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La nonviolenza e' in cammino. 574



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 574 del 22 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Renate Siebert: la piu' bella e la piu' difficile
2. Danilo Dolci: ti aspettavamo
3. Una rassegna bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino (parte
seconda e conclusiva)
4. Amelia Alberti: del cinismo
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. RENATE SIEBERT: LA PIU' BELLA E LA PIU' DIFFICILE
[Da Renate Siebert (a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2000, p. 7. Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, nata a
Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia
meridionale, dove insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di
Calabria. Opere di Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e la teoria dei
rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970, e ad
Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo),
tra le opere recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella, Rosenberg &
Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994 (poi
Est, 1997); La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli
1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al
cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar);
Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura
di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000]
La democrazia e' la piu' bella e la piu' difficile delle forme di convivenza
civile, proprio perche' mira e deve mirare per essere, a raggiungere ogni
singolo cittadino, ogni singola coscienza.

2. MAESTRI. DANILO DOLCI: TI ASPETTAVAMO
[Da Danilo Dolci, Creatura di creature. Poese 1949-1978, Feltrinelli, Milano
1979, p. 88. Su Danilo Dolci riportiamo ancora una volta la seguente
sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone
(comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino
di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante &
Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in
provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella
Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada
tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del
paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi
digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta
viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a
eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel
1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere
all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita
nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico:
le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo
"sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati
dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con
i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi
e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari
giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile,
"continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto,
l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti
col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a
esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso
l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in
Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma
mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e
all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo
Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm),
per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare,
denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero
rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non
propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa
pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal
coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea
di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze
locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui
ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e
ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una
parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna,
rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E'
proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende
corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un
futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia,
che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno
strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di
acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo:
saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi
digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne
sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia
di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora
coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di
numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento
economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del
lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il
Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione
artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene
approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della
struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col
contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro
Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di
ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso:
muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e
dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre
societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di
ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso
la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della
"scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico,
propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei
rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul
"reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli
esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi
fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura
maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare,
legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina
del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un
infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie
residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della
sua vita"]

Ti aspettavamo al tuo posto: e all'estremo
momento non c'eri.

Quando insieme si tenta di alzare
una trave pesante
pericoloso e' fingere
di forzare con gli altri:
o ti impegni con tutti come puoi
o avvisi chiaramente -
e te ne vai.

3. MATERIALI. UNA RASSEGNA BIBLIOGRAFICA DI ALCUNI LAVORI DI UMBERTO SANTINO
(PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[La prima parte di questa rassegna bibliografica e' apparsa sul notiziario
di ieri. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei
militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E'
uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i
poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Una bibliografia essenziale di Santino e' deducibile da questo
testo; alcune integrazioni in U. S., Oltre la legalita', p. 77, e nel piu'
recente Storia del movimento antimafia, passim. Il Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" (via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
tel. 0916259789, fax 091348997, e-mail: csdgi@tin.it, sito internet:
www.centroimpastato.it) e' un istituto di ricerca tra i piu' accreditati in
campo internazionale, particolarmente specializzato su mafia e poteri
criminali. Operante dal 1977, e' stato successivamente intitolato a Giuseppe
Impastato, militante della nuova sinistra assassinato dalla mafia nel 1978.
Una sintetica ma esauriente scheda di autopresentazione, di quattro pagine,
e' richiedibile presso il Centro Impastato]
11. La democrazia bloccata, 1997
Il volume La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e
l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997,
riprende un tema che gia' nel 1977 era stato oggetto di un convegno promosso
dal "Centro siciliano di documentazione" (che verrą intitolato a Giuseppe
Impastato dopo il suo assassinio); nel trentennale della strage del primo
maggio '47, quel convegno si intitolava "Portella della Ginestra: una strage
per il centrismo", ed in esso Umberto Santino aveva presentato una relazione
su La ricomposizione del blocco borghese in Sicilia (altri relatori erano
Nicola Gallerano, Lisa Foa, Aldo Brigaglia, Vittorio Foa, Anna Rossi Doria,
Claudio Pavone, e nel dibattito intervennero molti altri militanti e
studiosi). Gia' quel convegno era un tentativo di opporsi alla cancellazione
della memoria  (in epoca di compromesso storico), l'attuale libro e' un
ennesimo invito al ricordo e all'analisi (scrive l'autore a p. 7: "Nel
cinquantesimo anniversario della strage pubblico in questo volume la mia
relazione al convegno del '77, con qualche modifica, e dei materiali di
documentazione, testi di difficile reperimento (...). L'intento della
pubblicazione e' di contribuire, ancora una volta, a una riflessione, in un
contesto profondamente mutato rispetto a quello di vent'anni fa").
La quarta di copertina cosi' riassume il senso del libro: "La strage di
Portella della Ginestra del primo maggio 1947 non fu un fatto isolato,
consumatosi in una remota periferia: in quel lembo di campagna siciliana si
mise in scena quella che sarebbe stata definita la 'democrazia bloccata' e
si svolsero le prove generali del 'doppio Stato'.
A Portella si recita un copione destinato a ripetersi, anche se in tempi
diversi e con soggetti diversi, ma con la stessa logica e con lo stesso
scopo: allora si tratto' di impedire alle sinistre l'accesso al governo,
dopo la vittoria della coalizione del Blocco del popolo alle elezioni
regionali dell'aprile '47, concludere rapidamente la fase dell'unita'
antifascista escludendo le sinistre dal governo nazionale e porre le
premesse per una direzione del Paese rigidamente chiusa a sinistra, che si
sarebbe puntualmente realizzata e avrebbe avuto la sua sanzione con le
elezioni del 18 aprile '48.
Dalla fine degli anni '60 in poi il copione venne rispolverato e arricchito,
con le stragi che hanno insanguinato l'Italia, da Piazza Fontana a Brescia,
a Bologna, che miravano ad impedire un ricambio al potere, e ci sono
perfettamente riuscite. E come e' avvenuto per la strage di Portella, anche
per le altre stragi non sono stati individuati i mandanti. La 'seconda
Repubblica' ha gli armadi pieni degli scheletri della 'prima'.
Il libro contiene una puntuale ricostruzione storica del dopoguerra in
Sicilia e un'ampia raccolta di documenti: sulla strage, sul processo alla
banda Giuliano, sui lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
fenomeno mafioso in Sicilia dedicati ai rapporti tra banditismo, mafia e
politica".
Il libro si articola come segue: Introduzione; 1. La svolta del '47; 2.
Mezzogiorno e Sicilia durante il fascismo; 3. Il separatismo come
arroccamento tattico e rottura fittizia; 4. L'autonomismo riparazionista
come terreno di contrattazione con lo Stato; 5. Il ruolo della DC nella
ricomposizione del blocco dominante; 6. Portella della Ginestra: un'ipoteca
sulla Regione e sullo Stato; 7. Alcune considerazioni finali; Appendice.
L'ampia appendice (pp. 133-227) riporta una precisa cronologia 1943-1950, ed
una ricca serie di documenti di varie fonti (dalla stampa dell'epoca, agli
atti processuali di Viterbo, alla Commissione parlamentare antimafia).
Sull'argomento cfr. anche Giuseppe Di Lello, Giudici, Sellerio, Palermo
1994, e Orazio Barrese, Giacinta D'Agostino, La guerra dei sette anni,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.
*
12. Oltre la legalita', 1997
L'opuscolo Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra
di mafie, e' stato pubblicato nella collana "csd appunti", 6, Palermo,
settembre 1997.
Si tratta di un lavoro didascalico ed introduttivo, probabilmente molto
valido per uso didattico o come base per riflessioni e dibattiti tra persone
impegnate nell'iniziativa antimafia ed in particolare sul versante culturale
di essa iniziativa.
Nella quarta di copertina e' illustrato sinteticamente il senso del lavoro:
"Legalita', democrazia, sovranita', sono termini spesso usati in modo troppo
generico per ricavarne indicazioni concrete per lottare efficacemente contro
le mafie e il diffondersi del crimine e dell'illegalita'. Questo scritto
analizza rigorosamente le parole-chiave del dibattito attuale e traccia le
linee essenziali di un programma di lavoro che leghi insieme aspetti
giuridici, politici, economici, etici, culturali in una prospettiva di
mutamento della societa' mafiogena e di rinnovamento della vita quotidiana".
L'opuscolo prende spunto dalla circolare ministeriale sull'educazione alla
legalita' dell'ottobre 1993 per proporre una riflessione ampia ed articolata
sui concetti di legalita', democrazia e sovranita' analizzando la valenza
che essi assumono nel dibattito antimafia.
Il lavoro e' organizzato nei seguenti capitoli: 1. La legalita', la mafia,
lo Stato; 2. La democrazia, le democrazie; 3. La sovranita' come fondamento
del potere; 4. La normalita': sogno o progetto?; 5. I limiti di un approccio
politico-giuridico formale; 6. La mafia come fenomeno complesso; 7. Un
programma per un'alternativa alle mafie e alla societa' mafiogena.
Ovviamente i capitoli 6 e 7 sono quelli di maggior interesse: il 6 riassume
le tesi principali del lavoro teorico e politico di Santino e del Centro
Impastato, il 7 riformula e sintetizza quella che e' ormai una koine' dei
militanti di movimento piu' avvertiti.
In particolare l'ultimo paragrafo del cap. 6 (par. 6.3. Globalizzazione
capitalistica e mafie), presenta una significativa e non casuale consonanza
con le analisi di studiosi come - tra altri - Samir Amin e Ignacio Ramonet,
e con la "quarta tessera" del ragionamento proposto dal subcomandante Marcos
dell'Ezln nel suo saggio per "Le Monde diplomatique", La quarta guerra
mondiale e' cominciata.
L'opuscolo costituisce un buon promemoria dei principali temi su cui si
concentra la riflessione collegata alla prassi dei movimenti di solidarieta'
e di liberazione.
Nella bibliografia (agile ma puntuale; non esibizionista, ma concretamente
agita) sono presenti autori anche a noi molto cari, da Anders a Balducci a
Jonas.
Su questi temi cfr. anche: Augusto Cavadi (a cura di), A scuola di
antimafia, Csd quaderni/6, Palermo 1994; Augusto Cavadi, Liberarsi dal
dominio mafioso, EDB, Bologna 1993; Amelia Crisantino, Giovanni La Fiura, La
mafia come metodo e come sistema, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 1989;
Cosimo Scordato, Uscire dal fatalismo, Edizioni Paoline, Milano 1991.
Il saggio di Marcos cui sopra si faceva cenno e' stato pubblicato in Italia
in opuscolo dal "Manifesto", Roma 1997.
Ovviamente su questi temi (democrazia, legalita', etc.) non si puo' non fare
riferimento alla riflessione di Norberto Bobbio (al riguardo cfr.
riassuntivamente le monografie di Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante,
Bollati Boringhieri, Torino 1989, e Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia.
Le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole
1994).
*
13. L'alleanza e il compromesso, 1997
L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti
ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997.
Come e' noto Santino realizzo' nel 1984 il celebre dossier "Un amico a
Strasburgo" sull'europarlamentare andreottiano Salvo Lima, dossier che
riprendendo documenti raccolti in precedenza dalla Commissione Parlamentare
Antimafia fu uno dei piu' energici e documentati atti d'accusa sul rapporto
tra andreottiani e mafia.
Il libro ricostruisce in trecento pagine e con una corposa appendice
documentaria, i rapporti tra potere mafioso e ceto politico, con particolar
riferimento al rapporto tra potere mafioso e corrente andreottiana della DC
a livello siciliano e nazionale (ma anche con una visione internazionale:
Santino riferisce al riguardo con sapida ironia anche un interessante
colloquio avuto in America).
Nel capitolo introduttivo del libro si fissano alcune coordinate
interpretative: "Il rapporto mafia-politica e' uno dei temi maggiormente
richiamati nella letteratura sulla mafia, ma esso non e' mai stato oggetto
di analisi scientifica. La cosa e' perfettamente comprensibile, se si
riflette che il problema 'mafia', pur essendo tra i piu' frequentati, ha
fatto registrare pochi contributi che si possano considerare scientifici,
cioe' elaborati in base a un metodo di lavoro e che poggino su una pił o
meno solida e adeguata base di dati.
Come ho avuto modo di osservare in una rassegna degli studi sulla mafia
pubblicata recentemente [La mafia interpretata: dilemmi, stereotipi,
paradigmi, 1995], la produzione pressoche' sterminata sulla mafia e'
dominata da luoghi comuni (stereotipi) e da pseudoparadigmi, cioe' da
trascrizioni con linguaggio piu' o meno colto dei luoghi comuni piu' banali.
Gli stereotipi piu' diffusi dipingono la mafia come emergenza (cioe' come
fenomeno congiunturale, coincidente con gli omicidi piu' o meno eclatanti, e
invece essa e' un fenomeno strutturale, continuativo, che non si limita alla
commissione degli omicidi) e come antistato (cioe' come un'organizzazione in
guerra contro le istituzioni, e invece i rapporti tra mafia e Stato e
istituzioni in genere sono molto pił complessi), mentre i paradigmi (cioe'
le spiegazioni dotate di un certo grado di scientificita') piu' affermati
(la mafia come associazione a delinquere tipica e la mafia come impresa)
colgono solo parzialmente la polimorfica realta' del fenomeno mafioso.
Per cogliere in tutte le sue articolazioni tale fenomeno, ho elaborato
un'ipotesi analitica (il 'paradigma della complessita'') che qui richiamo
sinteticamente nei suoi punti essenziali:
1) la mafia e' un insieme di associazioni criminali, di cui la piu'
importante, ma non l'unica, e' Cosa nostra, denominazione che viene usata
dopo le rivelazioni di Buscetta del 1984 e di cui prima non ci sono tracce.
In Sicilia, secondo recenti rilevazioni, i gruppi criminali di tipo mafioso
sarebbero 181, con circa 5.500 affiliati, cioe' lo 0,11% della popolazione,
che ammonta a circa 5 milioni (uno su mille). Oltre a Cosa nostra i gruppi
piu' significativi sono le 'Stidde' delle province di Agrigento e
Caltanissetta e i clan catanesi non aderenti a Cosa nostra;
2) i gruppi mafiosi agiscono all'interno di un sistema di relazioni, un
blocco sociale che attraversa i vari strati della popolazione (dai ceti
popolari legati al contrabbando di tabacchi, allo spaccio di droghe e ad
altre attivita', ai ceti piu' alti), al cui interno la funzione di comando
e' svolta dai soggetti illegali e legali piu' ricchi e potenti: capimafia,
politici, imprenditori, professionisti legati ai mafiosi etc. (quella che
chiamo borghesia mafiosa). Questo strato dominante comprende alcune decine
di migliaia di persone, mentre il blocco sociale si estende ad alcune
centinaia di migliaia;
3) la specificita' della mafia, rispetto ad altre forme di criminalita', e'
data dal ricorso sistematico alla violenza, attuata o potenziale, derivante
dal fatto che la mafia ha un suo ordinamento e non riconosce il monopolio
statale della forza;
4) l'agire mafioso si concreta nella pratica di attivita' illegali e legali
al fine di accumulare ricchezza ed acquisire e gestire posizioni di potere.
Questi aspetti economici e politici si saldano con aspetti culturali (per
esempio, la legittimita' dell'uso della violenza);
5) i rapporti tra mafia, politica e istituzioni sono complessi. Per un
verso, poiche' la mafia - come abbiamo gia' detto - non riconosce il
monopolio statale della violenza, essa e' fuori e contro lo Stato, ma essa
e' dentro e con lo Stato per una serie di attivita', dall'uso del denaro
pubblico, per esempio con l'accaparramento degli appalti di opere pubbliche,
al controllo delle istituzioni, con il peso rilevante nel procacciamento
dei voti e con il condizionamento dei processi decisionali;
6) pertanto si puo' parlare di doppia mafia in doppio Stato. La doppiezza
dello Stato si concreta nella formale proclamazione del monopolio della
violenza contraddetta dall'impunita' di cui i delitti mafiosi hanno goduto
per lungo tempo, tanto da configurarsi come licenza di uccidere e costituire
una vera e propria forma di legittimazione;
7) la mafia si puo' considerare soggetto politico in duplice senso: essa
esercita un potere in proprio, configurabile come signoria su un dato
territorio, con un codice di leggi e un apparato coercitivo per
l'applicazione delle sanzioni previste per le trasgressioni, e interagisce
con il potere ufficiale secondo le modalita' gia' richiamate [per un
approfondimento cfr. La mafia come soggetto politico, 1994];
8) questo quadro sommariamente delineato permette di affermare che nel
nostro Paese si e' formato e consolidato nel tempo un blocco dominante al
cui interno operava un soggetto criminale e cio' e' tornato utile in tutta
la storia dello Stato unitario e particolarmente nella fase della
contrapposizione Est-Ovest, durata per mezzo secolo. Anche in altri Paesi,
per esempio gli Stati Uniti e vari Paesi dell'America Latina, i gruppi
criminali hanno avuto un ruolo importante nell'economia e nel rapporto con
le istituzioni, ma l'Italia puo' considerarsi il Paese occidentale in cui
l'interazione crimine-economia-potere ha assunto caratteristiche di vero e
proprio modello, per la capillarita' e la persistenza di tali collegamenti,
per cui si puo' parlare di una forma Stato profondamente permeata di mafia,
fino all'identificazione tra istituzioni e mafia, almeno in alcuni settori;
9) un altro aspetto da mettere in luce e' che la mafia ha goduto e gode di
un certo consenso sociale, il che non significa che tutti i siciliani, o
quasi, sono mafiosi, complici o sudditi della mafia. Il movimento contadino
si batteva contro la mafia; piu' recentemente, la nascita di gruppi, centri,
associazioni e le manifestazioni successive ai grandi delitti, da Dalla
Chiesa a Falcone e Borsellino, segnano la ripresa, su basi diverse,
dell'impegno antimafia. Tale impegno, nel passato e ancora oggi, si e'
scontrato e continua a scontrarsi non solo con l'organizzazione criminale
mafiosa, ma con tutta la rete di complicita' e di protezione di cui essa
gode. E ritorniamo al punto centrale di questo libro: il rapporto
mafia-politica-istituzioni".
Evidenziata la complessita' e l'articolazione del rapporto tra mafia e
politica ("Non c'e' una supercupola, formata da qualche decina di persone
misteriose, che impartisce ordini; c'e' invece una serie di relazioni che
vanno dall'identificazione tra politici, alta e media borghesia e mafiosi
(nel caso di affiliazione formale all'organizzazione mafiosa o
compenetrazione organica), alla contiguita' e allo scambio, in forme per lo
piu' permanenti e onnicomprensive ma anche episodiche e limitate. Non siamo
di fronte a un'isola, ma a un arcipelago o a un continente"), si analizza il
rapporto tra mafia e DC con specifico riferimento alla Sicilia, ma anche
evidenziando i fattori nazionali ed internazionali. Il giudizio, argomentato
con inconfutabili esempi lungo centinaia di pagine, e' che l'equazione
DC=mafia "e' scorretta se criminalizza tutto il partito e tutto il suo
elettorato, ma e' correttissima se guarda al suo gruppo dirigente, o almeno
alla parte piu' solida, potente e duratura di esso e se, piu' che
configurare un'identificazione totalizzante, riassume una vasta gamma di
rapporti con il mondo mafioso e individua una peculiare modalita'
nell'esercizio del potere".
L'analisi si approfondisce esaminando il rapporto tra corrente andreottiana
della DC e mafia. Si evidenzia l'organica alleanza ricostruendo in
particolare le vicende che specificamente riguardano Lima ed Andreotti.
Ovviamente nel libro non si nasconde che la piu' rilevante espressione della
sinistra politica italiana, il PCI, ha commesso un errore catastrofico nella
sua strategia di ricerca di un compromesso con la DC, e particolarmente con
Andreotti, e con le dominanti forze sociali e gli egemonici interessi
economici e di potere che DC ed Andreotti rappresentano lungo cinquant'anni
di storia repubblicana.
Nella parte conclusiva del libro si analizzano i rapporti tra la mafia ed i
"nuovi" schieramenti e partiti politici, evidenziando non solo la natura
dell'operazione berlusconiana ed i rapporti tra Berlusconi, i suoi
manutengoli ed i suoi alleati con personaggi ed interessi legati ai poteri
criminali, ma anche come esponenti e intrecci della camarilla andreottiana
si siano ricollocati e riprodotti al potere anche nell'area del cosiddetto
centrosinistra.
Tra le letture utili segnaliamo: Ivan Cicconi, La storia del futuro di
tangentopoli, Dei, Roma 1998; Commissione parlamentare antimafia, Mafia e
politica, Laterza, Roma-Bari 1993;  Alfredo Galasso, La mafia politica,
Baldini & Castoldi, Milano 1993; Pio La Torre et alii, Mafia e potere
politico, Editori Riuniti, Roma 1976; Procura di Palermo, La vera storia
d'Italia, Pironti, Napoli 1995; Leo Sisti, Peter Gomez, L'intoccabile, Kaos,
Milano 1997; Nicola Tranfaglia (a cura di), Cirillo, Ligato e Lima, Laterza,
Bari 1994.
*
14. Storia del movimento antimafia, 2000
Il recente libro di Umberto Santino, Storia del movimento antimafia (Editori
Riuniti, Roma 2000), costituisce un contributo di fondamentale importanza
per gli studiosi e per quanti sono impegnati contro i poteri criminali.
"Con questo volume - scrive l'autore nell'introduzione - ho voluto in primo
luogo ricostruire e raccontare la storia delle lotte sociali contro la
mafia, a cominciare dai primi passi del movimento contadino, cioe' dai Fasci
siciliani, e mettere in luce l'ispirazione e la prassi antimafia di
centinaia di migliaia di persone impegnate in una lotta durissima per il
rinnovamento di una societa' dominata da forti interessi e presidiata dalla
violenza mafiosa. Se la prima esigenza e' stata quella della memoria
storica, la seconda e' quella di riflettere e avviare una prima
sistematizzazione di una massa di informazioni riguardanti gli ultimi anni.
Quali sono le caratteristiche distintive dell'attuale stagione di lotte
rispetto alle lotte precedenti, quali i soggetti, le modalita' d'azione, le
prospettive? Si puo' parlare di un movimento antimafia alla luce delle
riflessioni sui movimenti sociali dagli anni '60 in poi? Non pretendo di
aver dato risposte definitive, posso dire soltanto che ho cominciato a porre
queste domande e ad elaborare le prime risposte. Nella ricostruzione del
movimento degli ultimi decenni l'analisi e il racconto s'intrecciano con la
testimonianza, avendo vissuto in prima persona gran parte delle vicende di
cui si parla".
Le quattrocento pagine di questa storia del movimento antimafia si
articolano in tre parti: la prima parte, "Il movimento contadino e la lotta
contro la mafia", abbraccia un arco di tempo che va dai Fasci siciliani, al
fascismo, al secondo dopoguerra; la seconda parte, "Un periodo di
transizione", e' sul cruciale periodo di transizione negli anni '60-'70; la
terza parte, "L'impegno della societa' civile", analizza la lotta contro la
mafia dagli anni '80 a oggi. Il volume contiene anche un'appendice sulle
associazioni e le iniziative antimafia in Italia, essenziale repertorio di
punti di riferimento in tutto il territorio nazionale.
Scrive Santino: "Nella storia delle lotte sociali contro la mafia si possono
individuare tre fasi, distinguibili per alcune caratteristiche specifiche:
- la prima fase va dai Fasci siciliani (1891-1894) al secondo dopoguerra
(anni '40 e '50),
- la seconda abbraccia gli anni '60 e '70,
- la terza va dagli anni '80 a oggi.
Nella prima fase la lotta antimafia si presenta come aspetto peculiare della
lotta di classe e per la democrazia in Sicilia, e in particolare nella
Sicilia occidentale, area in cui storicamente si e' formata la mafia.
Il soggetto protagonista e' il movimento politico-sindacale nelle fasi
iniziali: una sorta di 'stato nascente' di sindacati e partiti. La nostra
storia comincia con i Fasci siciliani e continua con le lotte contadine fino
agli anni '50. Queste lotte si scontrarono duramente con gli agrari e con i
grandi affittuari (gabelloti) legati alla mafia, che ricorsero agli
assassinii e alle stragi per reprimere qualsiasi tentativo di mettere in
forse il loro dominio.
Nella seconda fase la lotta contro la mafia e' condotta dalle forze
politiche di opposizione e da piccole minoranze, raccolte in alcuni dei
gruppi di Nuova sinistra che si formano dopo il '68.
Dagli anni '80, in particolare dopo il delitto Dalla Chiesa, si svolgono
iniziative diverse (...), si formano centri, comitati, gruppi formali e
informali, coordinamenti, cartelli ecc. ed entrano in gioco vari soggetti:
studenti, insegnanti, intellettuali, commercianti, religiosi, uomini delle
istituzioni, cittadini comuni. Il movimento antimafia assume dimensioni di
massa, almeno in alcune manifestazioni, e si presenta come una forma di
impegno civile che si diffonde in varie regioni d'Italia. Non e' piu' il
conflitto di classe la molla che fa scattare la mobilitazione, ma
l'indignazione per la tracotanza mafiosa, che si esprime con delitti che
colpiscono gli uomini piu' rappresentativi delle istituzioni che si
oppongono all'espansione del fenomeno mafioso, in nome dello Stato, che
pero' li condanna all'isolamento e li espone alla ritorsione violenta. Con
l'indignazione si fa strada la consapevolezza che il fenomeno mafioso non e'
piu' limitato a una piccola area del paese e costituisce un attentato
continuato alla vita democratica".
E l'autore prosegue: "La prima fase e' la piu' esplorata, anche se non e'
stata studiata finora sotto il peculiare punto di vista dello scontro con il
fenomeno mafioso. Per essere la piu' lontana nel tempo, essa e' stata e
continua ad essere oggetto della ricerca storica ma e' totalmente, o quasi,
ignorata dalle giovani generazioni (...).
La seconda fase e' pressoche' sconosciuta, se si toglie la cerchia ristretta
dei militanti di quella stagione politica, spesso avviati su altre strade e
poco interessati a conservarne la memoria. La peculiarita' di questa fase,
che puo' essere definita un periodo di transizione, per i mutamenti in atto
nel quadro sociale e nella mafia, e' data dal recupero di una dimensione
classista, operato da minoranze che dimostrano una notevole lucidita' di
analisi sugli sviluppi del fenomeno mafioso e vivono esperienze
significative, tra cui quella conclusasi tragicamente di Giuseppe Impastato.
Sulla fase piu' recente la riflessione e' appena avviata. Come abbiamo gia'
accennato, abbondano le mitizzazioni e le proiezioni spettacolari (...).
L'attuale movimento antimafia e' interclassista o aclassista, raccogliendo
cittadini provenienti da varie classi senza porsi il problema della loro
collocazione nel contesto sociale, mette al centro esclusivamente o
prevalentemente dei valori (la giustizia, la legalita') e nei confronti del
sistema ha un atteggiamento bivalente. Non e' contestazione globale,
antisistemica, ma mirata, volta ad espellere dal seno delle istituzioni i
'poteri criminali', mettendo fine a quella congerie di complicita' che sono
alla base della forza e persistenza del fenomeno mafioso e di altri fenomeni
ad esso assimilabili".
In un denso paragrafo dell'introduzione, "Movimento antimafia e istituzioni"
(pp. 16-18), l'autore fondandosi su una irrefragabile base documentaria (gli
eccidi e la repressione del movimento contadino, l'impunita' per gli
assassini dei militanti, le conseguenti ondate di emigrazione) argomenta:
"lo Stato e le istituzioni nel loro complesso (dal governo centrale agli
enti locali, dalla magistratura e dalle forze dell'ordine alla burocrazia)
hanno avuto un ruolo decisivo nella sconfitta e nella dissoluzione dei
movimenti che hanno lottato contro la mafia e per un assetto politico
diverso da quello che ha prodotto la mafia e ne ha consentito lo sviluppo, e
all'interno del quadro istituzionale si sono incrociate e rafforzate le
ragioni per cui la mafia per un lungo periodo della sua storia si e'
dimostrata invincibile. Pertanto, piu' che di un generico ruolo filomafioso
dei rappresentanti delle istituzioni, si puo' parlare di forme di
complicita' con i mafiosi, non generalizzate ma ampiamente diffuse,
derivanti dall'appartenenza dei vari soggetti agli stessi strati sociali o
dall'impegno comune in difesa degli stessi interessi, per mantenere
inalterati i rapporti di dominio e di subalternita'.
Dalla fine degli anni '70 si registra una novita' nel quadro istituzionale:
politici di governo, magistrati, uomini delle forze dell'ordine vivono il
loro ruolo e la loro professione come un impegno contro la mafia, e cio' si
spiega con lo straripare del fenomeno mafioso, in seguito all'incremento
dell'accumulazione illegale legata ai traffici internazionali (quella che ho
chiamato 'mafia finanziaria') e con la rottura delle compatibilita', che
porta a una decisa presa di coscienza di singoli e di settori delle
istituzioni. (...) tende ad allargarsi il numero dei 'servitori dello Stato'
impegnati, anche a rischio della vita, nell'attivita' di contrasto a una
mafia sempre pił ricca e pretenziosa. Sappiamo quanti di loro sono caduti
per mano mafiosa.
Il fatto nuovo degli ultimi anni e' dato dall'incontro tra un movimento
antimafia con caratteristiche  diverse dal movimento contadino e settori
istituzionali, un incontro che certamente e' un punto di forza di una nuova
strategia antimafia ma che troppo spesso rimane episodico e sporadico o si
riduce a una sorta di collateralismo (...).
Cosi' abbiamo un'antimafia istituzionale che consegue risultati concreti,
come gli arresti, i processi e le condanne, ma rimane in gran parte
simbolica e comunque 'emergenziale', e un'antimafia civile anch'essa legata
all'emergenza, con manifestazioni di massa dopo le stragi e i delitti con
vittime prestigiose e il lavoro quotidiano affidato a pochi militanti,
generosamente impegnati piu' in un'ottica di testimonianza e di pratiche
atomizzate ed episodiche che in quella di un progetto che coinvolga strati
consistenti della popolazione.
Come vedremo - conclude Santino - non mancano i tentativi di andare oltre
l'emozione e verso il progetto, di coinvolgere strati popolari in
un'antimafia sociale che si ponga i problemi del nostro tempo, a cominciare
dalla disoccupazione e dalla crisi dell'economia legale, che inevitabilmente
portano verso l'accumulazione illegale e la riproduzione e la dilatazione
del circuito mafioso".
Nelle pagine conclusive del libro, analizzando i compiti del movimento
antimafia nel "villaggio globale" l'autore scrive: "I punti fondamentali di
un programma che vada oltre l'avvenimento e si proponga di costruire
un'alternativa complessiva alle mafie e alla societa' mafiogena, a partire
da esperienze gia' fatte o in corso, sono stati piu' volte indicati. Anche
se non mi pare il caso di dettare un 'decalogo del perfetto antimafioso',
provo a riassumerli:
- sul piano conoscitivo, avere una conoscenza adeguata dei fenomeni
criminali e della realta' in cui essi si sono formati e sviluppati,
fornendosi degli strumenti necessari e contribuendo, sulla base delle
proprie conoscenze ed esperienze, ad arricchire il patrimonio di analisi;
- sul piano economico, boicottare le attivita' illegali e contribuire alla
crescita dell'economia legale, sapendo che il mercato non e' un toccasana e
che occorre porre l'accento sulla socialita' dell'economia, cioe' sulla sua
finalizzazione al soddisfacimento dei bisogni;
- sul piano politico, vivere la democrazia non solo nelle scadenze rituali,
ma quotidianamente, cioe' sviluppare le forme di partecipazione e di
controllo delle istituzioni, individuare e denunciare tutte le forme di
collusione con la criminalita' e di criminalita' interna, praticare il
pluralismo dei poteri (quello che ho chiamato lo 'Stato diffuso');
- sul piano sociale, creare e rafforzare il tessuto della societa' civile,
partecipando al controllo del territorio con forme di vigilanza dal basso e
con la diffusione della rete di servizi;
- sul piano culturale ed educativo, agire sui comportamenti della vita
quotidiana, dare concretezza alla scelta della nonviolenza, democratizzare
la scuola ed aprirla al territorio;
- sul piano etico, elaborare e praticare un'etica comune, al di la' delle
fedi religiose e dei codici ideologici, fondata sul pluralismo e il rispetto
delle diversita', sulla concretezza, sul fare e non solo sul non fare,
sull'impegno comunitario, sulla radicalita' e il conflitto e non
sull'unanimismo che rischia di condannare e assolvere tutti, sul qui e ora e
non sull'attesa di un improbabile futuro.
Come si vede, piu' che un vademecum per il militante di un movimento a
tematica specifica, si tratta di indicazioni per il cittadino che vuole
vivere in piena consapevolezza la propria cittadinanza e sa che il problema
delle mafie e' uno dei piu' gravi del nostro tempo, intrecciandosi con
l'economia, con il potere e con la vita quotidiana".
Umberto Santino con questo volume ha scritto la prima completa e rigorosa
storia del movimento antimafia mettendovi a frutto la sua straordinaria
competenza scientifica e la sua altrettanto straordinaria esperienza di
militante, riuscendo cosi' a compiere una ricognizione del movimento
dall'interno, ad un tempo partecipe e rigorosamente fondata, dando una
lettura critica e contestuale delle vicende esaminate, proponendo non solo
una descrizione di grande precisione e completezza, ma altresi' una analisi
penetrante di grande efficacia euristica.
Tra le letture che potrebbero essere proposte per sviluppare e mettere a
confronto alcuni aspetti ed apporti di questo libro segnaliamo il gia'
classico Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino; e tra le
pubblicazioni recenti: Nando dalla Chiesa, Storie eretiche di cittadini
perbene, Einaudi, Torino (ma gia' Storie, Einaudi, Torino); Vincenzo
Ruggiero, Delitti dei deboli e dei potenti, Bollati Boringhieri, Torino;
Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia
(1960-1995), Laterza, Roma-Bari; Alessandro Dal Lago, Non-persone,
Feltrinelli, Milano; Jean Ziegler, Les seigneurs du crime, Seuil, Paris; ed
alcuni dei contributi apparsi nel volume monografico di 'Micromega' 1/2000,
Dei delitti e delle pene; e ne 'I quaderni speciali di 'Limes'" (suppl. a
"Limes" 2/2000), Gli stati mafia. Cfr. anche Salvatore Lupo, Storia della
mafia, Donzelli, Roma; ed il volume di 'Meridiana' n. 25/1996, Antimafia; Di
grandissimo interesse a nostro avviso il lavoro giornalistico di Riccardo
Orioles, diffuso via internet e leggibile ad esempio collegandosi a
Peacelink (www.peacelink.it).
*
15. La cosa e il nome, 2000
"Le origini della mafia non si perdono 'nella notte dei tempi'. Com'e'
risaputo la parola mafia compare per la prima volta in un testo scritto nel
1863 e il fenomeno si rivela in tutte le sue implicazioni all'interno del
processo che accompagna la formazione dello Stato unitario. Questo pero' non
significa che e' preclusa qualsiasi possibilita' di guardare indietro nel
tempo. C'e' una lunga fase di incubazione, in cui prendono corpo fenomeni
che possono definirsi premafiosi, come le attivita' delittuose regolarmente
impunite perche' gli autori sono legati ai detentori del potere, o forme
delittuose con finalita' accumulative e configurabili come esercizio di
signoria territoriale. Tali fenomeni sono documentabili e questo libro
raccoglie materiali e sviluppa riflessioni che ne consentono lo studio. Il
testo, corredato di un'ampia appendice di documenti difficilmente
reperibili, vuole essere uno stimolo ad avviare una ricerca adeguata e -
come scrive Orazio Cancila nella prefazione - rappresenta 'una acquisizione
di sicuro valore nel quadro della recente storiografia del fenomeno
mafioso'". Cosi' la quarta di copertina del libro di Umberto Santino, La
cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000. Un libro composto di un ampio studio (pp. 25-184) e
di una utile raccolta di documenti (pp. 185-245).
Potrebbe sembrare a prima vista un'opera rivolta eminentemente a un pubblico
di studiosi, di specialisti con interessi prevalentemente storiografici, e
magari della scuola delle "Annales"; e' invece uno ennesimo assai utile
strumento di lavoro per tutte le persone impegnate nella lotta contro la
mafia (e' infatti una caratteristica saliente del lavoro intellettuale di
Santino che le sue opere apportino contributi conoscitivi, analitici, e
propositivi di immediata rilevanza ermeneutica ed operativa, di immediata
valorizzazione nell'azione di lotta contro la mafia - che quindi la sua
produzione teorica e di ricerca sia anche politica, civile in senso forte).
E valga il vero.
Scrive Santino nell'introduzione (di seguito ne riportiamo un ampio
estratto, dalle pp. 28-32):
"Ricostruire il processo di gestazione della mafia e' un compito quanto mai
arduo e richiederebbe una ricerca, anzi un insieme di ricerche, in piu'
direzioni, soprattutto se si ha della mafia un'idea complessa.
Da tempo sostengo, andando spesso controcorrente rispetto a idee di mafia
semplificatrici, incentrate esclusivamente sulla 'subcultura mafiosa' o
sull'associazionismo criminale, che il fenomeno mafioso e' polimorfico,
risultando dall'interazione di vari aspetti. Per comodita' del lettore
riporto l'ipotesi definitoria piu' volte formulata: per mafia, o piu' in
generale per fenomeno mafioso intendo un insieme di organizzazioni
criminali, di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa Nostra, che
agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale,
configurando un sistema di violenza e illegalita' finalizzato
all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di
potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso
sociale.
In questo quadro l'organizzazione criminale, pur avendo caratteri distintivi
suoi propri, viene considerata come una componente di un blocco sociale a
composizione transclassista, cementato da interessi, comportamenti e abiti
mentali, egemonizzato dai soggetti illegali-legali piu' ricchi e potenti
(capimafia, politici, burocrati, imprenditori, tecnici ecc.), definibili
come borghesia mafiosa.
Questo 'paradigma della complessita'' configura il fenomeno mafioso come un
prisma a piu' facce, risultato del combinarsi di aspetti criminali,
economici, politici, culturali, e lo considera nelle sue implicazioni
specifiche, distinguendolo ma non separandolo dal contesto socale. Le
specificita' della mafia sono riassumibili nell'uso privato della violenza,
cioe' nel non riconoscimento del monopolio statale della forza; nella
signoria teritoriale, cioe' nel controllo capillare della vita quotidiana e
delle attivita' che si svolgono su un territorio determinato; nell'intreccio
con le istituzioni. Si puo' parlare, per cio' che riguarda il rapporto tra
mafia e Stato, di una doppia mafia (contemporaneamente fuori e contro lo
Stato e dentro e con lo Stato), a cui corrisponde una sostanziale doppiezza
dello Stato, formalmente monopolista della giustizia e della forza, in
realta' tollerante nei confronti della mafia, che ha goduto sempre di un
alto tasso di impunita'.
Tale ipotesi definitoria si riferisce alla mafia cosi' come si e'
concretamente sviluppata nella societa' siciliana contemporanea e uno
studio, anche appena abbozzato ed embrionale, come quello che qui viene
presentato, deve andare alla ricerca dei vari aspetti che solo
successivamente si salderanno dando vita al fenomeno mafioso nella sua
complessita'.
Ritengo che possano considerarsi 'premafiosi' i fenomeni raggruppabili in
due grandi categorie:
- attivita' delittuose regolarmente impunite, perche' i soggetti che le
mettono in atto sono legati ai detentori del potere, di fatto o
istituzionale;
- forme delittuose con finalita' accumulative e configurabili come esercizio
di potere territoriale.
In sintesi si possono definire 'premafiosi' tutti quei fenomeni che mostrano
come la vioenza privata venga usata come mezzo di arricchimento e di
dominio.
Piu' dettagliatamente tali fenomeni si presentano, in forme piu' o meno
compiute, con le seguenti caratteristiche:
1) casi e forme di esercizio privato della violenza, cioe' violenza
extrastatuale, a cui di regola non consegue la sanzione della giustizia
ufficiale;
2) uso, non sporadico ed episodico, ma abituale o permanente, della violenza
privata da parte di soggetti detentori di potere e di settori delle
istituzioni;
3) manifestazioni di violenza o illegalita' in genere che si presentano come
comportamenti ricorrenti e attivita' professionali, o tendono a diventarlo;
4) esistenza di raggruppamenti, piu' o meno strutturati o informali, allo
scopo di compiere attivita' delittuose in un determinato territorio, su cui
esercitano forme di controllo;
5) comportamento violenti-illegali funzionali all'arricchimento e
6) all'acquisizione di posizioni di potere reale, di fatto, non
necessariamente in contrapposizione con quello ufficiale;
7) comportamenti sopra richiamati, legittimati attraverso
l'accettazione-passivita' di massa.
Tali fenomeni sono documentabili e lo studio di essi e' perfettamente
legittimo e puo' essere utile, se viene affrontato con le dovute cautele.
Non si tratta di trovare gli 'antenati' dei mafiosi, pericolo che e' sempre
presente in chi, come noi, sa 'come sono andate le cose' nei secoli
sucessivi a quelli che analizziamo...
Guardando al passato c'e' sempre il rischio di cadere nella trappola
dell''anacronismo', di cercare alle nostre spalle quello che vediamo farsi
ogni giorno... ma questo vale per qualsiasi ricostruzione storica, che deve
sempre avvertire come necessita' inderogabile l'inserimento dei fenomeni nel
loro contesto. Per fare l'esempio pu' significativo: il monopolio statale
della violenza non si afferma dovunque con le stesse caratteristiche, anzi
e' uno di quei terreni su cui maggiormente sono proliferate differenziazioni
e specificita'. Un conto e' il non riconoscimento di tale monopolio da parte
della mafia attuale, quando ormai da tempo esso viene considerato come
attributo imprescindibile e irrinunciabile dello Stato moderno; un altro
conto e' l'uso privato della violenza nel XVI secolo in Sicilia, in un
contesto in cui sussiste il polipolio della forza e le funzioni giudiziarie
sono esercitate da vari fori.
Pertanto, questo lavoro non mira a rintracciare somiglianze piu' o meno
generiche tra i mafiosi di oggi e i bravi manzoniani o loro colleghi..., ma
a studiare i germi di cio' che poi sara' mafia, considerandoli per quello
che sono e sapendo che solo in futuro, in contesti mutati, schiuderanno per
intero il loro contenuto.
Attivita' delinquenziali in forma piu' o meno organizzata, sette e societa'
segrete si possono riscontrare ovunque, in tempi lontani dai nostri, eppure,
limitando lo sguardo all'area euro-mediterranea, solo in Sicilia, in
Calabria e in Campania, esse hanno prodotto la mafia, la 'ndrangheta e la
camorra. Perche' altrove fenomeni completamente o parzialmente assimilabili
sono abortiti e solo in aree determinate hanno dato i frutti che sappiamo?
La risposta va cercata nelle condizioni e nelle forme specifiche in cui si
sono configurati i processi di transizione dal feudalesimo al capitalismo e
di formazione dello Stato e si e' articolata l'interazione tra fenomeni
criminali e dinamiche economiche e di potere. Lo scavo nel passato puo'
contribuire a portare nuova luce su tali processi, ma rischia di aggiungere
problemi a problemi e per di piu' deve fare i conti con i limiti della
documentazione sopravvissuta e l'inadeguata esplorazione di cio' che e'
rimasto".
*
Una postilla del curatore di questa rassegna
Scrivevamo nel 1998, in occasione della prima pubblicazione di questa
rassegna bibliografica ragionata sull'opera di Umberto Santino, che,
"ripercorrendo la storia degli studi sulla mafia, e reso onore non solo alle
vittime ma anche ai ricercatori ed ai militanti democratici che hanno
operato sul campo (un nome per tutti: Danilo Dolci), l'opera scientifica e
di ricerca condotta da Umberto Santino emerge come una delle piu' rilevanti:
a nostro modesto avviso, la piu' rilevante tout court.
La bibliografia sul potere mafioso e' sterminata. Ma essa e' perlopiu' assai
scadente...
Da quando conosciamo il lavoro del Centro Impastato e di Umberto Santino
subito e costantemente abbiamo colto e apprezzato un altro, un alto livello
di analisi. Per il convergere di vari elementi: il rifiuto
dell'esagerazione, la ricerca attenta della documentazione, il rispetto del
materiale, il negarsi ai voli pindarici o alle tesi ardite fondate sul
piacere della parola o della costruzione geometrica; l'uso di una
strumentazione teorica di prim'ordine: la riflessione economica della scuola
del 'sistema-mondo' (Wallerstein e non solo); un uso creativo e rigoroso
della formula del 'doppio Stato' mutuata dal classico volume di Fraenkel; i
classici della sociologia europea ed americana ma senza il feticismo tipico
dei weberiani o la tendenza alla brillantezza a tutti i costi; un'eredita'
marxiana originalmente ripensata perche' passata al crivello dei grandi
pensatori critici del Novecento (da Anders a Jonas); ma anche un'esperienza
e una riflessione che proviene ed ha interagito con la prassi e le
tradizioni di quella che fu la nuova sinistra (che in questo paese e' pur
stata qualcosa)...
Peraltro la ricerca e l'elaborazione di Santino e' forse l'unica che riesca
ad analizzare adeguatamente il ruolo dei poteri criminali nel quadro
complessivo della globalizzazione capitalistica, del dominio del capitale
finanziario, con tutte le conseguenze e le interazioni di carattere
geopolitico e strategico (ed ovviamente anche ideologico e culturale)
connesse; e da molti anni ci siamo convinti che questo ambito di riflessione
e di lotta e' per noi decisivo. Crediamo che compito specifico ed
irrinunciabile dei militanti democratici italiani sia quello di condurre la
lotta contro i poteri criminali evidenziando come questa lotta sia parte
cruciale della lotta comune per affermare la dignita' umana conculcata dai
poteri dominanti e difendere la biosfera dalla distruzione che l'attuale
modello di sviluppo produce". Cosi' dicevamo nel '98, cosi' ci pare tuttora.

4. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: DEL CINISMO
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di
Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica,
collaboratrice di questo foglio, impegnata in iniziative di pace e di
solidarieta']
Ho voglia di parlare del cinismo. Del cinismo delle date di questa guerra
cosi' geograficamente vicina ai nostri occidentali paesi. Di questa guerra
cinicamente scandita con il calendario in mano, in modo che finisse in
tempo, prima dei nostri pranzi pasquali, delle gite pasquali, degli imbarchi
caotici per esotiche terre o per mari caldi affacciati sul mare nostrum.
Affinche' noi potessimo serenamente godere delle nostre meritate vacanze,
senza paure e senza rimorsi.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 574 del 22 aprile 2003