Intervento di Hussam Hamdouna del Remedial Educational
Center di Gaza City
Ciao a tutti,
Ieri sera al CEIS (Centro Educativo Italo-Svizzero)
di Rimini c'è stato un intervento di Hussam Hamdouna organizzato da EducAid,
organizzazione non governativa per la cooperazione e l'aiuto in ambito educativo
e sociale.
Hussam Hamdouna, con cui tra l'altro Operazione
Colomba ha collaborato costantemente durante la sua presenza nella Striscia di
Gaza, è il responsabile del REC (Remedial Educational Center), un'organizzazione
che possiede due centri nel villaggio e nel campo profughi di Jabalyia (Gaza
City). Il REC, tramite alcuni programmi specifici e avvalendosi di personale
qualificato, si occupa di aiutare i bambini che, per effetto dell'occupazione,
hanno gravi problemi psicologici e comportamentali e non possono contare sul
sostegno delle proprie famiglie.
Anche quest'estate come per lo scorso anno, se ci
sarà possibile entrare nella Striscia di Gaza, vorremmo partecipare al campo
estivo che il REC organizza ogni anno.
Ci è sembra molto interessante proporre qui di
seguito la relazione del discorso che ha tenuto ieri Hussam perché offre
un'analisi particolare un po’ diversa dal solito degli effetti dell'occupazione
sulla popolazione della Striscia di Gaza, prendendo in esame soprattutto le
condizioni di vita dei bambini, prime vittime di questo
conflitto.
Saluti di pace,
Operazione Colomba
29 maggio 2003
Intervento di Hussam Hamdouna
La Striscia di Gaza è un territorio che si estende su
una superficie di 365 chilometri quadrati. Di questo territorio il 55% è sotto
controllo israeliano (circa il 40% è occupato da insediamenti in cui vivono non
più di 5.000 coloni e il rimanente è zona di sicurezza sotto controllo
militare). Il rimanente 45% è sotto controllo dell'Autorità Palestinese ed è
abitato da circa 1.250.000 palestinesi.
Per questo motivo la Striscia di Gaza è il territorio
con la più alta densità di popolazione del mondo.
Si può immaginare quali effetti possa avere una
situazione del genere sulla popolazione. Non vi parlerò infatti tanto
dell'occupazione israeliana in sé, quanto piuttosto degli effetti psicologici di
questa sui bambini e le famiglie.
I padri in generale diventano più aggressivi e sono
meno presenti in casa. Anche le madri diventano più aggressive ma, a differenza
dei loro mariti, sono costrette a stare in casa con i propri figli.
Il problema più diffuso tra i bambini è quello
dell'insonnia notturna. E' di notte infatti che l'attività militare è più
intensa e che avvengono le incursioni, perciò i bambini hanno più paura e la
tensione non permette loro di dormire. Di conseguenza, i bambini tendono a stare
svegli la notte per poi dormire di giorno quando dovrebbero andare a
scuola.
Quasi tutti i bambini hanno problemi di
concentrazione: dimenticano immediatamente ciò che studiano, hanno scarsi
risultati a scuola, sono molto esitanti quando si tratta di prendere una
decisione.
Per quanto riguarda i problemi comportamentali,
solitamente i bambini hanno serie difficoltà a comportarsi bene in presenza di
estranei. C'è un generale disinteresse nei confronti della scuola e di qualsiasi
attività che vi si svolge.
La difficoltà maggiore resta l'incapacità di
esprimere le proprie preferenze, di essere se stessi e ascoltare le proprie
esigenze. In generale, infatti, quasi tutti i bambini hanno scarsa autostima,
pensano di non aver alcun valore, di non contare nulla e sono quindi sempre
molto tristi.
Pensano frequentemente alla morte in generale e, più
in particolare, a se stessi da morti. Sono bambini aggressivi. Confidano poco
nelle proprie capacità e hanno molta difficoltà a fidarsi degli adulti perché
non credono che questi possano fare qualcosa per loro.
Soffrono di incontinenza perché la situazione in cui
vivono li porta ad accumulare stress interiore che poi non riescono a
controllare razionalmente.
In generale all'interno della famiglia c'è scarsa
comunicazione e poca sensibilità riguardo i problemi dei bambini, che perdono
così la prima e più importante risorsa di benessere, il primo stimolo educativo
che dovrebbero trovare nella tranquillità della famiglia. I genitori sono
aggressivi e violenti nell'educare i figli. Non incoraggiano i bambini quando
hanno un successo e non li spingono a riprovare se falliscono.
Però sono soliti intervenire in questioni esterne,
per esempio cercano di decidere per i propri figli il tipo di specializzazione
negli studi. Permettono anche l'intrusione di nonni e zii nell'educazione dei
figli. Queste intromissioni sono chiaramente negative perché i bambini non
riescono più un'unica figura di riferimento e si sentono disorientati. Qualche
volta i genitori provano ad educare i figli facendo riferimento alla religione,
ma in maniera molto superficiale. Si può facilmente comprendere come i bambini,
con tutti questi problemi, non saranno mai in grado in futuro di creare una
società funzionante. Certo l'occupazione è il principale problema per la società
palestinese, ma è importante non rassegnarsi a questa situazione e fare qualcosa
per aiutare i bambini che, essendo il 51% della popolazione palestinese della
Striscia di Gaza, vengono visti come l'unica speranza futura. Tutti noi quindi
desideriamo che essi crescano con una mentalità aperta dando loro la possibilità
di stabilire legami con il mondo esterno.
Questo è quello che tentiamo di fare al REC (Remedial
Educational Center). Naturalmente abbiamo vari programmi per realizzare il
nostro progetto:
- programmi volti al miglioramento della situazione
scolastica dei bambini.
- programmi di consulenza ai bambini e alle loro
famiglie in cui si fa una valutazione complessiva del bambino (intellettiva,
psicologica, del comportamento, delle condizioni di salute,...). Le consulenze
che si offrono sono di vario tipo (individuali, di gruppo,
famigliari).
- programmi per aumentare le consapevolezza delle
madri tramite corsi di aggiornamento organizzati appositamente per loro. In
tutti questi programmi specifici coinvolgiamo gli studenti dell'Università di
Gaza che svolgono da noi i periodi di tirocinio.
- programmi che prevedono attività ludiche e di
svago: disegno, musica, ballo, teatro, campi estivi (in cui viene coinvolta
anche la famiglia). In tutti i nostri programmi siamo soliti evitare di avere
contatti solo con i bambini, ma preferiamo coinvolgere sempre anche le loro
famiglie.
Una frase che mi piace particolarmente è: "Un uomo
non può essere veramente uomo se non ha avuto la possibilità di essere bambino
quando era bambino". Il nostro obiettivo è quindi quello di far vivere ai
bambini la propria infanzia nel migliore dei modi, con la speranza naturalmente
che l'occupazione finisca presto.
Domande del pubblico
- Qual è il
bacino di utenza del centro (lavorate solo nella zona di Gaza City o anche al di
fuori) e quante sono le persone che collaborano nella realizzazione dei
progetti?
Il REC è presente solo a Jabalyia ma con due centri:
uno presente da più tempo nel villaggio (Jabalyia Village) e uno più recente nel
campo profughi che si è creato a ridosso del villaggio (Jabalyia Camp). In
totale nei due centri vengono accolti circa trecento bambini.
Gli educatori sono approssimativamente venti, inclusi
psicologi, insegnanti, medici, educatori, ...
A volte abbiamo carenza di personale; per esempio
abbiamo un solo psicologo che adesso è in Egitto per un corso di aggiornamento
sulla psicologia infantile.
- Ci sono
interferenze nella vostra attività da parte degli occupanti (sia positive che
negative) o avete comunque relazioni con loro?
Jabalyia è la terza località a sud del check point di
Erez, dopo Beit Lahia e Beit Hanoun. Tutta questa area a nord di Gaza City è
abitualmente teatro di incursioni. E' rarissimo vedere soldati a terra e poter
avere un contatto con loro, ma la loro presenza è permanente e massiccia a bordo
di mezzi pesanti quali blindati, tank, apache, aerei F16, ... In questo ultimo
periodo quasi tutte le notti, quando non c'è un'incursione, gli apache sorvolano
comunque per molte ore la zona e nessuno può sapere cosa faranno finché non si
ritirano. Potete immaginare gli effetti psicologici di questa situazione sulla
gente.
- Come è
possibile educare i bambini ai valori del rispetto, della collaborazione, della
tolleranza quando vivete in un luogo dove la realtà vi sconfessa continuamente,
quando si vive continuamente a contatto con la
violenza?
Non abbiamo solo un concetto teorico della democrazia
e della non-violenza, ma abbiamo intenzione di applicarle concretamente.
Nell'ultimo campo estivo per esempio, abbiamo insegnato ai bambini quali sono i
diritti umani fondamentali. Prima facciamo loro capire che hanno perso dei
diritti, poi chiediamo di proporre una soluzione per riappropriarsene. Noi
lasciamo che loro si esprimano liberamente e molti dicono: " andrei a
combattere, andrei a farmi martire, ...".
Quindi interveniamo facendo capire qual è la
soluzione migliore. Ricordiamoci che sono bambini che hanno perso i loro diritti
e hanno bisogno di essere accompagnati costantemente in questo percorso.
Alla fine del campo estivo dello scorso anno, i
bambini hanno scritto dei messaggi in cui facevano le loro richieste personali
al mondo e poi li hanno messi in lanterne che hanno lasciato in mare nel porto
do Gaza. In questa attività abbiamo coinvolto anche le
madri.
Cerchiamo sempre di far comprendere che nel mondo ci
sono tanti bambini che soffrono quanto loro, ma che ci sono anche tante persone
che possono ascoltarli e aiutarli.
Anche quest'anno ci sarà il campo estivo che però
sarà leggermente diverso rispetto a quello degli altri anni perché sono previsti
due livelli:
- il gruppo dei bambini che metterà in pratica i
propri diritti attraverso il gioco (con la partecipazione anche delle
madri).
- cinque
nuovi gruppi composti da:
1. le madri;
2. i padri;
3. gli studenti
dell'università;
4. gli studenti delle scuole
superiori;
5. gli anziani (più di 50
anni).
Ognuno di questi gruppi sarà affiancato da volontari
internazionali che li aiuteranno ad applicare praticamente la democrazia
trovando soluzioni di pace.
- Come sono
le relazioni con le altre associazioni che si occupano di educazione e con gli
insegnanti delle scuole?
Abbiamo buonissimi rapporti con la scuola pubblica.
Per quanto riguarda le altre organizzazioni, già sei campi estivi sono stati
gestiti in collaborazione con altre organizzazioni non governative.
Quest'anno verranno coinvolte altre organizzazioni
che manderanno bambini con le madri e i padri.
In futuro si spera di riuscire a coinvolgere tutte le
organizzazioni che lavorano nella zona di Jabalyia.
- Per quale
motivo è più facile lavorare con le madri?
Perché tradizionalmente nella società araba il padre
dovrebbe avere la responsabilità delle relazioni all'interno della famiglia e
tra la famiglia e il mondo esterno. La situazione che si è creata conseguentemente
all'occupazione però gli ha fatto perdere questa autorità. I padri difficilmente
accettano e ammettono questa debolezza e rifiutano qualsiasi aiuto dall'esterno,
vedendolo come un'imposizione, una mancanza di rispetto e un affronto alla sua
dignità.
- Fate
campi estivi anche al di fuori della Striscia di
Gaza?
Tramite la Regione Emilia Romagna abbiamo mandato
alcuni bambini a fare campi estivi a Bologna e a Grottammare. Al loro ritorno
abbiamo notato un gran cambiamento tanto che pensiamo di ripetere
quell'esperienza in maniera più scientifica sottoponendo i bambini a test
psicologici prima della partenza e dopo il loro arrivo. Abbiamo dei criteri di
selezioni secondo i quali cerchiamo di dare priorità ai bambini con le
situazioni più critiche che hanno reale e urgente bisogno di
evadere.
Per esempio abbiamo avuto il caso molto difficile di
un bambino che esprimeva continuamente il suo desiderio di diventare martire.
Aveva anche un buon rapporto con la madre la quale però non aveva alcuna
autorità su di lui. Dopo il campo all'estero lo abbiamo ritrovato molto cambiato
e ha iniziato addirittura a collaborare con la madre.
Possiamo dire di essere riusciti a salvare questo
bambino.
- La vostra
attività trova resistenza e opposizione nella società palestinese? Da parte di
chi e in che modo?
Abbiamo buone relazioni con l'intera società. Per
esempio poco tempo fa siamo riusciti a convincere cinque organizzazioni non
governative a partecipare ai campi estivi di quest'anno. Questo è possibile
perché non abbiamo posizioni politiche dirette, ma semplicemente agiamo sui
bambini e le famiglie. I palestinesi sono persone in tutto e per tutto uguali a
voi e desiderano veramente migliorare la situazione attuale, perciò sono molto
collaborativi e partecipativi.
- Ci può
dare un suo parere personale sulla Road Map?
Non è la prima volta che il governo di Israele
approva e firma risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ma in pratica non è poi
cambiato nulla. Il problema non è firmare e stipulare accordi, ma cambiare la
mentalità di Sharon.
- Come si
può parlare di diritti e di
rispetto dell'altro a chi è costretto a vivere in una situazione che lo priva di
qualsiasi strumento utile ad attuare questi valori? Tutto questo non aumenta la
frustrazione e il senso di impotenza delle persone? Non sarebbe più giusto agire
in questo senso sugli israeliani?
Sono d'accordo. Quello che cerchiamo di fare però è
anche insegnare ai bambini quelli che sono i loro diritti in una società ancora
discriminante, indipendentemente dal problema, seppur determinante,
dell'occupazione. Per esempio i maschi vengono ancora trattati diversamente
dalle femmine, oppure a volte i bambini poveri vengono discriminati dagli
insegnanti. Anche di fronte a questi problemi della vita quotidiana i bambini
propongono soluzioni violente, mentre noi insegniamo loro la soluzione più
giusta del dialogo. Molti dei loro diritti vengono calpestati non
dall'oppressore esterno, ma internamente alla società palestinese che si deve
prendere le proprie responsabilità. La fine dell'occupazione non significherebbe
la fine di tutti i nostri problemi, perciò noi continueremmo a fare ciò che
facciamo ora anche se non fossimo sotto occupazione.
-
L'Intifada, la resistenza armata sembra, vista da fuori, un gesto senza
prospettive, ma per chi vive in quella situazione è comunque un modo per agire,
per far fronte alla frustrazione. Chi non sceglie la soluzione armata, la
resistenza come può sfogare la propria frustrazione e vincere il proprio senso
di impotenza?
Nella società palestinese ormai si è tutti d'accordo
sulla necessità di tenere i bambini fuori dall'Intifada e sull'importanza di far
vivere loro esperienze "da bambini". Possiamo inventarci un'infinità di attività
per tenerli occupati e per stimolarli. Ovviamente nei nostri obiettivi non c'è
un super-bambino senza problemi perché comunque rimane sempre il problema
onnipresente dell'occupazione, ma la cosa importante è essere consapevoli della
sofferenza e impegnarsi per contrastarla.
A cura dell’Operazione Colomba -
Comunità Papa Giovanni XXIII
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