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La nonviolenza e' in cammino. 578



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 578 dell'11 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: "Azione nonviolenta" di giugno 2003
2. Il "Cos in rete" di giugno
3. Luigi Ciotti, Lidia Menapace ed altri: articolo 18 e societa' dei diritti
4. Sergio Paronetto: pace in Cecenia
5. Luciana Castellina ricorda Luigi Pintor
6. Pietro Ingrao ricorda Luigi Pintor
7. Lucio Magri ricorda Luigi Pintor
8. Valentino Parlato ricorda Luigi Pintor
9. Rossana Rossanda ricorda Luigi Pintor
10. Riedizioni: AA. VV., Poesie di pace e liberta'
11. Riedizioni: Stanley Milgram, Obbedienza all'autorita'
12. Riletture: Giuseppe Fiori, Casa Rosselli
13. Riletture: Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt
14. Riletture: Carlo Levi, Contadini e luigini
15. Riletture: Giuliana Saladino, Terra di rapina
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: "AZIONE NONVIOLENTA" DI GIUGNO
[Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: e-mail:
azionenonviolenta@sis.it; sito: www.nonviolenti.org), riceviamo e
diffondiamo]
Cari amici, vi presentiamo il numero di giugno 2003 di "Azione nonviolenta",
la rivista mensile del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel
1964, di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della
nonviolenza in Italia e nel mondo.
L'abbonamento annuo costa euro 25,00, da versare sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile
chiedere una copia-saggio inviando una e-mail a: azionenonviolenta@sis.it
In questo numero: Gandhi o la nonviolenza interiore del forte (di Remo De
Ciocchis); Le dieci parole della nonviolenza: "Bellezza" (di Christoph
Baker); Invito a Gubbio: in cammino per la nonviolenza (dal 4 al 7
settembre); I ponti uniscono, collegano, creano unita'. Poi in guerra si
abbattono. Il ponte di Mostar sta per essere ricostruito. Ma come? (di
Andrea Rossini); In ricordo di un caro amico: Enzo Melegari, obiettore (di
Alberto Trevisan); Viaggio sui luoghi degli obiettori al nazismo.
E poi le consuete rubriche: alternative (Gianni Scotto); cinema (Flavia
Rizzi); musica (Paolo Predieri); economia (Paolo Macina); Lilliput
(Massimiliano Pilati); l'azione (Luca Giusti); educazione (Angela
Dogliotti); storia (Sergio Albesano); libri; lettere.

2. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI GIUGNO
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail:
capitini@tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it - un sito che vivamente
raccomandiamo soprattutto per i numerosi e rilevantissimi materiali di e su
Capitini che ospita) riceviamo e diffondiamo]
Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di giugno 2003 del "C.O.S. in rete"
(www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla
stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo; tra cui: La nonmenzogna; La Malfa e
Capitini; L'Europa nonviolenta; Il fuoco eterno; Poverta' di proposte; No
control no party; Fez e sms; Gli scenari del mondo; La violenza del potere;
Brusca e il tabaccaio; I problemi dei C.O.S.; I partiti e i C.O.S.; Il sig.
18 ore; I fratelli musulmani; Donne e nonviolenza; ecc.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S.
in rete e' libera e aperta a tutti.

3. APPELLI. LUIGI CIOTTI, LIDIA MENAPACE ED ALTRI: ARTICOLO 18 E SOCIETA'
DEI DIRITTI
[Ringraziamo Marcello Vigli (per contatti: marcvigl@tin.it) per averci
inviato il seguente appello sottoscritto da molte persone amiche della
nonviolenza]
La nostra partecipazione in senso positivo al referendum sulla estensione
dell'art. 18 e' in una linea di coerenza col nostro costante impegno per
l'affermazione della societa' dei diritti.
In sintonia con le donne e gli uomini che animano i nuovi movimenti siamo
convinti che diritti sociali e diritti umani insieme si tengono o insieme
cadono. Non si puo' dire ad esempio a un essere umano "tu hai inalienabile
diritto all'integrita' fisica" e insieme sostenere, se necessario anche con
la guerra, un ordine mondiale che priva quello stesso essere umano dei mezzi
essenziali alla sopravvivenza: cibo, medicine, lavoro, informazioni, ecc.
I diritti, inoltre, anche quelli sociali o sono di tutti o non sono di
nessuno. Finche' un solo essere umano non ha lavoro o non ha cibo o non ha
cio' che gli assicura identita', sicurezza, dignita' e vita, i diritti di
tutti gli altri, di tutti noi, non sono piu' veri diritti ma sostanziali
privilegi.
Siamo ben consapevoli del fatto che le pratiche politiche richiedono
mediazioni fra questi principi di alto valore etico universale e la realta'
concreta sempre parziale e contraddittoria. Gli stessi movimenti si trovano
immersi nelle contraddizioni e nella necessita' di andare per piccoli passi.
Siamo pero' anche consapevoli che la globalizzazione liberista tenta di
annientare con mezzi potentissimi e perfino col terrore e con la guerra la
cultura etica della solidarieta' e dei diritti sociali, in quanto considera
tale cultura e le pratiche conseguenti come ostacolo al libero svilupparsi
del mercato, come un gravissimo attentato allo sviluppo e alla liberta'. Per
i poteri che sostengono e propagano la cultura liberista, la centralita' del
lavoro e' una bestemmia e lo stato sociale e' la cura pietosa che puo'
incancrenire la piaga. Solo l'interesse privato, mediato dal mercato, ha in
se' la capacita' di condurre l'umanita' verso un progressivo allargamento
dell'onda della ricchezza, fino a raggiungere tutti gli uomini e debellare
infine la poverta'. Tutto il resto e' aleatorio e affidato al giudizio di
opportunita' del luogo e del momento. E' talmente decisiva l'affermazione
del libero mercato a livello planetario che per il nobile scopo tutti i
mezzi sono leciti, compresa la guerra. Il liberismo e' ormai un assoluto.
Non e' piu' un sistema economico e politico parziale con cui negoziare
mediazioni possibili. E il danaro e' un dio che esige sacrifici e
sottomissione incondizionata.
Le necessarie mediazioni politiche e i piccoli passi possibili rischiano
continuamente di essere rimangiati dalla potenza del liberismo. Cio' che si
ottiene sul piano politico o economico si rischia di pagarlo con involuzioni
e arretramenti sul piano delle consapevolezze. E' percio' sempre necessario,
secondo noi, mantenere alta la tensione verso l'obiettivo della
generalizzazione e universalizzazione dei diritti sociali. Insieme alle
mediazioni politiche sono sempre indispensabili campagne culturali. Il
ritrarsi dalla partecipazione positiva al referendum da' alla gente un
preciso segnale: il liberismo ha vinto, il liberismo domina il mondo, il
liberismo vuole mano libera nel mercato del lavoro, e noi dobbiamo piegarci
alle condizioni imposte dal vincitore.
Qualunque sia il giudizio che si puo' dare sul merito del referendum e sul
percorso politico che ne ha accompagnato la promozione, e puo' essere
davvero un giudizio negativo, ormai e' una iniziative di cultura votare si'.
E' un modo per tenere teso l'arcobaleno e diffondere un messaggio di
speranza: la resistenza e' ancora possibile, la societa' dei diritti e' una
stella fissa nella notte fonda della prepotenza senza limiti,
dell'illegalita' che si fa ordine mondiale, del dominio che vuole i nostri
corpi, le nostre intelligenze e i nostri sentimenti.
Luigi Ciotti; Enzo Mazzi; Giovanni Franzoni; Arturo Paoli; Andrea Gallo;
Vitaliano Della Sala; Alex Zanotelli; Sergio Tanzarella; Ettore Masina;
Marcello Vigli; Pasquale Colella; Lidia Menapace; Erika Tomassone; Vittorio
Bellavite; Antonio Parisella; Peppino Coscione; Maria Caterina Cifatte;
Alessandro Santoro; Sergio Gomiti; Giovanni Avena, Eletta Cucuzza, Ludovica
Eugenio, Claudia Fanti, Valerio Gigante, Luca Kocci, Laura Leonori,
Francesca Nava, Marco Zerbino (Adista); Cristiano Bumbaca; Leda Giacomelli;
Laura Forgione; Vittoria Ravano; Mario Mencaraglia; Benedetto Di Sillico;
Mauro Gozzio; Bernard Byzek, Mauro Castagnaro, Linda Di Ianni.

4. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: PACE IN CECENIA
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
per questo intervento. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax
Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta']
Un'informazione completa e' strumento essenziale per la cultura della pace.
Essa dovrebbe  evidenziare la possibilita' di superare i conflitti non con
le guerre "preventive" o con i bombardamenti "intelligenti" ma con la
diplomazia preventiva o, in casi urgenti, con azioni di "polizia
internazionale" o con l'invio di una forza di interposizione pacifica sotto
l'egida delle Nazioni Unite e dell'Europa.
In Congo, dopo anni di silenzio, si sta sperimentando un modo diverso di
risolvere i conflitti. Perche' non farlo anche altrove, ad esempio in
Cecenia dove da anni si stanno violando  in modo massiccio i diritti umani?
Perche' non riprendere iniziative gia' lanciate da personalita' e movimenti
che, richiamandosi al dolore comune di russi e ceceni, chiedono il disarmo
delle forze cecene e il ritiro dei soldati russi attraverso l'intervento
delle Nazioni Unite e una loro amministrazione provvisoria? Pace in Cecenia,
no allíoccupazione russa, no al terrorismo di qualunque tipo, appoggio del
Parlamento europeo a un'amministrazione transitoria dell'Onu: ecco parole
d'ordine utili a sostenere una mobilitazione che puo' coinvolgere il
Parlamento italiano ed europeo.
Richiamandosi al motto di La Pira "unire le citta' per unire i popoli",
anche i Comuni possono favorire un intervento di diplomazia civile assieme
al Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace che stanno
preparando la quinta Assemblea dell'"Onu dei popoli", che si terra' in
ottobre a Perugia (e' possibile aderirvi "adottando un popolo";  lo stesso
potranno fare anche le scuole).
Quanto a noi che, assieme ad altri e all'associazione "Medici senza
Frontiere", nel 1999 abbiamo promosso un periodo di iniziative sul dramma
ceceno, intendiamo continuare le azioni di informazione, di riflessione, di
solidarieta' e di preghiera interreligiosa  aggiungendo all'impegno verso il
Medio Oriente, il Congo e il Sudan quello verso la Cecenia e altre localita'
dove si offendono spesso  diritti e doveri anche a causa della nostra
indifferenza.

5. MEMORIA. LUCIANA CASTELLINA RICORDA LUIGI PINTOR
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Luciana Castellina,
militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte
parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative
dell'impegno pacifista in Europa. Ovviamente la gran parte degli scritti di
Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante,
e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari;
in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona, e il
recentissimo (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli]
Non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe toccato scrivere in morte di
Luigi. Non solo perche' alla perdita definitiva di un amico e compagno non
si pensa, ma anche perche' non si immagina mai di scrivere sulla propria
morte e, sebbene piu' diversi non avremmo potuto essere, un grande pezzo
della sua vita e' stata anche la mia e ora oltre la sua persona piango anche
questa nostra storia comune che si sfalda in decessi e vecchiaie. La storia
di un modo di intendere il Pci e piu' in generale il comunismo, i doveri che
da questa speciale appartenenza sono derivati, i doni - Luigi sorriderebbe
ironico di fronte a questa parola, ma sarebbe d'accordo anche lui che esser
stato comunista e' stato uno straordinario privilegio, anche se sempre piu'
difficile e' restarlo in modo sensato. Ma Luigi Pintor era molto di piu' di
questo pezzo di storia comune che ora, con lui, ci muore dentro. Era, Luigi
Pintor, un uomo dotato di qualita' eccezionali che spesso, e forse proprio
per questo, sono diventate difficolta' nel vivere, per lui stesso e per chi
gli era caro e vicino: perche' la sua intelligenza non era solo acume ma
ipersensibilita', sicche' il capire si rovesciava in lucido, troppo lucido
pessimismo; la sua sottile ironia in distruzione, auto e etero. E pero' mai
in paralisi nel fare, che' il suo scetticismo profondo, i suoi sacrosanti
dubbi, che hanno anche percorso tutta la storia del "Manifesto", non lo
hanno mai indotto a lasciare l'impegno. Tutto questo, del resto, l'ha
scritto lui stesso, mirabilmente, in Servabo.
Fra tutti coloro con cui abbiamo fatto 35 anni fa "il manifesto", Luigi era
quello che io avevo conosciuto prima. Anzi, prima ancora di concretamente
incontrarlo, perche' al liceo Tasso, che ho frequentato pochi anni dopo di
lui, il suo nome, con quello di qualche altro, era mitico: erano diventati
comunisti su quei banchi e durante l'occupazione nazista, diventati Gap,
erano entrati nella scuola a sfidare, armati, il preside fascista. Al
ginnasio, che pure era incorporato nella stessa scuola, queste cose non le
avevamo sapute, ma le scoprimmo dopo la Liberazione, quando anche noi
cominciammo ad avvicinarci al Pci. E ne ho saputo assai di piu'
successivamente, quando per anni ci frequentammo tutti i giorni, alla mensa
de "l'Unita'" a via IV Novembre e nella nostra o nella sua casa al quartiere
Mazzini, dove ho visto crescere Roberta e Giaime. Avevo sposato il suo amico
piu' stretto, Alfredo Reichlin, che con lui era stato Gap e, sempre con lui,
era diventato redattore del giornale, ragazzini assunti e subito promossi
dalla lungimirante politica di Togliatti che aveva voluto un rinnovamento
generazionale immediato e radicale. Assieme mi raccontavano, come fosse
stato un gioco di ragazzi, delle passeggiate per Roma nell'inverno del
'43-'44, in tasca la pistola che gli era stata fornita per esser pronti a
colpire, la tentazione di usarla nelle pasticcerie quando si fermavano affam
ati di fronte alle vetrine allettanti, e poi pero' anche della paura, della
difficolta' umana di sparare ad altri uomini, sia pure odiosi nemici; della
drammatica cattura di Luigi, rinchiuso nella terribile pensione Jaccarino e
condannato a morire, salvato, come diceva lui, "dal calendario": l'arrivo
della V Armata americana.
Di queste cose io ho sentito parlare sempre con voluta leggerezza, mai come
racconto epico, sebbene di epopea si trattasse. Ma in quelle conversazioni
serali c'era un intreccio fra le vicende politiche del passato e del
presente e la letteratura, la musica, la cultura, ingredienti preziosi per
una militante di base cosi' rozza come io, e i miei coetanei solo di qualche
anno piu' giovani della generazione della Resistenza, eravamo. Veniva dalla
memoria di Giaime Pintor e dalla eccezionale influenza che aveva lasciato
questo fratello, ventitreenne eroe saltato su una mina nella valle di
Venafro dove era stato paracadutato per rientrare nell'Italia occupata. A
combattere. E pero' gia' precoce, raffinato intellettuale che nei suoi cosi'
brevi anni di vita aveva marcato di un segno profondo il comunismo di Luigi
e dei suoi compagni: aveva insegnato a leggere Rilke, da lui mirabilmente
tradotto, oltre a Lenin.
Poi, nel '66, ci fu l'XI congresso del Pci - quello di quando Pietro Ingrao,
cui noi tutti eravamo vicini, disse, rivolto alla direzione del partito,
infrangendo una prassi che sembrava infrangibile, "non direi che mi abbiate
convinto".
Per noi tutti fu uno snodo politico e di vita. Per Luigi l'esilio da
Botteghe Oscure fu piu' estremo e pero' anche in qualche modo piu' dolce: fu
spedito in Sardegna come vicesegretario regionale, lontano, ma in un'isola
che era la sua. A Cagliari aveva tutti i ricordi dell'infanzia e forse
quello e' stato il periodo in cui, sebbene politicamente molto arrabbiato,
mi era parso umanamente piu' sereno. Aveva preso casa a Quartu S. Elena,
vicino al mare, e a tutti noi fece scoprire le coste ancora selvagge e le
"taccule", gli uccelletti impalati e profumati di erbe il cui assassinio la
coscienza ecologica ancora lontana non aveva condannato.
L'andavamo a trovare perche' ci capitava per lavoro ma anche perche' li',
proprio in quella casa di Quartu, vennero tessute le prime trame del
progetto che anni dopo divenne "il manifest"o; e subito un bel pezzo del Pci
sardo, che poi non a caso divenne una costola importante del gruppo, vi fu
coinvolto.
La storia del "manifesto", e dunque per tanta parte della vita di Luigi, non
si puo' raccontare cosi', in questo momento. La dovremo scrivere, tutti
assieme, un giorno. Voglio solo ricordare Luigi direttore del quotidiano, di
come si arrabbiava quando il giornale ripeteva sempre gli stessi rituali
titoli dell'epoca, tanto che "La Zanussi riparte" resto' a lungo il simbolo
delle nostre colpe giornalistiche. Si arrabbiava con gli allora giovanissimi
redattori venuti a lavorare al quotidiano senza aver mai prima messo piede
in un giornale, perche' non sopportava soprattutto lo scrivere sciatto, la
banalita' dell'immagine, la casualita' delle parole usate, lui che ha poi
scritto libri piu' che esigui perche' ogni aggettivo gli sembrava eccessivo,
ogni fatto non essenziale, superfluo. La sua severita' di maestro ha dato
lustro e rinomanza alla "scuola del manifesto", diventata col tempo un
"pedigree" prestigioso.
Ma dire che Luigi Pintor e' stato un grande giornalista, un editorialista
come non ce n'e' altri in Italia, un polemista bruciante, non rende la
persona. Luigi avrebbe in realta' voluto essere pianista (e sarebbe stato un
grande pianista), ed ha rimpianto sempre che le vicende della vita l'abbiano
moralmente obbligato all'impegno politico. Quando poteva suonava ancora,
perche' e' nella musica che si trovava piu' a suo agio.

6. MEMORIA. PIETRO INGRAO RICORDA LUIGI PINTOR
[I due testi seguenti abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto"
rispettivamente del 18 e del 21 maggio 2003. Pietro Ingrao e' nato nel 1915
a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta
clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de
"L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per
varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei
Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le
istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Tra le
opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977;
Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori
Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di
fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)]
Le pagine di un sovversivo
E'sempre difficile, forse impossibile - almeno per me - rispondere alla
domanda su chi e che cosa e' stato un altro da me. Ebbene, se dovessi
rispondere su chi e' stato Luigi Pintor, risponderei subito: un eversore.
Uno che voleva sovvertire la societa' in cui viveva. Di essa non gli
piacevano ne' le leggi, ne' i costumi, ne' i modelli. Si ribellava a una
oppressione? Mi pare che fosse diverso e di piu'.
Prima ancora, guardando a lui, Luigi Pintor, mi sembrava che egli
protestasse innanzitutto contro un modo di leggere la vita: sembrava provare
una nausea per i codici e i sacrari posti sugli altari. E lo stupiva
l'ipocrisia che stava al fondo di quei canoni. Anche se poi - alla fine del
suo amaro riflettere - sembrava sempre chiedersi con un breve ghigno: ma di
che siamo sorpresi?
Certo, alla fonte del guasto era per lui il capitalismo, con la sua avidita'
insanabile. Luigi non era un riformista. Non lo era mai stato, anche quando
scendeva con sarcasmo a denunciare e misurare l'avarizia della borghesia nei
suoi riti di elemosina sociale. Il suo sogghigno era come dire: avete visto
di che pasta sono fatti costoro?
Ma c'era alle spalle come un'idea del Male del mondo, di una ingiustizia
piu' vasta della violenza propria dell'ordine sociale imperante. E il furore
e la collera contro tale ordine sociale in auge sembrava in lui accrescersi
proprio in rapporto alla durezza dell'infelice condizione umana. Tanto piu'
la borghesia era sordida.
Dunque: un apocalittico mediterraneo? La cosa sorprendente in questo
amarissimo e aspro narratore del male di vivere, era la testarda tenacia
combattiva con cui egli si impegnava - si potrebbe dire: ogni giorno - nella
lotta quotidiana, sullo scontro pratico della sinistra come essa era, nei
suoi difetti e nelle sue piu' elementari speranze, nelle sue passioni e
prove di ogni giorno. E come il suo gusto per la pagina alta e severa, per
il canto disperato, si mischiavano all'elzeviro bruciante sul giornale, alla
staffilata breve contro il nemico di classe, contro i trafficanti della
politica. Qui - per me - era il suo volto inconfondibile che tornava poi
anche nelle pagine cosi' stringenti e allusive dei suoi romanzi o memorie.
La perdita e' grave, nel momento in cui la partita mondiale vede toccare
nuove altezze e pone la guerra come asse centrale della politica. E sono
alla prova, di nuovo, letture del mondo, sistemi mondiali di politica.
Altri dira' della vocazione naturale di Luigi alla scrittura, della sua
passione singolare a trasformare l'emozione etica in racconto e l'abbandono
alla memoria come interrogazione sulla vita.
A me e' caro ricordare la sua alta irrequietezza sul senso dell'essere, e
insieme come egli mescolava il suo stare quotidiano nella mischia con le
domande sull'Ultimo. Qui vedo la cifra dell'uomo.
Non era semplice Luigi. La sua irrequietezza non era breve. E la sua
passione polemica - a guardare in fondo - scavalcava anche la sua parte.
Riflettendo su di lui, ora che e' composto nella calma severa della morte,
bisognera' risalire lontano a una vena, a una costa d'Europa maturata nella
"guerra totale" (come l'ha definita Hobsbawm) apparsa sul globo a meta'
circa del Novecento e poi - nel tempo di Bush - tornata a misurarsi col
nuovo livello raggiunto dall'arte dell'uccidere.
Qui per me vengono anche domande sul passato. Che vedemmo, che capimmo
allora, in quell'incendio mondiale della nostra gioventu', quando Luigi
sfiorava appena i vent'anni e gia' era nella bufera della insorgenza
partigiana? E che non capii io della rottura del "manifesto" che ci divise?
E ancora oggi non siamo riusciti a costruire un livello di incontro adeguato
alle varianze faticose della sinistra oggi, pur dopo la novita'
straordinaria dei new global. Da che viene l'insuperato che ancora ci
spacca? E come possiamo pensarti, ed evocarti, fratello che te ne vai, senza
cercare risposta a queste domande? Dal tuo silenzio, come ancora ci chiami -
testardamente - nella tua amara interrogazione sul domani...
*
Cercate ancora
Adesso proceda il lavoro della memoria. Lunedi', in quella assorta e
stupenda piazza romana - segnata dalle luci miti che accompagnavano il lungo
crepuscolo di maggio - e' cominciato il rito - disperato e vitale - del
ricordo, l'ansia di evocare cio' che con Luigi Pintor, con quell'uomo, con
quel compagno se ne andava, o invece proseguiva. E nelle parole dette
c'erano - insieme - l'antica usanza umana di salutare la cupa morte, e
l'ansia di salvare quella vita che si era spenta con il recupero della
memoria: quella vita prorompente, impetuosa - e cosi' inquieta sempre - che
era stata di Luigi Pintor: nel tumulto del secolo sanguinoso e delle nostre
speranze sconfitte.
E nella grande commozione e anche nelle lacrime e negli applausi di quella
piazza romana chi di noi non andava col pensiero a quell'ostinato silenzio
di lui, costretto nella bara?
Infine ci sono stati gli abbracci che seguono al rito: a Isabella prima di
tutti. La piazza faticava a svuotarsi, come se ognuno esitasse a separarsi,
o aprisse i polmoni al soffio vespertino di quel tramonto romano ancora
incantevole.
Adesso - da domani - c'e' da pensare, con il metodo necessario, come la
memoria si mette all'opera e tenta la sua rivincita sulla morte. Luigi -
questa e' la mia convinzione - diversamente dalle apparenze non era per
nulla lineare. E usava anche diversi linguaggi: non solo quello
dell'articolo icastico e dell'invettiva. Aveva un gusto del rimembrare che
pero' non era mai solo ricordo di un accaduto: esso si univa clamorosamente
a brani di affermazione apodittica, a sentenze brucianti e allusive, e
infine a una lettura del mondo amarissima, in certi momenti anche cupa.
Non e' semplice ricostruire come questo suo fondo apocalittico si fondesse
con quella passione cosi' attuale, con quel guizzo dell'intervento immediato
e dello stare in campo, che lo rendeva disponibile - cosi' mi sembrava -
anche all'ultim'ora, quasi ancora al momento di chiudere il giornale. Come
si combinavano quella riflessione generale sull'esistere e la passione
dell'intervento bruciante sulla vicenda quotidiana?
Infine Luigi e' parte di una speciale storia italiana, per un verso anche
ostinatamente "sarda" (con i suoi cieli, i suoi profumi) che si e'
intrecciata, anzi e' stata obbligata a intrecciarsi con una tragica vicenda:
europea prima, e poi addirittura mondiale. Oggi la dimensione globale
(questa parola) e' diventata addirittura ovvia, e la guerra torna a
rifulgere nel mondo come quando Luigi si fece partigiano. Che e' diventata
la politica, quella che prese Luigi quasi da ragazzo?
E che significa il corso di quest'Italia, crollata nella miseria
berlusconiana e insieme ancora segnata da un comunismo "strano", che in
questo giornale e' cocciutamente sopravvissuto ad una sconfitta storica
mondiale?
E che sono e furono questi gruppi di intellettuali italiani, all'inizio
addirittura allevati sotto la chioccia togliattiana (ma togliattiano - penso
io - Luigi, diversamente da altri di noi, proprio non lo fu mai...).
E in ogni modo come nacque, continuo' e poi pero' si restrinse quella eresia
"comunista" che agisce ostinata ancora oggi - a volte anche duramente
faziosa - nel "Manifesto", con quell'intreccio di pessimismo e di fierezza
indomata, che in Luigi erano cosi' strettamente congiunti? E che pezzo
d'Europa e d'Italia essa oggi rappresenta?
Qui davvero tornano forse, anche la figura del fratello di Luigi, Giaime (su
cui in questi mesi sono state scritte parecchie scemenze e grettezze), e il
rapporto con la vicenda della cultura europea novecentesca: delle sue
scalate al cielo, dei suoi ardimenti e delle sue pesanti prove e sconfitte.
Dunque memoria, ricerca laica: che non si fa fermare dalla morte. E -
insieme con i segni e i riti del lutto - subito avanzano le nuove domande
sulla vita, e quindi sull'oggi e sul futuro. Secondo quel motto immortale
che dice: cercate ancora.

7. MEMORIA. LUCIO MAGRI RICORDA LUIGI PINTOR
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Lucio Magri e' stato tra
i promotori dell'esperienza del "Manifesto", poi segretario del Pdup per il
comunismo, promotore con Claudio Napoleoni di una iniziativa per l'unita'
delle sinistre in anni in cui avrebbe potuto avere una rilevanza decisiva,
attualmente dirige "La rivista del Manifesto" ed e' uno degli intellettuali
piu' acuti e rigorosi della sinistra italiana]
Il giornale mi ha chiesto di scrivere, e subito, qualcosa di cio' che sento
o di cio' che ricordo su Luigi e per Luigi. E' un dovere, e ci pensavo da
tempo, perche' questa morte non ci coglie di sorpresa e l'abbiamo
accompagnata con angoscia. Tuttavia non mi sento ancora capace di
assolverlo. Non e' solo la commozione per la perdita di una persona tanto
cara che ti blocca, quasi ti suggerisce il silenzio come unica espressione
adeguata e riparo dal rituale. Quando un'altra vita e' stata intrecciata
alla tua con fasi alterne ma dalla gioventu' alla vecchiaia, il suo
necrologio e' anche il tuo e non si puo' fare il necrologio di se stessi.
Soprattutto non vuoi partecipare a un coro giustamente numeroso perche' e'
anche un pezzo di te che si perde quello di cui parli e vorresti consegnare
alla memoria. Una sola cosa dunque posso qui fare: prendere un impegno.
Ripensando alla vita di Luigi, alla mia e a quella di pochi altri mi pare
chiaro il fatto che - ci soddisfi piu' o meno - la cosa piu' oggettivamente
rilevante che abbiamo fatto l'abbiamo fatta insieme: la tormentata scelta di
preparare e di fare "il manifesto" - rivista, gruppo politico, giornale -
pagandone i prezzi, uscendone trasformati. Ebbene, una ricostruzione vera di
quell'impresa (fatti e idee, intenzioni e risultati, intuizioni
anticipatrici ed errori ingenui e poi sviluppi e rettifiche, discussioni
accanite, separazioni e ricongiungimenti, molti rivoli nuovi di cultura e di
impegno politico connessi a una radice comune) non si e' mai fatta, anzi se
ne affievolisce la memoria nella testa di ciascuno. Per responsabilita' e
motivi diversi.
Colpisce ad esempio che negli ultimi brevi e bellissimi libri di Luigi -
un'analisi autobiografica cosi' minuziosa e altrettanto selettiva - quella
vicenda di cui era protagonista sia quasi rimossa, non credo per
sottovalutarla, ma forse proprio per dare la misura estrema del suo
sentimento profondo della vanita' delle cose che pur appaiono importanti e
in cui ci impegniamo con ogni energia. Io, quasi al contrario, sono sempre
stato ossessionato dal valore e dalla continuita' di quell'origine, ma
sentendola erroneamente quasi mia e cercando di rivedervi i limiti per
restaurarla, ma tanto da oscurarne la memoria e il carattere polifonico. Sta
di fatto che quella microstoria non c'e'. E infatti spesso coloro che oggi
dicono: abbiamo sbagliato a cacciare quelli de "il manifesto", avevano molte
ragioni, non ricordano cio' che "il manifesto" diceva o suggeriva; altri lo
sentono come parte della propria vita, ma trascurandone la specificita' e
riducendola al minimo comune denominatore tra i vari gruppi della nuova
sinistra degli anni '70.
L'impegno che vorrei assumere, non da solo, con lui e in suo onore e'
percio' di lavorare da subito alla ricostruzione di quella storia, precisa
nei fatti, serenamente veritiera, orgogliosa e anche autocritica. Potrebbe
essere un contributo per far vivere pio' a lungo qualcosa di lui, o almeno
di una parte di lui, di cio' che ha fatto, oltre il ricordo e l'affetto per
la persona straordinaria o per la penna raffinata o per l'inflessibile
coerenza. Di lui cioe' come comunista inquieto, intransigente e
problematico, superbo quanto disincantato anche su di se'.

8. MEMORIA. VALENTINO PARLATO RICORDA LUIGI PINTOR
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Valentino Parlato, tra i
fondatori del "Manifesto", rivista prima e quotidiano poi, e' uno dei piu'
prestigiosi intellettuali della sinistra italiana]
La morte di Luigi, improvvisa e lunga (nessuno si aspettava una sentenza
cosi' radicale da parte dei medici e nessuno dei medici si aspettava la sua
lucida e naturale vitalita') e' un colpo terribile per tutti noi del
"manifesto" e per i suoi tanti amici e compagni, oggi anche lontani da lui.
Non si tratta solo di un colpo agli affetti, ma alla vita di ciascuno di
noi, al nostro passato soprattutto, ma anche al nostro difficile futuro.
Occorre ripensarsi; ma intanto, anche se qualcuno di noi preferirebbe il
silenzio, e' d'obbligo, e' giusto scrivere; non e' opportuno tacere: per noi
e per lui. Ma che cosa dire? Viene da ripetere la frase "non ho parole",
usata e pure abusata da Luigi, che le parole le modellava e le manovrava,
come il fioretto e l'obice, a seconda delle circostanze. Ho riletto, sul
"manifesto", la sua lettera a Laura Lombardo Radice-Ingrao. Confesso la mia
incapacita': l'essenzialita' di quei quattro capoversi non e' imitabile.
Scrivero' piu' a lungo, sballottato tra pulsioni diverse e tra loro forse
contraddittorie.
Certo, senza Luigi il quotidiano "il manifesto" non ci sarebbe mai stato.
Luigi e' stato, pur tra scontri dolorosi, l'architrave di questa casa che
tra venti e tempeste ha resistito piu' di trent'anni, un caso abbastanza
unico per un giornale come il nostro. Senza di lui tutto sara' piu'
difficile, vecchi e giovani dobbiamo saperlo e insieme dovremmo ripetere
"Servabo"; cosi' come Luigi intendeva e intese nella sua vita quel motto.
Luigi e' stato un fratello maggiore, un amico, un compagno in senso
profondo. Per chi gli e' coetaneo, ma anche per i giovani, la sua uscita di
scena costituisce un'altra avanzata di quella grigia armata che si chiama
solitudine. Noi piu' vecchi soffriamo terribilmente di solitudine, che e'
anche sinonimo di debolezza e che, con tutti i sensi di colpa, un po' mi
induce a invidiare Luigi: morire e' anche uscire di scena - pare che
Augusto, morendo, come sue ultime parole abbia detto "la commedia e'
finita". La vita e' anche una commedia, Augusto, primo imperatore globale,
aveva qualche ragione.
Nel momento del distacco, chiedersi chi era veramente Luigi puo' apparire
saccente e presuntuoso. Puo' apparire solenne e autosolennizzante. Mentre
scrivo, sono le 15 di sabato 17 maggio, arriva la notizia della morte
annunciata: Luigi e' morto. L'annuncio era scontato, ma cambia piu' di
qualcosa.
Chi era Luigi con il quale abbiamo lavorato, anche con scontri e divisioni
dolorose, da circa quarant'anni? Luigi era e resta una personalita' unica,
complessa non per le sue contraddizioni interne come ormai tutti ci diciamo,
ma per la ricchezza dei suoi apporti costitutivi. Luigi e' stato uno
straordinario, direi unico, figlio del secolo breve.
Senza la seconda guerra mondiale Luigi, forse, non sarebbe stato Luigi e
neppure molti di noi piu' anziani. La seconda guerra mondiale - rileggiamo
Servabo - porta Luigi fuori dell'isola; poi c'e' la morte del fratello, la
famosa lettera; e Luigi giovanissimo che dai banchi del Tasso passa ai Gap
(Gruppi di azione patriottica, che oggi diremmo terroristi). Ma nella
dimensione del secolo breve (ho il timore di scivolare nell'insipienza
storiografica) ci sono altri tre elementi che formano la personalita' di
Luigi, o almeno credo io. Ci sono la famiglia e la sardita', l'essere un
comunista italiano (nozione ancora non di facile comprensione per i piu'
giovani) l'essere un giornalista politico e un vero giornalista.
Siamo nella prima meta' del novecento, quando le famiglie ancora contavano e
la famiglia Pintor, come quella dei Lombardo Radice o dei Natoli, aveva un
peso. La famiglia Pintor non era riducibile all'ultimo erede, il giovane
Giaime, ucciso dall'esplosione di una mina mentre passava il fronte per
tornare al Sud. La famiglia Pintor era qualcosa di piu': era lo zio Luigi,
effettivo governatore della Libia; era lo zio Pietro, il generale del corpo
d'armata del fronte occidentale che ando' con il giovane nipote Giaime a
trattare l'armistizio francese e che poi negli anni quaranta mori' in un
sospetto incidente aereo. Ed era ancora lo zio Fortunato, deus ex machina
dell'Enciclopedia italiana.
Poi, ma forse in primo luogo, Luigi fin da giovanissimo (comincio' con i
Gap) fu un comunista italiano. E questa storia non si puo' spiegare solo con
la pensione Jaccarino, le torture, la condanna a morte. Non si tratta solo
di resistenza ma, credo io - e posso clamorosamente sbagliare - di fredda
razionalita' di impegno: il miglior Machiavelli e, pertanto, la massima
liberta' di giudizio. Nella tragedia del '56 ungherese Luigi non ebbe
tentennamenti e rimase decisamente da questa parte della barricata, non si
fece travolgere dal rapporto segreto di Krusciov, non si associo' ai nuovi
antistalinisti (che poi erano e sono gli stalinisti di ieri), ma capi' che
il Pci per restare tale doveva rompere con l'Urss, puntando a un'uscita
dallo stalinismo, ma da sinistra. Una ventina d'anni dopo, forse troppi, ma
assai travagliati (ricordiamoci dell'XI congresso del Pci) si arrivo' alla
rottura del "manifesto" e alla radiazione dal Pci. Viste le traversie del
Pds e dei Ds forse e' difficile comunicare ai piu' giovani che cosa furono i
comunisti italiani, ma i giovani dovrebbero fare qualche sforzo e la vita di
Luigi dovrebbe aiutarli a capire.
Questo comunista italiano, lucido erede di una famiglia impegnata, fu
anche - ed essenzialmente - giornalista. Giornalista in senso politicamente
alto. Per un verso aveva coscienza della precarieta' del quotidiano: "A
mezzogiorno, con il giornale - ci diceva - si possono avvolgere le patate".
E a mio parere questa coscienza della precarieta' e' solo l'anticipazione di
una profondita'. Parafrasando la famosa frase di Gertrude Stein ("una rosa
e' una rosa e' una rosa") ci diceva "un giornale e' un giornale e' un
giornale". Coglieva cosi' e metteva in evidenza uno specifico giornalistico,
che e' assolutamente politico, contro la semplificazione che un giornale
debba essere solo l'amplificatore di una linea politica, eludendo cosi' lo
specifico del mezzo e la differenza tra propaganda e persuasione. Si tratta
di una questione di delicata intelligenza politica e infatti su questo punto
tra noi ci siamo anche scontrati: in totale buona fede, ma con scarsa
cognizione delle cose del mondo. Luigi, in quanto giornalista, capiva di
politica assai piu' di quelli di noi che si credevano politici. La politica
che non puo' andare sui giornali e', evidentemente, sbagliata.
Sui suoi articoli, quasi tutti assai brevi, sono usciti due volumi: uno,
Parole al vento di Kaos editori, sugli anni '80; e un altro di Bollati
Boringhieri, Politicamente scorretto, sugli anni 1996-2001. Valgono piu' di
due manuali di storia d'Italia.
E c'e' la nostra storia, de "il manifesto", una storia piu' che trentennale
che anche per Luigi e' un miracolo mondiale. Il primo numero del quotidiano
ando' nelle edicole il 28 aprile del 1971; poco dopo si avvio' la campagna
elettorale del 1972. All'interno del nostro gruppo la discussione non fu
totalmente serena, poi pero' si decise di andare alle elezioni e alla
sconfitta: tanta gente in piazza, pochi voti nelle urne.
Poi, con la costituzione del Pdup, nato dall'alleanza tra i compagni anche
essi sconfitti del Psiup (Foa, Miniati, Ferrati) si apri' un conflitto tra
giornale e partito: il giornale da "quotidiano comunista" era diventato
"quotidiano di unita' proletaria per il comunismo". Ci fu il tentativo del
partito di governare il giornale; Luigi si oppose e se ne ando'. Ricordo un
saluto d'addio, assai doloroso, davanti alla sede del Pdup in via Cavour. Ma
l'unita' tra partito e giornale non resse a lungo, ci fu il congresso di
Viareggio del Pdup e la rottura tra il gruppo del giornale e il gruppo del
partito. "Il manifesto" riprese la sua autonomia, che conserva ancora oggi,
e ci fu il rientro di Luigi nel collettivo del giornale e nella sua
direzione. Va pero' detto che queste rotture, non semplici, prima con Luigi
e poi con Lucio e Luciana e altri compagni meno vicini, non incrinarono mai
i rapporti di fiducia reciproca: era un modo buono e leale di fare lotta
politica.
Ora che Luigi se ne e' andato dovremmo concentrarsi sul nostro prossimo che
fare, lui un indirizzo ce lo ha dato. Cerchiamo di ripetere "Servabo".

9. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA RICORDA LUIGI PINTOR
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
Si e' spento ieri Luigi Pintor, il nostro compagno ed amico, quello che ha
ideato questo giornale, lo ha fatto con niente, ci ha insegnato a farlo. Non
lo dirigeva piu' da anni, lasciando spazio ai piu' giovani, ma ne e' rimasta
l'anima, amata o contestata: sentiamo Luigi, che ne dira' Luigi, oggi Luigi
scrive. In marzo e aprile ha scritto quasi ogni giorno contro la guerra in
Iraq, era gia' malato, non lo immaginava.
La vita non lo aveva risparmiato e non lo ha risparmiato neppure la malattia
che lo ha aggredito repentina e feroce, senza lasciargli tempo, divorandogli
in poche settimane il corpo e non permettendo alla mente vigile ne' di
sprofondare nell'incoscienza ne' di "governare il trapasso", come disse con
quel suo misto di ironia ed eleganza appena letto il risultato della tac, il
22 aprile. E' stato fino all'ultimo lucido, composto, mentre il corpo se ne
andava e la mente restava spalancata davanti all'oscurita' immensa della
morte, non cessando di interrogarla.
L'aveva frequentata fin da ragazzo, la crudelta' della fine, quando il
fratello grande, Giaime, era saltato su una mina tedesca a ventitre anni,
nel tentativo di raggiungere le formazioni combattenti del Nord. E'
terribile per un ragazzo perdere un fratello, e Giaime era qualcosa di piu'.
Era il giovane prodigioso, colto, brillante, che sapeva e spiegava tutto al
piu' piccolo di lui, e a lui infatti lasciava la lettera nella quale diceva
della sua scelta, necessaria assunzione di responsabilita', senza enfasi e
senza lirismo ma senza possibilita' di compromesso. A Luigi parve sempre
ingiusto che morisse lui, Giaime, appena oltre i suoi venti anni, prova
della crudelta' e non senso delle cose. Poi ne avrebbe raccolto gli scritti
e le carte, avrebbe custodito nella memoria dei posteri quella splendente
giovinezza, sulla quale qualcuno, l'anno scorso, avrebbe cercato di gettare
una manciata di fango.
Non so se Luigi ne abbia patito, sta nello stile dei tempi, lui, e noi, ne
abbiamo viste di tutte. Ma Luigi era stato singolarmente provato negli
affetti: la madre dei suoi figli, Marina, morta di cancro dopo anni di
sofferenza, il figlio Giaime mancato alcuni anni fa, poi d'improvviso,
intollerabile, la morte della figlia Roberta. Aveva appena ritrovato una
certa pace accanto alla sua meravigliosa Isabella in una casa che gli era
cara per essere stata della sua famiglia, quando e' stato a sua volta
afferrato dal male. Fucilato dalle perdite, gliene era venuto un senso
contraddittorio: mai mancare all'impegno ("Servabo") e la sensazione d'una
fatalita' negativa dell'esistenza, e fin un senso di colpa, la colpa di
essere, di sopravvivere, di aver mancato non si sa come e dove, che filtra
dai suoi libri, anch'essi contraddittori fra la profondita' del pessimismo e
la perfezione della forma, ed e' l'oggetto dell'ultimo di essi, scritto due
anni fa e in uscita adesso. Leggendone le bozze in clinica si sarebbe detto,
scuotendo il capo come di fronte all'ennesimo scherzo del destino, che nel
protagonista, cui il medico ha appena annunciato la malattia mortale, il
lettore avrebbe a torto veduto lui stesso, da due anni in attesa della fine,
mentre la malattia di cui scriveva era un'altra, la colpa non di avere
commesso un delitto, ma di non averlo saputo impedire.
La colpa di noi tutti, che andava, va, oltre la vicenda della persona, la
colpa del fallimento delle idee, dei comunisti.
Luigi era stato uno dei migliori giornalisti dell'"Unita'" - in verita' uno
dei migliori giornalisti italiani, per il nitore della scrittura e la
fulmineita' della vis polemica. Quando comincio' la televisione, il faccia a
faccia con l'avversario pareva fatto per lui. Non ne perdeva una, andava
sempre al segno, colpiva con quella sua infallibile e spiritosa eleganza,
senza un colpo basso, ignaro di ogni volgarita', convinto come era che il
popolo e' nobile e la sua causa va servita con nobilta'. Non capi' mai che
cosa di rivoluzionario potesse esserci nel trash o in una sgrammaticatura. E
la gente del Pci gli era grata anche di quello stile, che nulla concedeva.
Luigi e' quello di noi cui hanno voluto piu' bene.
Allora aveva alle spalle un grande partito, del quale non ignorava limiti e
vizi, ma che fino agli anni '60 gli parve rappresentare la trincea della
classe operaia italiana. Classe operaia, popolo, gli offesi, i lavoratori
dipendenti; non si impiccio' mai troppo di marxismo, Luigi, le cose gli
apparivano piu' secche e semplici, e aveva ragione che la vera posta in
gioco e' e resta la dignita' della persona. Ci volemmo bene sempre e ci
azzuffammo sempre, pensava che fossi troppo elucubrante, oltre che
asinissima nella scrittura. Ma eravamo sempre dalla stessa parte,
intendendoci negli accordi e disaccordi da lontano, fra sorriso e furore.
Sta di fatto che ci trovammo naturalmente assieme, Pintor, Aldo Natoli,
Valentino Parlato, Lucio Magri, Luciana Castellina quando il Pci tollero'
appena il 1968 e ingoio', seppur a malincuore, l'invasione russa della
Cecoslovacchia. Facemmo assieme il primo "manifesto", un mensile, e fummo
assieme esclusi dal partito.
Ma a Luigi non sarebbe mai bastata una rivista, voleva un moltiplicatore,
una nostra lista alle elezioni, e uno strumento smisurato come e' un
quotidiano. Un quotidiano era una follia, non avevamo un soldo ne' un
finanziatore, non lo avemmo mai, e la squadra sulla quale egli poteva
contare di giornalisti ne aveva due, Michele Melillo e Luca Trevisani. E un
grande grafico, Giuseppe Trevisani. Cercammo soldi da questo o quel
compagno, un milione per volta, e partimmo quando ne avemmo otto. Per anni
avremmo vissuto di sottoscrizioni, tenuti a galla dai lettori, mentre la
pubblicita' manco' sempre, fu molto al di sotto dell'area sulla quale
pesavamo e pesiamo; i padroni non si sbagliano, non ci dettero mai niente,
non ci tentarono: mai virtu' fu meno insidiata della nostra. Ma, credevamo
con Luigi, avevamo con noi tutti i comunisti che ci credevano ancora e
soprattutto quella intelligente nuova insorgenza giovanile. Sarebbe stato un
felice innesto fra i vecchi - per rapporto al movimento del 1968 eravamo
gia' "padri" e "madri" e non cosi' sciocchi da travestirci - che avevano
memoria del partito comunista piu' intelligente d'Europa e i giovani che si
sollevavano da tutte le parti, e i nuovi operai dell'autunno caldo. Sarebbe
stato l'abbraccio fra un sapere piu' freddo e un'audacia innovatrice
spericolata. Non funziono' affatto.
Alle elezioni del 1972 le nostre piazze furono piene quanto quelle del Pci,
ma nella cabina elettorale molti cuori che erano con noi preferirono votare
per un partito piu' forte. E diffido' di noi anche il post 1968 piu'
radicale e piu' frettoloso. Piu' tardi sarebbe finito disgregato o
nell'estremismo armato o nel riflusso. Difendemmo sempre questi figli che
non ci avevano badato, e molti dei quali ci fanno oggi lezione da destra.
Luigi non ne fu gran che turbato, piu' gli e' pesata la seconda sconfitta
politica, quella di noi "vecchi", l'incontro mancato fra quel che pensavamo
andasse conservato dei comunisti italiani e le nuove forze ed idee. Quanto
alla mancata eco elettorale, egli che era fra coloro che vi avevano puntato
di piu', per primo capi' che non ce l'avremmo fatta: mentre festeggiavamo,
qualche giorno prima delle elezioni, il primo compleanno del giornale, Luigi
arrivo' dicendo con l'abituale calma: Non e' andata. Non ce l'abbiamo fatta.
Sarebbero rimasti il giornale e un tentativo, fallito presto, di movimento
partito. Il giornale e' il solo sopravvissuto. Il solo quotidiano nato dal
1968 che duri e sia interamente libero, libero financo da un editore. Esile
ma rispettato. Ci conoscono in tutta Europa, ci conosce tutta l'Italia, che
ci compra soltanto nelle emergenze, mentre una base fedele di lettori ci
rende impossibile di vivere con agio e di morire di stenti. "il manifesto"
di Pintor e' un pezzo di storia italiana della seconda meta' del secolo.
Non che al suo ideatore sia stato sempre fonte di soddisfazione e di gioia.
Nel 1973 gia' scriveva una lettera disincantata e spiritosa, il giornale non
era quello che avrebbe voluto e non per la malvagita' del fato ma per i
difetti della nostre inflessibili soggettivita'. Che il riflusso degli anni
'70 e poi il crollo del comunismo, reale e non, avrebbe moltiplicato.
Eravamo liberi di riflettere la realta', e la riflettemmo anche nei suoi
erramenti. Luigi ogni tanto ruggiva, cercava di separarsi come altri fra i
padri fondatori, ma poi tornava a darci una mano. Torno' sempre, e il
giornale lo aspettava piu' o meno ammaccato, ma vivente grazie a Valentino
Parlato, sul quale hanno riposato tutte le nostre collere, perche' Valentino
non molla mai.
Ma e' tanto se abbiamo resistito, se viviamo ancora. Gli anni '90 hanno
parlato alle viscere della societa', e alla parte piu' frivola della
cultura. Luigi era stupefatto della stupidita' con la quale il mondo consuma
e uccide. Non cesso' mai di denunciarla. Non accetto' mai che fosse
obbligatorio liquidare il movimento operaio e comunista, e penso'
tormentosamente che tutti ne portassimo qualche colpa, non fosse che per
indifferenza. Ne' accetto' di liquidare quell'Urss cui fummo i primi a non
dare piu' credito ma che rappresentava almeno il simbolo d'un altro mondo e
sistema. Ancora quest'anno, nel cinquantesimo della morte, Luigi
provocatoriamente rifiutava di consegnare tutto il terribile Stalin alla
semplice damnatio memoriae. Non era di coloro che riescono ad avere pace
senza che la ragione glielo consenta. Si e' spento irriconciliato.
Ma questo siamo in pochi a capirlo. Con lui muore gran parte della mia
generazione: aveva un anno meno di me, sono piu' vicina a suo fratello che a
suo figlio. Manchera' a noi, ai compagni, agli amici e a quel che resta di
rispettabile fra i nemici, e non e' molto.

10. RIEDIZIONI: AA. VV.: POESIE DI PACE E LIBERTA'
AA. VV., Poesie di pace e liberta', Newton Compton, Roma 1993, 2003, pp.
352, euro 4. Con nuovo titolo (nella prima edizione era Il fiore della
liberta') viene opportunamente ripubblicata la vasta antologia di poesie di
tutto il mondo per la pace, la liberazione e la dignita' umana a cura di
Elena Clementelli e Walter Mauro.

11. RIEDIZIONI. STANLEY MILGRAM: OBBEDIENZA ALL'AUTORITA'
Stanley Milgram, Obbedienza all'autorita', Einaudi, Torino 2003, pp. XLVIII
+ 206, euro 20. Con un ampio saggio introduttivo di Adriano Zamperini
Einaudi ripubblica il fondamentale volume dello psicologo sociale americano
che documenta il celebre e terribile "esperimento di Milgram". Una lettura
indispensabile.

12. RILETTURE. GIUSEPPE FIORI: CASA ROSSELLI
Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999, pp. 246, lire 25.000.
Con la consueta tenerezza e precisione Giuseppe Fiori - il grande autore di
finissime e rigorosissime biografie, recentemente scomparso - ricostruisce
nei tratti salienti, nei momenti cruciali, negli svolgimenti profondi, la
vita dei martiri antifascisti Carlo e Nello, e di Amelia, Marion e Maria.

13. RILETTURE. SIMONA FORTI (A CURA DI): HANNAH ARENDT
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp.
XXXIV + 318, lire 25.000. Una bella raccolta di saggi sulla figura e l'opera
della grande pensatrice.

14. RILETTURE. CARLO LEVI: CONTADINI E LUIGINI
Carlo Levi, Contadini e luigini, Basilicata editrice, Roma-Matera 1975, pp.
212. A cura di Leonardo Sacco una raccolta di scritti, discorsi e disegni di
Carlo Levi, arricchita da saggi, testimonianze e documenti fotografici sul
grande intellettuale.

15. RILETTURE. GIULIANA SALADINO: TERRA DI RAPINA
Giuliana Saladino, Terra di rapina, Einaudi, Torino 1977, Sellerio, Palermo
2001, pp. 152, euro 7,75. Dalla ricostruzione di un fatto di cronaca una
indagine che diventa racconto corale di lotte e sconfitte, dalle occupazioni
delle terre fino all'emigrazione. Un libro di grande bellezza e potenza
euristica della giornalista e saggista palermitana di forte impegno civile
scomparsa nel 1999.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 578 dell'11 giugno 2003