta (per informazioni e adesioni: e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org); e verra' riproposto
ancora il 4 novembre dalle iniziative pacifiste e nonviolente che
commemorando tutte le vittime di tutte le guerre col motto "Ogni vittima ha
il volto di Abele" ricorderanno che le vittime delle guerre sono uccise in
primo luogo dalle armi e dagli eserciti, e che l'unico modo per rendere
omaggio alla loro memoria e' impegnarsi per abolire le guerre, e per abolire
le guerre occorre cessare di produrre armi e di organizzare, addestrare ed
usare persone per usarle. Poiche' le armi servono a uccidere, gli eserciti
servono a uccidere, uccidere esseri umani. Ed occorre dunque scegliere: tra
le armi e gli eseciti da un lato, e il diritto alla vita dell'umanita'.
La nonviolenza e' questa scelta necessaria.
4. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: CIO' CHE ABBIAMO IMPARATO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
La nonviolenza ci ha costretto a chiederci: Cos'e' il potere? Ed ha mostrato
che pensare ad esso come a potenza militare e' un errore. La nonviolenza ci
ha insegnato un modo diverso di guardare al potere. Se definiamo
quest'ultimo come "la capacita' di raggiungere uno scopo", vediamo che i
piu' potenti eserciti del mondo sono incapaci non solo di provvedere
sicurezza alle nazioni, ma anche di ottenere il semplice e brutale scopo
della nostra sottomissione alle logiche di dominio.
La nonviolenza ci ha mostrato la forza della verita'. Ogni persona ha
desiderio di verita' e ne detiene una parte: e' naturale per ogni persona
voler essere trattata in maniera giusta ed onesta. Quando la verita' viene
negata dalle menzogne, le persone si sentono violate. E quando reclamano
insieme la verita', esse esprimono un grande, irresistibile potere.
La nonviolenza ci ha infatti anche insegnato che le persone hanno potere.
Non importa quanto umili o povere, quando esse si levano contro
l'ingiustizia, con il rumore o con il silenzio, con il gesto quotidiano o
l'azione di massa, sono potenti.
La nonviolenza ci ha dimostrato che i governi si reggono sul consenso dei
governati. Governi incompetenti, tirannici e corrotti si affidano alla
passiva accettazione di questi ultimi. Ma se i governati cominciano a
resistere, anche i tiranni si indeboliscono e cadono.
La nonviolenza ci ha insegnato che un desiderio indomabile di liberta' e
giustizia abbatte l'oppressione.
La nonviolenza ci ha insegnato l'importanza di preparare le persone alla
resistenza ed all'azione: per creare un cultura persistente di pace non
possiamo affidarci all'improvvisazione. Ogni comunita', ogni chiesa, ogni
scuola, ogni gruppo deve divenire il luogo in cui passo dopo passo le
visioni e le tecniche sviluppano il cambiamento.
La nonviolenza ci ha mostrato che un cambiamento sistemico e' un processo
organico in divenire che deve interessare tutti i fondamenti
dell'oppressione in una societa'. Far cadere una struttura oppressiva
dev'essere immediatamente seguito dalla costruzione di una struttura di
condivisione. Questo non accade per magia, ma per saggezza e perseveranza:
educarsi, praticare la risoluzione nonviolenta dei conflitti, lottare per la
giustizia, celebrare le differenze, proporre leggi di riforma, praticare
l'azione diretta... abbiamo mille modi per dare il nostro contributo.
La nonviolenza ci ha insegnato a rileggere la storia. Troppo di quello che
ne abbiamo appreso a scuola e' centrato su guerre e battaglie, e minimizza
la molteplicita' di episodi e movimenti nonviolenti.
E solo la nonviolenza puo' essere la levatrice del nuovo mondo che vogliamo
far nascere, un mondo in cui ad essere onorate siano la verita', la
bellezza, la relazione.
5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: EUROPA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di
questo notiziario]
Il papa ripete la richiesta che la Costituzione europea dica espressamente
che l'Europa ha radici cristiane.
A parte altri aspetti della questione trattati in altri luoghi e momenti,
presento questa considerazione: il mondo impoverito accusa, insieme
all'Europa, il cristianesimo per le ingiustizie compiute diffusamente nel
mondo, e lo vede come una religione essenzialmente europea.
Se i cristiani vogliono dissociarsi dalle iniquita' storiche compiute dal
mondo ricco, sarebbe opportuno che, senza ignorare la reale componente
cristiana della storia europea, essi non esaltino e non costituzionalizzino
questa componente, come se fosse innocente, ma ripensino criticamente la
storia europea e le sue responsabilita', anche cristiane.
Questo sarebbe un nuovo vero contributo cristiano all'Europa giusta.
6. RIFLESSIONE. CLAUDIO RAGAINI: ALCUNI OPERATORI DI PACE DEL NOVECENTO,
SECOLO DI GUERRE E DI SPERANZA
[Questo articolo di Claudio Ragaini (per contatti: clragaini@stpauls.it) e'
apparso su "Letture" n. 590 dell'ottobre 2002. lo riprendiamo dal sito
www.stpauls.it/letture. Claudio Ragaini, laureato con una tesi sul
pacifismo, e' giornalista e scrittore, fa parte della direzione di "Famiglia
cristiana", e' stato docente di giornalismo alla Scuola superiore di
comunicazioni sociali dell'Universita' cattolica, consigliere nazionale di
Mani tese; tra le sue pubblicazioni: Giu' le armi! Teodoro Moneta e il
progetto di pace internazionale, Franco Angeli; Don Tonino, fratello,
vescovo, Paoline]
"Secolo dell'orrore", come e' stato chiamato, di guerre laceranti di
dittature e genocidi, il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, il Novecento
lascia dietro di se' una scia di ferite le cui conseguenze ancora oggi
continuano a minare la coesistenza di intere popolazioni. Ma, letto in
controluce, il Novecento e' stato anche il secolo che piu' di ogni altro ha
saputo sviluppare, come un antigene, una forte ideologia di pace che nel
corso degli anni, pur attraverso le esperienze dolorose di molti conflitti e
i fallimenti di molte imprese, e' andata consolidandosi e ramificandosi in
teorie e prassi innovative, dando origine a movimenti di massa e di
opposizione alla guerra nel nome di una consapevolezza nuova, continuamente
rigenerata, secondo cui la pacifica convivenza planetaria non e' piu' un
miraggio astratto, un ideale meramente teorico, ma una costruzione le cui
fondamenta posano su categorie quali la giustizia sociale, il rispetto dei
diritti umani, la tutela dell'ambiente, la nonviolenza. Come scrive Peppe
Sini in un suo recente saggio (Annuario della pace 2002, Fondazione Venezia
per la ricerca sulla pace), "Il Novecento non e' solo il secolo dell'orrore,
ma anche il secolo della resistenza all'orrore. Non e' solo il secolo delle
guerre, ma anche della resistenza alla guerra. Non e' solo il secolo della
disperazione, ma anche della speranza e della responsabilita', dell'inizio
della lotta nonviolenta per un'umanita' di liberi ed uguali".
*
Il premio Nobel per la pace
Questo cammino e' segnato dall'operato e dal pensiero di molte personalita'
che hanno consacrato alla causa della pace la loro vita, pur attraverso
percorsi e motivazioni diverse. Non tutte comprese, molte osteggiate, altre
completamente ignorate nella storia di quello che e' considerato il massimo
riconoscimento ufficiale in materia: il Premio Nobel per la Pace, istituito,
come le altre sezioni, a partire dal 1901. Basti dire che nell'elenco non
figurano i nomi di Gandhi e di Tolstoj che alla storia del pacifismo hanno
legato la loro eredita' spirituale, mentre sono presenti discussi segretari
di Stato e uomini politici, scelti in funzione di strategie e tatticismi non
sempre chiari.
*
Tolstoj
Ma proprio da Tolstoj, morto nel 1910, vorremmo iniziare questa sintetica
carrellata, poiche' il grande scrittore russo illumino' con la sua pedagogia
pacifista il volgere del secolo, incarnando, soprattutto nell'estremo arco
della sua vita, posizioni di una radicalita' totale, frutto di una sofferta
religiosita', nel rifiuto della guerra e di ogni forma di violenza, che lo
misero in polemica persino con alcuni esponenti del pacifismo ufficiale
europeo di quei tempi. In Resurrezione, egli sintetizza in cinque punti il
Discorso della montagna, proclamando la prima delle verita' universali:
"L'uomo non solo non deve uccidere il proprio simile, suo fratello, ma
nemmeno adirarsi con lui, ne' accusarlo, ne' disprezzarlo. E se egli si
adira con qualcuno deve riconciliarsi con lui prima di offrire qualche dono
a Dio, cioe' prima di unirsi a Dio con la preghiera". E' il conflitto tra
coscienza e istituzioni che egli affronta nel saggio Il regno di Dio e' in
voi, che lo porta a teorizzare il rifiuto del servizio militare, e persino
la diserzione, come e' nello scritto Delenda Carthago che, tradotto in
Italia per la rivista pacifista "Vita Internazionale", procuro' il suo
sequestro da parte della polizia e un processo per apologia di reato al suo
gerente, nell'anno delle cannonate di Bava Beccaris (1898).
*
Ernesto Teodoro Moneta
In questi anni che aprono le porte al Novecento, tra avventure coloniali e
fermenti nazionalistici, il pacifismo europeo vive una sua stagione
impegnata, fatta di convegni, proclami e comitati, sulla scia degli ideali
cosmopoliti diffusi da esponenti di primo piano del movimento pacifista come
l'inglese Hodgson Pratt e il ricordo ancora lacerante dei feriti e delle
vittime delle battaglie risorgimentali. Non per nulla il primo Nobel per la
Pace viene assegnato nel 1901 a Jean Henri Dunant e Frederic Passy, svizzero
il primo, francese il secondo: l'uno promotore della Croce Rossa, l'altro
fondatore della Lega internazionale per la pace e la Societa' per
l'Arbitrato. E su questa scia riceveranno il prestigioso riconoscimento
altri promotori di ideali pacifisti la baronessa Bertha Sophie Felicita von
Suttner (1905), instancabile animatrice di tutti i consessi pacifisti,
Theodore Roosevelt (1906) ed Ernesto Teodoro Moneta (1907), l'unico italiano
nella storia del Nobel a essere insignito del prestigioso riconoscimento.
Combattente garibaldino, giornalista (per quasi trent'anni direttore del
quotidiano milanese "Il Secolo", poi fondatore della rivista "Vita
Internazionale", quella del processo a Tolstoj) Moneta fu esponente di primo
piano del pacifismo italiano dell'inizio del secolo, ma espresse anche,
nelle sue posizioni, le tensioni e le lacerazioni di un'epoca sospesa tra i
grandi aneliti universalistici e le spinte nazionaliste post-unitarie che lo
portarono, ormai alla conclusione della sua vita, a sostenere l'intervento
nella grande guerra, con grande scandalo dei suoi amici pacifisti. Il suo
progetto di pace universale non prescindeva dall'amore di patria e dalla
costruzione di un mondo fondato sulla giustizia e la crescita morale.
*
La prima guerra mondiale
La prima guerra mondiale spazzo' dall'orizzonte internazionale i sogni di
pace coltivati nell'arco di un ventennio, mise a tacere le voci che ancora
auspicavano il prevalere della ragione sulla forza. Il belga Henri La
Fontaine, presidente del Bureau international de la paix e promotore della
Corte internazionale di giustizia, fu l'ultimo a ricevere il Nobel della
Pace (1913) prima che il mondo sprofondasse nella guerra e il Premio
rimanesse congelato per molti anni, con poche significative eccezioni: la
Croce Rossa nel 1917, il presidente americano Thomas Wilson, l'ideatore dei
14 punti per la pace (1919), il francese Leon Victor Auguste Bourgeois, uno
dei padri fondatori della Societa' delle Nazioni (1920).
*
Albert Schweitzer
Ma intanto le vie della pace prendevano altre direzioni, dalle costruzioni
teoriche del diritto internazionale e dai congressi si calavano nella
realta' della vita, incrociavano i bisogni della povera gente, dei
rifugiati, dei dimenticati lontani. Gia' da alcuni anni un giovane medico
alsaziano, teologo protestante e valente musicista, aveva lasciato l'Europa
per inseguire il suo sogno di filantropo di costruire un ospedale nella
foresta africana per curare i malati di lebbra e lo aveva realizzato nel
Gabon, a Lambarene', sulle rive di un fiume, dove trascorreva la sua vita,
in compagnia del suo fedele organo. Si chiamava Albert Schweitzer e il mondo
imparo' a conoscerlo quando, oramai alla fine della sua lunga vita,
ricevette il riconoscimento del Premio Nobel per la Pace (1952). Lascio'
pagine lungimiranti nelle quali denunciava il pericolo di un'involuzione
dell'umanita' e il pericolo di un'autodistruzione: "Soltanto un sistema di
pensiero nel quale l'atteggiamento del rispetto per la vita diventi una
forza ha la capacita' di far sorgere in questo mondo un'epoca di pace. Ogni
tentativo solo diplomatico di raggiungere la pace non e' coronato da
successo".
*
Gandhi
In tutt'altra parte del mondo, in quegli anni di interludio tra le due
guerre, un piccolo e coraggioso avvocato indiano, Mohandas Gandhi, l'esile
corpo vestito di una semplice tunica e di poveri sandali, appoggiato a un
lungo bastone, percorreva il suo Paese predicando il valore della
nonviolenza (ahimsa) e della verita' (satyagraha) come metodo di lotta
contro la sopraffazione e l'ingiustizia, che egli stesso aveva sperimentato
durante il suo soggiorno giovanile in Sudafrica, vittima della
discriminazione razziale. La sua azione di risveglio della coscienza
popolare indiana, pagata con la prigione, i digiuni e infine la stessa sua
vita, porto', come si sa, l'intero Paese ad affrancarsi dal giogo coloniale
britannico e costituisce, nella storia del pacifismo del secolo passato, uno
dei punti piu' alti e significativi.
*
La nonviolenza in cammino
La dottrina nonviolenta predicata da Gandhi non fu una costruzione
sistematica, ma una ricerca costante della Verita', attraverso il sacrificio
e l'impegno personale. "La nonviolenza", scrive in un testo raccolto nel
libro Teoria e pratica della nonviolenza, "e' legge della razza umana ed e'
infinitamente piu' grande e potente della forza bruta. Essa non puo' essere
di nessun aiuto a chi non possiede una fede profonda nel Dio dell'Amore".
L'eredita' gandhiana, anche attraverso l'opera di suoi discepoli come Vinoba
Bhave, Lanza del Vasto e altri, si e' ramificata come un seme prodigioso,
alimentando le generazioni future e dando origine a correnti di pensiero e
movimenti nonviolenti che oggi si ispirano al suo esempio. Molti dei
personaggi che negli anni piu' recenti hanno scritto la storia del pacifismo
contemporaneo, da Aldo Capitini (fondatore del Movimento nonviolento per la
pace e della marcia Perugia-Assisi) a Martin Luther King, martire della
lotta alla segregazione razziale, fanno riferimento all'insegnamento
gandhiano.
*
Dopo Auschwitz e Hiroshima
Gli anni oscuri dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale sembrarono
seppellire le idee di pace in una notte senza fine, testimoniata dal lungo
silenzio dei Premi Nobel per la Pace; ma da quell'abisso sembro' riemergere
una coscienza nuova dell'umanita' nella forza dell'organizzazione
internazionale (e' del 1945 la nascita dell'Onu) e della solidarieta' fra i
popoli. A Parigi un giovane prete francescano, gia' partigiano e deputato
del Parlamento, solleva l'opinione pubblica per dare una casa ai senzatetto
e fonda una comunita' per i disastrati della vita. Si chiama Henri Groues e
diventera' famoso nel mondo per le sue Comunita' Emmaus col nome di Abbe'
Pierre. Negli anni sucessivi della guerra fredda, il pericolo di un
olocausto nucleare da' voce a personaggi autorevoli, da Bertrand Russell, al
gia' ricordato Schweitzer, che richiamano i governi delle grandi potenze al
dovere del disarmo, unica via per la costruzione di un mondo senza guerre.
*
Il Sud del mondo
Ancora una volta la pace si coniuga con le realta' nuove della storia:
incontra la realta' dei Paesi piu' poveri, quelli che verranno chiamati
Terzo Mondo. Gli anni '60 hanno dato il via al periodo della
decolonizzazione che ha aperto un nuovo capitolo, ricco di speranze e di
crisi nella storia dell'Africa. Nel 1961 il segretario dell'Onu, lo svedese
Dag Hammarskjold, muore in un misterioso incidente aereo mentre e' impegnato
a risolvere la drammatica situazione del Congo. Gli viene assegnato il Nobel
per la Pace postumo, unica eccezione nella storia del Premio. Ci sono
autentici eroi della carita' che scrivono stupende pagine di solidarieta' in
questo mondo emergente dei poveri: un filantropo francese, Raoul Follereau,
gira il mondo per abbracciare i lebbrosi chiedendo alle superpotenze il
corrispettivo del prezzo di un aereo da guerra per curarli.
*
Madre Teresa
In India, una suora di origine albanese, Madre Teresa, fondatrice delle
Missionarie della carita', raccoglie i derelitti moribondi sui marciapiedi
di Calcutta per dar loro il conforto di una dignitosa assistenza
nell'estrema ora della vita. Il Premio Nobel nel 1979 ha riconosciuto i suoi
meriti umanitari, la Chiesa premia le sue virtu' eroiche e si appresta a
beatificarla. C'e' chi si occupa di profughi, come il reverendo belga
Georges Henri Pire (Nobel nel 1958) e chi come il vescovo Helder Camara in
Brasile sceglie di stare vicino ai poveri delle favelas condividendo le loro
sofferenze.
*
Da Martin Luther King a Nelson Mandela
Il mondo scopre la realta' dell'apartheid, non solo in Sudafrica, ma negli
stessi Stati Uniti, dove i neri sono discriminati persino nelle scuole.
Anche questa e' una sfida nuova per la pace. Alla testa del movimento
antisegregazionista americano c'e' un coraggioso ministro della Chiesa
battista, Martin Luther King, che forte del suo credo nonviolento mobilita
le masse dei suoi fratelli di colore per la difesa dei diritti civili. La
sua marcia della liberta', organizzata a Washington nell'agosto 1963,
riunisce 250 mila manifestanti pacifici e segna il culmine del suo impegno
civile, consacrato dal Nobel per la Pace l'anno successivo e pagato con la
vita nel 1968, quando cadra' assassinato per mano di un razzista bianco. Lo
stesso impegno che negli anni successivi in Sudafrica e in Rhodesia, per
altre vie e con altri mezzi, non sempre pacifici, portera' alla vittoria
contro il regime dell'apartheid per la coraggiosa battaglia di leader
politici e religiosi di colore come Albert Luthuli, Nelson Mandela e il
vescovo anglicano Desmond Tutu, tutti insigniti del Nobel.
*
Giovanni XXIII e Paolo VI
La Chiesa cattolica e' interprete di questa aspirazione universale alla
pace: nel 1963, alla vigilia della sua morte, papa Giovanni XXIII pubblica
l'enciclica Pacem in terris che si rivela, fin dal prologo, come un
documento di eccezionale importanza dottrinale. Contrariamente alla formula
tradizionale, e' indirizzata non soltanto alle gerarchie e ai fedeli
cattolici del mondo, ma anche "a tutti gli uomini di buona volonta'", di
qualunque ideologia o provenienza, e proclama solennemente l'esigenza di una
"pace fra tutte le genti, fondata sulla verita', sulla giustizia, sulla
liberta'". Quattro anni dopo il suo successore, Paolo VI, nell'anelito
costante alla pace che caratterizzo' il suo pontificato (e' del 1967 la
fondazione della Commissione Justitia et Pax), esplicita con grande
lucidita' nella Populorum progressio i principi cui deve ispirarsi la
convivenza umana. La sua analisi e' di un'attualita' sconvolgente e grande
la sua eco: "Lo sviluppo e' il nuovo nome della pace", scrive il papa, e lo
sviluppo "deve essere integrale, vale a dire volto alla promozione di ogni
uomo, di tutto l'uomo".
*
Da Giorgio La Pira a Tonino Bello
Sono questi i punti di riferimento cui si ispireranno negli anni a seguire
le correnti di pensiero pacifista del nostro mondo cattolico, espresse dal
sorgere di movimenti e associazioni di volontariato sempre piu' numerose e
dall'impegno di personaggi simbolo: da La Pira a monsignor Camara, da don
Mazzolari a don Milani, da padre Balducci a don Tonino Bello, il popolare
vescovo di Pax Christi, autentico interprete di quella "convivialita' delle
differenze" che resta la sua definizione piu' schietta della pace.
*
"Avventura senza ritorno"
Ed e' ancora un papa, Giovanni Paolo II, instancabile pellegrino di pace, a
ricordarci negli anni piu' recenti, di fronte ai conflitti che vanno
sconvolgendo la ex Jugoslavia, il Medio Oriente e l'Africa, che la guerra e'
"un'avventura senza ritorno", la pace "esige sempre il rispetto rigoroso
della giustizia e, conseguentemente, l'equa distribuzione dei frutti del
vero progresso" (Sollecitudo rei socialis).
Non si puo' dimenticare, in questa faticosa costruzione di un mondo di pace,
l'attivita' di quelle organizzazioni non governative, sempre piu' attive,
che svolgono un ruolo di custodi dei diritti umani e che spesso suppliscono
alle carenze delle istituzioni internazionali nella composizione dei
conflitti: un nome per tutti e' quello della Comunita' di Sant'Egidio di
Roma la cui opera di mediazione silenziosa ha permesso di raggiungere la
pace nel Mozambico dopo anni di guerra e di contribuire alla soluzione di
altre controversie.
*
Difesa degli oppressi
Sempre piu' il cammino della pace va legandosi al rispetto della legalita' e
della liberta' dei popoli. Sempre meno il silenzio e l'omerta' riescono a
coprire le violazioni dei diritti naturali dell'uomo, anche per l'imporsi di
coraggiose forme di denuncia e di lotta. L'ultimo scorcio del secolo
fornisce un copioso elenco di personaggi che hanno dedicato la loro
esistenza al ripristino della legalita' nei loro Paesi e alla difesa degli
oppressi. Pensiamo al sacrificio di monsignor Romero, alle madri dei
desaparecidos di Plaza de Mayo, a Perez Esquivel, oppositore della dittatura
militare in Argentina e fondatore del movimento ecumenico "Paz y Justicia";
a Rigoberta Menchu' e alla sua opera di difesa degli indios dell'America
Latina, al vescovo Carlo Belo, difensore delle popolazioni di Timor, alla
birmana Aung San Suu Kyi, che ha patito anni di carcere per la sua fiera
opposizione alla dittatura militare nel suo Paese. E quanti altri, che in
silenzio, senza i clamori di premi e riconoscimenti, ancora lottano per
raggiungere quell'ideale di pace che l'uomo insegue da sempre.
*
I Premi Nobel per la Pace 1901-2001
1901 - Jean Henri Dunant, Frederic Passy
1902 - Elie Ducommun, Charles Albert Gobat
1903 - Sir William Randal Cremer
1904 - Istituto di diritto internazionale
1905 - Bertha Sophie Felicita von Suttner
1906 - Theodore Roosevelt
1907 - Ernesto Teodoro Moneta, Louis Renault
1908 - Klas Pontus Arnoldson, Fredrik Bajer
1909 - Auguste Marie Francois Beernaert, Paul Henri Benjamin Balluet
d'Estournelles de Constant
1910 - Ufficio internazionale permanente per la pace
1911 - Tobias Michael Carel Asser, Alfred Hermann Fried
1912 - Elihu Root
1913 - Henri La Fontaine
1917 - Comitato internazionale della Croce Rossa
1919 - Thomas Woodrow Wilson
1920 - Leon Victor Auguste Bourgeois
1921 - Karl Hjalmar Branting, Christian Lous Lange
1922 - Fridtjof Nansen
1925 - Sir Austen Chamberlain, Charles Gates Dawes
1926 - Aristide Briand, Gustav Stresemann
1927 - Ferdinand Buisson, Ludwig Quidde
1929 - Frank Billings Kellogg
1930 - Lars Olof Nathan (Jonathan) Soederblom
1931 - Jane Addams, Nicholas Murray Butler
1933 - Sir Norman Angell (Ralph Lane)
1934 - Arthur Henderson
1935 - Carl Von Ossietzky
1936 - Carlos Saavedra Lamas
1937 - Cecil of Chelwood
1938 - Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati
1944 - Comitato internazionale della Croce Rossa
1945 - Cordell Hull
1946 - Emily Greene Balch, John Raleigh Mott
1947 - Societa' degli amici
1949 - Lord John Boyd Orr Of Brechin
1950 - Ralph Bunche
1951 - Leon Jouhaux
1952 - Albert Schweitzer
1953 - George Catlett Marshall
1954 - Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
1957 - Lester Bowles Pearson
1958 - Georges Henri Pire
1959 - Philip J. Noel-Baker
1960 - Albert John Luthuli
1961 - Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjold
1962 - Linus Carl Pauling
1963 - Comitato internazionale della Croce Rossa
1964 - Martin Luther King jr.
1965 - Fondo di emergenza delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef)
1968 - Rene' Cassin
1969 - Ufficio internazionale del lavoro
1970 - Norman E. Borlaug
1971 - Willy Brandt
1973 - Henry A. Kissinger, Le Duc Tho
1974 - Sean MacBride, Eisaku Sato
1975 - Andrei Dmitrievich Sakharov
1976 - Betty Williams, Mairead Corrigan
1977 - Amnesty International
1978 - Mohamed Anwar Al-Sadat, Menachem Begin
1979 - Madre Teresa di Calcutta
1980 - Adolfo Perez Esquivel
1981 - Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
1982 - Alva Myrdal, Alfonso Garcia Robles
1983 - Lech Walesa
1984 - Desmond Mpilo Tutu
1985 - Internazionale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare
1986 - Elie Wiesel
1987 - Oscar Arias Sanchez
1988 - Forze di pace dell'Onu ("Caschi Blu")
1989 - Il XIV Dalai Lama (Tenzin Gyatso)
1990 - Michail Sergeevic Gorbaciov
1991 - Aung San Suu Kyi
1992 - Rigoberta Menchu' Tum
1993 - Nelson Mandela, Fredrik Willem De Klerk
1994 - Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin
1995 - Joseph Rotblat, Pugwash Conferences on science and world affairs
1996 - Carlos Felipe Ximenes Belo, Jose' Ramos-Horta
1997 - Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, Jody
Williams
1998 - John Hume, David Trimble
1999 - Medici senza frontiere
2000 - Kim Dae-Jung
2001 - Nazioni Unite, Kofi Annan
2002 - Jimmy Carter
*
Alcuni libri sul pacifismo
- M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di G. Pontara,
Einaudi, Torino 1973;
- E. Melandri, I protagonisti, Emi, Bologna 1984;
- P. C. Bori - G. Sofri, Gandhi e Tolstoj, un carteggio e dintorni, Il
Mulino, Bologna 1985;
- G. Procacci, Premi Nobel per la pace e guerre mondiali, Feltrinelli,
Milano 1989;
- E. Butturini, La pace giusta, Mazziana, Verona 1993;
- R. Venditti, L'obiezione di coscienza al servizio militare, Giuffre',
Milano 1994;
- C. Ragaini, Giu' le armi! Teodoro Moneta e il progetto di pace
internazionale, Franco Angeli, Milano 1999;
- Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace 2002,
Asterios, Trieste 2001;
- A. Schweitzer, La melodia del rispetto per la vita, San Paolo, Milano
2002.
7. DIBATTITO. LUIGI CAVALLARO: JOAN ROBINSON E LA PIENA OCCUPAZIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 agosto 2003. Luigi Cavallaro e' un
illustre economista e prestigioso intellettuale democratico. Joan Robinson,
nata nel 1903, scomparsa nel 1983, e' stata una grande docente di economia a
Cambridge, studiosa di straordinario valore e di forte impegno civile. Tra
le molte opere di Joan Robinson: Ideologie e scienza economica, Sansoni;
L'economia a una svolta difficile, Liberta' e necessita', ambedue presso
Einaudi]
Ci sono molti modi per ricordare Joan Robinson a cent'anni dalla nascita e
venti dalla morte: un convegno, un saggio di dotta dottrina, un numero
speciale di una rivista accademica.
Qui al "Manifesto" abbiamo pensato a qualcosa di diverso: a Un programma per
la piena occupazione, un articolo che ella scrisse nel 1943, nell'infuriare
del conflitto mondiale, e che sintetizza in modo lucido e appassionato
l'essenza dell'approccio radicale alla "rivoluzione keynesiana". Ci siamo
chiesti se, dopo sessant'anni, sia un pezzo da museo o abbia del grano da
macinare nel mulino della politica; piu' precisamente, ci siamo domandati se
contenga analisi, spunti o proposte che possano contribuire a far uscire la
sinistra europea da una sudditanza ormai ventennale nei confronti delle
ricette dei banchieri centrali e della comunita' finanziaria e indurla a
pensare "un'altra Europa". Con quali priorita', innanzi tutto? Oggi come nel
1943 i governanti promettono che combatteranno la disoccupazione di massa,
ma al di la' di vaghe allusioni a programmi di opere pubbliche non ci sono
grandi discussioni sui mezzi necessari per adempiere a questa promessa.
Paradossalmente, la situazione e' anzi peggiore rispetto a sessant'anni fa,
perche' mentre allora la Robinson poteva scrivere che la campagna teorica
contro la Treasury View (l'opinione del Tesoro, secondo cui la spesa
pubblica non puo' accrescere l'occupazione salvo spiazzare il settore
privato) era "quasi interamente vinta", adesso non sono molti quelli che
concorderebbero con lei nel ritenere che "la causa fondamentale della
disoccupazione di massa sta nell'insufficienza del consumo che non aumenta
di pari passo con la crescita della capacita' produttiva". Come spiegare
altrimenti le idiozie che si ascoltano quotidianamente sul fronte della
riforma previdenziale, al punto che e' toccato ad un sociologo come Luciano
Gallino ricordare ai tanti (presunti) economisti che evocare disastri
perche' i nuovi nati sono di meno dei futuri vecchi e' una stupidaggine, se
si prescinde dall'andamento della produttivita'?
Ma supponiamo di (ri)vincere sul piano teorico e che dunque anche per noi
l'imperativo sia quello di avere "un approccio costruttivo al problema". "Un
Piano Beveridge (o un super-Piano Beveridge)" potrebbe ridisegnare la
riforma del sistema previdenziale e sanitario in modo meno delirante di
quanto si stia facendo? La cura dell'ambiente, la ricerca sulle fonti
alternative di energia e di trasporto, insomma una politica del territorio
in senso ampio, sono oggi alla portata dei pubblici poteri europei?
Certo, "se settori cosi' ampi di investimento venissero controllati,
l'intera struttura della politica dei lavori pubblici verrebbe alterata.
Finora i lavori pubblici sono stati invocati come palliativi per
stabilizzare il ciclo". Ma "se le sfere principali di investimento fossero
sotto il controllo pubblico, operando nel quadro di un piano generale,
l'enfasi verrebbe modificata". Il punto, infatti, e' che "anche se il
problema della disoccupazione di massa fosse cosi' risolto, si aprirebbe una
nuova serie di problemi, perche' non e' affatto semplice rimediare alla
disoccupazione lasciando tutto il resto come prima". Ci sarebbe innanzitutto
da affrontare "la difficolta' che questa politica comporta per la bilancia
commerciale". E' possibile, e in che modo, perseguire la piena occupazione e
mantenere in pareggio la bilancia commerciale europea, "da una parte
attraverso il controllo e l'incentivazione delle esportazioni e dall'altra
parte attraverso un sistema di priorita' per le importazioni" che dia
precedenza "ai beni piu' necessari"? E come garantire "il continuo controllo
sui movimenti internazionali di capitale, affinche' la politica interna non
sia alla merce' di improvvise fughe di fondi speculativi"?
In secondo luogo, ci sarebbe il problema dei rapporti di forza. La
disoccupazione, infatti, non e' un aspetto accidentale di un'economia
capitalistica, ma parte del suo meccanismo essenziale. "La prima funzione
della disoccupazione (che e' sempre esistita in forme aperte o nascoste) e'
quella di mantenere l'autorita' del padrone sul lavoratore comune. Il
padrone e' normalmente in posizione di dire: 'Se non vuoi il lavoro, ci sono
molti altri che lo vogliono'. Quando il lavoratore dice 'Se non mi vuoi, ci
sono molti altri che mi vogliono', la situazione e' radicalmente mutata". La
scomparsa della disoccupazione potrebbe avere un effetto distruttivo sulla
disciplina del lavoro (se ne e' gia' avuto piu' che un assaggio nei dintorni
del '68), effetto che "in modo diverso e piu' sottile" potrebbe manifestarsi
nella difficolta' di "mantenere il valore della moneta", a causa di "una
pressione costante sui salari monetari", che potrebbe "far precipitare una
violenta inflazione". E allora, e' pensabile oggi una contrattazione
collettiva europea che tolga alla Bce il compito di custodire la stabilita'
monetaria e le attribuisca il piu' modesto compito di fissare il saggio
d'interesse a quel (basso) livello tale che la spesa privata e una spesa
pubblica non piu' impastoiata nelle secche del Patto di stabilita' possano
garantire il pieno impiego? E' ipotizzabile che una politica dei redditi,
accompagnata da forme di pubblicita' dei costi, da divieti di speculare
sulla struttura delle passivita' e da programmi generosi di sicurezza
sociale, induca i lavoratori a preferire l'arricchimento reale all'illusione
monetaria della rincorsa salariale? Non potrebbe essere questa la premessa
per l'introduzione di una maggiore flessibilita', che evitando "ostacoli di
qualunque provenienza all'introduzione di nuove tecnologie", consenta
all'industria privata di procedere "ad un livello alto e stabile di
attivita'"?
La Robinson concludeva le sue riflessioni con l'auspicio che si affrontasse
in modo risoluto "uno sgradevole dilemma": e cioe' "che esiste
incompatibilita' tra l'impresa privata non regolamentata e la continua piena
occupazione". Se vogliamo evitare "la confusione mentale e il disastro
economico e sociale" e non vogliamo "continuare a brancolare nel buio",
forse dovremmo dircelo e trarne laicamente le conseguenze.
Proviamo a discuterne?
8. DIBATTITO. EMILIANO BRANCACCIO: JOAN ROBINSON E UNA POLITICA ECONOMICA
ALTERNATIVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 agosto 2003. Emiliano Brancaccio,
economista, e' estensore della proposta di legge di Attac-Italia per la
Tobin tax]
Il movimento costretto, dopo la guerra coloniale in Iraq, a tornare sulla
terra e a ridimensionare le mire da "seconda superpotenza globale"; le
brucianti sconfitte sindacali e referendarie in Francia, Germania e Italia;
la triste prospettiva nostrana di un accordo programmatico di bassissimo
profilo tra l'Ulivo e il Prc; e, sul versante istituzionale, il totale
fallimento della Convenzione europea, incapace di compiere anche un solo
passo sulla via dell'unificazione politica. Un simile scenario esige che ci
si fermi a riflettere, e il programma per la piena occupazione di Joan
Robinson, proposto da Luigi Cavallaro ai fini della progettazione di
"un'altra Europa possibile" ("Il manifesto", 3 agosto), rappresenta uno
spunto di indubbio valore. Non riusciremo tuttavia a indicare una via
d'uscita dall'attuale stato di cose esaminando i fatti dal solo punto di
vista della disoccupazione e dei mezzi per fronteggiarla. Dopotutto, la
disoccupazione non e' altro che una delle inumerevoli manifestazioni della
capacita' dell'odierno capitalismo di generare rabbia e frustrazione a mezzo
di sprechi di risorse e inaudite disuguaglianze. La ben nota opinione della
Robinson, secondo cui e' sempre meglio essere oggetto di sfruttamento che
morire d'inedia disoccupati, potra' dunque considerarsi solo soggettivamente
legittima, mentre risulterebbe un'ottima scusa per le peggiori nefandezze
(dalla "piena occupazione dei poveri" nell'America clintoniana alle funeste
strategie di workfare di Blair e D'Alema), se venisse elevata al rango di
proposizione politica.
La critica al capitalismo in quanto generatore di iniquita' e inefficienze
(la peggiore delle combinazioni possibili) rappresenta pertanto l'unica base
credibile su cui poter edificare un progetto alternativo di politica
economica. A tal proposito le ricerche di Joan Robinson ci vengono
senz'altro in aiuto. Il suo modello analitico (sviluppato tra gli anni '50 e
'60 e fondato sull'integrazione tra la teoria keynesiana e l'interpretazione
di Marx suggerita da Sraffa) consente infatti di evidenziare una
fondamentale contraddizione del capitalismo contemporaneo attraverso
l'esplicitazione dei seguenti due punti.
Il primo e' che la Robinson aderi' entusiasta alla critica demolitrice di
Sraffa alla teoria neoclassica dominante, una critica che ha chiarito in
modo inequivocabile come il profitto e la rendita non costituiscano affatto
il "prezzo" per il contributo del capitalista alla formazione del prodotto
nazionale. Ella sostenne che con questa critica Sraffa era riuscito a
"vendicare Marx", avendo dimostrato l'assenza di valide basi analitiche per
il pagamento del profitto e della rendita e avendo quindi implicitamente
evidenziato la loro intima connessione con il fenomeno dello sfruttamento.
Il secondo punto, tuttavia, e' che la Robinson riteneva che il ritmo di
accumulazione del capitale dipendesse in ogni caso dal tasso di profitto,
nel senso che i capitalisti si rendono disponibili a investire solo se
adeguatamente remunerati.
Dal modello della Robinson emerge dunque un profitto che risulta privo di
giustificazioni sul piano strettamente tecnico-produttivo, ma che preserva
al tempo stesso il fondamentale ruolo di motore dell'accumulazione
capitalistica.
L'origine di una simile contraddizione e' presto detta: i capitalisti
dispongono di un accesso privilegiato alla moneta, imprescindibile chiave di
attivazione dell'investimento. Tale privilegio si e' oltretutto rafforzato
proprio nell'ultimo ventennio. Infatti, a causa di politiche monetarie
perennemente restrittive, del divieto per le banche centrali di finanziare
direttamente la spesa pubblica e della completa liberalizzazione dei
movimenti di capitale, la moneta e' divenuta sempre piu' scarsa, di
proprieta' privata ed estremamente mobile.
Tra le principali implicazioni di questa tendenza vi e' il fatto che da
oltre un ventennio la media dei tassi d'interesse nominali si situa sempre,
sistematicamente, al di sopra del tasso medio di crescita del reddito
nominale, il che non soltanto contribuisce alla progressiva divaricazione
tra redditi da lavoro e da capitale, ma costringe anche i singoli paesi a
draconiani avanzi primari pur di contrastare l'esplosione dei debiti
pubblici, e inoltre la dice lunga sull'insulsa opinione secondo cui oggi "i
tassi d'interesse sono bassi" (bassi rispetto a cosa?). Per giunta,
l'accesso privilegiato ai mezzi monetari e finanziari conferisce oggi ai
capitalisti il compito pressoche' esclusivo di determinare non solo il
livello, ma anche e soprattutto la composizione della produzione: una sorta
di "monopolio del futuro" che pregiudica qualsiasi possibilita' di
innalzamento del rapporto tra beni pubblici e privati e di riconversione
ecologica del'apparato produttivo, e che rinvia quindi all'infinito
qualsiasi risposta sensata alla famosa domanda della Robinson: "a che serve
l'occupazione?".
Joan Robinson evito' sempre di offrire soluzioni univoche e generali alla
contraddizione capitalistica, ma non smise mai di sottoporre il sistema di
mercato a un continuo, serratissimo confronto con il socialismo di mercato e
la pianificazione centralizzata. Dati i tempi e le contingenze, noi qui non
oseremo tanto. Tuttavia, una cosa ci pare indiscutibile. Dal controllo dei
movimenti di capitale alla democratizzazione dell'operato della banca
centrale, gli strumenti in grado di delineare una credibile, razionale
proposta di politica economica alternativa sono ben noti, e alla piena
portata delle istituzioni europee. Ma la determinazione e la massa critica
necessarie per porli in essere potra' derivare soltanto dallo spietato
recupero di senso critico nei confronti di un sistema governato da soggetti
privi di qualsiasi prerogativa, se non quella di godere di un accesso
privilegiato ai mezzi monetari.
Resta solo da chiedersi se una tale presa di coscienza si situi al di la'
dei desideri e delle possibilita' dell'attuale ceto politico di riferimento,
invischiato com'e' nella sindrome del "bilancio in pareggio" e nella
(correlata) eccessiva frequentazione dei salotti buoni della finanza.
9. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PERDITA
[Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994, p. 240. Hannah
Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di
Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]
Se paragoniamo il mondo moderno con quello del passato, balza agli occhi in
tutta la sua evidenza la perdita di esperienza umana comportata da questo
sviluppo.
10. MAESTRE. SIMONE WEIL: TUTTA LA SOCIETA'
[Da Simone Weil, La condizione operaia, Edizioni di Comunita', Milano 1952,
Mondadori, Milano 1990, p. 306 (il brano che riportiamo e' un frammento
dallo scritto del 1941 "Prima condizione di un lavoro non servile"). Simone
Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante
sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di
fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice
agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
Tutta la societa' dev'essere anzitutto costituita in modo che il lavoro non
tenda a degradare coloro che lo compiono.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
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LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 647 del 19 agosto 2003