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nuovo editoriale di PeaceLink: il futuro delle bandiere
- Subject: nuovo editoriale di PeaceLink: il futuro delle bandiere
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti@peacelink.it>
- Date: Fri, 02 May 2003 18:22:00 +0200
Risultati e prospettive del movimento antiguerra
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Perché continuiamo ad esporre le bandiere della pace?
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"Di fronte a coloro che ci mostrano i segni del potere, dobbiamo mostrare
il potere dei segni", diceva don Tonino Bello. Le bandiere della pace,
esposte nei balconi d'Italia, hanno avuto questa funzione di esercizio del
potere dei segni, in opposizione ai segni del potere. Proviamo a ragionare
sull'esperienza delle bandiere e sul futuro.
--- Cosa abbiamo ottenuto esponendo la bandiera della pace
Se l'Italia non è entrata in guerra e se il presidente della Repubblica ha
dovuto far applicare l'articolo 11 della Costituzione - che sembrava essere
diventato carta straccia - lo si deve all'imponente movimento di opinione
pubblica che, in forme largamente maggioritarie, ha detto no alla guerra e
che ha esposto le bandiere della pace rendendo visibile un simbolo che
accomunava e non divideva la maggioranza degli italiani.
Nessun soldato italiano è stato ucciso o ha dovuto uccidere: la bandiera
della pace non è stata inutile.
--- Una novità storica
La guerra "vittoriosa" non ha cancellato il merito del movimento pacifista
italiano, riassumibile in una semplice frase: per la prima volta nella
storia dell'Italia la nostra nazione è rimasta al di fuori di una guerra
per la pressione dei cittadini. La flotta della Marina Militare non è
partita da Taranto, nonostante fosse pronta, come è invece accaduto dalla
prima guerra del Golfo (1991) in poi, ossia ogni volta che la Casa Bianca
telefonava al capo del Governo Italiano.
--- Mani legate
"Chiediamo che l'Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare
contro l'Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto
dell'art.11 della Costituzione", c'era scritto nell'appello di Emergency
firmato da milioni di persone e fatto proprio da tutto il movimento
pacifista. Quell'appello ha raggiunto l'obiettivo di tenerci fuori dalla
guerra e il fatto che il governo abbia lo stesso agito sottobanco (partenze
di paracadutisti americani dalle basi poste su territorio italiano,
convogli pieni di armi, 007 italiani in Irak, ecc) non sminuisce ma anzi
rafforza l'idea che - senza la mobilitazione pacifista - l'Italia sarebbe
entrata in guerra per conquistare la propria fetta di petrolio e di
influenza nell'Irak occupato.
Sbaglia chi parla di "sconfitta pacifista" per il semplice fatto che la sua
mobilitazione non ha evitato la guerra. Realisticamente è stato posto un
argine non alla guerra in generale ma alla guerra italiana ed è stata
ricondotta la politica nazionale nell'alveo della legalità costituzionale
già tante volte violata. Non si sono legate le mani di Bush ma si sono
legate quelle di Berlusconi.
--- Ipocrisie che si vedono
La guerra non ha sconfitto il movimento per la pace perché la "vittoria" ha
confermato tutti i sospetti della vigilia di guerra, ossia che le reali
motivazioni del conflitto non erano quelle proclamate (le armi di
distruzione di massa, il terrorismo, la libertà per il popolo irakeno) ma
quelle nascoste (il petrolio, il predominio nell'area). Abbiamo visto che
le forze militari americane hanno subito occupato i pozzi di petrolio. I
"liberatori" si sono "dimenticati" che c'erano da difendere anche i musei,
le biblioteche, gli ospedali.
--- Dove sono finiti i "pancifisti"?
Ci avevano sbeffeggiato, ci avevano chiamato con disprezzo "pancifisti".
La parola "pace" era sparita dai programmi elettorali.
Ora tutto è cambiato.
--- Società civile democraticamente organizzata
Il movimento per la pace è un nuovo soggetto sociale che fa politica sulla
base di scelte di coscienza, che si attiva non in vista di scadenze
elettorali e che non si vuole far strumentalizzare da alcuno: vuole essere
solo strumento di se stesso e del suo comune sentire. Questo soggetto è
l'espressione visibile di una società civile che si auto-organizza, che
vuole partecipare e ha urgenza di manifestarsi proprio perché si sente
messa ai margini da quella politica che vuole decidere tutto ai massimi
livelli, con incontri al vertice, escludendo i cittadini dalle scelte di fondo.
--- Il panorama è cambiato
Sono molti i riflessi positivi di questo movimento per la pace che ha dato
voce ad una società civile in fermento:
- il movimento sindacale si è ritrovato unito sul nodo della pace;
- i partiti di centrosinistra hanno assunto la pace all'interno del
loro orizzonte politico dopo il trauma della guerra del Kossovo e
allineandosi alla propria "opinione pubblica interna";
- i partiti del centrodestra hanno dovuto constatare che le bandiere
arcobaleno le hanno esposte anche comuni di centrodestra e che i pacifisti
non erano tutti di sinistra;
- riemergono con la società civile organizzata i valori comuni della
Costituzione;
- il pacifismo non è più inquadrato nella categoria
dell'antiamericanismo, parola tra l'altro inesistente sui vocabolari della
lingua italiana e non a caso;
- giornali come il Corriere della Sera o la Repubblica hanno dovuto
abbandonare un certo uso ridicolizzante della parola "pacifista" e hanno
tenere conto dei loro lettori e di qualche loro giornalista; gli
orientatori dell'opinione pubblica sono stati per forza di cose in parte
riorientati dall'opinione pubblica stessa;
- sono entrati nell'immaginario collettivo i colori della bandiera
della pace che rendono visibili da lontano un simbolo al di sopra delle
parti; alla pace non si associa più il rosso; quando si affermano simboli
di grande forza comunicativa vuol dire che sono nati movimenti di grande
forza espansiva.
A ciò si deve aggiungere il ruolo svolto dal Papa, che ha liberato dai
vincoli di una tradizionale prudenza interi pezzi della società civile e
dell'apparato ecclesiastico.
--- Da destra/sinistra a pace/guerra: la dialettica si sposta
Le posizioni "pacifiste" di Francia e Germania spostato la focalizzazione
dalla dialettica destra/sinistra alla dialettica pace/guerra. E il confine
che divide il mondo e lo fa discutere e scendere in piazza è cambiato,
tanto che recentemente Luigi Pintor ha scritto: "Destra e sinistra sono
formule superficiali e svanite che non segnano questo confine. Anche la
pace e la convivenza civile, nostre bandiere, non possono essere un'opzione
tra le altre, ma un principio assoluto che implica una concezione del mondo
e dell'esistenza quotidiana. Non una bandiera e un'idealità ma una pratica
di vita. Se la parte di umanità oggi dominante tornasse allo stato di
natura con tutte le sue protesi moderne farebbe dell'uccisione e della
soggezione di sé e dell'altro la regola e la leva della storia. Noi
dobbiamo abolire ogni contiguità con questo versante inconciliabile".
Pintor ipotizza una rete internazionale informale e ripone le speranze in
"una miriade di donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la
razza, la fede, la formazione politica, religiosa", e specifica: "Individui
ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d'istinto ed entrano in
consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni
con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un'area
senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il
campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando
in forme mai viste".
--- Che fare delle bandiere?
Molti si stanno chiedendo: continuiamo ad esporre le bandiere? O le
dobbiamo ritirare?
Va premesso che le bandiere hanno significato cose diverse:
- prima della guerra hanno significato: siamo contro l'avvio del
conflitto;
- allo scoppio della guerra hanno significato: nessuna partecipazione
italiana al conflitto;
- a guerra avviata hanno significato: stop ai combattimenti, rispetto
delle Convenzioni di Ginevra, no al massacro di civili innocenti;
- a guerra "vittoriosa" hanno denunciato le stragi dell'occupazione
neocoloniale e il rischio di guerra infinita (minacce alla Siria e all'Iran).
Ora che significato hanno le bandiere dell'arcobaleno? Perché in tanti
continuiamo a tenerle esposte?
Probabilmente molti avvertono che - nonostante le parole di Bush - la
guerra non è finita: siamo solo in una fase di stasi. Cosa accadrà quando
giorno dopo giorno gli irakeni diranno con sempre maggiore insistenza che
non vogliono più l'occupazione americana? "Ora che ci avete liberati
andatevene. Oppure ci state occupando?". E' nei prossimo giorni che si
compie la prova del nove: stiamo verificando se siamo di fronte ad
un'occupazione.
--- Quando ritirare le bandiere?
Sarà il popolo irakeno a dirci se dobbiamo ammainare le bandiere della pace
o se dobbiamo continuare a tenerle bene in vista.
Ecco perché le bandiere rimangono e perché si vive questa atmosfera
surreale di attesa in cui nessuno sa cosa accadrà domani.
Ma al di là delle bandiere esposte o meno, ci dobbiamo occupare di una cosa
ancora più importante delle bandiere stesse: dobbiamo tenere i contatti con
il popolo delle bandiere.
--- Un popolo nuovo da incontrare e da ascoltare
E' un popolo, quello delle bandiere, che è andato oltre i tradizionali
confini di comunicazione del movimento pacifista e pertanto occorrono
canali nuovi per incontrare e ascoltare questo popolo rappresenta lo
spirito della maggioranza degli italiani.
Occorre che le bandiere mettano radici e che dall'emozione antiguerra si
passi alla cultura della pace, creando luoghi di incontro e di
comunicazione, scuole di formazione e di autoformazione. Luoghi cittadini
in cui ci si incontri e ognuno legga una poesia, una pagina di un libro,
una testimonianza, un articolo di giornale. Luoghi in cui favorire la
conoscenza dei tantissimi volti sconosciuti che hanno detto "no alla
guerra" con una bandiera al balcone.
--- Che fare?
Gli aspetti su cui poter lavorare sono:
- tenere l'Italia fuori dalla guerra e da patti di guerra con gli Usa
anche per il futuro;
- boicottare le aziende che hanno finanziato Bush e hanno contratti
con le forze armate Usa;
- sostenere la centralità dell'Onu e imprimere all'Europa un ruolo di
pace e di argine allo strapotere Usa;
- mantenere i contatti con il popolo della pace;
- affiancare alla bandiera altre iniziative concrete ma con alto
valore simbolico;
- creare scuole di pace e momenti di autoformazione (come luoghi di
lettura, di dibattito e drammatizzazione), favorendo un protagonismo dei
giovani; si potrà così ascoltare (e magari suonare) musica di pace,
discuterne i testi;
- dare vita a forme di "addestramento preventivo" alla pace
sperimentando forme creative di organizzazione, intrecciando l'efficienza
di rete, la concretezza e la precisione nel gestire mobilitazioni basate su
forme di non cooperazione e di boicottaggio;
- saper comprendere e diffondere il potere dei simboli e della
comunicazione simbolica.
--- Scuole di pace
Il movimento per la pace deve cioè rendersi autonomo dal motivo che lo ha
generato, la guerra, per rendersi protagonista del suo fine: la pace. Così
come i militari si addestrano e si formano nelle scuole militari anche i
pacifisti hanno la responsabilità di addestrarsi e formarsi i luoghi
propri. Un sito web in ogni città potrebbe raccordare e consolidare la
conoscenza pubblica della rete di associazioni, gruppi e persone impegnate
sul terreno della pace, rendendo noto a tutto il popolo locale delle
bandiere il percorso di incontri e iniziative. Scuole di pace, insomma, ma
senza cattedre e con una reciproca disponibilità all'ascolto e
all'integrazione delle competenze. Scuole senza docenti fissi ma che creino
gruppi in cui ognuno abbia il proprio contributo da offrire e in cui
nessuno rimanga senza parola. Scuole in cui l'incontro delle competenze
crei sinergia, perché quando si incontra ad esempio l'entusiasmo di un
tecnico e la creatività di un umanista il risultato non è una somma ma una
moltiplicazione.
--- I nostri possibili errori
Questo percorso di incontro del popolo delle bandiere richiede grande
sensibilità, intelligenza e tatto, occorre favorire l'ascolto, l'apertura e
il dialogo. Volti nuovi e soprattutto tanti giovani saranno a disagio in
assemblee in cui è già tutto preordinato e deciso. Lo studio delle modalità
di relazione sarà importantissimo. Dovremo capire che noi non dobbiamo
"guidare" un movimento ma dobbiamo "aprire le porte" a persone nuove,
mantenere i contatti, sviluppare un percorso di reale partecipazione che
accolga i volti di giovani e cittadini sconosciuti, forse timorosi di non
sentirsi a loro agio o di avere una delusione. Un nuovo movimento è in
costruzione e noi non possiamo permetterci di commettere gli stessi errori
di quei "politici" da cui tanti giovani e tanti bravi cittadini fuggono
via. Le bandiere alle finestre per ora rimangono ma l'obiettivo è ora
quello di incontrare i volti che sono dietro le bandiere. Perché il deserto
della sconfitta non è la mancanza di bandiere ma la mancanza di reti e di idee
.
Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it
Chi volesse esprimere il proprio parere sul futuro delle bandiere può
scrivere a volontari@peacelink.it