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Quando Gengis Khan fu sconfitto dalla nonviolenza buddista



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Nel 1207 Gengis Khan, il capo supremo dei mongoli, manda i suoi emissari a intimare la sottomissione dei tibetani che non hanno altra scelta che quella di arrendersi, ben consapevoli che nulla avrebbero potuto contro la micidiale forza d'urto delle armate mongole. Nel 1239 le avanguardie della cavalleria di Godan, nipote di Gengis Khan, penetrano in profondità sul Tetto del Mondo raggiungendo le province centrali di U e Tsang. Il destino del Tibet sembra dunque segnato quando accade un fatto imprevisto e forse imprevedibile. Affascinato dai rapporti dei suoi uomini che raccontavano della grande influenza esercitata in Tibet da yogin e lama, Godan si incuriosì a tal punto che ne volle conoscere di persona qualcuno e invitò alla sua corte il più rinomato maestro spirituale dell'epoca, Sakya Pandita, capo della scuola Sakya-pa.

Il rapporto che si stabilì tra il lama ed il khan mongolo fu intenso e complesso; il primo, grazie ad un eccezionale carisma, riuscì a convertire al Buddhismo il secondo che, come segno di devozione, non solo proibì ogni ulteriore incursione dei suoi eserciti sul Paese delle Nevi ma assegnò anche agli abati della scuola Sakya-pa il governo dell'intero Tibet.