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La nonviolenza e' in cammino. 615
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 615
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Thu, 17 Jul 2003 19:50:34 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 615 del 18 luglio 2003
Sommario di questo numero:
1. Il 27-31 agosto l'incontro della rete internazionale delle Donne in nero
2. Tiziana Barrucci e Stefano Liberti intervistano Johan Galtung
3. Anna Puglisi, Umberto Santino: appunti sulla ricerca del Centro Impastato
su "Donne e mafia"
4. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Introduzione a
Abelardo
5. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Le bugie di Isotta
6. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Massimo Parodi,
Storia della filosofia medievale
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. IL 27-31 AGOSTO L'INCONTRO DELLA RETE INTERNAZIONALE DELLE
DONNE IN NERO
[Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int) riceviamo e
diffondiamo il manifesto di convocazione dell'incontro internazionale delle
Donne in nero del 27-31 agosto, il cui programma dettagliato abbiamo gia'
riportato nel n. 612 del notiziario]
Osiamo la pace, disarmiamo il mondo. Marina di Massa, 27-31 agosto 2003.
Circa 300 donne provenienti da tutto il mondo, da gran parte dei paesi
europei e da molti extraeuropei, dal Medio Oriente all'America, all'Asia,
all'Australia, all'Africa si incontreranno a Marina di Massa per
l'undicesimo incontro internazionale delle Donne in nero. Fra queste saranno
ospitate le donne provenienti dai luoghi difficili: palestinesi, israeliane,
afghane, kurde, turche, colombiane, indiane, ugandesi, sudafricane,
congolesi, camerunensi, balcaniche. Consistente sara' anche la
partecipazione delle donne italiane.
La rete internazionale delle Donne in nero opera contro il militarismo,
inteso sia come pensiero dominante che come pratica di risoluzione dei
conflitti, e contro le guerre come metodo di soluzione delle divergenze e
delle differenze. Nel corso negli anni la rete e' andata progressivamente
ampliandosi, con la partecipazione sempre piu' consistente di donne dai
luoghi di conflitto, che lavorano alla costruzione di relazioni solide che
si pongano come base per la risoluzione delle divergenze e per la
costruzione di una politica internazionale delle donne libera da guerra,
violenze e poverta' per tutte e tutti.
Gli incontri della rete, fino ad ora realizzati nella ex-Jugoslavia,
costituiscono un momento culmine di questa elaborazione continua che parte
dalla pratica della relazione politica tra donne. Essi sono un laboratorio
politico ed un territorio sperimentale di elaborazione, in cui centinaia di
donne, anche provenienti dai luoghi di guerra, trovano voce, contribuendo a
tessere e solidificare la rete.
Per informazioni ed iscrizioni contattare: Donne in nero, via IV Novembre
149, Roma, tel. 0669950217, fax: 0669950200, e-mail:
segreteriaconvegno@donneinnero.org
Vi chiediamo di contribuire alle spese di ospitalita' per una donna
proveniente da luoghi di guerra. Potete effettuare versamenti tramite:
- bonifico bancario c/c n. 103344 Banca Popolare Etica, Padova, ABI 5018 Cab
12100 specificando nella causale "convegno internazionale";
- versamento postale c/c n. 12182317 intestato a Donne in nero c/c 103344
Banca Popolare Etica specificando nella causale "convegno internazionale".
2. RIFLESSIONE. TIZIANA BARRUCCI E STEFANO LIBERTI INTERVISTANO JOHAN
GALTUNG
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 maggio 2002. Gli intervistatori sono
giornalisti del quotidiano; Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930,
fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo,
docente universitario, consulente dell'Onu, fondatore di "Transcend", autore
di molte fondamentali pubblicazioni, e' il piu' noto e prestigioso
peace-researcher vivente]
Diagnosi, prognosi, terapia: e' a partire da questi tre passaggi che Johan
Galtung, cattedratico norvegese con il piglio del medico, si spende da anni
per trovare forme creative per la risoluzione delle piccoli e grandi guerre
che marchiano a sangue il pianeta. Professore di studi sulla pace presso
l'universita' delle Hawaii, l'universita' di Witten/Herdecke (Germania),
l'universita' di Tromsoe (Norvegia) e la European Peace University, Galtung
ha ricevuto nel 1987 il Nobel alternativo Right Livelihood Award, per il suo
impegno nell'educazione alla pace. Nel 1993 ha fondato l'organizzazione
Transcend, un network globale di studiosi e attivisti impegnati nell'analisi
sul campo e nella ricerca di soluzioni di pace in vari punti caldi del
pianeta. Da allora gira incessantemente per presentare e sperimentare le
idee e le proposte elaborate da lui e dagli altri membri di Transcend. Lo
incontriamo a Roma, alla vigilia di una missione di mediazione a Kabul, dopo
una conferenza all'Universita' La Sapienza su "Il mondo dopo l'11
settembre". Ed e' dagli eventi dell'11 settembre che Galtung parte per
esporci le sue teorie.
- Domanda: Qual e' la sua lettura degli attacchi contro le Torri gemelle e
della reazione di Washington?
- Risposta: Ritengo sia possibile leggere l'11 settembre e gli eventi
successivi come uno scontro tra due sette fondamentaliste: da una parte
l'islam wahhabita - che in Arabia Saudita e' religione di stato -,
dall'altra il puritanesimo protestante, che e' di fatto il pensiero
dominante negli Stati Uniti. Queste due sette, sia pure su fronti opposti,
sono speculari, dal momento che presentano un numero inquietante di elementi
in comune.
- D.: Quali sono questi punti in comune?
- R.: Innanzitutto hanno entrambe una visione esclusiva e esclusivista della
religione. Tanto i seguaci di Ibn Abd al Wahhab, vissuto nella penisola
arabica tra il 1703 e il 1792, quanto i discendenti dei pellegrini puritani
giunti in America nel 1620 si ritengono un popolo eletto. I puritani, in
particolare, hanno riadattato il mito ebraico della Genesi a proprio uso e
consumo: la nuova Sion non era piu' sulle sponde del Mediterraneo, ma
dall'altra parte dell'Oceano.
Da questo punto ne discende un altro, ugualmente pericoloso e assolutamente
comune alle due tendenze: l'idea che il mondo sia diviso in due, tra quelli
che aderiscono alla setta e quelli che non vi aderiscono.
Quando Bush dice "o con noi o contro di noi" non fa altro che esprimere
questo manicheismo patologico, che e' un elemento consustanziale del
puritanesimo. Lo stesso puo' dirsi dei proclami di bin Laden contro gli
infedeli. Chi non aderisce ai principi della setta e' un nemico, e pertanto
deve essere schiacciato. I discorsi di bin Laden e di Bush sono
assolutamente speculari. Solo che i due si servono di mezzi leggermente
differenti: il primo usa il terrorismo, il secondo il terrorismo di stato.
Esiste tuttavia una sfasatura tra queste due tendenze. Se in Arabia Saudita
il wahhabismo e' fede di stato - e quindi l'esclusivismo e' accettato
ufficialmente - gli Stati Uniti si definiscono un paese libero e tollerante
in cui tutte le opinioni hanno diritto di essere espresse... Il predominio
della setta puritana si avvale di strumenti piu' raffinati di quelli del
wahhabismo. Quindici anni dopo il loro arrivo sulle coste atlantiche, i
puritani hanno fondato una facolta' di teologia, nucleo iniziale di quella
che sarebbe poi diventata l'universita' piu' importante degli Stati Uniti
d'America: Harvard. Questa, che in Occidente e' ritenuta la migliore
universita' del mondo - the university of excellence - e' una vera e propria
fabbrica di ideologia, da dove vengono diffuse le linee guida del dominio
americano.
- D.: Tale dominio non si e' pero' basato fino ad oggi su un'alleanza di
ferro proprio con il wahhabismo saudita?
- R.: Si'. In effetti non e' possibile comprendere l'11 settembre senza
analizzare la relazione economica esistente tra gli Stati Uniti e l'Arabia
Saudita. Tra i due e' stato sancito una specie di matrimonio di interesse:
da una parte la casa reale - custode dei luoghi sacri e depositaria della
purezza dell'islam - si e' sempre impegnata a fornire a Washington petrolio
in grandi quantita' e a basso costo; dall'altra gli americani si sono
impegnati a pagare il conto e a proteggere eternamente la dinastia al potere
a Riyadh. Ma l'oro nero produce ricchezza e la ricchezza e' in opposizione
con la visione ascetica della vita, che rappresenta un altro elemento
costitutivo del wahhabismo. Se, nonostante questa contraddizione, il
matrimonio ha funzionato per diversi anni, la rottura era comunque
inevitabile.
- D.: Cosa ha provocato questa rottura?
- R.: Il punto di passaggio e' stato la guerra del Golfo del 1991 e la
successiva permanenza delle truppe americane sul suolo sacro della penisola
arabica che, secondo i wahhabiti, non puo' essere calpestato da infedeli.
Questo ha fatto vacillare il patto tra Washington e la casa reale, che si
trova sempre piu' isolata nel suo paese. Io ritengo che la dinastia dei Saud
abbia a tutt'oggi la stessa speranza di vita che aveva lo scia' in Iran nel
1976: al massimo tre anni.
Non si puo' non tener conto che quindici dei diciannove attentatori dell'11
settembre erano cittadini sauditi. E che l'attacco contro New York e
Washington e' servito anche indirettamente a lanciare un monito alla casa
reale. La quale, permettendo alle truppe statunitensi di rimanere nella
penisola, aveva tradito i principi del wahhabismo.
- D.: La risposta degli Usa agli attentati perpetrati contro il suo
territorio da cittadini sauditi e' stata pero' la guerra in Afghanistan...
- R.: L'attacco all'Afghanistan e' servito ad avviare la penetrazione
statunitense in Asia centrale, una regione ricca di idrocarburi e di gas.
Non bisogna dimenticare che gli americani hanno un rapporto morboso, quasi
orgasmico, con il petrolio. E che questa amministrazione e' costituita
essenzialmente da petrolieri. Pochi sanno che il segretario di stato Colin
Powell, di cui tutti conoscono il passato di generale, ha una formazione di
geologo del petrolio. Prima di abbandonare i sauditi, Washington deve
trovare altre fonti di energia a basso costo.
- D./ Pensa che l'amministrazione Bush sapesse in anticipo degli attentati
contro il World Trade Center e il Pentagono?
- R.: Non credo, come si dice oggi, che il governo americano sapesse e abbia
taciuto. Ritengo per' che abbia colto la palla al balzo. L'amministrazione
americana ha una lista di obiettivi strategici e l'Afghanistan era in cima a
quella lista. L'11 settembre ha fornito il pretesto necessario per lanciare
un attacco che era stato pianificato gia' dal mese di agosto. Tutti questi
passaggi non sono abbastanza noti perche' la stampa occidentale si guarda
bene dal rivelarli.
- D.: Qual e' stato il ruolo della stampa in questa vicenda?
- R.: Invece di svolgere la sua funzione tradizionale di quarto potere, la
stampa americana ed occidentale in generale e' ormai diventata una cassa di
risonanza dell'ideologia dominante. A questo discorso fanno eccezione pochi
organi di informazione veramente liberi: The Guardian e The Independent in
Gran Bretagna, Le Monde diplomatique in Francia, Der Spiegel in Germania e,
in Italia, Il manifesto. E' anche per questo che, tra i seminari che propone
la mia organizzazione Transcend in giro per il mondo, uno e' dedicato
proprio al "giornalismo di pace".
- D.: Che cos'e' di preciso "Transcend"? E quali sono i suoi campi di
azione?
- R.: Transcend e' un'organizzazione per la mediazione dei conflitti
bellici, costituita da persone da sempre impegnate nel campo della pace e
dello sviluppo. La nostra politica si e' basata, fin dall'inizio, su un
approccio pragmatico: trovare un'idea, sperimentarla sul campo, migliorarla.
La filosofia di Transcend si struttura in concreto su quattro pilastri
d'attivita': azione, educazione/formazione, diffusione delle idee, ricerca.
L'obiettivo non e' solo quello di trovare soluzioni creative ai conflitti in
corso, ma anche quello di provvedere alla realizzazione di una vera e
propria cultura di pace. Ecco perche' da anni organizziamo in diversi paesi
seminari di educazione alla nonviolenza, di peacekeeping, di peacemaking, di
democrazia e diritti umani, di pedagogia di pace e, come dicevo, di
giornalismo di pace.
- D.: Qual e' il metodo che seguite nella risoluzione dei conflitti?
- R.: Siamo dell'idea che alla radice di ogni conflitto ci sia un divario
profondo, l'esistenza tra gli attori antagonisti di obiettivi
inconciliabili. Tale divario tende a cristallizzarsi e a diventare sempre
meno sanabile. E' importante quindi identificare e analizzare le cause
profonde di questa contraddizione e, a partire da questa analisi, proporre
approcci di pace. Questo primo passaggio e' quello che chiamo della
diagnosi. Alla diagnosi segue la prognosi, ossia una previsione dei
probabili sviluppi futuri. Fatta la prognosi, elaboriamo di volta in volta
la terapia piu' adatta.
- D.: Come si legge, dal punto di vista della filosofia "Transcend", il
conflitto mediorientale?
- R.: La diagnosi di quanto sta avvenendo in Palestina e' abbastanza
evidente: il processo di Oslo e' morto a causa della frustrazione che hanno
dovuto subire i palestinesi dal 1993 al settembre 2000, quando infine la
loro rabbia e' scoppiata nella seconda Intifada. La prognosi e' anch'essa di
facile definizione: a tutti appare chiaro che un accordo, per essere stabile
e reale, deve coinvolgere il maggior numero possibile di attori, quindi
anche i gruppi piu' radicali. Da qui dobbiamo partire per elaborare la
nostra terapia.
- D.: Su quali punti si basa questa terapia?
- R.: Israele deve innanzitutto ritirarsi ai confini del 1967 e riconoscere
senza indugi lo stato palestinese con Gerusalemme come capitale. A quel
punto e' necessario stabilire forme reali di cooperazione tra i due stati:
nella gestione comune di Gerusalemme - capitale confederale di entrambi gli
stati -, nella politica di sicurezza e in quella economica. A livello
regionale, poi, bisognerebbe creare una sorta di comunita' mediorientale
senza la partecipazione degli Stati Uniti che, a quanto mi risulta, non sono
un paese mediorientale e devono percio' evacuare le proprie truppe dalla
regione. Il modello a cui penso e' quello della Comunita' europea, sancito
dal Trattato di Roma del 1957. Lo stesso modello potrebbe essere valido per
il Medioriente: creare una comunita' tra stati arabi, Israele, Turchia e
kurdi, con un'equa ripartizione delle riserve acquifere, un controllo sugli
armamenti e un libero scambio delle merci, dei servizi, delle persone, delle
idee. Penso che questa sia l'unica soluzione possibile per una pace stabile
e duratura.
3. MATERIALI. ANNA PUGLISI, UMBERTO SANTINO: APPUNTI SULLA RICERCA DEL
CENTRO IMPASTATO SU "DONNE E MAFIA"
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"
riprendiamo questo ancora assai utile testo presentato come relazione nel
1996 e successivamente pubblicato nel 1998. Per informazioni e contatti:
Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga
15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi@tin.it,
sito: www.centroimpastato.it
Anna Puglisi, studiosa e militante antimafia, e' impegnata nell'esperienza
del Centro Impastato. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto Santino ha
curato La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta Impastato, La
Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio ha curato il dossier Con e contro. Le
donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Palermo 1988;
Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia,
Centro Impastato, Palermo 1998.
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"
(via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax 091348997,
e-mail: csdgi@tin.it, sito internet: www.centroimpastato.it) e' un istituto
di ricerca tra i piu' accreditati in campo internazionale, particolarmente
specializzato su mafia e poteri criminali; operante dal 1977, e' stato
successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, militante della nuova
sinistra assassinato dalla mafia nel 1978; una sintetica ma esauriente
scheda di autopresentazione, di quattro pagine, e' richiedibile presso il
Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna
bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra
violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di
ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003 (ripubblicata in aprile su questo
stesso notiziario)]
Nell'ambito del Progetto di ricerca "Mafia e societa'" del Centro Impastato
(sono gia' state svolte le ricerche sull'omicidio a Palermo, pubblicata nel
volume: G. Chinnici - U. Santino, La violenza programmata; sui processi per
omicidio, pubblicata nel volume: AA. VV., Gabbie vuote; sulle imprese
mafiose, pubblicata nel volume: U. Santino - G. La Fiura, L'impresa
mafiosa), e' in corso una ricerca su "Donne e mafia", di cui sono stati
pubblicati il dossier di rassegna stampa Con e contro, e i volumi: F.
Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, e A. Puglisi, Sole contro la
mafia, con storie di vita.
La ricerca su "Donne e mafia" mira ad analizzare il ruolo delle donne
nell'organizzazione e nelle attivita' mafiose e nella lotta contro la mafia,
ma prima ancora nella societa' siciliana e meridionale, e prevede l'esame
della letteratura, la raccolta della documentazione (attraverso atti
giudiziari e la rassegna stampa) e di storie di vita. Il quadro generale in
cui si inserisce risulta dall'esame critico della letteratura e delle idee
correnti sulla mafia e dalla formulazione di quello che abbiamo definito
"paradigma della complessita'" (si veda: Santino, 1995a).
*
La donna nella societa' siciliana e meridionale
Preliminare a una ricerca sul ruolo delle donne nella mafia e contro la
mafia e' una ricostruzione, anche sintetica e schematica, del ruolo della
donna nella societa' siciliana e meridionale. Limitandoci a un cenno
brevissimo, la letteratura esistente, da quella folklorica alla piu'
recente, e' in larga parte concorde nel definire il ruolo della donna nella
societa' meridionale come subalterno e passivo, ritagliato esclusivamente
nello spazio domestico e interpretabile soprattutto, se non esclusivamente,
attraverso lo schema antropologico del codice onorifico. La realta' e' piu'
complessa, basti pensare al ruolo delle donne nelle lotte sociali in
Sicilia, a cominciare dai Fasci siciliani.
Nell'economia della ricerca, sara' delineato un quadro della letteratura
esistente e della condizione della donna, ricostruita attraverso dati sulla
presenza nel mercato del lavoro, nelle professioni, l'esame del ruolo nei
processi di socializzazione etc.
*
La mafia come fenomeno complesso
Nel tentativo di andare oltre gli stereotipi (mafia come emergenza,
antistato etc.) che sono decisamente fuorvianti e dei paradigmi piu'
affermati (mafia come associazione a delinquere tipica e come impresa) che a
nostro avviso danno una rappresentazione parziale, abbiamo considerato la
mafia come un fenomeno complesso e polimorfico, adottando la seguente
ipotesi definitoria.
Mafia e' un insieme di organizzazioni criminali, di cui la piu' importante
ma non l'unica e' Cosa nostra, che agiscono all'interno di un vasto e
ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di
illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e
gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode
di un certo consenso sociale.
Ci troviamo di fronte a un fenomeno che non puo' essere analizzato con la
categoria criminologica della devianza, utilizzabile per la criminalita'
comune, ma in cui l'uso della violenza privata e' funzionale alle dinamiche
di formazione del dominio di classe: all'interno di un sistema relazionale
interclassista la funzione dominante e' esercitata da strati illegali-legali
che abbiamo definito "borghesia mafiosa": una chiave interpretativa che
richiama e attualizza i "facinorosi della classe media" di cui parlava
Franchetti.
Com'e' noto, il dilemma mafia come organizzazione o modello comportamentale
percorre tutta la letteratura antropologica e sociologica dall'ultimo
trentennio del secolo XIX a oggi. Mentre fino a pochi anni fa l'idea
dominante era quella della mafia come subcultura, comportamento, mentalita'
diffusa e si negava l'esistenza di una struttura organizzativa, confinandola
tra le "idee errate", dagli anni '80, sull'onda delle acquisizioni in sede
giudiziaria e delle rivelazioni dei cosiddetti "pentiti", c'e' stata una
conversione alla tesi organizzativista, per cui oggi si parla di Cosa
nostra, con la sua struttura unitaria, gerarchica, piramidale, come unico
oggetto di studio. In tal modo si e' finiti con l'accodarsi all'attivita'
giudiziaria e i "pentiti" sono diventati la fonte privilegiata di conoscenza
del fenomeno mafioso.
Ora, un conto e' utilizzare le fonti giudiziarie, un altro dipendere
totalmente, o quasi, da esse. Il compito dello scienziato sociale e' diverso
da quello del magistrato e dell'investigatore. Dovrebbe essere scontato, ma
a quanto pare non lo e', per cui e' bene ribadirlo: il magistrato "deve
ricercare elementi di prova tali da poter individuare e colpire i
responsabili di comportamenti definiti delittuosi dalle leggi vigenti,
mentre lo studioso ha un compito diverso, che si puo' riassumere nella
ricerca delle specificita' di un fenomeno e delle sue relazioni con il
contesto, per cui fatti irrilevanti penalmente assumono una rilevanza che
non possono avere nel quadro di un'inchiesta giudiziaria. Sono diversi gli
scopi, gli strumenti, i metodi. E' un'altra lingua e un altro sapere"
(Santino, 1995a, pp. 76 s.).
*
Continuita' e innovazione
Anche per quanto riguarda l'evoluzione storica del fenomeno mafioso, ci
sembra scorretta la rappresentazione che fa riferimento a una generica
"vecchia mafia", soppiantata da un'altrettanto generica "nuova mafia",
riproposta nella distinzione tra "mafia tradizionale" e "mafia
imprenditrice". In realta' l'evoluzione del fenomeno mafioso e' un intreccio
di continuita' e innovazione e la sua persistenza si spiega con
l'elasticita' e la capacita' di adattamento a diversi contesti
spazio-temporali. Per cui aspetti arcaici, come la "signoria territoriale",
vengono rifunzionalizzati a opportunita' e risorse della societa'
contemporanea, come i traffici internazionali di droghe e di armi e i
sistemi di riciclaggio.
L'intreccio di continuita' e innovazione non toglie la possibilita' di
distinguere delle fasi nello sviluppo della mafia, sulla base
dell'individuazione di un aspetto prevalente rispetto ad altri e con
riferimento ai mutamenti del quadro sociale e agli adeguamenti ad essi da
parte dei gruppi mafiosi.
Abbiamo individuato quattro fasi: 1) una lunga fase di incubazione, dal XVI
secolo ai primi decenni del XIX secolo, in cui piu' che di mafia vera e
propria si puo' parlare di "fenomeni premafiosi" (attivita' delittuose
regolarmente impunite di gruppi armati al servizio dei baroni; finalita'
accumulative di alcune forme delittuose, come i sequestri di persona, gli
abigeati, le estorsioni); 2) una fase agraria, dalla formazione dello Stato
unitario agli anni '50 del XX secolo, con delle subfasi al suo interno; 3)
una fase urbano-imprenditoriale, negli anni '60; 4) una fase finanziaria,
dagli anni '70 a oggi.
Non possiamo dilungarci a illustrare tale ipotesi di periodizzazione. Ci
limitiamo a dire che ci e' sembrata, finora, la piu' rispondente al tipo di
analisi che abbiamo condotto in questi anni, nel tentativo di cogliere
l'interazione tra aspetti permanenti e innovativi, che ha consentito a un
fenomeno sorto dentro un orizzonte locale abbastanza limitato - le quattro
province della Sicilia occidentale - di estendersi territorialmente e di
assumere la rilevanza attuale.
*
Monosessualita' formale e bisessualita' di fatto
Anche sotto il profilo di genere, il fenomeno mafioso lungi dal coincidere
con le rappresentazioni basate sulla chiusura e rigidita', dimostra una
grande capacita' di adattamento. La mafia formalmente e' un'organizzazione
maschile, ma il maschilismo mafioso non e' altro che il rispecchiamento del
maschilismo del contesto sociale e, poiche' la mafia non ha ideologia e le
sue prassi sono caratterizzate da un grande opportunismo, non c'e' da
sorprendersi se essa vada adattandosi a un contesto in cui il ruolo delle
donne e' cresciuto, a prescindere da valutazioni di carattere etico su
contenuti e modalita' di esercizio dei ruoli.
Anche se i mafiosi collaboratori di giustizia continuano a sostenere che
l'organizzazione mafiosa e' monosessuale, che ammessi ai riti di
affiliazione sono solo i maschi, le notizie sempre piu' numerose su compiti
di comando assunti da donne in gruppi mafiosi, in seguito all'arresto dei
capi, possono benissimo rispondere a verita', se si considera la natura
elastica della mafia. La Chiesa cattolica avra' problemi ad ammettere al
sacerdozio le donne, come le istituzioni pubbliche hanno avuto e continuano
ad avere remore nel praticare le pari opportunita', mentre per la mafia non
si pone il problema di attenersi a regole rigide, perche' anche quando ci
sono, o si dice che ci siano, e' ben lontana dal rispettarle nei fatti e
perche' la sua storia e' un continuo processo di mimesi e di adattamento.
Per dare un'idea del ruolo delle donne nel mondo mafioso riportiamo alcuni
casi che ci sembrano particolarmente significativi.
Troviamo donne accusate di attivita' mafiose gia' nel processo alla mafia
delle Madonie del 1927-1928. Tra i 153 imputati (mafiosi e loro
fiancheggiatori) c'erano 7 donne, con imputazioni come l'assistenza ai
latitanti, la riscossione dei pizzi e la custodia del denaro; mentre nel
maxiprocesso di Palermo del 1986, su 460 imputati le donne erano solo 4: due
incriminate per traffico di stupefacenti, una per favoreggiamento e un'altra
per falsa testimonianza.
Tra le imputate del processo alla mafia delle Madonie c'erano quattro
appartenenti alla famiglia mafiosa degli Andaloro e Giuseppa Salvo, definita
dai giornali "la regina di Gangi" per il suo ruolo di spicco, che nel corso
del processo mantenne un perfetto atteggiamento omertoso (Siragusa-Seminara,
1996, p. 110).
Nello stesso periodo comincia la sua carriera di ricercata dalla giustizia
Maria Grazia Genova, detta "Marage'", una donna di Delia, in provincia di
Caltanissetta, nata nel 1909 e morta in ospedale, in miseria, il 15 dicembre
1990, dopo aver collezionato una cinquantina di denunce e ventidue arresti.
Sorella di Diego, "uomo di rispetto" del paese, gia' nel 1927 viene
arrestata per furto. Nel 1949 riusci' ad evadere dal carcere dove doveva
scontare una pena in seguito alle indagini sulla faida in cui era coinvolta
la sua famiglia e che fini' quando non ci fu piu' nessuno da ammazzare
(Cascio - Puglisi (a cura di), 1986, p. 16). Si sospetta che quando qualcuno
della sua famiglia aveva problemi con la giustizia ed era necessario pagare
gli avvocati, lei si presentasse da professionisti e commercianti di Delia e
chiedesse il "contributo" ("L'Ora", 17 dicembre 1990). Mandata al confino
agli inizi degli anni sessanta, nel '79, quasi ottantenne, venne proposta di
nuovo per il soggiorno obbligato.
Piu' recente e' l'attivita' di Angela Russo che viene arrestata, assieme ad
altre 27 persone tra cui i figli e le nuore, il 13 febbraio del 1982,
all'eta' di 74 anni, perche' sospettata di essere stata corriera di droga
tra Palermo, le Puglie e il Nord Italia. Ma subito si scopre che la Russo,
che viene soprannominata "nonna eroina", era piu' che corriera: lei era
stata l'organizzatrice del traffico di droga fatto dalla sua famiglia e
all'atto dell'arresto, e poi durante il processo e nei confronti del figlio
pentito, si comporta da perfetta mafiosa (Cascio - Puglisi (a cura di),
1986, pp. 83 s., 86 s., 96 s.). Chiama il figlio "vigliacco e infame" e in
un'intervista dice: "Salvatore io l'ho perdonato, ma non so se Dio potra'
mai perdonarlo... Dicono che fra un anno esce. Lui lo sa che e' condannato,
lo sa che esce e lo ammazzano. Quelli non perdonano... Lui prima spera di
avere il tempo di vendicare suo fratello Mario, morto ammazzato per causa
sua. Ma che pensa di poter fare? Prima ci doveva pensare a Mario. Ora non
gli daranno il tempo. Ora, Salvino, quando esce muore" (Pino, 1988, p. 89).
E ancora, non riconoscendosi nel ruolo subalterno che le viene attribuito:
"Quindi secondo loro io me ne andavo su e giu' per l'Italia a portare pacchi
e pacchetti per conto d'altri... Dunque io che in vita mia ho sempre
comandato gli altri, avrei fatto questo servizio di trasporto per comando e
conto d'altri? Cose che solo questi giudici che non capiscono niente di
legge e di vita possono sostenere".
Ed espone una sua precisa idea di mafia, fatta di "veri uomini", come suo
padre, di leggi severe che colpivano inesorabilmente chi "sbagliava" e
risparmiavano i "figli di mamma", mentre adesso...: "E vanno a dire mafioso
a questo, mafioso a quello. Ma che scherzano? Siamo arrivati a un punto che
un pinco pallino qualsiasi che ruba subito e' 'mafioso'. Io in quel processo
di mafiosi proprio non ne ho visti. Ma che scherzano, e' modo di parlare di
cose serie? Ma dove e' piu' questa mafia, chi parla di mafia, cosa sanno
loro di mafia? Certo, sissignora, io ne so parlare perche' c'era nei tempi
antichi a Palermo e c'era la legge. E questa legge non faceva ammazzare i
figli di mamma innocenti. La mafia non ammazzava uno se prima non era
sicurissima del fatto, sicurissima che cosi' si doveva fare, sicurissima
della giusta legge. Certo, chi peccava 'avia a chianciri', chi sbaglia la
paga, ma prima c'era la regola dell'avvertimento... Allora in Palermo c'era
questa legge e questa mafia. C'erano veri uomini. Mio padre, don Peppino,
era un vero uomo e davanti a lui tremava di rispetto tutta Torrelunga e
Brancaccio e fino a Bagheria..." (Pino, 1988, pp. 79 s.).
Un esempio degli ultimi anni e' quello di Maria Filippa Messina, giovane
moglie di Nino Cinturino, boss di Calatabiano, paese in provincia di
Catania, in carcere dal 1992. Il suo e' un esempio di donna "supplente", in
assenza del marito capomafia, ma una supplente che dimostra di potere
assumere essa stessa il ruolo di capomafia.
Viene arrestata il 4 febbraio 1995 nella sua abitazione a Calatabiano,
appunto perche' sospettata di essere alla guida della famiglia del paese
dopo l'arresto del marito e viene accusata di avere assoldato killer per
vendicare l'omicidio di un mafioso della cosca, ucciso assieme alla madre.
In alcune conversazioni, intercettate dalla polizia, la Messina dice che era
venuto il momento "di pulire il paese", per ottenere il controllo del
territorio occupato dalla cosca rivale dei "Laudani".
Con lei sono state arrestate altri sette mafiosi, tra cui autori di alcuni
delitti commissionati dalla donna ("Giornale di Sicilia" (da ora "GdS"), 5,
6 e 7 febbraio 1995).
In carcere le viene notificato un altro ordine di custodia cautelare,
assieme al marito e ad altri presunti mafiosi, per i delitti avvenuti
durante una guerra di mafia tra la cosca catanese di Turi Cappello e il suo
alleato Nino Cinturino e quella dei Laudani avvenuta tra il 1990 e il 1995.
Tra gli arrestati altre due donne, Vincenza Barbagallo e Domenica Blancato,
e tra le persone a cui il provvedimento e' stato notificato in carcere
un'altra donna, Sebastiana Trovato.
Con una lettera al quotidiano "La Sicilia", pubblicata il 19 dicembre 1996,
la Messina lamenta di essere stata sottoposta al carcere duro, cioe'
all'isolamento secondo l'articolo 41 bis. Sarebbe la prima donna soggetta a
questo trattamento ("GdS", 11 gennaio e 19 dicembre 1996).
*
Tipologia delle donne di mafia: fedeli compagne, madrine, supplenti...
Nell'esame della documentazione raccolta, per tratteggiare una tipologia
delle "donne di mafia" abbiamo tenuto conto di vari fattori, come: la
provenienza familiare, i comportamenti quotidiani, le azioni delittuose
accertate e perseguite, le cointeressenze economiche, le reazioni di fronte
agli arresti o alla notizia della collaborazione con la giustizia dei
congiunti.
Tra le donne di famiglie mafiose, abbiamo riscontrato una varieta' di
comportamenti derivante dalla personalita' delle donne, che non si discosta
molto dalla tipologia riscontrabile in altre famiglie, anche se la
specificita' della provenienza mafiosa non puo' non esercitare un forte
condizionamento, ma non fino al punto da tradursi in standard uniformi.
Cosi' abbiamo donne nate in famiglie mafiose e sposate a mafiosi che
obbediscono allo stereotipo delle "fedeli compagne", discrete e premurose,
come Rosaria Castellana, moglie di Michele Greco soprannominato "il papa".
Quando il marito, latitante, viene accusato della strage Chinnici, dichiara
che e' tutta una "assurda macchinazione": "Il papa? Ho letto questo
appellativo sui giornali... Lui e' un uomo cosi' tranquillo, sapeste! Adora
me e suo figlio. Il tempo lo trascorreva tutto in campagna a curare i suoi
agrumeti. E poi e' cosi' religioso" (Madeo, 1992, p. 76).
La famiglia Castellana era una famiglia di grossi proprietari terrieri della
zona di Ciaculli. L'educazione della signora Rosaria era stata quella che si
dava alle ragazze destinate a fare un "buon matrimonio". Ha studiato musica
e lingue straniere. Scrive poesie. Si interessa d'arte. "La mia vita
trascorre tra casa e chiesa", dice. Una donna religiosa, come il marito.
E religiose dichiarano di essere numerose altre donne di famiglie mafiose
che coniugano cristianesimo e convivenza con l'assassinio. Per fare qualche
esempio recente, ricordiamo Antonietta Brusca, che dopo l'arresto dei figli
dichiara di averli educati nel timor di Dio e che la sua vita e' tutta casa
e chiesa ("La Repubblica", 24 maggio 1996). Cosa che non le impedisce di
essere l'intestataria dei conti bancari dove i suoi figli, educati
cristianamente, depositavano il denaro acquisito con il traffico di droga ed
altri traffici illeciti.
Religiosissima e' Filippa Inzerillo autrice di un appello rivolto alle donne
di mafia pubblicato dal "Giornale di Sicilia" il 2 novembre del 1996.
La Inzerillo e' vedova di Salvatore, il capo di una delle piu' importanti
famiglie mafiose ucciso nel maggio del 1981, due settimane dopo l'omicidio
di Stefano Bontate, all'inizio della guerra di mafia che causo' centinaia di
morti e porto' al predominio dei cosiddetti "corleonesi". Della famiglia
Inzerillo furono uccisi anche due fratelli di Salvatore, due zii, un cugino
e il figlio di sedici anni, Giuseppe, che aveva dichiarato di volere
vendicare la morte dei congiunti.
La signora Inzerillo, che ora fa parte di un cenacolo di carismatici scrive:
"Donne di mafia, ribellatevi. Rompete le catene, tornate alla vita. Sangue
chiama sangue, vendetta chiama vendetta. Basta con questa spirale senza
fine. Lasciate che Palermo rifiorisca sotto una nuova luce, nel segno
dell'amore di Dio. Lasciate che i vostri figli crescano secondo principi
sani, capaci di esaltare quanto di bello c'e' nel mondo".
La villa dove abita la Inzerillo, nella borgata Passo di Rigano, e'
diventata luogo di preghiera. Ma malgrado la sua religiosita', che non
abbiamo nessuna ragione di pensare che non sia sincera, la mentalita'
mafiosa fa capolino nella risposta alla domanda se ha perdonato anche Toto'
Riina: "E' solo un figlio (di Dio) che ha sbagliato. Ha lo spirito malato e
dovrebbe pentirsi, non dico davanti ai magistrati, ma davanti al Signore,
prima che sia troppo tardi". Come dire: l'unica giustizia e' quella divina,
quella umana non conta nulla. Uno dei principi fondamentali del codice
mafioso.
Altre donne invece hanno un ruolo attivo, evidenziato con prese di
posizione, in quelle che potremmo chiamare le "relazioni pubbliche" della
mafia: donne che svolgono compiti criminali in prima persona (per esempio il
traffico e lo spaccio di droghe) e che si possono definire "madrine" a pieno
titolo, anche in presenza di uomini, o "supplenti" in seguito all'arresto o
alla latitanza degli uomini. Di queste abbiamo gia' dato qualche esempio, ma
l'elenco e' nutrito.
Numerose sono le donne che si limitano a favorire le attivita' delittuose
dei congiunti, risultando prestanome, proprietarie di quote o addirittura
intestatarie di societa' e imprese per lo piu' usate per il riciclaggio del
denaro sporco, proprietarie di immobili acquistati con denaro illecito,
proprietarie di esercizi commerciali al posto dei mafiosi che non possono
comparire (Santino - La Fiura, 1990). Ci si trova di fronte a situazioni
notevolmente diverse. Ci sono le donne appartenenti a famiglie storiche
della mafia, cioe' nate e cresciute in quell'ambiente e, come le ragazze
dell'aristocrazia e dell'alta borghesia i cui matrimoni avvenivano e
continuano ad avvenire prevalentemente nel loro ambiente, sposate con
mafiosi di rango, per le quali e' ragionevole pensare che siano
coscientemente partecipi delle attivita' dei congiunti; e ci sono le mogli
di piccoli mafiosi, provenienti da ambienti non mafiosi e trovatesi a fare
da prestanome probabilmente senza avere piena coscienza dell'origine del
denaro impiegato.
Un esempio interessante e' quello di Francesca Citarda, non tanto per il
caso in se', quanto per l'atteggiamento del collegio che doveva giudicarla,
frutto di una mentalita' retriva - questa si', rigidamente maschilista - e
di giudizi stereotipati sulle donne meridionali ancora non del tutto
scomparsi negli ambienti giudiziari.
Francesca Citarda, moglie di Giovanni Bontate e figlia di Matteo Citarda,
entrambi appartenenti a famiglie mafiose storiche, viene proposta per il
soggiorno obbligato nel marzo del 1983, in applicazione della disposizione
della legge La Torre che estende ai familiari e ai prestanome dei mafiosi le
indagini patrimoniali, finalizzate alla confisca dei beni di cui non venga
provata la legittima provenienza. Con lo stesso provvedimento viene
richiesto il soggiorno obbligato per altre donne di famiglie mafiose: Rosa
Bontate, sorella di Giovanni e Stefano e moglie di Giacomo Vitale, coinvolto
nel falso sequestro Sindona; Epifania Letizia Lo Presti e Francesca
Battaglia, rispettivamente sorella e moglie di Francesco Lo Presti, mafioso
di Bagheria; Anna Maria Di Bartolo, moglie del mafioso Domenico Federico;
Anna Vitale, cognata di Gerlando Alberti, proprietaria di una villa a Trabia
trasformata in una raffineria di eroina e latitante da quando il laboratorio
era stato scoperto.
Queste donne sarebbero, secondo gli inquirenti, "organicamente collegate
alla mafia ed inserite in quella fitta rete di legamenti col tessuto sociale
e con l'apparato della cosa pubblica" rivelata dalle indagini patrimoniali
(Cascio - Puglisi (a cura di), 1986, pp. 32 s.).
Il matrimonio tra Francesca Citarda e Giovanni Bontate viene richiamato nel
rapporto della questura come un evidente patto tra famiglie mafiose. Non vi
e' dubbio che molti matrimoni tra appartenenti a famiglie mafiose sono fatti
per consolidarne il potere, ma anche questo, come dicevamo, non e' uno
specifico della mafia: la storia e' piena di matrimoni di convenienza fatti
per ragioni di potere o per accumulare ricchezze, rare volte con il
consenso, piu' spesso contro la volonta' delle donne. Per il pubblico
ministero che fa la richiesta di soggiorno obbligato per Giovanni Bontate e
per la moglie, il patrimonio dei due sarebbe in larga parte di origine
illecita, costituito con il denaro del traffico di droga e il successivo
riciclaggio (ibidem, p. 35).
Il Tribunale di Palermo, presieduto dal giudice Michele Mezzatesta, accoglie
la richiesta soltanto per Giovanni Bontate e respinge la richiesta di
soggiorno obbligato e la confisca dei beni per Francesca Citarda, con una
sentenza che provoca le proteste da parte delle associazioni femminili, come
l'Associazione delle donne contro la mafia e l'Udi.
Si legge nella sentenza (facciamo notare il confronto fatto con le
terroriste, donne del Nord e quindi "emancipate" al contrario dalle donne
meridionali): "... pur nel mutevole evolversi dei costumi sociali, non
ritiene il Collegio di poter con tutta tranquillita' affermare che la donna
appartenente ad una famiglia di mafiosi abbia assunto ai giorni nostri una
tale emancipazione ed autorevolezza da svincolarsi dal ruolo subalterno e
passivo che in passato aveva sempre svolto nei riguardi del proprio "uomo",
si' da partecipare alla pari o comunque con una propria autonoma
determinazione e scelta alle vicende che coinvolgono il 'clan' familiare
maschile. Troppo lontane per ideologia, mentalita' e costumanza sono le
cosiddette 'donne di mafia' dalle 'terroriste' che purtroppo hanno avuto un
ruolo di attiva partecipazione alle bande armate che tuttora attentano alla
sicurezza dello Stato e all'ordine democratico" (Tribunale di Palermo,
1983).
Con analoghe motivazioni sono state prosciolte le altre imputate. In tal
modo le donne di famiglie mafiose, secondo questi magistrati, non sono
soggetti di diritto penale, sono solo delle eterne minorenni che consumano
la loro esistenza all'ombra degli uomini, unici soggetti capaci di
autodeterminazione nel clan familiare e quindi pienamente responsabili delle
loro azioni.
A nostro avviso l'unico modo per uscire dagli stereotipi correnti e'
analizzare, senza preconcetti, la realta' e prendere atto della sua
multiformita', mentre normalmente accade il contrario: si parte da idee
correnti fuorvianti o inadeguate e si cercano conferme nei fatti, gridando
alla "novita'" e alla "rottura" ogniqualvolta lo stereotipo risulta smentito
dalla realta'. Un esempio recente: la lettera di Ninetta Bagarella,
pubblicata su "La Repubblica" del 23 giugno 1996, che e' parsa a piu' d'uno
la rottura del tabu' del silenzio e, sulla base dell'identificazione tra
mafia e codice dell'omerta', intesa come silenzio impenetrabile, si e'
salutata la presa di posizione della Bagarella come un'infrazione
dell'omerta' e di per se' un atto al di fuori del codice comportamentale
mafioso. Senza tenere conto che la Bagarella gia' piu' di 20 anni fa
rilasciava interviste, faceva dichiarazioni e scriveva memoriali, ovviamente
negando tutto, a cominciare dall'esistenza della mafia (nell'agosto del 1971
dice ai giornalisti che le chiedevano cos'e' la mafia: "la mafia e' un
fenomeno creato dalla stampa per vendere piu' giornali"), protestava
l'innocenza sua e dei suoi parenti, come continua a fare con la lettera
recente, che non e' una presa di distanza ma una vera e propria apologia
della mafia, di se', del marito, di quelle che chiama "le vere istituzioni",
che inequivocabilmente sono quelle mafiose (si veda: Puglisi, 1996).
*
Le donne e il pentitismo
Il comportamento delle donne di fronte ai congiunti pentiti ha dato luogo a
letture del ruolo delle donne che in buona parte ricalcano l'immaginario
consueto. Molte hanno accettato di condividere la vita blindata dei loro
congiunti diventati collaboratori di giustizia, ma tante al contrario hanno
preso le distanze, anche in modo eclatante, pubblicizzandolo attraverso
l'uso dei media. Di fronte ad un tale atteggiamento molti hanno parlato di
paura di ritorsioni ma soprattutto di donne-vittime, incapaci di sottrarsi a
un destino gia' segnato.
Abbiamo ricostruito vari casi e ipotizzato una chiave di lettura complessa:
c'e' la paura ma c'e', o almeno ci puo' essere, una volonta' di persistenza
nel ruolo, di cui si conoscono opportunita' e vantaggi, di fronte a un mondo
che sembra crollare, travolgendo con se' opportunita' e vantaggi. Ed e'
interessante notare come da molte espressioni si possa cogliere la netta
prevalenza della famiglia mafiosa su quella naturale, nonostante tutto
quello che si e' scritto sul familismo meridionale e mediterraneo, quando la
collaborazione con la giustizia spezza o mette in crisi quella coincidenza o
quel collegamento (si veda: Puglisi - Santino, 1995). E in questa apologia
della mafia-famiglia ritroviamo solidali vecchie donne di mafia, come la
cosiddetta "Nonna eroina", di cui abbiamo gia' parlato, e giovanissime, come
le congiunte di Emanuele e Pasquale Di Filippo, i pentiti che hanno permesso
l'arresto di Leoluca Bagarella.
*
Donne collaboratrici di giustizia
Un altro fenomeno molto interessante da analizzare e' quello delle donne
collaboratrici di giustizia.
Soltanto alcune di loro si possono chiamare "pentite", secondo l'accezione
impropria usata per i mafiosi maschi, nel senso che la loro collaborazione
riguarda anche le loro attivita' illecite. La maggior parte delle donne
collaboratrici di giustizia sono vedove, orfane, madri a cui hanno ucciso i
figli, che solo dopo un avvenimento traumatico come la morte violenta di un
loro congiunto, passano dal lutto privato alla testimonianza pubblica. Ma ce
ne sono alcune che hanno trovato il coraggio di rompere con i loro parenti
mafiosi non necessariamente in conseguenza di un lutto o di un provvedimento
giudiziario.
Le donne collaborano con motivazioni diverse (come vedremo, anche per
vendicarsi) che non sempre si possono riportare a un calcolo opportunistico.
Le collaborazioni, qualunque sia l'intento, sono certamente la spia di una
crisi dell'universo mafioso ma anche su questo punto bisogna essere molto
cauti: possono essere un modo per ottenere l'impunita' e un lasciapassare
per la ripresa delle attivita'. Un'ulteriore dimostrazione dell'opportunismo
mafioso, in omaggio al vecchio "calati juncu...".
*
Donne contro
Nella nostra ricerca uno spazio importante ha l'analisi del ruolo delle
donne nel movimento antimafia.
Anche qui bisogna misurarsi con gli stereotipi. Secondo l'immaginario
collettivo, prima tutti i siciliani, o quasi, erano complici o sudditi della
mafia, nella maggior parte dei casi indifferenti, passivi e rassegnati;
mentre da qualche anno, a far data dal delitto Dalla Chiesa (1982) o dalle
stragi del '92 e del '93, tutti i siciliani, o quasi, sono contro la mafia
etc. etc. La realta' e' ben diversa (si veda: Santino, 1995b).
Il grande movimento antimafia e' alle nostre spalle ed ha avuto nel
movimento contadino il suo principale protagonista, dai Fasci siciliani
(1892-94) alle lotte degli anni '40 e '50. In questo movimento le donne
hanno avuto un ruolo di primo piano. In parecchi paesi siciliani all'interno
dei Fasci c'era una presenza massiccia di donne (nel Fascio di Piana dei
Greci, su una popolazione di circa 9.000 abitanti, c'erano 2.500 uomini e
circa 1.000 donne; nel Fascio di Campofiorito c'erano 214 donne, 80 in
quello di San Giuseppe Jato (Ganci, 1977, pp. 362 s.)) e cio' suscito' la
meraviglia di cronisti e analisti contemporanei, e anche nelle successive
ondate di lotte le donne fecero la loro parte: una presenza significativa ma
ignorata, se si toglie qualche caso, come quello della madre di Salvatore
Carnevale, accusatrice degli assassini del figlio, al centro di un libro di
Carlo Levi (Levi, 1955). In quelle fasi la lotta contro la mafia era lo
specifico dello scontro di classe e si legava a un progetto complessivo di
riforma sociale e di conquista del potere, a partire dalle amministrazioni
locali.
L'attuale movimento antimafia, che raggiunge dimensioni di massa in alcune
manifestazioni ma poggia sull'attivita' continuativa di alcune centinaia di
militanti impegnati nell'associazionismo e nel volontariato, nasce
soprattutto dall'emozione suscitata da alcuni delitti e, nonostante qualche
tentativo, non riesce a darsi un progetto, riflettendo la crisi delle grandi
"narrazioni" di fine millennio.
La componente femminile e' presente in questo movimento fin dai primi anni
'80, con la nascita dell'Associazione donne siciliane per la lotta contro la
mafia, promossa da donne che hanno voluto continuare in modo diverso una
militanza iniziata in partiti e movimenti politici e da vedove di magistrati
e di altri funzionari dello Stato uccisi dalla mafia: frutto di una presa di
coscienza e di una rielaborazione pubblica del lutto (si vedano: Siebert,
1994, 1995) che ha come causa scatenante l'escalation della violenza mafiosa
che, all'interno di una gara egemonica suscitata dall'incremento
esponenziale dell'accumulazione illegale, colpisce esponenti delle
istituzioni che si oppongono all'espansione del potere e degli interessi
mafiosi.
Abbiamo avviato un'esplorazione all'interno dell'antimafia al femminile,
raccogliendo alcune storie di vita, a cominciare da quella di Felicia
Bartolotta Impastato, madre di Peppino, pubblicata nel volume La mafia in
casa mia. Le altre storie di vita raccolte sono quelle di Pietra Lo Verso e
Michela Buscemi, donne del popolo palermitano costituitesi parti civili in
processi di mafia, pubblicate nel volume Sole contro la mafia; di Giovanna
Terranova, vedova del magistrato e presidente dell'Associazione delle donne
contro la mafia; di Maria Benigno, una donna, anche lei di estrazione
popolare, che ha avuto il coraggio di accusare dell'assassinio del fratello
e del marito i killer della famiglia Marchese, tra cui Leoluca Bagarella.
Abbiamo riflettuto sul ruolo delle storie di vita nella nostra ricerca (si
veda l'Introduzione a Sole contro la mafia) e cercato di ricostruire non
solo un brano (il trauma dell'uccisione di un congiunto e la reazione ad
esso) ma un'intera vicenda esistenziale e il suo contesto ambientale.
Donne di estrazione borghese e popolare si sono ritrovate all'interno
dell'Associazione donne contro la mafia e piu' in generale del movimento
antimafia, ma non sono mancati problemi, come quello dell'isolamento di
Michela Buscemi e Vita Rugnetta, le uniche donne del popolo palermitano
costituitesi parte civile nel primo maxiprocesso; di Piera Lo Verso, che ha
accusato quello che riteneva fosse il mandante dell'uccisione del marito,
ucciso con altre sette persone: lei e' stata l'unica tra i parenti delle
otto persone uccise a fare la scelta di costituirsi parte civile.
Per tutte la scelta di costituirsi parti civili e' stata causa di isolamento
nella famiglia, nella parentela, nel vicinato. Michela Buscemi, Piera Lo
Verso, Vita Rugnetta hanno visto scomparire i clienti dei loro esercizi
commerciali e sono state costrette a chiuderli andando incontro ad una grave
situazione economica. Ma questo tipo di isolamento possiamo dire che fosse
nel conto, in una Palermo che mentre diserta la macelleria di Piera Lo
Verso, rea di essersi rivolta alla giustizia, ha continuato a servirsi della
macelleria di Domenico Ganci, in pieno centro cittadino e a due passi dalla
casa di Giovanni Falcone, anche dopo il suo arresto e la sua incriminazione
per la partecipazione a tanti delitti, tra i quali la strage di Capaci.
Ma se questo isolamento era prevedibile, quello che non era nel conto era
l'isolamento di gran parte del movimento antimafia, derivante in primo luogo
dallo stereotipo secondo cui la mafia e' solo un'associazione criminale
contro cui lottano giudici e uomini delle forze dell'ordine etichettati come
"servitori dello Stato", una guerra tra guardie e ladri. Ad aiutare queste
donne nel momento di maggiore esposizione sono stati soltanto il Centro
Impastato e l'Associazione donne contro la mafia, e, per quanto riguarda la
seconda, con qualche lacerazione al suo interno. Abbiamo aiutato queste
donne non solo perche' le abbiamo sentite vicine umanamente ma anche perche'
abbiamo una concezione diversa della mafia e dell'antimafia.
*
Riferimenti bibliografici
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- Relazione di A. Puglisi - U. Santino, Universita' degli studi Di Pisa,
Dipartimento di Scienze sociali, Seminario del 10 dicembre 1996. Pubblicata
in: Anna Puglisi, Donne, mafia, antimafia, Centro Impastato, Palermo 1994.
4. RILETTURE. MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI: INTRODUZIONE A
ABELARDO
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Introduzione a Abelardo, Laterza,
Roma-Bari 1974, 1988, pp. 160, lire 15.000. Una puntuale monografia (non e'
qui necessario ricordare quanto drammatica ed affascinante sia di Abelardo
la figura e la vicenda, oltre che il pensiero e la scrittura).
5. RILETTURE. MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI: LE BUGIE DI ISOTTA
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Le bugie di Isotta. Immagini della
mente medievale, Laterza, Roma-Bari 1987, 2002, pp. VIII + 216, euro 6,50.
Una acuta e appassionante ricognizione.
6. RILETTURE. MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI E MASSIMO PARODI:
STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Massimo Parodi, Storia della
filosofia medievale, Laterza, Roma-Bari 1989, 1996, pp. XX + 506, lire
15.000. Un utile manuale che si potrebbe proficuamente leggere in parallelo
con i classici lavori di Gilson e Brehier.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 615 del 18 luglio 2003