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Diario da Kabul #5
Diario da Kabul
Di Simona Lanzoni - Pangea
Vorrei scrivere di Kabul scene di vita quotidiana, ne vedo talmente tante
che non so da dove cominciare, dopo un po' di tempo che ci si trova qui
l'occhio si abitua e la mente non seleziona piu' scene di ordinaria miseria.
Bambini che si lavano dentro una pozzanghera di fango alta un
metro, persone che si mettono a fare i bisogni sul ciglio della strada,
mendicanti che si attaccano alla tua macchina per avere elemosina, bambini
che si picchiano per strada, la polizia militare che ti ferma, gli
insistenti sguardi degli uomini che ti seguono fino a perderti di vista.
....Mi chiedo qui la parola pace quando comincera' ad avere un vero
significato.
Kabul rispetto al marzo dell'altr'anno e' molto cambiata, strade affollate
brulicanti di piccole attivita' commerciali, hanno anche ricominciato a
costruire nuovi palazzi, buon segno, vuol dire che si spera in un futuro
migliore!!! Ma se si fa attenzione, ci si accorge ben presto che e' solo il
genere maschile che occupa lo spazio pubblico!
È con loro che mi confronto ogni giorno, ti sorridono, ti convincono, ti
mandano a quel paese e tu fai lo stesso, ma le donne? Le donne occupano
solo lo spazio del burqa, loro colorano di blu le strade come parti di
cielo che qui, a 1800 metri, splende come non mai! Cammino veloci, fanno
compere ma non vendono, hanno quasi sempre bambini con se. Il vento fa
ondeggiare le stoffe disegnando i contorni dei loro corpi.
Non ho mai il piacere di incontrarne occhi di donna con cui trattare il
prezzo su una merce. Qui le donne continuano a fare una vita completamente
segregata. Il loro compito e' quello di cucinare, badare alla casa, fare
figli e occupare fisicamente lo spazio domestico; la noia qui non esiste,
prende il nome di depressione per chi conosce questo termine altrimenti non
si sa, si vive una vita apatica, senza sapere, senza sentire....Molte
donne, che negli anni 90 erano profughe insieme alle loro famiglie in
Pakistan, avevano garantita un minimo di liberta', tornate da poco in
Afghanistan si sono ritrovate di colpo a subire una nuova vita di
restrizioni perche' gli stessi mariti non danno loro il permesso di fare
cose per paura del giudizio sociale.
Il Vento, la polvere mi entra in bocca e si infila in ogni piega della
pelle, quando tira vento penso che il velo sia una grande invenzione,
almeno mi protegge!
Protezione, con questa parola si giustifica tutto in questa societa'
assolutamente patriarcale e conservatrice,-"le donne vanno protette"-
dicono questi uomini,- "da chi"- chiedo io, -"dagli uomini"- rispondono
loro!!! -"Ma non potreste controllarvi un po' di piu' voi maschietti?"- le
storie di stupri e di rapimenti qui si sprecano!!! La parola pace avra' mai
un significato? Pace non e' solo assenza di guerra, il conflitto sociale ed
etnico a Kabul e' sempre in agguato (senza parlare del resto
dell'Afghanistan dove ancora si combatte tra i signori della guerra) e la
repressione sociale che viene applicata a partire dalle donne e' il sintomo
di una piu' forte spinta verso un violenza radicata e sommersa che continua
a interagire nelle relazioni sociali.
Pace, "se vuoi la pace prepara la pace".
Non ho risposte a questa frase applicata in quest'ambiente, penso che prima
ancora di parlare di pace qui si debba parlare di conoscenza alla ricerca
di un dialogo tra il genere maschile a quello femminile. La pace qui e' un
bisogno enorme, nessuno la puo' regalare, non c'e' cooperazione
internazionale o aiuti di emergenza che tengano, sono gli stessi afghani
che devono costruirla...
La polvere resta ancora nelle pieghe della mia pelle....vento portale via e
svelami la pazienza del dubbio e dell'attesa.....
[Nota: A partire dal 1 Maggio 2003 il sito www.peacelink.it pubblica le
lettere inviate da Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea
Onlus, che insieme alla fotografa e ricercatrice Stefania Scarpa sara' a
Kabul per seguire l'avvio del progetto Jamila, promosso da Pangea insieme
all'associazione locale HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and
Children of Afghanistan)].