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Guerre&Pace: Guerra ai migranti



IMMIGRAZIONE

Guerra ai migranti

di Fulvio Vassallo Paleologo*

Le misure di espulsione coatta verso tutti i migranti, anche i 
richiedenti asilo,
senza rispettare i diritti garantiti dalla Costituzione, sembrano 
essere diventate
gli strumenti ordinari di gestione della presenza migratoria in Italia


Gli effetti della guerra preventiva si fanno sentire anche sul fronte 
interno e aggravano le misure repressive contro i migranti con una 
spirale che sembra non debba avere mai fine.
Malgrado siano ormai numerose le “bufale” prese dalla polizia a caccia 
di fantomatici terroristi islamici, ad ogni sentenza di 
proscioglimento, in qualche caso con risarcimento dei danni per 
ingiusta detenzione, segue il “boato” di una nuova notizia di 
associazione terroristica con la consueta raffica di arresti, 
amplificata ad arte dai media che invece trascurano le notizie delle 
assoluzioni o dei proscioglimenti. Questa strategia poliziesca e 
mediatica, piuttosto che alimentare il senso di insicurezza della 
popolazione, ormai abituata a livelli crescenti di disinformazione, 
rischia di produrre frange di estremisti tra i tanti fondamentalismi 
pure presenti nel nostro paese. Anni e anni di lavoro di integrazione, 
legami di solidarietà costati l’impegno generoso di tanti, italiani e 
stranieri insieme, rischiano così di andare irrimediabilmente perduti, 
con un degrado complessivo della nostra convivenza civile.

RESPINGIMENTI ED ESPULSIONI
Ma la guerra ai migranti in Italia, e in altri paesi europei, è stata 
dichiarata da tempo e ha trovato le sue armi più affinate nella nuova 
legge n.189 sull’immigrazione approvata lo scorso anno dal Parlamento.
In Italia sempre più spesso sono violati i diritti previsti dalla 
Costituzione: il diritto di asilo, la riserva di legge prevista in 
materia di condizione giuridica dello straniero, l’intangibilità dei 
diritti di libertà e i diritti di difesa previsti dall’art.24. Dopo 
l’entrata in vigore della legge Bossi- Fini si stanno diffondendo 
procedure “sommarie” di allontanamento forzato degli stranieri 
irregolari, come il respingimento dalle cosiddette zone di transito 
aeroportuale o marittimo e l’espulsione con accompagnamento immediato; 
casi questi, caratterizzati dalla estrema brevità delle procedure, per 
i quali diventa decisivo il rapidissimo riconoscimento effettuato 
dall’autorità consolare del paese di provenienza. Dopo il 
“riconoscimento” e la consegna del “foglio di viaggio”, un numero 
crescente di stranieri irregolari viene accompagnato nei paesi di 
provenienza con voli charter organizzati congiuntamente da diversi 
paesi europei a seguito dei più recenti accordi di collaborazione 
conclusi a livello comunitario.
Non esiste neppure una regolamentazione precisa di queste forme 
accelerate di allontanamento forzato e gli immigrati rimangono privi di 
interpreti, di informazione, di assistenza sanitaria, di difesa legale, 
sottomessi soltanto alla discrezionalità dell’autorità di polizia. 
Basta anche un lievissimo precedente penale, una segnalazione di 
polizia, una denuncia, per degradare i diritti degli immigrati in 
aperto contrasto con tutte le previsioni costituzionali in materia di 
tutela giurisdizionale, limitazione della libertà personale e diritti 
di difesa.
È noto il principio di diritto internazionale secondo cui nessun 
vettore dovrebbe trasportare persone che non siano identificate 
singolarmente, anche alla luce del principio del Protocollo firmato a 
Strasburgo il 16 settembre 1963, e allegato alla Convenzione europea 
dei diritti dell’uomo, che vieta appunto le espulsione collettive 
(art.4). L’art. 3 della stessa Convenzione europea e l’art. 33 della 
Convenzione di Ginevra, che vietano il rimpatrio forzato verso paesi 
nei quali si può rischiare la persecuzione o trattamenti inumani e 
degradanti, sono regolarmente disattesi, anche perché i rimpatri 
vengono effettuati verso paesi terzi, come la Grecia, che poi a loro 
volta possono rimpatriare gli immigrati espulsi dall’Italia verso il 
paese d’origine (ad esempio la Turchia).

ALCUNI CASI ESEMPLARI
Chi viene rimpatriato in queste condizioni finisce per essere internato 
in carcere o ucciso, come si teme che sia successo  per la famiglia 
siriana bloccata a dicembre dello scorso anno all’aeroporto di Milano 
Malpensa e lì fermata per cinque giorni nella zona di trattenimento in 
transito dell’aeroporto, per essere successivamente respinta in Siria, 
senza avere potuto presentare una richiesta di asilo; o nel caso di un 
gruppo di kurdi rimpatriati nel 2001 direttamente in Turchia; o come 
avvenne per molti cingalesi disertori o tamil, riconosciuti dal console 
cingalese e rimpatriati con un volo charter direttamente nel paese dal 
quale erano fuggiti.
Nel 2002 l’Italia ha effettuato cinque voli charter verso lo Sri Lanka 
per rimpatriare persone molte delle quali, rinchiuse nei centri di 
detenzione pugliesi, avevano manifestato l’intenzione di chiedere 
asilo, senza riuscire a formalizzare la domanda in assenza di 
interpreti o per il giudizio sommario da parte delle autorità di 
polizia circa la strumentalità della richiesta; e altri voli charter 
sono stati effettuati in questo primo scorcio del 2003 nelle stesse 
condizioni, come se la semplice proposizione della richiesta di asilo 
non esponesse gli immigrati a sicure ritorsioni da parte della polizia 
del loro paese, al momento del rimpatrio forzato.

CPT O CARCERE
La disciplina dei centri di permanenza temporanea (Cpt) è rimasta 
sostanzialmente immutata rispetto alle norme introdotte dalla legge 
Turco Napolitano.
A fronte di 150.746 stranieri irregolari fermati sul territorio 
nazionale dalla polizia, e tra questi 88.501 stranieri irregolari 
allontanati dall’Italia nel 2002, soltanto 18.625 sono stati internati 
nei Cpt e una buona parte di questi non sono stati accompagnati in 
frontiera per la mancanza del riconoscimento da parte della loro 
autorità consolare, e dunque del cosiddetto foglio di viaggio.
L’importanza effettiva dei Cpt ai fini di garantire la effettività 
delle espulsioni diventa dunque sempre più marginale e sarà ancora più 
limitata considerando che non è ancora pronto nessuno degli 11 centri 
di permanenza temporanea previsti per il 2003 dalla legge Bossi Fini, 
che ha raddoppiato il tempo massimo di permanenza in queste strutture 
(da 30 a 60 giorni) dimezzando in questo modo la capienza complessiva 
del sistema espulsivo imperniato sui centri di detenzione amministrativa.
Dal momento che la nuova legge sanziona con l’arresto immediato 
l’inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio nazionale, si sta 
già verificando una crescita rapidissima di persone che sono 
destinatarie di provvedimenti di espulsione, che non possono essere 
ristrette in un Cpt per la carenza di posti, ma che proprio per questa 
ragione rischiano di finire in gran numero in carcere, in 
carceri  sempre più affollati.
Anche la zona transiti degli aeroporti internazionali, come Fiumicino o 
Milano Malpensa, funziona per brevi periodi come centro di permanenza 
temporanea (definito come centro di transito), subito dopo lo sbarco o 
in prossimità dell’imbarco forzato, ed è un altro luogo dal quale 
filtra pochissimo, dove le associazioni non riescono neppure a 
informare gli stranieri trattenuti sulla possibilità di chiedere asilo.

IL TRAFFICO DELLA PROSTITUZIONE
Un problema sempre più grave è costituito, in questo quadro, dalle 
numerose immigrate, più recentemente anche minorenni, che vengono 
introdotte nel nostro paese con varie modalità da organizzazioni 
criminali che gestiscono il traffico della prostituzione.
Il contrasto al traffico della prostituzione si traduce soltanto in 
retate ai danni delle vittime, che sono la componente più debole, senza 
mai andare a scovare le organizzazioni che gestiscono le case dove 
queste donne alloggiano, con la convivenza delle mafie locali, e che 
movimentano il denaro che si ricava dallo sfruttamento, con uffici e 
call center ormai diffusi su tutto il territorio nazionale.
Malgrado l’uso di apparecchiature sempre più sofisticate, nei paesi di 
provenienza rimane una larga percentuale di funzionari di frontiera 
pronti ad essere corrotti, e anche il funzionamento dei nostri 
consolati e delle nostre ambasciate andrebbe monitorato per evitare 
episodi di corruzione come quelli che si sono verificati a Lagos in 
Nigeria, episodi ormai lontani di cui nessuno parla più. In Nigeria 
intanto le donne rimpatriate devono scontare molti mesi di galera 
soltanto per restituire allo stato il costo del biglietto aereo del 
viaggio di ritorno. Dai centri di permanenza temporanea italiani alle 
prigioni nigeriane, e tutto questo solo per avere tentato di introdursi 
clandestinamente nella fortezza Europa, mentre si moltiplicano i casi 
di donne come Amina che in Nigeria rischiano la vita per effetto delle 
decisioni dei tribunali islamici!
Eppure molte questure, come la questura di Palermo, consentono una 
utilizzazione limitatissima dell’art. 18 della legge Turco-Napolitano 
che prevede in questi casi la possibilità di accedere a uno specifico 
permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Per questi 
uffici di polizia l’unica condizione per concedere questo tipo di 
permesso è data dalla denuncia degli sfruttatori da parte della donna, 
mentre invece la legge, e la precedente interpretazione che se ne era 
accolta da parte degli stessi uffici, consentivano il rilascio del 
permesso di soggiorno ex art. 18 per tutti i casi in cui la donna per 
la propria volontà di sottrarsi allo sfruttamento e alla prostituzione 
si venisse a trovare in una situazione di pericolo. Nei fatti, questo 
atteggiamento da parte delle forze di polizia ha incrementato la 
copertura omertosa dei trafficanti da parte delle stesse vittime e ha 
bruciato anni di lavoro delle associazioni indipendenti operanti in 
questo campo.

ALCUNE RISPOSTE CONCRETE
Il diffondersi della condizione definitiva di irregolarità, conseguenza 
della mancata regolarizzazione di diverse decine di migliaia di 
immigrati dopo la grande illusione della sanatoria dello scorso anno, 
sta ampliando enormemente il numero dei soggetti potenzialmente 
espellendi, e quindi restringibili nei Cpt in attesa dell’esecuzione 
dell’espulsione (tra questi moltissimi Rom, che alla luce delle 
condizioni più restrittive introdotte dalla legge Bossi-Fini hanno 
perduto lo status di protezione umanitaria e non sono più in grado di 
rinnovare il permesso di soggiorno). A ciò si connette il rischio che 
le misure espulsive coattive siano utilizzate come strumenti ordinari e 
generici di gestione della presenza migratoria in Italia. Solo 
limitando le misure coattive a pochi casi, gravi e ben definiti per 
legge, sembra possibile rispettare i principi costituzionali e dare 
effettività alle misure adottate.
Si può quindi affermare che si debba senza indugio procedere alla 
revisione delle ipotesi di espulsione, con una disciplina più 
selettiva, e alla chiusura degli attuali centri di detenzione, 
introducendo una nuova disciplina relativa all’allontanamento coatto 
degli stranieri che vivono illegalmente in Italia, ancorandola a 
criteri di chiara ispirazione e fondamento costituzionale.
Occorre insistere, a questo punto, sulla creazione di reti locali 
immediatamente operative a difesa degli immigrati, a livello nazionale 
ed europeo, in modo da intervenire nei casi di espulsione e invocare 
con ricorsi efficaci e tempestivi il dettato costituzionale o 
appellarsi ai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, come 
già si è verificato in numerosi casi che hanno dimostrato la 
illegittimità delle procedure di allontanamento forzato.
Veri e propri presidi di legalità dovrebbero essere istituiti a ridosso 
dei campi Rom e delle zone di transito aeroportuale, da parte di 
associazioni supportate da interpreti indipendenti, medici e legali in 
grado di assistere i migranti irregolari altrimenti abbandonati alla 
totale discrezionalità delle autorità di polizia.

STATO DI POLIZIA
Sempre che non vengano previste ulteriori restrizioni all’esercizio dei 
diritti di difesa o che non si intervenga sulla magistratura 
condizionandone l’attività in materia di espulsioni di stranieri, come 
già è successo in qualche caso. Quando nel dicembre del 2000 i giudici 
milanesi trasmisero alla Corte costituzionale le eccezioni di 
costituzionalità relativamente alle norme che regolavano il 
trattenimento degli stranieri, quegli stessi giudici vennero sottoposti 
a un procedimento disciplinare davanti al Csm, per iniziativa del 
ministro della Giustizia. Grazie anche al contenuto della decisione 105 
del 2001 della Corte costituzionale, che in parte accoglieva le 
perplessità dei giudici milanesi, il caso fu poi archiviato con la loro 
assoluzione.
Questa insofferenza dei governi nei confronti delle decisioni della 
magistratura è oggi enormemente cresciuta e si traduce in interventi 
sempre più frequenti di rappresentanti della attuale maggioranza di 
governo contro i giudici, colpevoli di boicottare la legge Bossi-Fini 
perché sollevano nuove eccezioni di costituzionalità o rimettono in 
libertà immigrati irregolari per la inapplicabilità e la 
contraddittorietà delle nuove disposizioni entrate in vigore da pochi 
mesi.
Ma qui siamo proprio ai confini dello stato di diritto e della 
democrazia costituzionale, e se i paventati interventi legislativi in 
materia di giustizia avranno rapido corso, con la riduzione 
dell’autonomia della magistratura rispetto ai poteri dell’esecutivo, 
come il premier Berlusconi ha annunciato, in Italia saremo alla vigilia 
di un vero e proprio stato di polizia.

*dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)