[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

[INEDITO] Intevista a Gilles Kepel: avremo kamikaze italiani?



LA PAURA NON FA NOVANTA, MA KAMIKAZE ISLAMICO.
ANCHE IN ITALIA.

Di Maria de falco Marotta.

Dopo i sanguinosi attentati in Israele, Riad e Casablanca, il terrorismo 
emerge, ancora una volta, come un rischio planetario. Tanto si sapeva che 
la "Jihad globale" sferrata da Osama Bin Laden l'11 settembre A New York, 
avrebbe infranto ogni barriera, anche quella dei Paesi del ventre mollo 
dell'islam (Marocco, Turchia..., cioe' i paesi musulmani piu' 
"occidentalizzati"), specie dopo la "sconfitta" dell'Iraq. Ciascuno di noi 
comincia a percepire un senso di insicurezza e di angoscia, che entra nel 
nostro vissuto, nella nostra quotidianita', per la semplice ragione che nel 
passato, si pensava al "nemico" lontano da noi, oggi invece e' in casa, si 
annida come una serpe fra noi. Infatti, in Italia, grazie alla nostra 
benevolenza politica di "volemese tutti bbene" , sono presenti delle 
associazioni che  rappresentano le centrali dell'islam integralista e 
radicale mondiale: 1) i Fratelli musulmani; 2) il wahhabismo saudita; 3) lo 
sciismo khomeinista; 4) l'ideologia jihadista di Bin Laden.

E' inutile chiudere gli occhi.  Le varie  inchieste giudiziarie, in 
particolare quelle svolte a Milano e a Napoli, hanno confermato la presenza 
di cellule terroristiche islamiche nel nostro paese, una "struttura 
organica dell'islam radicale" , oltre che l'infiltrazione

dell'ideologia islamica radicale. Ospita cellule di Al Qaeda e di gruppi 
terroristici mediorientali. È divenuta terra d'indottrinamento e 
arruolamento per aspiranti mujahiddin, miliziani islamici, che hanno 
combattuto in Afghanistan, Bosnia e Kashmir. Forse anche in Palestina e 
Iraq. Dai pulpiti di certe moschee si predica la Jihad, la Guerra santa; 
s'esaltano i "martiri"(gli  shahid), si pratica il Takfir(la condanna 
d'apostasia, con la sentenza di morte, nei confronti dei musulmani che non 
condividono l'interpretazione fondamentalista e violenta 
dell'Islam).Inoltre, gli estremisti islamici hanno sentenziato che l'Italia 
e' diventata un Dar al-harb, territorio di guerra, legittimandone 
l'aggressione(Tu, quoque Bruti, fili mihi! O qualcosa di simile, visto che 
il latino e' lontano).

Avremo, insomma, kamikaze col marchio DOC, cioe' "italiani".

Ma cosa li muove?

Il giovane musulmano decide di sacrificare la propria vita per la causa 
dell'islam per tre ragioni: 1) lo stato di necessita' ( la poverta' e la 
vendetta); 2) l'emarginazione sociale (la frustrazione per l'incapacita' di 
inserirsi con successo nella societa' nel contesto di un sistema avvertito 
come socialmente ingiusto); 3) la crisi d'identita' (il rifiuto o la 
dissociazione dal sistema dei valori vigenti o comunque di riferimento). In 
Italia, dove gli immigrati provengono in maggioranza da paesi poveri, si 
notano tutte e tre queste cause.

Senza poi dimenticare che il loro sistema religioso- culturale  forgia le 
menti e gli animi degli aspiranti mujahiddin e shahid, per mezzo delle 
moschee che predicano la Jihad, esaltano il "martirio" e praticano il 
Takfir;  i centri islamici che  fungono  da basi di arruolamento e 
trasferimento dei mujahiddin sui campi della Jihad all'estero;  il 
complesso informativo e culturale (scuole islamiche, libri, audio e 
videocassette, siti Internet, seminari, manifestazioni pubbliche) che 
convalidano un'identita' islamica separata dalla societa' italiana e 
avallano una militanza rivoluzionaria contro i valori dell'Occidente.

Dal punto di vista finanziario, il denaro ai gruppi islamici radicali 
affluisce da varie fonti: 1) le donazioni fatte alle moschee: l'elemosina 
durante la preghiera collettiva del venerdi'; la zakat, una tassa islamica 
annuale; la sadaka, un'offerta una tantum nelle festivita'; 2) i proventi 
di attivita' commerciali legate alle moschee (macellerie, alimentari e 
ristoranti halal-  puri, cioe' secondo le norme coraniche-, librerie); 3) 
cooperative sociali e culturali, attivita' d'import-export; 4) 
organizzazioni non governative di soccorso islamico; 5) societa' 
finanziarie islamiche; 6) donazioni di governi e enti islamici stranieri.

Secondo Robert Baer, ex agente della Cia in Medio Oriente:" per la 
stragrande maggioranza della popolazione saudita Osama Bin Laden e' un 
santo e il martirio rappresenta un'opzione concreta per migliaia di giovani 
senza prospettive".

Senza voler "criminalizzare" ulteriormente, i tanti extracomunitari di fede 
islamica che qui hanno trovato le "sette vacche grasse" del famoso Giuseppe 
che pure loro conoscono, e' un impegno di tutti quello di informare 
accuratamente sulla loro diversita' culturale che persiste e non avra' mai 
e poi mai fine, visto che si appella ad Allah ed e' sancita dal Corano, 
Parola immodificabile di Dio.

Per tale ragione, propongo l'intervista ad un notevole esperto dell'islam, 
il Prof. Gilles Kepel che ci raccomanda  " per giudicare, bisogna conoscere 
l'islam"(Fondamenta, Nel Conflitto, Venezia 2002) e che mai avrei pensato 
di utilizzare, trovandola alquanto "pesante" e non necessaria alla 
situazione italiana( ah, la superficialita'!).

DOMANDA: lei e' convinto che il radicalismo islamico e' sostanzialmente in 
calo?

RISPOSTA: credo possibile che esso lasci il posto alla democrazia, anche 
nei paesi dove e' piu' diffuso. Esiste tuttora il rancore contro l'America, 
una certa popolarita' di Bin Laden, la mitizzazione religiosa, pero' ho 
registrato, soprattutto, il fascino per l'Occidente.

DOMANDA:  e questo a cosa e' dovuto?

RISPOSTA:  vi sono vari documenti di istituzioni internazionali come l'ONU 
o di altri emeriti studiosi dell'islam che affermano che nei paesi arabi, 
manca la liberta',  alle donne non e' dato alcun potere politico e vi sono 
scarse capacita' umane- conoscenze in rapporto al reddito. Nei paesi 
arabi  si registrano i piu' bassi livelli  di liberta', inferiori persino a 
quelli dell'Africa sub-sahariana.

Mentre le donne arabe hanno fatto progressi in termini di istruzione 
primaria, annotano ancora un punteggio modesto nella gestione del potere, 
in quanto non risultano coinvolte nel processo politico. Nella graduatoria 
mondiale superano solo di un gradino lo status delle donne dell'Africa 
sub-sahariana, che rimangono in fondo, pur essendo il 50 per cento della 
popolazione. La loro presenza nei parlamenti arabi e' di appena il 3,5 per 
cento.

In quanto alle capacita' umane- conoscenze in rapporto al reddito, si 
sottolinea che le capacita' umane sono assai deboli e male utilizzate nella 
regione a causa dei sistemi didattici poveri e dell'alto tasso di 
analfabetismo. Su una popolazione complessiva di 280 milioni, ben 65 
milioni di arabi sono analfabeti e di questi due terzi sono donne. 
Istruzione povera vuol dire accesso limitatissimo all'acquisizione di 
conoscenze. In base al numero di Internet hosts in rapporto alla 
popolazione, i vari esperti  concludono che i paesi arabi hanno il livello 
piu' basso di accesso alla cosiddetta Information Technology, inferiore, 
ancora una volta, all'Africa sub-sahariana. Un altro aspetto di accesso 
povero alle conoscenze e' il basso tasso di finanziamenti per la cosiddetta 
Ricerca e Sviluppo (R&S). Le spese in questo campo, in relazione al Pil, 
sono dello 0,4 per cento nel mondo arabo, rispetto all'1,26 di Cuba, al 
2,35 di Israele e al 2,9 per cento del Giappone.

Cosa ne discende da tutto questo?

In base alle indagini degli studiosi , ben il 51 per cento dei giovani 
hanno espresso il desiderio di emigrare in altri paesi, come misura della 
loro insoddisfazione per le condizioni attuali e le prospettive future nei 
loro paesi. Percio' la differenza fra aspirazioni e loro realizzazione ha, 
in alcuni casi, condotto ad alienazione, apatia e scontento. E questo, per 
inciso, l'ho rilevato personalmente, interrogando tantissimi nel mio 
viaggio che mi ha permesso di scrivere il libro gia' citato.

DOMANDA: lei insiste a dire che l'islam politico e' fallito e cio' viene 
considerato con un certo imbarazzo, dopo gli attacchi alle Torri gemelle di 
New York( e oggi???) che hanno gettato il mondo occidentale nell'angoscia e 
il continuo scoprire , spesso anche in Europa, di cellule terroristiche 
affiliate a Al Qaida...

RISPOSTA: , oggi disponiamo della distanza necessaria per analizzare questo 
fallimento, seppure vengano individuati vari gruppi di estremisti. La 
gestazione dell'idea islamista contemporanea, e' iniziata negli anni '60. I 
teorici erano Sayyid Qotb, l'ideologo dei Fratelli musulmani egiziani 
impiccato da Nasser nel 1966, Mawdoudi, il pakistano che ha esercitato 
un'influenza considerevole nell'Asia del sud, fino all'Afghanistan dei 
taleban e, certamente, l'ayatollah Khomeini, il solo ad aver portato a buon 
termine il suo progetto.

La rivoluzione islamica iraniana simbolizza il secondo periodo, di cerniera 
tra gli anni '70 e gli anni '80. Ben al di la' del mondo sciita, il suo 
"effetto propulsore" si propaga in tutto il mondo musulmano. La lotta 
contro i sovietici dei mujaheddin afghani, sostenuti finanziariamente e 
ideologicamente dai sauditi, costituisce il secondo polo dell'espansione 
islamista degli anni '80. Sopravvengono allora l'apogeo e il declino, che 
si possono situare all'inizio degli anni '90, conseguenza ad un tempo dei 
contraccolpi dell'invasione irachena del Kuwait, della resistenza dei 
poteri in carica  e della rottura tra le diverse componenti del movimento 
islamista, sostenuto dalla borghesia religiosa, dalla gioventu' urbana 
povera e dall'intellighenzia militante. Solo Khomeini, grazie alla sua 
abilita' , e' riuscito a saldare i tre gruppi, almeno per il tempo 
necessario a concludere con successo la rivoluzione e a consolidare il suo 
potere. Dappertutto  l'alleanza tra la gioventu' urbana povera e la 
borghesia religiosa, quando c'e' stata, si e' disfatta, perche' la prima 
rimproverava alla seconda la sua vigliaccheria mentre quest'ultima 
indietreggiava di fronte alla deriva terrorista di gruppi con riferimenti 
teologici dubbi. La grande astuzia dei poteri in carica - dall'Algeria 
all'Egitto, passando per la Palestina o la Giordania - e' consistita nel 
recuperare la borghesia religiosa emarginando i gruppi estremisti 
provenienti dalla gioventu' povera.

Da  questo fallimento,  i delusi dall'islamismo non hanno ora altra scelta 
che rivolgersi alla democrazia occidentale, solo vettore possibile di una 
modernita' alla quale tutti aspirano. Nel nuovo millennio, potrebbe 
accadere che si possano integrare i gruppi sociali esclusi dopo 
l'indipendenza, favorendo la nascita di una sorta di democrazia musulmana, 
mescolando in modo inedito cultura, religione e modernita' politica come 
economica. Questo scenario presuppone che le rinnovate e'lites che arrivano 
al potere, dal Marocco di Mohammed VI alla Giordania di Abdallah II, 
dall'entourage tecnocrate e militare del presidente algerino Bouteflika a 
quello del presidente indonesiano Wahid, siano capaci di proiettarsi nel 
futuro. Se queste e'lites si accontentano di trarre un profitto immediato e 
egoista dalla scadimento dell'islamismo, senza impegnarsi nelle riforme, il 
mondo musulmano si confrontera' a breve con nuove esplosioni, di matrice 
islamista, etnica, razziale, religiosa o populista.

DOMANDA: vi sono delle differenze tra islamismo khomeinista iraniano e 
quello talebano?

RISPOSTA: dal punto di vista dottrinale la prima differenza e' che l'Iran 
e' un paese a maggioranza sciita e che il regime dei Talebani e' stato un 
regime aggressivamente sunnita. L'Afghanistan e' un coacervo di 
popolazioni, tra cui il gruppo Pashtun, da cui provengono la maggioranza 
dei Talebani. L'altra differenza e' che l'Iran e' un paese sviluppato e 
sofisticato con una societa' civile estremamente ricca: in questi ultimi 
anni si e' dotato di una stampa particolarmente critica. È una societa' che 
ha fermenti molto significativi di resistenza all'ordine costituito, alla 
ricerca di un difficile equilibrio tra i conservatori e coloro che vogliono 
inserire la traiettoria della Repubblica islamica nella modernita'. Basta 
ricordare i fermenti delle varie universita' e la visibilita' delle donne 
iraniane nell'uso della tecnologia e dei Media.

DOMANDA: cio' fa supporre che i religiosi iraniani sono permeabili alla 
moderazione e alla democrazia, mentre i religiosi talebani non lo sono 
affatto? E perche'?

RISPOSTA: in Iran tra i religiosi vi sono persone che hanno riflettuto 
sulla questione della democrazia e che si sforzano di realizzare quella che 
potremmo chiamare una democrazia musulmana, un po' come esiste la 
democrazia cristiana. Questo non e' avvenuto in Afghanistan perche' i 
Talebani sono stati formati da una scuola molto rigorista di islam sunnita, 
la scuola Deobandita( da Deoband, citta' a nord di Delhi), una forma di 
rigorismo secondo la quale la democrazia  e' una forma di empieta'.

DOMANDA: il mondo musulmano visto da una prospettiva europea, spesso viene 
equivocato. Quali sono gli errori piu' comuni che si commettono?

RISPOSTA: uno dei problemi ricorrenti riguarda il fatto che da entrambe le 
parti vi sono un certo numero di attori politici interessati a montare 
discorsi che legittimino il cosiddetto "scontro delle civilta'", ovvero che 
lavorano ad alimentare l'immagine delle culture come insiemi omogenei e tra 
loro antagonisti, facendo passare in secondo piano o negando del tutto, le 
contraddizioni interne alle diverse societa'. Inoltre, c'e' da parte di 
costoro una seria tendenza a chiudersi nella propria cultura sminuendo la 
solidarieta' che attraversa societa' tra loro distanti. Nel caso del mondo 
musulmano, i movimenti islamisti nati nel corso del XX secolo, la cui forza 
e' esplosa soprattutto a partire dagli anni '70, si sono palesati sempre 
parecchio impazienti di produrre una ideologia religiosa il cui obiettivo 
fosse di ammorbidire o occultare la conflittualita' sociale. Nel mio libro 
ho cercato di dimostrare come il movimento islamista sia tutt'altro che 
omogeneo. Inoltre, non e' raro che gli occidentali considerino i musulmani 
come una massa di poveracci, di individui a piedi nudi, trascurando di 
valutare il peso delle classi medie religiose, dei commercianti e di un 
complesso di studenti, intellettuali e produttori di ideologie; perche' la 
via per conquistare il potere e' sempre passata attraverso la saldatura di 
queste diverse componenti sociali intorno a un discorso religioso 
temerario. E' accaduto, per fare l'esempio piu' clamoroso, in Iran, dove 
una volta che Khomeini ha trionfato si e' assistito alla eliminazione 
progressiva dei gruppi sociali piu' deboli da parte del clero alleato con i 
mercanti dei bazar. Dovunque, il successo e poi il fallimento dei movimenti 
islamisti sono dipesi dalla capacita' o meno di costruire alleanze di 
classe. Un altro tra gli equivoci piu' comuni riguarda l'uso del termine 
jihad: solo in determinati contesti prende la valenza di lotta armata 
contro gli empi. Ma nella storia dell'islam e' stata usata dagli ulema con 
molta moderazione, perche' e' un provvedimento a doppio taglio e puo' 
facilmente rivoltarsi contro chi l'ha proclamata. La jihad sospende gli 
obblighi che regolano la societa', crea una sorta di stato d'eccezione e se 
non e' ben controllata puo' sfociare nella sommossa e nella guerra civile, 
con le ovvie conseguenze di un pesante indebolimento sociale.

DOMANDA: dal suo libro(( Gilles Kepel, L'autunno della guerra santa: 
Viaggio nel mondo islamico, Carocci 2002) si evince che i movimenti 
islamici piu' radicali siano particolarmente esperti nei Media e che 
abbiano un'eccellente familiarita' con le nuove tecnologie. Lei racconta 
che fin dall'88 l'organizzazione di Bin Laden ha creato un database in cui 
sono schedati tutti gli jihadisti e i volontari passati per i campi di 
addestramento. Come si interpreta la scelta di questo incrocio del 
fondamentalismo piu' intollerante con le conquiste della tecnologia avanzata?

RISPOSTA: tanti dei militanti jihadisti sono usciti dalle facolta' delle 
scienze applicate: tra loro vi sono studenti di ingegneria, di medicina, di 
informatica divenuti molto presto attivi in questi campi con la pretesa di 
esercitare sulle conquiste scientifiche un controllo che ponesse la loro 
visione del mondo al riparo da ogni possibile corruzione. Invece di 
rimettere in questione i precetti religiosi avviando una riflessione che 
sarebbe stata d'obbligo, si sono irrigiditi nella edificazione di una 
barriera tra l'ideologia religiosa e quella tecnologica, salvo poi 
utilizzarne i risultati. Gli attentati al World Trade Center, spaventosi 
per le migliaia di morti, i danni e le conseguenze catastrofiche che hanno 
creato, si inscrivono deliberatamente nella ricerca di un grande scenario. 
Certo, dietro a Bin Laden esiste un reticolo complesso formato da individui 
da lui utilizzati e che probabilmente lo usano. Bisognerebbe capire a chi 
fa capo la rete delle sigle finanziarie, quali gruppi nascondono e quali 
interessi incontrano nei diversi paesi. Per ora, e' impensabile  conoscerli.

DOMANDA: fanno una certa impressione gli attentatori suicidi. Quali radici 
storiche e culturali ha il loro  reclutamento nel mondo islamico?

RISPOSTA: e' un fenomeno variabile nel corso della storia. Quando e' stato 
possibile accertare l'identita' dei kamikaze, colpisce il fatto che 
provengono dalle classi medie della penisola arabica, insieme alla 
constatazione che hanno studiato e sono stati educati in buone famiglie. Lo 
confermano i siti Internet degli islamisti, dove sono pubblicate le 
biografie dei "martiri della jihad" morti in Bosnia, in Cecenia; e cio' 
vale anche per i terroristi che sappiamo coinvolti nei recenti attentati. 
Del resto, lo stesso Bin Laden proviene da una famiglia di muratori, anche 
se poi il padre si costrui' una carriera strepitosa come costruttore di 
corte. Dunque, il reclutamento non si verifica, come ci si sarebbe potuto 
aspettare, tra le masse dei diseredati che non hanno nulla da perdere. Cio' 
e' un segno degno di attenzione, che necessita di essere compreso. E' come 
se l'ideologia e la forza della jihad colpisse in determinato modo la 
sensibilita' dei figli della media borghesia.

DOMANDA: Lei definisce  Bin Laden un personaggio "assurdo", ma allo stesso 
tempo sembra attribuirgli una certa congruenza ideologica. Per esempio, nei 
mesi immediatamente precedenti l'invasione del Kuwait, le "sparate" di 
Saddam Hussein indussero Bin Laden a offrire il suo aiuto alla monarchia 
saudita per difendere le frontiere. Ma quando re Fahd, nonostante fosse il 
"servitore dei due luoghi santi", si appello' alla coalizione 
internazionale guidata dagli Stati Uniti, Bin Laden si uni' ai gruppi 
ostili al potere e ruppe radicalmente con Riyadh...

RISPOSTA: Bin Laden e' stato educato in Arabia Saudita, ma la sua logicita' 
ideologica e' nata nel milieu salafista ed e' stata ulteriormente 
rinforzata nei campi di formazione afghani, enfatizzandosi con i principi 
della jihad, che egli concepisce nella sua forma piu' violenta e 
minoritaria. A questa Bin Laden e' rimasto fedele, come pure al lavoro 
sociale e di formazione delle folle, che ha indirizzato prima contro i 
sovietici invasori dell'Afghanistan, poi contro i nemici americani 
dell'islam che si erano insediati nell'Arabia Saudita.

Domanda: i talebani pero', si sono foggiati alla scuola deobandita, una 
filiazione dell'islam poco conosciuta, che ha avuto larga influenza in 
India e in Pakistan. Quali sono le origini storiche di questo gruppo?

RISPOSTA: quando gli inglesi iniziarono la colonizzazione del continente 
indiano, la maggioranza del paese era indu e la dinastia musulmana si 
trovo' ad essere contemporaneamente in una posizione di minoranza e 
sottoposta al potere degli stranieri. Bisognava scoprire un modo di 
applicare la legge coranica nella vita quotidiana: per se stessi, visto che 
non c'era uno stato musulmano di riferimento che la rendesse d'obbligo. I 
precetti religiosi furono imposti attraverso ogni sorta di fatwa e di 
diverse deliberazioni giuridiche prese dagli ulema. Dalla reazione alla 
necessita' di restare buoni musulmani in una condizione di marginalita' 
politica, si origino' la risposta dei deobanditi, i quali edificarono una 
sorta di controsocieta' senza stato. Al loro insegnamento si richiamano i 
talebani, cioe' gli studenti di teologia figli dei rifugiati afghani 
durante la guerra contro i sovietici, che vennero educati nelle scuole 
religiose pakistane(le madrasse), dove svilupparono un'idea di 
controsocieta' religiosa. Tornati in Afghanistan, a partire dal 1994 
vennero aiutati a prendere il potere dai servizi segreti pakistani 
appoggiati dagli Stati Uniti. Due anni prima i mujeaddin afghani avevano 
rovesciato il regime filosovietico e la situazione era sfociata nella 
anarchia piu' assoluta. Percio', purche' ci fosse un governo stabile, e 
senza preoccuparsi di che natura esso fosse, i talebani vennero istallati 
alla guida dell'Afghanistan con ingenti aiuti della CIA.

DOMANDA:  secondo lei, quali saranno le ripercussioni degli attentati 
dell'11 settembre sulla pace tra Israele e Palestina?

RISPOSTA: In questa circostanza le tensioni in Medio Oriente sono 
particolarmente esasperate, e cio' fa supporre a contraccolpi molto 
pesanti. In effetti, dall'inizio della seconda intifada, nell'autunno del 
2000, si e' formata nella maggior parte degli stati musulmani un'opinione 
pubblica fortemente antiamericana. Il governo degli Stati Uniti viene 
accusato di non avere posto freni alla politica di Sharon, e questo ha 
esasperato gli animi. Si e' creato un clima tale che la solidarieta' con 
l'America e' debole. Se confrontiamo la situazione attuale con quella del 
'91, all'indomani della vittoria militare americana in Iraq, la differenza 
e' evidente. Allora, Bush padre piego' il braccio tanto agli israeliani che 
ai palestinesi per costringerli a intraprendere la logica delle 
negoziazioni che avrebbe condotto agli accordi di Oslo. Oggi, invece, pare 
che l'amministrazione Bush abbia trascurato del tutto la questione 
mediorientale.

DOMANDA: per quali ragioni, secondo lei, i movimenti islamisti del mondo 
contemporaneo, non sono mai andati al potere, salvo che in Iran, e anche 
qui per un tempo storicamente breve?

RISPOSTA: la sfida storica di fronte alla quale si sono trovati i movimenti 
islamisti del XX secolo si e' giocata sul terreno dei diversi nazionalismi 
che si opponevano alle occupazioni coloniali. Una volta conquistata 
l'indipendenza, gli islamisti di opposizione, che pure erano presenti nella 
coalizione nazionalista, vennero sconfitti e il mondo dell'islam storico si 
ritrovo' frammentato in diverse comunita' di riferimento, dagli stati arabi 
alla Turchia, dal Pakistan alla Malesia e all'Indonesia. All'epoca, due 
differenti ideologie si scontravano nei nuovi stati: quella dei 
nazionalisti laici, che magnificavano la rottura con il passato, e quella 
dei pensatori islamisti piu' influenti che la deprecavano. Ma il loro 
tentativo di promuovere una rivoluzione culturale fondata sul riferimento 
religioso all'islam falli', travolto dalle ambiguita' delle alleanze 
sociali o dalla conflittualita' di classe. I rapporti di forza si 
rovesciarono di nuovo negli anni '70, quando i movimenti islamisti si 
riaffermarono sulla scena, proprio in opposizione alle istanze 
nazionaliste. Ancora una volta, pero', mancarono di coerenza politica: la 
loro forza dipendeva nel dare rappresentanza a una coalizione sociale 
eterogenea, com'e' avvenuto in Iran. Ma per ottenere questo obiettivo 
bisognava rendersi portatori di un ideale religioso e morale, che non puo' 
allo stesso tempo contenere un progetto politico davvero moderno. Da questa 
ambiguita' nasce la loro debolezza ideologica.

DOMANDA: lei riferendosi ad un certo estremismo islamico e ai talebani, 
parla di milieu salafista, di scuola deobandita, di madrasse...Puo' 
chiarirci questi richiami?

RISPOSTA: Esistono diverse definizioni del termine "salafismo", ma il modo 
in cui viene interpretato da Bin Laden e dalla gente della Jihad fa 
riferimento a una visione molto letterale e rigorista dell'islam, che 
assomiglia un po' a quella che viene messa in atto in Arabia Saudita; il 
modello del wahabismo saudita ha fortemente influenzato la visione del 
mondo adottata da persone come Bin Laden che, tra l'altro, si e' formato 
nel contesto saudita. Alcune brigate internazionali, nate per respingere 
fuori dai confini dell'Afghanistan le truppe dell'Armata rossa, raggiunto 
l'obiettivo si trasformarono per operare fuori dai confini e per dare il 
proprio contributo alle diverse cause dell'islamismo radicale nel mondo. La 
base dottrinale su cui si mossero i primi militanti fu quella del 
"salafismo della Jihad", un ritorno cioe' alla tradizione ("pii antenati", 
salaf in arabo), prendendo alla lettera le prescrizioni dei Testi sacri e 
ricorrendo alla Jihad per raggiungere gli obiettivi. I 'salafisti della 
Jihad' presentarono delle affinita' con un altro gruppo dell'Islam locale, 
i Taleban che nel 1996 conquistarono Kabul. La differenza risiedeva 
essenzialmente nel fatto che i Taleban, di etnia pashtun, provenivano dalle 
madrasse tradizionali di scuola deobandita che non considerano la Jihad una 
priorita', hanno inoltre uno scarso senso dello Stato e sono poco 
interessate alle questioni internazionali. La Jihad per loro deve essere 
soprattutto rivolta contro la societa', cui impongono un rigorismo assoluto.

Le Madrasse - scuole islamiche della setta deobandita - diventano centri di 
raccolta, assistenza ed addestramento politico militare. In questo senso 
rappresentano un vero elemento innovativo della strategia di penetrazione 
del fondamentalismo islamico. Il Deobandismo, l'ideologia edificante dei 
taliban, e' una setta sunnita, nata alla meta' del XIX secolo nella citta' 
indiana di Deoband (da cui il nome) a nord di Delhi. E' caratterizzata dal 
rigorismo basato sulla lettera delle scritture (simile al wahabbismo 
saudita) con un'impronta decisamente conservatrice. La struttura della 
setta si sviluppa attraverso le scuole (madrassa - scuola e taliban - 
studente) che hanno lo scopo di formare ulema capaci di esprimere fatwa sui 
diversi aspetti della vita. Inoltre la formazione degli ulema avviene 
attraverso il sistema convittuale per cui il giovane viene immerso 
completamente nella madrassa e nella sua socializzazione e sradicato dal 
suo ambiente sociale. In Afghanistan, dove vi sono stati migliaia di 
orfani, la prospettiva deobandita  ha rappresentato una forma di assistenza 
e di integrazione sociale.

DOMANDA: fino a che punto e' lecito forzare la comprensione di una cultura 
"altra", come e' l'islamica?

RISPOSTA: la risposta e' nell'individuo che, di fronte a etnie e culture 
diverse si ritrova ad essere egli stesso altro e diverso, e quindi nella 
propria volonta' non di ri- conoscere, ma di conoscere e di farsi 
conoscere, nell'integrita' e nel rispetto che ogni essere umano e quello 
che porta con se' merita.

SCHEDA

CHI e':

Gilles Kepel, scrittore e professore all'Institut d'e'tudes politiques di 
Parigi, e'  tra i maggiori studiosi dell'Islam politico. E' invitato a 
moltissimi convegni internazionali( a Venezia vi e' stato per le giornate 
di studio alla G. Cini :"Quale Dio, per quale umanita'? nel maggio 2000 e 
a  Fondamenta( giugno 2002): Nel conflitto. I suoi libri piu' noti sono: 
Jjhad. La rivincita di Dio e L'autunno della guerra santa: Viaggio nel 
mondo islamico( Carocci 2002).Si esprime in un perfetto italiano, oltre che 
a parlare correntemente  varie lingue.