[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 594



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 594 del 27 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Luciano Bonfrate: dieci parole da Assisi a Gubbio
2. Ettore Masina: la zattera della Medusa
3. Angelo Gandolfi: sulla proposta di Lidia Menapace
4. Pierluigi Ontanetti: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Anna Polo: sulla proposta di Lidia Menapace
6. Fausto Prandini: sulla proposta di Lidia Menapace
7. Carlo Schenone: sulla proposta di Lidia Menapace
8. Roberto Tecchio: sulla proposta di Lidia Menapace
9. Tiziano Tissino: sulla proposta di Lidia Menapace
10. Mao Valpiana: sulla proposta di Lidia Menapace
11. Maria Grazia Bonollo: l'incontro del primo giugno all'Arena di Verona
12. Societa' di Studi Valdesi: un convegno su Piero Jahier
13. Riletture: Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura
14. Riletture: Quentin Bell, Virginia Woolf
15. Riletture: Rosanna Benzi, Il vizio di vivere
16. Riletture: Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu'
17. Riletture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura
18. Riletture: Simone Petrement, La vita di Simone Weil
19. Riletture: Renate Siebert, Le donne, la mafia
20. Riletture: Christa Wolf, Cassandra
21. Riletture: Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt
22. La "Carta" del Movimento Nonviolento
23. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. LUCIANO BONFRATE: DIECI PAROLE DA ASSISI A GUBBIO
[Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio
promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia
Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In
preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della
nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni,
contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta@sis.it; sito:
www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di
riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni
mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico
Luciano Bonfrate ha voluto contribuire improvvisando questi versi]

1. Forza della verita'
La nonviolenza e' ahimsa e satyagraha:
opposizione sempre alla violenza,
tenersi stretti a cio' che e' vero sempre.
*
2. Coscienza
La nonviolenza e' scelta di coscienza
conoscere insieme, e insieme la scienza
di voler scegliere l'azione buona.
*
3. Amore
La nonviolenza e' forza dell'amore
virtu' che eleva, bene dell'incontro,
e' convivenza, comunione, pace.
*
4. Festa
La nonviolenza e' festa, e' riconoscersi
fraterni sororali, umanita'
tutta abbracciata contro male e morte.
*
5. Sobrieta'
La nonviolenza e' la gioia possibile
nel condividere il mondo che e' di tutti:
non la sprecare questa buona vita.
*
6. Giustizia
La nonviolenza suscita la lotta
contro vilta', ingiustizia ed ignoranza:
e' unita'-amore che tutti degnifica.
*
7. Liberazione
La nonviolenza e' questo lungo andare
che apre strada e lungo questa strada
si riconosce uguale ogni diverso.
*
8. Potere di tutti
La nonviolenza e' l'omnicrazia
il potere di agire di tutti
il potere tra tutti condiviso.
*
9. Bellezza
La nonviolenza e' la bellezza quando
anime e corpi, rotte le catene,
riconoscendosi emergono alla luce.
*
10. Persuasione
La nonviolenza e' la scelta del tu,
la scelta del tu-tutti, il saldo stare
umani tra gli umani. E' cosa buona.

2. EDITORIALE. ETTORE MASINA: LA ZATTERA DELLA MEDUSA
[Questo intervento abbiamo ripreso dalla "Lettera" n. 91 del maggio-giugno
2003 di Ettore Masina. Su Ettore Masina (per contatti: ettore.mas@libero.it)
riportiamo la seguente scheda biobibliografica scritta da lui stesso su
nostra richiesta e gia' pubblicata sul n. 418 di questo foglio: "Nato a
Breno (Bs) il 4 settembre 1928, ho molto viaggiato al seguito di mio padre
ufficiale. Dal 1934 al 1937 abbiamo abitato in Cirenaica e i ricordi di quel
soggiorno (a Bengasi e a Derna) sono in me ancora vivissimi. Vi rintraccio
con evidenza i segni del colonialismo italiano. Siamo poi finiti a Varese
per diversi anni. In quella citta' sono stato presidente della Fuci e ho
pubbllicato i miei primi articoli e racconti sul quotidiano locale "La
Prealpina". Mi sono allontanato da Varese  per Milano perche' vi sono
diventato libraio e poi giornalista: prima al quotidiano cattolico
"L'Italia", poi al  "Popolo di Milano" e infine a "Il Giorno" di Baldacci e
poi di Pietra. Vi ho fatto prima il vicecapocronista, poi l'inviato. Quando
papa Giovanni annunzio' che avrebbe indetto un Concilio, Italo Pietra,
benche' agnostico, ebbe chiara l'idea che sarebbe stato un evento
rivoluzionario e comincio' a mandarmi periodicamente a Roma, per raccogliere
informazioni e scrivere articoli comprensibili ai lettori. Nel 1963 mi
trasferi' stabilmente a Roma, dove da allora vivo con la mia famiglia. Con
mia moglie Clotilde (preziosa compagna di ideali e di speranze: la grazia
piu' grande che il Signore mi abbia donato) vivemmo il Concilio quasi "dal
di dentro". Nella nostra casa si radunavano ogni sera vescovi, teologi,
giornalisti, da Helder Camara a padre Rahner, da padre Chenu a Raniero La
Valle, da don Carlo Colombo a Giancarlo Zizola. Fu il periodo piu' felice
della nostra vita, ci diede una tale vitalita' che desiderammo intensamente
di avere un nuovo figlio: cosi' Pietro Paolo si aggiunse a Emilio e Lucia.
Seguii i viaggi di Paolo VI in Palestina, in India, all'Onu, a Fatima. Ebbi
grande stima di questo pontefice pur vedendone alcuni limiti, anche gravi.
"Le Monde" scrisse una volta che io ero "le journaliste le plus proche a la
pensee si non a la personne de Paul VI". Durante il viaggio in Palestina fui
radicalmente scosso dalla visione della poverta' di grandi masse. Al mio
ritorno decisi con mia moglie di dare vita a un'associazione che si
proponesse, mediante un'autotassazione mensile degli aderenti, di aiutare
comunita' di poveri in cerca di liberazione. Nacque cosi' quella che poi si
chiamo' Rete Radie' Resch (dal nome di una bambina palestinese morta di
pomonite in una grotta). La rete si e' espansa al di la' di ogni previsione.
Per trent'anni l'ho coordinata io, finalmente nel 1994 sono riuscito a far
si' che essa assumesse una piena conduzione collettiva. E io me ne sono
andato verso altre avventure. A spingermi a fondare la rete e' stato
l'incontro fra la mia inquietudine (il non poter piu' vivere come se non
avessi visto certe cose) e l'evangelizzazione di Paul Gauthier. Paul rimane
il mio grande maestro spirituale, colui che, anche precorrendo la teologia
delle liberazione, mi ha aperto gli occhi sull'importanza del magistero dei
poveri. Ha dato dunque completezza e profondita' alla mia sequela di tanti
altri uomini e donne "di Dio" che avevo frequentato sino a quel momento o
dei quali avevo letto con amore gli scritti. Qualche nome? Simone Weil e
Suhard, Tolstoj e Dostoevskij, Dossetti, La Pira e Lazzati, Steinbeck,
Mounier, Merton, Voillaume eccetera eccetera. Nel 1969 l'insistenza di
alcuni dirigenti della Rai e il desiderio di sperimentare il "nuovo"
giornalismo mi fecero accettare di entrare in via Teulada. Dopo un breve
periodo di grande felicita' (sotto la direzione di Fabiani) cominciarono ben
presto i miei problemi. Nel 1974 per essere stato uno degli estensori del
manifesto "Ai cattolici democratici" perche' votassero no al referendum
abrogativo del divorzio, fui sospeso dal video per sette mesi. Appena ebbe
vita il TG2, vi passai e godetti nuovamente di liberta', ma l'estromissione
di Andrea Barbato, contro la quale mi ero battuto, mi fece cadere in
disgrazia presso il nuovo direttore, Sergio Zatterin, il quale mi privo' di
ogni ruolo. Ridotto, come si dice, ai minimi termini, nel 1983 finii per
accettare il reiterato invito del Pci di candidarmi come indipendente nelle
sue liste. Fui eletto nel collegio Brescia-Bergamo e in quello
Varese-Como-Sondrio. Optai per il primo e vi fui rieletto nel 1987. Durante
i dieci anni del mio mandato ho rappresentato il gruppo della Sinistra
Indipendente nella Commissione Esteri. Nella mia prima legislatura sono
stato vicepresidente del Comitato per la cooperazione internazionale; nella
seconda, su designazione unanime dei gruppi, presidente del Comitato
Internazionale per i diritti umani. Ho guidato delegazioni di parlamentari
in Tanzania, Zimbabwe, e nei campi profughi palestinesi. Sono stato
"osservatore estero" in Cile, in occasione delle elezioni del 1989. Ho
rappresentato la Camera dei deputati italiani alla cerimonia
dell'investitura della Commissione per la pace nel Salvador. Ho partecipato
a missioni, anche altamente drammatiche, in Somalia, Sudan e Sud-Sudan,
Cina, Croazia, Slovenia e Serbia. Sono  stato presidente dell'Associazione
Italia-Vietnam. Molte di queste cose sono state raccontate in due miei libri
autobiografici. Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e
guerriglieri (Gamberetti, 1997) e Il prevalente passato. Un'autobiografia in
cammino (Rubbettino, 2000). I miei altri libri: Il Vangelo secondo gli
anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia
(Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato),
El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno
d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud: Cile, Vietnam,
Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor
Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo
Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995),
Comprare un santo (Camunia, 1994); Il Volo del passero (San Paolo, tradotto
in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo,
2002)"]
1. Le cronache ne parlarono a lungo. Intere famiglie andavano a vedere quel
quadro maledetto, esposto in un "salon" parigino. Gli uomini impallidivano,
i bambini  facevano domande moleste o scoppiavano in singhiozzi, e molte
signore svenivano. Le onde di un mare in tempesta e il gruppo di uomini
laceri o del tutto nudi che si affollavano su una zattera squassata dal
vento sembravano uscire dalla tela o, al contrario, trascinare nella loro
tragedia gli spettatori.
Era il 1816 e "La zattera della Medusa", di Theodore Gericault, raccontava
con straordinaria intensita' la terribile avventura di un gruppo di
naufraghi, che, affondato da una tempesta il veliero francese sul quale
viaggiavano, s'erano accalcati su un relitto ed erano rimasti senza soccorsi
per un'eternita' di settimane. Morti la piu' parte, soltanto una quindicina
di uomini erano stati tratti in salvo da una nave di passaggio. I corpi
bruciati dal sole e dalla salsedine, i capelli arruffati, le lunghe barbe,
le piaghe non svelavano tutte le sofferenze sopportate. Al momento del
salvataggio, invece di esprimere gioia, erano sembrati curvi sotto il peso
di qualche infamia. Piu' tardi s'era saputo che su quella povera
imbarcazione era avvenuto "di tutto", anche episodi di cannibalismo.
Meno emotivi di quei francesi di duecento anni fa, noi uomini non
impallidiamo e le nostre donne non svengono (forse qualche bambino piange e
certamente molti porgono domande moleste) mentre, durante i nostri pasti, i
telegiornali ci mostrano le immagini dei clandestini che muoiono, ormai piu'
di mille, in un mare su cui navigano placidamente le nostre "ammiraglie" da
crociera, in vista delle nostre coste gremite di sereni bagnanti.
Forse per commuoverci ci manca il particolare del cannibalismo.
*
2. Temo di non sbagliarmi se dico che il senso di minaccia prevale nella
maggior parte degli italiani sul sentimento della compassione (una volta si
sarebbe detto: sullo spirito di fraternita' umana) e sulla necessita'
razionale di affrontare i problemi della nostra era. Bombardati da notizie
che insufflano nell'opinione pubblica la convinzione di essere invasi, e da
commenti che mai esaminano seriamente la complessa realta' delle migrazioni,
e' la nostra tranquilla agiatezza che sentiamo aggredita. "Far posto",
"dare" andava bene, secondo noi, per gli africani e gli asiatici che hanno
dovuto accettare il colonialismo (ma la reciprocita' non vale); "far posto",
"dare" va bene, secondo i piu', per gli arabi che hanno dovuto cedere terre,
campi e case agli ebrei in nome di uno sterminio che non loro ma noi europei
abbiamo provocato; "far posto", "dare" va bene per gli iracheni e per gli
afgani che in nome della democrazia petroliera  sono passati da orrende
dittature a un' occupazione militare che moltiplica le uccisioni di nativi.
Noi, no: noi siamo esenti da ogni dovere di condivisione. Non lavoriamo
forse duramente? Non paghiamo le tasse? Si guardi com'e' nobile e pronta la
nostra generosita' ai margini delle partite di calcio "del cuore". Persino
molti di quelli che giudicano ignobile l'imperialismo americano e i delitti
della Casa Bianca contro l'umanita' (le guerre preventive, lo stupro del
diritto internazionale, la retrocessione  infame dai patti per la
salvaguardia del creato) persino molti di questi, se ne accorgano o no, ne
condividono la feroce ideologia: guai a chi tocca non solo l'american ma la
our way of life, il nostro stile, il nostro livello di vita.
*
3. Per conservarlo siamo disposti a tutto. C'e' un dato che riguarda
ciascuno di noi come cittadino della repubblica italiana ed elettore o
non-avversario attivo del suo governo. Su centodiecimila domande di asilo
presentate da persone che si definivano profughi politici, l'anno scorso ne
sono state accettate diecimila. Chi non sa cosa sia un profugo politico
fatica a rendersi conto dell'atrocita' del dato. Un profugo del genere
arriva fra noi dopo terribili traversie, senza documenti, senza sapere la
nostra lingua, talvolta, dall'atrocita' delle esperienze subite, ridotto
all'impossibilita' di parlare. Cio' che l'Italia "istituzionale" gli offre
e' un interrogatorio frettoloso, spesso senza interpreti adeguati, da cui e'
esente ogni reale interesse per la sua storia, il suo stato di choc, i segni
delle terribili sevizie subite etc. Su ogni altro particolare prevale quello
di una possibile pericolosita'. Bisogna leggere le relazioni dei medici di
Amnesty International per rendersi conto della croce su cui questi miseri
fra i miseri rimangono, per responsabilita' italiana, inchiodati. Avere
respinto centomila domande su centodiecimila significa, con ogni certezza,
avere eliminato migliaia di bugiardi e qualche possibile terrorista ma anche
avere riconsegnato decine di migliaia di persone ai loro torturatori - o
peggio.
*
4. All'inizio i clandestini venivano dalle sponde del Mediterraneo,
dall'Africa del Nord, dall'Albania, dall'Egitto, dalla Turchia. Poi
comparvero quelli delle guerre cosiddette locali: kurdi, palestinesi,
iracheni. Adesso cominciano ad arrivare dal cuore dell'Africa Nera. Per
arrivare sulle coste del mare "nostro" affrontano odissee che fanno
impallidire le storie omeriche. Sono incalzati dalla loro fame, dalla fame e
dalla sete dei loro figli, dalla ferocia  dei signori tribali della guerra,
foraggiati dai mercanti d'armi (ormai, per quel che riguarda l'Italia, senza
piu' controlli). Sono i figli della disperazione e si aggrappano a
quell'esile divinita' che e' la speranza di chi non vuole morire giovane.
Noi li consideriamo non solo persone da ricacciare, ma dei furbi,
clandestini per vocazione delinquenziale. Come mostrano i risultati di un
recente referendum, non ci interessa preservare i nostri bambini dallo
"smog" dell'alta tensione, i pericoli per loro e per noi sono altri, sono le
possibili modifiche al panorama umano che ci sta intorno. Noi onoriamo,
giustamente, chi cerca la liberta', ma ci piacciono quelli che si possono
permettere il lusso di desiderare le liberta' con la L maiuscola. Quelli che
invocano la liberta' di non morire a trent'anni, li consideriamo gente da
cui guardarci. E comunque sono troppi.
*
5. Davvero? Persino quel sensibile terzomondista che e' il nostro Sorridente
del Consiglio e' costretto ad ammetterlo: abbiamo ancora grande bisogno di
terzomondiali per le nostre industrie. le nostre campagne, la  cura dei
nostri vecchi abbandonati dallo Stato. Ma lui si e' portato dietro, al
governo, pur di salvarsi dalla galera, il peggior gruppo di razzisti e di
pirla senza cultura che abbia mai infestato l'Italia dal 1945 in poi. Quindi
non puo' insistere, deve barcamerarsi. Gia': in barca anche lui.
*
6. Tuttavia, e' un fatto: grazie a provvidi fecondatori come il Fmi, il Wto,
la Banca Mondiale e altre sigle ed enti diabolici della nostra epoca,
l'Africa, il ventre nero dell'Africa, partorisce, ogni anno, milioni di
disperati. Cosi' il ventre dell'America di lingua spagnola e quello
dell'Asia di venti lingue diverse. Il problema e' planetario, il terrorismo
dei disperati e' una specie di preavviso di cio' che puo' avvenire e quasi
certamente avverra', in un crescendo che forse risparmiera' quelli che sono
adulti in questi anni ma che certamente si rovescera' come una mostruosa
ondata di violenza sui bambini che diciamo di amare.
Un problema planetario puo' essere risolto solamente da uno sforzo
planetario. Quasi azzerate dal disprezzo imperiale degli Stati Uniti le
agenzie dell'Onu, ridotte, dall'incuria degli altri stati, a una congerie di
burocrati superpagati e, salvo eroici esempi, fannulloni sull'orlo degli
abissi di miseria, bisogna ricreare nuovi legami fra nazioni per una
strategia d'insieme.  Si comincia a capirlo ma, per il momento, siamo ancora
all'ottusita' dei no, cioe' dei divieti, dei respingimenti, dei muri; I muri
dell'odio servono a poco, la disperazione e' capace di aggirarli, di
scavalcarli, di perforarli. Che cosa non e' capace di fare la disperazione?
Penso non soltanto al muro di Berlino e a quello eretto da Israele, con
ulteriore rapina di campi e di acque ai palestinesi e ridicolizzato dai
kamikaze, ma anche a quello fra Texas e Messico, che non riesce a essere
impermeabile come gli americani vorrebbero, neppure adesso che alcuni
galantuomini yankees hanno formato squadre armate e munite di cani da
inseguimento "per aiutare i rangers"; e pare che l'aiuto abbia
frequentemente anche un risvolto, come dire?, cimiteriale. Perche' l'odio
che dice "no", che dice "e' mio", che dice all'altro "non hai il diritto di
vivere", e' regressivo, dicono gli psicologi, cioe' fa tornare l'adulto
all'infanzia, che puo' essere crudelissima.
*
7. Si', stiamo davvero tornando indietro se e' vero - ed e' vero,
purtroppo - che qualcuno, in Gran Bretagna ma non solo, pensa che non
soltanto dovremmo respingere i migranti ma neppure trattenerli, per le
necessarie pratiche del respingimento, in territorio europeo: grandi campi
di raccolta (che vuol dire concentramento; o no?) dovrebbero essere
istituiti in qualche paese extracomunitario (suppongo sulla sponda
nordafricana del Mediterraneo) e affidati ai governi locali, notissimi per
il rispetto dei diritti umani dei loro sudditi; Algeria, Marocco o Tunisia
diverrebbero carcerieri in grande stile per mandato (e stipendio)
dell'Europa.
Del resto, i lager non sono stati inventati da Hitler e sono nati proprio in
Africa. Sono gli inglesi a usarli come strumento di management degli
sconfitti boeri e gli italiani che se ne servirono per eliminare con la fame
decine di migliaia di cirenaici che non volevano arrendersi al colonialismo
romano.
*
8. Politica dei respingimenti manu militari, politica dei muri, politica dei
lager, per quanto spietatamente possa essere attuata questa strategia, non
v'e' chi in cuor suo, se ha un minimo di cultura, non comprenda che si
tratta di dighe effimere perche' la pressione dei popoli della fame, prima o
poi, diventera' incontenibile. Non basta respingere i vascelli corsari e
neppure impiccare i trafficanti d'uomini, che sono un semplice ancorche'
orrendo dettaglio del problema: bisogna dare possibilita' di vita ai
continenti della disperazione. I G8 non sembrano capirlo. Quando Lula prova
a dirglielo, lo massacrano di pacche affettuose sulle spalle, con lo stesso
slancio con cui i genitori carezzano il bambino che ha  scritto una
letterina cosi' bella a Babbo Natale. I piani dei G8 non contemplano le
utopie: e gli sembra utopico tutto cio' che si spinge al di la' degli
appuntamenti elettorali e magari dei listini di borsa. I G8, a cominciare
dal nostro ineffabile Sorridente del Consiglio, sono dei furbi a corto
raggio, degli idioti a medio termine, dei criminali sui tempi lunghi.
Passeranno alla storia come Maria Antonietta, ghigliottina e portamento
regale esclusi.
Tuttavia il problema non e' soltanto loro. Essi possono manipolare le
democrazie cone vogliono (non dimentichiamo mai che l'imperatore Bush II e'
salito al potere con il consenso espresso di un quarto degli americani) ma
l'opinione pubblica conserva pure un suo peso.
Tocca anche a noi decidere cosa vogliamo e dirlo nel piu' efficace dei modi,
collegandoci a uomini e donne che la pensano come noi, quindi facendo
politica in uno dei tanti e tanti modi in cui e' ancora possibile farne.
*
9. L'esistenza del sistema in cui viviamo e' legata a una continua
espansione dei consumi. L'appello incessante  a spendere, che Berlusconi ci
rovescia addosso dagli schermi della sua televisione monopolista, non e'
soltanto una richiesta che fa leva sul nostro edonismo e sulla nefasta e
nefanda idea che "avere" significa essere (e dunque "trattenere", "negare
agli altri" significa difendere la propria identita'); e' anche una regola
dell'economia neoliberista. Tuttavia il risultato delle spese come sostegno
dell'economia non e' necessariamente quello della spesa individuale e
individualistica. Grandi programmi di spesa "collettiva" possono dare gli
stessi frutti. Se ne sono accorti i fabbricanti d'armi e dell'indotto, i
quali, difatti, continuamente generano quei grandi programmi di spesa che
sono le guerre.
E' possibile dare vita a un'economia di pace, nella quale anche i problemi
dei continenti della fame abbiano parte? Perche' no? L'umanita' ha gia'
dimostrato piu' volte, quando davvero lo ha voluto, la possibilita' di dare
vita a un'ingegneria planetaria capace di trasformare grandi aree. Penso
allo sforzo comune nella lotta contro Hitler, al piano Marshall. Un grande
impegno di capitali potrebbe insieme garantire finalmente, per esempio,
acqua potabile a quel miliardo e piu' di esseri umani che ne manca e insieme
sostenere l'economia mondiale.
Ma bisogna che qualcuno lo voglia. E che per questo sia anche capace di
rischiare. Come ha scritto il cardinale Martini: "Non basta invocare la
pace: bisogna essere disposti a sacrificare anche qualcosa di proprio per
questo grande bene e non solo a livello personale ma anche a livello di
gruppo, di popolo, di nazione".
*
10. Siamo troppo pochi a crederci? Io penso che non sia piu' cosi'. Penso
che un poco alla volta stiamo diventando parte di un popolo sempre piu'
numeroso: Ma bisogna essere coraggiosi e capaci di stringere legami,
moltiplicare  legami, cercare e cercare ancora, testardamente. La storia ci
moltiplichera'.
*
11. Poiche' io sono cattolico e vivo in un paese in cui (vedi l'inchiesta
pubblicata da "La Repubblica" di oggi, domenica, 22 giugno) l'86% dei
cittadini si dichiara cattolico e pero' il razzismo, quello inconsapevole ma
anche quello consapevole e dichiarato , e' particolarmente presente  nelle
zone "bianche", mi domando se la catechesi in ordine alla fraternita' abbia
uno sviluppo che si puo' dire consolante. Sono passati quarant'anni da
quando il Concilio inseri' nel piu' importante dei suoi documenti, la
costituzione dogmatica Lumen Gentium, queste parole: "La Chiesa riconosce
nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo Fondatore"; e richiamo' una
terribile lezione dei Padri della Chiesa: "Nutri colui che e' moribondo per
fame perche' se tu non lo nutri, sei tu che lo uccidi". Come sarebbe bello
che su questo tema i vescovi della Lombardia e del Triveneto, tutti insieme,
chiamassero i loro fedeli a meditare, a confrontarsi con il vangelo.

3. PROPOSTE. ANGELO GANDOLFI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan@libero.it) per questo
intervento. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti
bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di
conflitto]
Con tutto il rispetto e l'affetto per Lidia e gli altri amici e compagni:
che problemi ci crea tenere la bandiera appesa alla finestra?
Noi a Genova, noti (ingiustamente) per essere piuttosto attenti agli sprechi
(diciamo cosi'), ci stiamo ponendo il problema e pensiamo di chiedere ai
compagni, amici, fratelli ecc. ecc., di rinnovare le bandiere quando saranno
stinte.
Se posso dire la mia, aggiungerei che abbiamo perso un'occasione: per
l'estate si poteva pensare di portare la bandiera della pace sotto forma di
asciugamani e accappatoi al mare; non so se siamo ancora in tempo.
Comunque, per quanto mi riguarda, terro' la bandiera alla finestra almeno
finche' non si sara' fatta marcia indietro su "Enduring freedom", e colgo
l'occasione per ricordare che, dal punto di vista giuridico, le guerre
terminano soltanto con un trattato di pace.
Per esempio, la guerra in Kossovo e Serbia, essendo stato firmato un accordo
fra due generali a Kumanovo, per cui neppure fra personalita' di status
diplomatico, non e' ancora giuridicamente conclusa. Il che significa, ad
esempio, che l'omicidio di Zoran Djindjic,e' da considerarsi in tempo di
guerra, e comunque altre eventuali morti, rapimenti (soprattutto) e altre
cose di questo genere sono da considerarsi in un'ottica diversa, anche da un
punto di vista penale.
Non dovrebbe essere un nostro impegno pure chiedere o stimolare la
stipulazione di questi trattati di pace?
A tutti un augurio di pace, forza e gioia.

4. PROPOSTE. PIERLUIGI ONTANETTI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Pierluigi Ontanetti (per contatti: p.u@libero.it) per questo
intervento. Pierluigi Ontanetti e' responsabile nazionale dell'Agesci sui
temi "pace, nonviolenza, solidarieta'"]
La proposta di Lidia non mi e' nuova e l'appoggio in pieno, speriamo che
almeno lei venga ascoltata.
Diverso e' tenere il simbolo sulla macchina, alla borsa o al polso...
Rilancio la proposta di cucire sulla bandiera il simbolo della nonviolenza o
chi non se la sente quello della giustizia (le bilance).
Non credo sia necessario spendere parole in piu' per spiegare i motivi.

5. PROPOSTE. ANNA POLO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Anna Polo (per contatti: anna.polo@tin.it) per questo
intervento. Anna Polo, militante del Partito umanista, e' impegnata in
iniziative nonviolente per i diritti umani e di solidarieta' concreta]
Riguardo alla proposta di Lidia Menapace, non credo che le bandiere della
pace vadano tolte.
A Milano, dove vivo, se ne vedono ancora molte. Questo mi sembra un segno
che, anche se la guerra in Iraq e' finita (almeno sulle pagine dei
giornali), tanta gente sente che non e' affatto finita la necessita' di
protestare contro le guerre e la violenza.
Inoltre in giro per il mondo non mancano certo le guerre, e le forme di
violenza e intolleranza si moltiplicano.
Casomai il punto mi sembra dare alla gente che si e' mobilitata in febbraio,
marzo e aprile, quando il tema Iraq era caldo, altre occasioni di
partecipazione e organizzazione, e far crescere una cultura della
nonviolenza.
Noi umanisti stiamo organizzando corsi  di formazione alla nonviolenza per
volontari e la risposta e' incredibilmente incoraggiante.

6. PROPOSTE. FAUSTO PRANDINI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Fausto Prandini (per contatti: prandini.f@provincia.modena.it)
per questo intervento. Fausto Prandini, volontario del Cefa in Africa, e'
esperto di problematiche ambientali]
Per quanto riguarda la discussione in merito alle bandiere della pace io
suggerisco di esporle ogni anno il primo gennaio, che oltre ad essere la
giornata della pace per noi cattolici, e' anche un buon augurio per il nuovo
anno.

7. PROPOSTE. CARLO SCHENONE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: schenone@libero.it) per questo
intervento. Carlo Schenone e' una delle figure piu' note dell'impegno
nonviolento in Italia]
Penso che la "rimozione" delle bandiere della pace non possa essere fatta
alla chetichella.
Deve essere preparata insieme ed attuata insieme.
Le bandiere sono ancora appese perche' le guerre non sono finite e non per
semplice pigrizia. Allora puo' aver senso quando qualcosa sara' fatto per
far finire queste guerre.
Cio' vuol dire che deve essere stabilito un evento che ci "convince" a
ritirare le bandiere della pace. Possiamo per esempio dire che ritireremo le
bandiere della pace quando il governo si decidera' a cominciare ad attuare
cio' che e' previsto nella legge 280 di riforma dell'obiezione di coscienza,
cioe' la Difesa Civile Nonarmata e Nonviolenta. E in tale ottica condivido
l'ipotesi di esporre la bandiera il 2 giugno di ogni anno per supportare
tale scelta una volta che qualcosa e' stato fatto.
In questa maniera non solo si porta il discorso politico sul tipo di difesa
del paese, ma si da' anche l'occasione a chi ha esposto la bandiera quasi
per moda per diventare partecipe dell'evoluzione di tale scelta.
Si puo' decidere di ritirare la bandiera, per esempio, quando verra'
istituito il Centro di Studi previsto, oppure quando verra' emesso il primo
regolamento di attuazione della Difesa Civile Nonarmata e Nonviolenta o
altro ancora.
Si puÚ decidere piu' o meno insieme quale evento legare al ritiro delle
bandiere e su questo predisporre una campagna.
Ritirare le bandiere solo perche' si stanno scolorendo o perche' serve il
filo per fare il bucato mi sembra un po' limitato. Le bandiere sono state
esposte per un motivo preciso e possono essere ritirate per un motivo
altrettanto preciso, tutte insieme, magari alla fine di una giornata di
festa per il traguardo raggiunto, altrimenti il tutto assomiglia quasi ad
una sconfitta.

8. PROPOSTE. ROBERTO TECCHIO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Roberto Tecchio (per contatti: trestele@tiscalinet.it) per
questo intervento. Roberto Tecchio e' uno dei piu' prestigiosi formatori
alla nonviolenza]
Sono pienamente d'accordo sulla necessita' (inevitabilita') di gestire
questa iniziativa. Il problema e' come; voglio dire chi e come decide cosa
fare.
Fermo restando che oguno e' libero di fare quel che vuole, trovo molto utile
che vi sia (o si formi) un luogo "conosciuto e riconosciuto" di
autocoordinamento dell'iniziativa delle Bandiere. Penso a un luogo di
discussione dove possano convergere gli orientamenti di chi partecipa
all'azione allo scopo di facilitare l'emersione/costruzione di soluzioni
consensuali. E mi domando se proprio questa non sia l'occasione buona per
continuare a sperimentare forme di democrazia telematica (per esempio sapevo
di un esperimento nato nella rete di Lilliput, chiamato "democrazia a
bolle", che non so che fine abbia fatto, ma ve ne possono essere altri...).
Infatti potrebbe esserci un coro di si' unanime ed entusiasta alla proposta
di Lidia; ma potrebbero emergere anche altre proposte, magari solo
lievemente migliorative, o sostanzialente diverse... allora, chi decidera' e
come?
Non vorrei farla troppo complicata, ma questa mi pare un'ottima opportunita'
per la "rete informale" che si e' creata sull'iniziativa delle Bandiere,
rete che rappresenta benissimo una tessera, un microcosmo, del "movimento
dei movimenti", e in tal senso io lo vedo come un prezioso laboratorio.
Personalmente avrei qualcosina da dire sul contenuto della proposta di
Lidia, tuttavia non avrei alcuna difficolta' ad accettarla (e di conseguenza
a impegnarmi, questo e' cio' che chiamo consenso consapevole), se questo
fosse l'orientamento generale che emerge dal sondaggio lanciato. Ma il punto
per me, appassionato di processi decisionali partecipativi e orientati al
consenso (leggi "gestione del potere"), e' un altro: cercare di rendere
esplicito, trasparente, il processo decisionale che si sta usando, qualunque
esso sia. Infatti, qualunque sia alla fine la proposta scelta, sara' il
frutto di un processo decisionale, e dei due risultati (da una parte la
proposta che verra' scelta, dall'altra il metodo decisionale che piu' o meno
consapevolmente verra' usato), ai fini della pace, il secondo credo sia
sempre molto piu' importante del primo.

9. PROPOSTE. TIZIANO TISSINO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino@itaca.coopsoc.it) per
questo intervento. Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i costruttori di
pace, nella Rete di Lilliput, ed in numerose altre esperienze ed iniziative
nonviolente]
La campagna "Pace da tutti i balconi" ha avuto un successo incredibile,
fornendo materiale di studio a chissa' quanti sociologi. Da quando la
campagna si e' - di fatto - conclusa, in molti si sono interrogati su "cosa
fare delle bandiere adesso", con un continuum di proposte da chi invitava a
lasciarle esposte ad libitum, a chi riteneva piu' conveniente ritirarle
seduta stante.
Io, personalmente, ho partecipato poco e malvolentieri a questo gioco, anche
se la mia bandiera continua a sventolare sul pianerottolo di casa.
Credo infatti che la decisione sulla sorte di ogni singola bandiera spetti
unicamente a chi a suo tempo ha deciso di esporla, e che - seppur ciascuno
ha tutto il diritto di spiegare agli altri perche' ritiene sia o meno il
caso di ammainare quel vessillo - sia fatica vana cercare ora di raggiungere
una posizione unitaria in grado di dare a tutti gli espositori
un'indicazione univoca.
Quello delle bandiere, ci siamo detti tante volte, e' un popolo. Un popolo,
non un esercito. Un popolo, fatto di persone ciascuna con le sue preferenze,
la sua storia, i suoi sogni, che - seguendo percorsi ogni volta diversi - si
e' riconosciuto in un simbolo unitario e lo ha fatto proprio. Non un
esercito di soldatini in divisa, usi ad obbedir tacendo, che alza ed ammaina
bandiere a comando.

10. PROPOSTE. MAO VALPIANA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta@sis.it) per
questo intervento. Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta" e
una delle figure piu' rilevanti della nonviolenza in Italia]
La campagna e' iniziata spontaneamente. Si e' sviluppata in modo
imprevedibile. Dunque, terminera' in modo imprevisto.
Intendo dire che qualsiasi proposta si faccia ora (chi dice di toglierle
dopo la Perugia-Assisi, chi di lasciarle sempre, chi di esporle ad ogni
stagione) non si raggiungeranno mai tutti coloro che al di la' di ogni
direttiva, con motivazioni assolutamente personali e fuori da ogni
organizzazione, hanno deciso di esporre la bandiera nei mesi scorsi.
La stoffa iridata ha rappresentato una reazione spontanea ma collettiva di
rifiuto della guerra in Iraq. Qualsiasi nuova indicazione raggiungera' solo
quel numero limitato di persone che fanno parte del movimento per la pace.
Ma la bandiera esposta ai balconi, e' andata molto al di la' del movimento
organizzato.
Dunque, penso sia giusto che ognuno decida come meglio ritiene.
C'e' chi l'ha gia' tolta; chi la lascera' ancora per molto, chi spera che
non si rovini troppo e chi ancora deve decidere.
D'altra parte ogni campagna deve avere un inizio e una fine. Non si possono
trascinare le cose all'infinito.
Motivi per tenere esposta la bandiera ce ne sarebbero anche troppi
(Israele/Palestina, Cecenia, Iraq, Congo, ecc.), ma su qualcosa dobbiamo pur
concentrarci.
Io penso che ora da parte nostra come amici della nonviolenza sarebbe
importante dare un segnale di voler fare un passo in avanti, di maggior
consapevolezza, ed esporre quindi ai nostri balconi la bandiera della
nonviolenza.
Potremmo iniziare proprio il 7 settembre, al ritorno a casa dalla camminata
Assisi-Gubbio (dove avremo a disposizione la nuova bandiera iridata, con la
scritta "nonviolenza" e il simbolo del fucile spezzato). Un modo per
proseguire idealmente il cammino comune che avremo intrapreso.

11. INCONTRI. MARIA GRAZIA BONOLLO: L'INCONTRO DEL PRIMO GIUGNO ALL'ARENA DI
VERONA
[Riportiamo di seguito il comunicato di Maria Grazia Bonollo dell'ufficio
stampa della campagna delle Bandiere di pace (per contatti:
stampa@bandieredipace.org) diffuso il primo giugno, che riferisce
dell'incontro tenutosi quello stesso giorno a Verona]
La guerra in Iraq e' finita, ma l'impegno di chi ha esposto la bandiera
della pace non finisce, anzi, e' solo all'inizio. E' con questo impegno che
si e' chiusa la Giornata della bandiera arcobaleno all'Arena di Verona,
organizzata il primo giugno 2003 dalla campagna "Pace da tutti i balconi".
E' stato un pomeriggio torrido a fare da cornice alla Giornata della
bandiera arcobaleno "Per la pace mi espongo anch'io", che si e' svolta nella
citta' scaligera, presenti fra il pubblico anche il segretario nazionale
Cisl Savino Pezzotta e quello confederale della Cgil Paolo Nerozzi. Un
pomeriggio che ha rilanciato l'impegno del movimento per la pace che si e'
concretizzato in questi mesi nei tre milioni di bandiere della pace esposte
ai balconi di tutta la penisola.
Le guerre dimenticate, la privatizzazione dei servizi essenziali come
l'acqua, la sanita', l'istruzione, la corsa al riarmo sono i nuovi obiettivi
del "popolo della bandiera arcobaleno".
Prime tappe di questo cammino saranno l'obiezione di coscienza alle spese
militari nella prossima dichiarazione dei redditi, la mobilitazione in vista
del vertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio a settembre a Cancun
e la prossima marcia per la pace Perugia-Assisi ad ottobre.
I partecipanti hanno ascoltato le testimonianze di chi in questi mesi ha
gridato dal proprio comune, dal luogo di lavoro, dalle scuole il proprio no
alla guerra in Iraq.
"Questa iniziativa - ha esordito il sindaco di Verona Paolo Zanotto - non ha
connotazioni politiche, quello delle bandiere ai balconi e' stato un
movimento spontaneo che e' destinato a continuare".
Don Albino Bizzotto di "Beati i costruttori di pace" ha ricordato che le
bandiere della pace da anni vengono portate come simbolo di un impegno in
tanti paesi del mondo: Bosnia, Kosovo, Iraq, Palestina, Congo, Stati Uniti.
Citando la festa della Repubblica e la parata militare che si terra' domani
a Roma, Bizzotto ha affermato: "Crediamo che la bandiera della pace debba
supportare la bandiera italiana e quella europea, che debba convivere con
esse e che le arricchisca di significato".
Sette i temi trainanti dell'incontro, sui quali i partecipanti saranno
invitati concretamente a impegnarsi una volta tornati alle proprie case:
diritti per tutti, ambiente, educazione alla pace, nonviolenza e disarmo,
stili di vita e consumo critico, informazione e azione politica.
Significative le esperienze dell'Ospedale di Pace di Reggio Emilia, dei
vigili del fuoco che in tutta Italia cercano di contrastare la
militarizzazione del loro corpo, dei bambini, delle insegnanti e dei
genitori della scuola elementare di Ricco' (Parma) che hanno sostituito la
bandiera della pace con l'articolo 11 della Costituzione quando sono stati
intimati a toglierla dalle forze dell'ordine, dei sindaci di Gradara e
Gabicce Mare, segnalati all'autorita' giudiziaria per abuso d'ufficio per
aver esposto la bandiera della pace dalle finestre del municipio, di una
famiglia che cerca di applicare nella sua quitidianita' la sobrieta' dei
consumi.
Vittorio Agnoletto in collegamento telefonico da Evian dove si stanno
svolgendo le manifestazioni alternative al G8, ha ricordato le promesse
mancate dalle otto grandi potenze mondiali, come l'inconsistente fondo per
la lotta all'Aids e alla malaria, per il quale a due anni dalla costituzione
sono stati stanziati solo 2 dei 10 miliardi di dollari stabiliti. "A chi
dice che non abbiamo fermato la guerra, dico che non era pensabile che un
potere cosi' forte fosse fermato da un movimento cosi' giovane, abbiamo una
lunga strada da percorrere davanti a no!" ha affermato sempre da Evian
Raffaella Bolini dell'Arci.
Molto intensi e applauditi gli interventi del comboniano padre Alex
Zanotelli e di Nancy Bailey, del Comitato Iraq-Usa formato da cittadini
iracheni e statunitensi che abitano a Firenze.
Zanotelli si e' soffermato a lungo sull'Africa, un "continente svenato".
"Chiediamo - ha affermato - che il prossimo 10 dicembre, anniversario della
dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, venga celebrato dall'Onu in
una citta'-simbolo del martoriato Congo". Padre Alex ha definito la societa'
civile italiana organizzata la migliore d'Europa. "Solo un anno fa non
avremmo mai immaginato - ha sottolineato - che cosi' tante persone avrebbero
esposto la bandiera della pace ai balconi, che in tre milioni avrebbero
chiesto la pace dalle strade di Roma. La societa' civile organizzata e' un
soggetto politico. Deve fare politica dal basso". Zanotelli ha anche
affermato che occorre ringraziare questo papa "che ha detto un secco no alla
guerra" e ha ricordato l'importanza della scelta della nonviolenza attiva.
Concludendo il suo intervento con un sonoro "In piedi costruttori di pace!".
"Lanciare migliaia di bombe e missili su citta' con milioni di abitanti,
ammazzare migliaia di persone innocenti e distruggere case, mercati,
ospedali e scuole e' terrorismo - ha affermato la statunitense Nancy
Bailey - e noi chiediamo che Bush, Blair e i loro complici vengano portati
davanti a un tribunale internazionale e processati per questi crimini contro
l'umanita'".

12. INCONTRI. SOCIETA' DI STUDI VALDESI: UN CONVEGNO SU PIERO JAHIER
[Dalla Societa' di Studi Valdesi (per contatti: via Charles Beckwith 3,
10066 Torre Pellice (To), tel. e fax: 0121932765, e-mail:
ssvaldesi@yahoo.it) riceviamo e diffondiamo]
XLIII Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia.
Piero Jahier: uno scrittore protestante?
*
Piero Jahier: lo scrittore valdese. L'automatismo di questa associazione e'
costante nella considerazione di quello che in effetti rimane l'unico
protestante - d'origine e di cultura quanto meno - che ha trovato uno spazio
proprio nella storia culturale e letteraria del Novecento italiano. Spesso,
pero', l'origine valdese, sempre accompagnata dal senso tragico del peccato,
non rappresenta altro che la prima, mai a fondo vagliata, di una serie di
immagini sclerotizzate che si ripetono con tenacia: famiglia protestante,
appunto, poi tragedia del peccato, moralismo della "Voce", partecipazione
alla prima guerra mondiale e stesura di un gruppo di opere concentrate in
pochi anni, tra le quali proprio uno dei libri piu' noti sul conflitto (Con
me e con gli alpini), ed infine il lungo silenzio, a partire
dall'affermazione del fascismo.
Di fronte a questa accoglienza quasi unanime, ma al tempo stesso generica,
del "protestantesimo" di Jahier, non si puo' pero' nemmeno dire che la
cultura protestante italiana lo abbia assunto tra i propri punti di
riferimento, almeno negli ultimi decenni, ne' che abbia condotto una
valutazione compiuta della sua esperienza e del suo ruolo simbolico. E non
sara' allora un caso che la prima edizione di una sua opera da parte di una
casa editrice evangelica sia recentissima, del 2002.
Il convegno organizzato dalla Societa' di studi valdesi intende quindi
affrontare questi nodi, grazie all'apporto di specialisti di diverse
discipline storiche e letterarie (tra i quali Mario Isnenghi, Giorgio
Rochat, Paolo Briganti, Giorgio Barberi Squarotti, Marziano Guglielminetti,
Antonio Di Grado), posti a confronto con piu' giovani ricercatori e con
alcuni esponenti dell'odierna cultura protestante italiana. La speranza e'
di verificare i luoghi comuni, di proporre rinnovate letture ed
interpretazioni, ma anche di offrire un'occasione di dibattito e confronto
tra esperienze diverse, tesi ad un reciproco arricchimento.
*
Il convegno si svlogera' il 30-31 agosto 2003 presso la Casa Valdese, via
Beckwith 2, Torre Pellice (To); relazioni di: Marziano Guglielminetti,
Introduzione; Giorgio Barberi Squarotti, "Resultanze in merito alla vita e
al carattere di Gino Bianchi": una rilettura; Paolo Briganti, Jahier poeta;
Barbara Mariatti, Jahier e la Francia; Wolfgang Sahfeld, Jahier e i rapporti
con il futurismo; Laura Gatti, "Ragazzo": l'autobiografia come
frammentazione della personalita'; Mario Isnenghi, "Con me e con gli alpini"
e il giornale per i soldati "L'Astico"; Gianluigi Gatti, Gli ufficiali "P";
Giulia Albanese, Jahier e il giornale "Il nuovo contadino" (1919); Claudia
Baldoli, Jahier e l'antifascismo fiorentino; Paolo Bagnoli, Jahier e
Gobetti; Giorgio Rochat, Jahier a Bologna nelle carte di polizia; Massimo
Bracchitta, Jahier e il Partito d'Azione a Bologna (1942-45); Giorgio
Bouchard, Le radici evangeliche di Jahier; Antonio Di Grado, "Ragazzo", una
rilettura; Giorgio Tourn, Il Calvino di Jahier; Franco Contorbia, Il diario
inedito di Jahier; Davide Dalmas, Jahier dopo il silenzio. Persistenza di
una voce biblica nella letteratura del secondo Novecento.
La Societa' di Studi Valdesi mette a disposizione dieci borse-soggiorno per
studenti e ricercatori (presentazione delle domande entro il 15 luglio
2003).
Per informazioni: Societa' di Studi Valdesi, via Charles Beckwith 3, 10066
Torre Pellice (To), tel. e fax: 0121932765, e-mail: ssvaldesi@yahoo.it

13. RILETTURE. AUNG SAN SUU KYI: LIBERA DALLA PAURA
Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 1998,
pp. XLVI + 290, lire 14.500. Una raccolta di scritti della leader
nonviolenta della lotta per la democrazia in Myanmar (Birmania), premio
Nobel per la pace, attualmente ancora detenuta nelle carceri del regime
militare.

14. RILETTURE. QUENTIN BELL: VIRGINIA WOOLF
Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974, 1994, pp. 558, lire
20.000. La fondamentale biografia dell'autrice de Le tre ghinee e di tanti
altri capolavori.

15. RILETTURE. ROSANNA BENZI: IL VIZIO DI VIVERE
Rosanna Benzi, Il vizio di vivere, Rusconi, Milano 1984, 1987, pp. 144, lire
16.000. In questo libro a cura di Saverio Paffumi l'indimenticabile Rosanna
Benzi si racconta. Cara Rosanna, quanto ci manchi.

16. RILETTURE. ELISABETH BURGOS (A CURA DI): MI CHIAMO RIGOBERTA MENCHU'
Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu', Giunti, Firenze
1987, pp. XXIV + 304, lire 15.000. Sollecitata dall'ascolto attivo di
Elisabeth Burgos, Rigoberta Menchu' racconta la sua vita e le sue lotte.
Questo libro contribui' in misura notevole a far conoscere la situazione
guatemalteca e il genocidio degli indios; a Rigoberta venne poi attribuito
il premio Nobel per la pace nel '92.

17. RILETTURE. ASSIA DJEBAR:LA DONNA SENZA SEPOLTURA
Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192,
euro 14. Uno dei libri piu' belli della grande intellettuale algerina.

18. RILETTURE. SIMONE PETREMENT: LA VITA DI SIMONE WEIL
Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994, pp. XXIV +
688, lire 85.000. La fondamentale biografia di Simone Weil scritta
dall'amica di una vita ed acuta e finissima studiosa.

19. RILETTURE. RENATE SIEBERT: LE DONNE, LA MAFIA
Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, Est, Milano
1997, pp. 464, lire 18.000. Un libro fondamentale che raccomandiamo
caldamente.

20. RILETTURE. CHRISTA WOLF: CASSANDRA
Christa Wolf, Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, pp. 160, lire 14.000. Uno
dei libri piu' belli della scrittrice femminista e pacifista, un classico
della letteratura che e' anche un classico della cultura della pace.

21. RILETTURE. ELISABETH YOUNG-BRUEHL: HANNAH ARENDT
Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1990,
1994, pp. 642, lire 40.000. La monumentale biografia della massima
pensatrice della politica del Novecento.

22. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

23. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 594 del 27 giugno 2003