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Guerre&Pace: La democrazia delle cannoniere



MONDO/mese

La democrazia delle cannoniere

L'unico obiettivo "legittimo" della guerra preventiva, quello del disarmo iracheno, già poco credibile alla vigilia dell'aggressione anglo-statunitense, è diventato sempre più risibile in corso d'opera, quando le uniche "armi di distruzione di massa" rinvenute sono state le bombe a frammentazione degli invasori. Così, per legittimare la guerra ("anche se non ci fossero armi proibite", come comincia a dire Bush), la propaganda bellicista deve continuare a sventolare l'altro obiettivo, del tutto fuori norma e inapplicato nel resto del mondo: eliminare il tiranno e "portare la democrazia".

Senonché, a parte l'annosa questione sulla possibilità di portare la democrazia (e la rivoluzione) con gli eserciti d'occupazione, sta il fatto che la rinascita "democratica" di un paese come l'Iraq, segnato da molti decenni di regimi dittatoriali che hanno escluso da ogni partecipazione la società civile, non è stata preparata ma anzi attivamente impedita per dodici anni, con l'embargo e con i bombardamenti, dagli anglo-statunitensi. E né prima né durante la guerra si sono manifestati una Resistenza interna organizzata o un embrione di governo autonomo per guidare la transizione. Il che rende grottesco parlare di "25 aprile iracheno".
Manca d'altra parte agli Stati uniti, dopo cinquant'anni passati a fomentare o appoggiare colpi di stato e regimi militari, ogni credibilità e ogni titolo come liberatori. Restando al Medio Oriente, senza citare Guatemala, Vietnam, Indonesia, Cile ecc., si devono agli Usa, come ricorda Chiarini sul "manifesto", il "golpe contro Mossadeq nel '53", la sponsorizzazione della guerra civile e dell'invasione israseliana in Libano, il "sostegno a tutti i regimi autoritari del mondo arabo". E la stessa criminale dittatura di Saddam non avrebbe potuto mantenersi e rafforzarsi senza il sostegno politico e militare degli Usa (e dell'Occidente), così come non si sarebbe neppure potuto insediare senza l'appoggio di Stati uniti, Pakistan e Arabia Saudita il regime dei talebani in Afghanistan.

Sostenere o imporre dittature che reprimono ferocemente le loro popolazioni e poi massacrare quelle stesse popolazioni per liberarle e portare la "democrazia" (altro nome delle multinazioni statunitensi, del controllo sul petrolio e del mercato) fa parte di un vecchio gioco simile a quello praticato dalle vecchie potenze coloniali europee per portare la "civiltà".
Oggi inoltre, tutto questo sembra tradire il tentativo di governare una globalizzazione in difficoltà prendendo direttamente possesso di stati e territori, cioè tornando a una politica coloniale che prevede (v. Lodovisi in questo numero) "la destabilizzazione, la caduta dei governi locali ed eventualmente l’occupazione militare" di molti paesi, con l'effetto di smembrarli e ridurli a "piccoli simulacri di stati sovrani, nella realtà protettorati economico-militari statunitensi" come l'Afghanistan.

Questo progetto di occupazione è ovviamente destinato a venire recepito nel mondo arabo come una crociata e spingerà le masse arabe a vedere sempre più nell'islam il simbolo della loro identità e della  loro emancipazione politico-sociale dalla tirannia di Saddam e dell'Occidente, con gli esiti previsti: il diffondersi di un integrismo e di un terrorismo condannati a parole e desiderati nei fatti dagli Stati uniti, come legittimanti dell'occupazione. Ma, stando alle manifestazioni, alle sassaiole e agli slogan di questi giorni ("No a Bush, no a Saddam, si all'islam"), che neppure il servilismo dei media è riuscito a contrabbandare per tutto per festanti accoglienze ai "liberatori", si potrebbe avere anche un esito da nessuno previsto (a quanto sembra, neppure Bush…): la creazione, al posto del "libero" Iraq, di un nuovo stato islamico cui altri potrebbero seguire se gli Stati uniti continueranno nella loro marcia di rovesciamento delle dittature laiche o delle monarchie filooccidentali.
Un tale esito, e il conseguente esplodere di una sanguinosa guerra di religione globale, potrà essere sventato solo da una reale liberazione e trasformazione dell'Iraq (e degli altri paesi medioorientali) ad oprea di forze laiche e progressiste. Esse sono presenti nella società e nella comunità musulmana irachena (v. Barillari in questo stesso numero). Ma se mancherà la solidarietà attiva di un movimento mondiale e se esso non saprà contrastare la logica militarista e imperialista degli Stati uniti, tali forze rischiano di restare schiacciate fra gli opposti fondamentalismi degli ayatollah filokhomeinisti  e dei generali di Bush, fra legge coranica e democrazia delle cannoniere.
Walter Peruzzi