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La nonviolenza e' in cammino. 565
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 565
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2003 23:35:25 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 565 del 13 aprile 2003
Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti (a cura di): Dov'e', o guerra, la tua vittoria?
2. Un'assemblea di gruppi, reti e associazioni femministe a Firenze
3. La pace nella Carta europea
4. Nadia De Mond, Nicoletta Pirotta: la Marcia mondiale delle donne riparte
dall'India
5. Giampaolo Calchi Novati ricorda Enrica Collotti Pischel
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI (A CURA DI): DOV'E', O GUERRA, LA TUA
VITTORIA?
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
averci inviato questa sua raccolta di "Note e pensieri contro la vittoria
militare", pubblicata dapprima come inserto in "Azione nonviolenta" nel
settembre 1988, successivamente nel mensile "Il foglio" del febbraio 1991, e
successivamente nuovamente aggiornata. Enrico Peyretti e' uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999]
"Dov'e', o morte, la tua vittoria?"
(San Paolo, Prima lettera ai Corinti, 15,55)
*
Questa piccola raccolta viene pubblicata nell'occasione dell'ottantesimo
anniversario della conclusione della prima guerra mondiale, celebrata come
"la Vittoria" nella storia italiana, ed e' offerta a chi vuole meditare
sulla vacuita' e falsita' del successo militare omicida, che e' sempre una
sconfitta umana. Non si vuole entrare nella discussione storica su quella
guerra, ne' sul "parecchio" che secondo Giolitti si sarebbe ottenuto con la
neutralita', ne' sul giudizio di "inutile strage" dato da Benedetto XV, ne'
sull'uso dei fanti come carne da mitraglia fatto da Cadorna, ne' sui
processi per disobbedienza e diserzione, ne' sulle decimazioni dei soldati
ordinate dagli ufficiali nei reparti indocili. Si vuole soltanto meditare
sulla vittoria in guerra, in tutte le guerre.
*
Questa raccolta e' stata successivamente pubblicata sul mensile torinese "Il
foglio" n. 178, anno XXI, febbraio 1991, nei giorni tragici e vergognosi del
gennaio '91, nostra universale sconfitta nella guerra del Golfo, che spezzo'
le nuove speranze di pace, dopo il mirabile 1989, anno dei maggiori
successi, nell'Europa dell'est, delle lotte nonviolente. Qui la raccolta
viene rivista e molto ampliata. E' dedicata a tutte le vittime delle
"vittorie", supplicandole di perdonare questa nostra miserabile umanita',
che tuttavia e' sempre di nuovo chiamata, anche proprio da quelli che
calpesta ed uccide, a ritrovare una ragione e un cuore umani. L'ordine dei
brani e' del tutto casuale.
*
1. Nel soffitto della sala del trono, nel palazzo reale di Torino, c'e' un
dipinto del Miel ("La Pace che tiene sottomesso il Furore guerriero e Marte
addormentato"), nel quale un cartiglio porta la scritta Multis melior pax
una triumphis (Una sola pace e' migliore di molti trionfi), che ricorda un
poco il concetto ripetuto da Erasmo (tanto nel Dulce bellum inexpertis
quanto nella Querela pacis): "E' meglio una pace ingiusta di una guerra
giusta". Infatti, nella prima si puo' ancora ottenere la giustizia, che
nella seconda e' perduta.
2. "Quante ignobili vittorie!". Con queste parole Michel de Montaigne
(1533-1592) salutava il trionfo in America della conquista europea.
3. "Non si puo' chiedere all'obiezione l'efficacia immediata, essa non e'
che la restaurazione della categoricita' della nonviolenza di fronte alla
realta', con l'esito inevitabile della sconfitta. Per la nonviolenza la
sconfitta e' una vittoria". (Ernesto Balducci, La rivoluzione nonviolenta,
in "Testimonianze", n. 328, settembre-ottobre 1990, p. 27).
4. "Non c'e' nessuna vittoria, signor generale, ci sono solo bandiere e
uomini che cadono, e alla fine non ci saranno ne' bandiere ne' uomini".
(ultima lettera al proprio padre, un generale, di un soldato tedesco andato
in guerra volontario, che ora sa che non tornera' vivo, in Ultime lettere da
Stalingrado, Einaudi, Torino 1963, p. 50).
5. Nell'ultimo brano della classica antologia di Gandhi, Teoria e pratica
della nonviolenza, curata da Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1996, pagina
scritta il 7 luglio 1947, risaltano i quattro caratteri che il Mahatma vide
subito nella vittoria americana sul Giappone ottenuta con la strage atomica,
mentre il nemico gia' chiedeva la resa: una vittoria ignobile, vuota,
avvelenata, ingiusta.
6. Testimonianza di Alvise, nonviolento, verso la meta' degli anni '80: "In
questi anni ho imparato una cosa semplice: non voler vincere".
7. I cristiani credono in un vinto, credono che il giusto vinto vince. Essi
cantano a Pasqua: "La morte e la vita si sono affrontate in un grandioso
duello: il signore della vita morto regna vivo".
8. La guerra, l'uccidere invece di discutere, e' un vincolo di morte, un
orrendo amplesso fisico che assimila l'uno all'altro. E' l'immagine
capovolta del vincolo d'amore, che il Cantico dice forte come la morte,
cioe' in grado di sfidare la morte. Infatti, se uccidi con la guerra il
violento, diventi come lui, e' lui che ti vince. Se uccidi il giusto, lui
vinto ti vince: Abele redime Caino, Cristo redime l'umanita' omicida. Vince
sempre il vinto, che sia buono o cattivo. La vittoria della forza non
esiste, e' apparenza sulla breve scena del tempo. La verita' e' sempre nel
contrario di questa vittoria. La forza che presume di distruggere il nemico
distrugge se stessa, piomba nel proprio vuoto. Vince il vinto cattivo:
Hitler vinto ha vinto, perche' la distruttivita' che lui non ha raggiunto e'
stata perfezionata e raffinata nello sterminismo atomico dei vincitori, non
importa se entro altre ideologie. E vince il vinto buono: Cristo vinto ha
vinto, perche' nessuna speranza resta davanti a noi come la sua, seppure
tante volte smentita.
9. Gandhi vedeva bene l'inconsistenza della vittoria armata: "Non riuscirete
mai a eliminare il nazismo usando i suoi stessi metodi" (messaggio agli
inglesi sotto i bombardamenti tedeschi, 7 luglio 1940, in Teoria e pratica
della nonviolenza, curata da Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1996, pp.
248-249). Unica vittoria e' quella che da' vita, quella della verita'
disarmata.
10. Nel film Wargames di John Badham (1983), un supercomputer calcola le
possibilita' di vittoria nella guerra totale e risponde: "L'unica mossa
vincente e' non giocare". La vittoria in guerra non esiste piu'. Le vittorie
di ieri non erano vittorie, sembravano. La luce atomica illumina la guerra
in cio' che e' sempre stata: un'atroce stoltezza. Lo dimostrava gia'
Bertrand Russell nel 1957 nella sua Lettera ai potenti della terra, facendo
vedere che la vittoria e' un'illusione (cit. in E. Balducci, L. Grassi, La
pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985, p. 192).
11. "Una vittoria puo' dirsi tale soltanto se tutti in egual misura sono
vincitori e nessuno e' vinto". E' questa una massima buddista antica di piu'
di due millenni, citata da Gorbaciov per la sua grande attualita', nel
discorso in cui sottolineava l'importanza della Dichiarazione di Nuova Delhi
del 26 novembre 1986, firmata da lui e dal primo ministro indiano Rajiv
Gandhi. In questo documento, nel quale si affermava che "la nonviolenza deve
essere alla base della vita della comunita' mondiale", Gorbaciov vedeva il
punto di incontro dei "massimi genii" dei due paesi, alludendo a Tolstoj e
al Mahatma Gandhi. (Cfr E. Balducci, Gandhi, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole 1988, pp. 7-8).
12. Altri aforismi di Buddha sulla vittoria in guerra: "Fra chi vince in
battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui e'
il migliore dei vincitori di ogni battaglia" (Dhammapada, n. 103). "La
vittoria alimenta inimicizia, perche' chi e' vinto giace dolente. Chi ha
abbandonato vittoria e sconfitta, costui rista' tranquillo e felice".
(Dhammapada, n. 201, in Aforismi e discorsi del Buddha, a cura di Mario
Piantelli, Tea, Milano 1988).
13. "Obiettivo della strategia della pace deve essere, in antitesi con la
strategia di guerra - ed e' questa la cosa sostanziale, quello di impedire
la sconfitta del nemico" (Erich Fromm, La disobbedienza e altri saggi,
Mondadori, Milano 1988). Cioe', la pace non nasce mai dalla vittoria sul
nemico, ma dalla vittoria sull'inimicizia. La vittoria della saggezza e'
impedire la sconfitta del nemico, sempre foriera di volonta' di rivincita.
La vera vittoria e' quella comune alle parti, e' l'attingere un risultato
sovraordinato comune. Vincere e' pericoloso. L'unica sicurezza e'
con-vincere, vincere insieme. E per questo e' necessario con-vincer-si,
cioe' acquistare il potere su di se', il piu' difficile e prezioso, la vera
potenza.
14. Ascoltiamo Erasmo (1466-1536), il grande difensore della pace all'inizio
del '500. Egli avverti' che lo Stato moderno si andava costituendo sul
diritto di guerra, per il quale disponeva dei nuovi terribili armamenti da
fuoco. Cioe', la guerra era il primo reale articolo delle costituzioni
statali, ancora non scritte. Erasmo propose un'alternativa storica che non
fu seguita. Noi oggi, al termine della modernita', nell'era della
distruggibilita' atomica, abbiamo un compito uguale: superare gli Stati e i
super-Stati costituiti sulla violenza e la guerra. Erasmo fu un grande
cristiano, che oggi la chiesa fa molto male a non ricordare. Dovrebbe essere
proclamato "dottore della chiesa", Dottore Pacifico.
In guerra, "il trionfo di questi e' il lutto di quelli... atroce e grondante
di sangue e' la felicita'". "Alla fine, anche se ottengo vittoria completa,
e' piu' lo scapito che il guadagno". "Se vogliamo vincere con Cristo...
vinceremo veramente allorquando saremo vinti". "Il bello e' che non
ottengono mai proprio quello che vogliono, e mentre stupidamente cercano di
evitare questo o quello scoglio, piombano in altri guai, o negli stessi ma
molto peggiorati". "Chi vince e' un assassino. Chi e' vinto muore, ma non e'
meno colpevole: muore solo per non essere riuscito a compiere lui
l'assassinio che tentava". "In guerra piange anche chi vince". "Noi ti
preferiamo pacifico piuttosto che vittorioso" (a Filippo di Borgogna). "La
vittoria (in guerra) non rientra mai fra i beni che appagano".
Sono parole tratte dal Dulce bellum inexpertis (la guerra piace a chi non la
conosce), dalla Querela pacis, dalla Lettera ad Antonio di Bergen, e da
altri testi, oggi accessibili a tutti nel libro curato da Garin nelle
Edizioni Cultura della Pace (S. Domenico di Fiesole, 1988). In Erasmo si
coalizzano contro la guerra l'argomento del sano utilitarismo e quello
morale, per cui l'uomo e' fallito quando uccide l'uomo.
15. All'obiezione del realismo cinico che si ammanta di giustizia, Erasmo
risponde: "Quanto meglio lasciare impunito il misfatto di pochi, che cercare
di infliggere una problematica pena a un paio di furfanti a prezzo del
rischio certo di amici e nemici (come li chiamiamo), che non hanno fatto
nulla". Leggevo queste parole nel gennaio 1991, durante le prime ore
dell'orribile sacrificio umano in cui si celebrava, contro innocenti vite
irachene, una sanguinaria "giustizia internazionale" nei confronti del
dittatore e aggressore Saddam. Trovavo deboli le parole di Erasmo, per
quella strage, ma vi riconoscevo lo stesso dolore che in quel momento ci
schiacciava. Si dira' poi che avra' vinto la ragione e la giustizia...
Quando "giustiziare" vuol dire uccidere - fosse anche il colpevole, con la
pena di morte, e a maggior ragione migliaia di innocenti - la parola
giustizia e' del tutto falsata, tradita, sconfitta: ha vinto solo il mistero
di male che oscura il mondo.
16. "Non sarebbe male che un popolo, a guerra finita e dopo aver concluso il
trattato di pace, dopo la festa del ringraziamento decretasse un giorno di
espiazione per chiedere perdono al Cielo, in nome dello Stato, per la grave
colpa della quale il genere umano continua a macchiarsi, rifiutando di
sottomettersi ad una costituzione legale che regoli i rapporti con gli altri
popoli, e preferendo usare, fiero della sua indipendenza, il barbaro mezzo
della guerra (per mezzo del quale tuttavia non si decide cio' che si cerca,
vale a dire il diritto di ogni Stato). I festeggiamenti coi quali si rende
grazie per una vittoria conseguita in guerra, gli inni cantati (alla maniera
degli Ebrei) al Signore degli eserciti, non contrastano meno nettamente con
l'idea morale del padre degli uomini; infatti, a parte la gia' abbastanza
triste indifferenza a riguardo dei mezzi coi quali i popoli perseguono il
proprio reciproco diritto, esprimono per di piu' la soddisfazione d'avere
annientato un bel numero di uomini, o distrutto la loro felicita'". Cosi'
Kant, in una nota del suo grande scritto Per la pace perpetua. Progetto
filosofico (pubblicato nel 1795; traduzione e cura di Alberto Bosi; Edizioni
Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1995, pp. 135-136). La guerra e'
dunque per lui la "grave colpa", il "barbaro (e inutile) mezzo", e
ringraziare Dio per la vittoria e' offesa all'idea morale di Dio,
indifferenza alla crudelta' dei mezzi bellici, soddisfazione per aver dato
morte e dolore.
17. Ma non e' solo il grande nobile animo di Kant a parlare cosi'.
Ascoltiamo un altro autore, il quale dice che in guerra le potenze
belligeranti sono "tutte d'accordo su un punto solo, fare il maggior male
possibile. La cosa piu' strabiliante di questa impresa infernale e' che ogni
capo assassino fa benedire le sue bandiere e invoca solennemente Dio prima
di andare a sterminare il prossimo. Se un capo ha avuto la fortuna di far
sgozzare solo due o tremila uomini, non ne ringrazia Dio; ma quando ce ne
sono almeno diecimila sterminati dal ferro e dal fuoco e, per colmo di
grazia, e' stata distrutta fino all'ultima pietra qualche citta', allora si
canta a quattro voci una canzone abbastanza lunga [il Te Deum laudamus,
preghiera usata come bestemmia classica nelle feste per la vittoria -
n.d.r.], composta in una lingua sconosciuta a tutti coloro che hanno
combattuto... La medesima canzone serve per i matrimoni e per le nascite, e
al tempo stesso per la strage: questo e' imperdonabile". E'
quell'arciscomunicato di Voltaire (nella voce Guerra del suo Dizionario
filosofico), in questa occasione vero teologo, piu' cristiano di un papa e
piu' pio di un monaco.
18. Tommaso Moro (1478-1535), il grande amico di Erasmo, non arriva ad
escludere la guerra dalla sua isola di Utopia, eppure scrive: "La guerra e'
profondamente detestata in Utopia, come cosa veramente belluina [come dice
il suo nome latino - n.d.r.], sebbene nessuna specie di belva la pratichi
cosi' spesso come l'uomo; e nulla si ritiene tanto inglorioso - al contrario
di quasi tutti gli altri popoli - quanto la gloria acquistata con la
guerra". Se e' la cosa piu' ingloriosa, la vittoria in guerra e' dunque la
cosa piu' vergognosa.
Ma questo, dira' il realista freddo, avviene nell'isola che non c'e'. A
parte il fatto che Utopia puo' significare anche il buon luogo, il solo
criterio che da' respiro e futuro all'intelligenza e alla vita e' quello che
lo stesso Moro ci dice: "Ci interessa tutto quello che non conosciamo
ancora".
19. Ancora Kant cita un detto antico, nel fare il bilancio dei vantaggi e
svantaggi della guerra: "La guerra e' un male, perche' fa piu' malvagi di
quanti ne toglie di mezzo" (Per la pace perpetua, Primo supplemento).
Dunque, chi vince nella guerra? Il male.
20. "Inutile strage, orrenda carneficina che disonora l'Europa". Cosi'
defini' la guerra in corso, nel 1917, papa Benedetto XV, e fu coperto di
improperi come disfattista.
"La guerra sarebbe il declino dell'umanita' intera". "La pace ottenuta con
le armi non potrebbe preparare che nuove violenze". Cosi', il 12 gennaio
1991, inutilmente avverti' le potenze occidentali papa Giovanni Paolo II,
delegittimando solennemente la guerra del Golfo e la volonta' di potenza
dell'Occidente. Declino, in luogo del progresso. Nuove violenze, in luogo
del nuovo ordine internazionale. E' questa la vittoria della legalita',
della democrazia?
21. "La guerra e' una sconfitta anche per coloro che pensano di esserne
eventuali vincitori" ("L'Osservatore Romano", 20 gennaio 1991). "Una guerra
e' sempre una sconfitta" disse una ragazza della prima E, quattordici anni,
durante un'assemblea nel mio liceo contro la guerra del Golfo. Era piu'
saggia di quei pazzi potenti, piu' capace di Andreotti, De Michelis e
Cossiga, di governare l'Italia.
22. E ogni sconfitta camuffata
con sonanti peana
di vittoria. Poi
il rimorso inutile:
e lamenti e preghiere
a riempire i cieli, e sempre
un Salvatore atteso
e poi respinto.
(David Maria Turoldo, Nel segno del Tau, Mondadori, Milano 1988, p. 109).
23. "Le stesse potenze che hanno 'vinto' l'ultima guerra mondiale a proprio
danno (...) non sono riuscite a ricavarne altro insegnamento se non che
bisogna armarsi piu' accanitamente che mai. (...) Nulla hanno imparato e
nulla vogliono imparare, dopo la loro triste 'vittoria' hanno fatto poco o
nulla per la pace e molto invece per rendere possibili nuove guerre"
(Hermann Hesse, nel settembre 1950, in Non uccidere, Considerazioni
politiche, Mondadori, Milano 1987, p. 178).
24. Tra i commenti americani immediatamente successivi alle bombe di
Hiroshima e Nagasaki troviamo anche questo, del settimanale cattolico
"Commonwealth", in un editoriale intitolato Orrore e vergogna: "Non dovremo
piu' affannarci per mantenere limpida la nostra vittoria. E' disonorata. Il
nome Hiroshima, il nome Nagasaki, sono i nomi della vergogna e della colpa
americana" (Dal libro di Gar Alperovitz, Atomic Diplomacy, seconda edizione
1985).
25. L'Onu e' una preziosissima conquista del nostro secolo per il futuro
dell'umanita', e deve sviluppare il suo significato e le sue potenzialita',
al di la' dei suoi limiti attuali. Infatti, il suo vizio costituzionale,
diventato col tempo tragicamente evidente, e' di essere una istituzione nata
per "salvare le future generazioni dal flagello della guerra" (preambolo
dello Statuto), ma fondata sulla vittoria, sul diritto di guerra, sul
privilegio dei vincitori, sul loro potere di veto. Nessuna pace puo' nascere
dal diritto della forza, che e' l'unico diritto sancito dalla vittoria in
guerra, solo occasionalmente e casualmente coincidente con il diritto e la
ragione.
26. "La lettera bagnata di lacrime con cui il duca di Wellington annunciava
di avere vinto Napoleone a Waterloo, perdendo 50 mila soldati, e' stata
acquistata dalla British Library per 350 mila sterline (750 milioni di
lire)" (da "La stampa', 23 gennaio 1990). Se ben ricordo una lontana
lettura, Wellington disse allora che una vittoria e' poco meno tragica di
una sconfitta.
27. Un film di Peter Brook (1989) ha proposto agli europei il Mahabharata,
antico poema sacro indiano di tre o quattro secoli precedente all'era
cristiana, che contiene il famoso Bhagavadgita (il Canto del Beato). Questo
testo sembra addirittura inculcare il dovere della guerra, contro le
esitazioni della coscienza. Ecco uno dei punti (nemmeno il piu' importante)
dell'interpretazione datane da Gandhi, che lo ha meditato per tutta la vita:
"L'immortale autore (...) ha mostrato al mondo l'inutilita' della guerra,
dando ai vincitori una vuota gloria" (Teoria e pratica della nonviolenza,
cit., p. 9).
28. "Il dolore inflitto a milioni di individui non e' nemmeno per il
presunto vincitore configurabile come il prezzo della vittoria, quanto
l'indice della sconfitta che su ogni piano lo accomuna al nemico". (Luciano
Gallino, "La stampa", 12 settembre 1990).
29. "L'esito della guerra dimostro' ancora una volta quanto illusoria sia la
convinzione popolare secondo cui 'vittoria' significa pace. Valse, invece, a
confermare che essa e' solo un 'miraggio nel deserto': il deserto che una
lunga guerra, tanto piu' se combattuta con armi moderne e metodi illimitati,
si lascia inevitabilmente alle spalle" (B. H. Liddell Hart, Storia militare
della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1974, p. 6).
30. "L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno e' che ci si incoraggi a
ricuperare la stima di noi stessi sui campi di battaglia... Il senso di
fiducia in se stessi e di autostima che gli americani desiderano veder
ripristinato sarebbe sentito in modo piu' appropriato, in una democrazia
come la nostra, se si fondasse sulla prova di salute e forza anziche' su
riferite distanti glorie di battaglie" (Paul Kennedy, storico statunitense,
su "L'Unita'", 26 gennaio 1991).
31. "... Infatti la guerra, diventando sempre piu' stupida, piu' sporca,
piu' tragica, non potra' non partorire che una vittoria stupida, sporca,
tragica... Invece che il nuovo ordine mondiale sta preparando un nuovo
disordine che solo i ciechi non vedono" (Alberto Cavallari, che all'inizio
riteneva necessaria la guerra del Golfo, su "La repubblica", 27 gennaio
1991).
32. "Ora, poiche' le armi piu' eccellenti sono oggetti sfortunati, ognuno le
detesta. Percio' colui che segue la via non se ne occupa. (...) Le armi sono
strumenti di sventura, non sono strumenti del nobile. Questi le usa solo se
non ha nessun'altra alternativa, e considera superiori la calma e
l'indifferenza. Se vince, non lo trova bello. Colui che lo trova bello
gioisce di uccidere degli uomini. Ora, chi gioisce di uccidere uomini non
puo' realizzare i propri intenti sull'impero. (...) L'uccisione di una
moltitudine di uomini e' pianta con dolore e lamentazioni; vinta una
battaglia, ci si dispone come nei riti funebri" (Lao-tzu, Tao-teh-ching, Il
libro del Tao, traduzioni diverse, n. 31).
33. Asoka, il grande re buddhista dell'India antica (III secolo a. C.), si
era dedicato in un primo tempo all'espansione dell'impero. Nel corso della
conquista del Kalinga rimase profondamente scosso dall'orrore e dalla pieta'
provati di fronte alle stragi perpetrate dai suoi soldati. Allora - sappiamo
dal suo XIII editto rupestre - espresse pubblicamente il suo rimorso e
dichiaro' solennemente che da quel momento solo la vittoria del Dhamma
(dovere, precetto, pieta') sarebbe stata da lui considerata vera vittoria.
(cfr. Per un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione
scritta, a cura di Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli, La Nuova Italia
Scientifica, Roma 1996, p. 123).
34. L'alternativa e' questa: o vittoria, o giustizia. Scrive Norberto
Bobbio: "Fra due contendenti la pace puo' essere ottenuta o con la vittoria
e la supremazia dell'uno sull'altro, o con la interferenza determinante di
un terzo super partes. Nel primo caso si ha la cosiddetta pace d'impero, nel
secondo caso una pace di compromesso, che Raymond Aron ha chiamato la 'pace
di soddisfazione'" (Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 234). Quindi,
la vittoria in guerra fa finire la guerra, ma non ottiene la pace giusta,
bensi' un dominio, che e' impero, offesa, ingiustizia, della stessa qualita'
della guerra, benche' non cosi' immediatamente cruenta. Ricordiamo Erasmo:
meglio una pace ingiusta di una guerra giusta. Ma non accontentiamoci. O
vittoria, o giustizia.
35. "Per quanto giusta sia la causa del vincitore, per quanto giusta sia la
causa del vinto, il male prodotto dalla vittoria come dalla sconfitta non e'
meno inevitabile". (Simone Weil, Quaderni. I, trad. di G. Gaeta, terza
edizione, Adelphi, Milano 1991, p. 232).
36. "La Giustizia fugge dal campo dei vincitori", scriveva Simone Weil
(Quaderni. III, trad. di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1988, p. 158). Fugge per
andare a pesare sull'altro piatto, a pareggiare la giusta bilancia. In
questo brano la Weil dice che la societa' e' forza, e che, se si e'
consapevoli dello squilibrio sociale, occorre "aggiungere peso sul piatto
troppo leggero", con ogni mezzo, ma "bisogna aver concepito l'equilibrio, ed
essere sempre pronti a cambiare parte, come la Giustizia". Ogni vittoria,
per diventare giusta, deve essere riequilibrata, abbandonata in favore dei
vinti.
37. Quando alla vittoria si aggiunge il piacere di trionfare e di umiliare
il vinto (il che accade ben facilmente), la vittoria diventa piu'
vergognosa. Dice ancora Simone Weil: "Avevo dieci anni al tempo del trattato
di Versailles. Fino ad allora ero stata patriota con tutta l'esaltazione dei
bambini in periodo di guerra. La volonta' di umiliare il nemico vinto, che
invase tutto in quel momento (e negli anni successivi) in maniera cosi'
repellente, mi guari' una volta per tutte da questo patriottismo ingenuo. Le
umiliazioni inflitte dal mio paese mi sono piu' dolorose di quelle che puo'
subire" (Al termine della Lettera a Georges Bernanos, scritta
presumibilmente nel 1938; si trova in G. Gaeta, Simone Weil, Edizioni
Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1992, pp. 95-100).
38. La vittoria delle armi dimostra la maggior forza e ferocia delle armi,
nient'altro. Non dimostra nulla riguardo al diritto e alla giustizia. Puo'
anche darsi che vinca la parte piu' giusta. Ma accade pure che le armi
indeboliscano e inquinino le ragioni giuste, fino a perderle.
39. Quando Davide ricevette la notizia della morte di Assalonne, che si era
ribellato contro di lui, fu scosso da tremito e sali' a piangere nella
stanza di sopra, gridando: "Assalonne, figlio mio, figlio mio! Perche' non
sono morto io al tuo posto? Figlio mio, figlio mio Assalonne!". Davide, che
pure fu un duro guerriero, qui profetizza la verita' su ogni vittoria
omicida: e' sempre un figlio, un fratello, un consanguineo, che il vincitore
ha ucciso. Ogni vittoria e' sporca di sangue familiare. E' lutto, tanto
quanto la sconfitta. "La vittoria in quel giorno si trasformo' in lutto per
tutto il popolo. (...) I soldati entrarono in citta' quasi di nascosto, come
quando un esercito torna vergognoso dopo essere fuggito in battaglia"
(Secondo libro di Samuele, 19, 1-4).
40. Accanto alla foto di un bambino col braccio destro amputato compare la
scritta in inglese: "E' per questo che combattiamo? La guerra non vince la
pace". E' un manifesto del National Peace Council, di Colombo, nello Sri
Lanka (da "Echoes", rivista del Consiglio Ecumenico delle Chiese sul
programma Giustizia, Pace, Salvaguardia del creato, n. 13/1998, p. 23).
41. I calciatori che, fatto un gol, danno in furiose esultanze, tirano pugni
nell'aria, esibiscono grinte piu' feroci che felici, come se stessero
sbranando un odiato nemico, dimostrano una malsana cultura della vittoria
sportiva. Il gioco, la prova di abilita' e forza fisica rappresenta, nel
corso del lungo faticoso processo di umanizzazione, la neutralizzazione
della guerra, la trasformazione della vittoria da dolore ad allegria.
Invece, quel brutto modo di giocare e di vincere fa il cammino inverso, e'
la regressione umana dal gioco alla guerra. La barbarie di quei calciatori,
corrotti dai troppi soldi che guadagnano e dalla psicosi sportiva di massa,
riflette le violenze collettive degli stadi, che tornano a somigliare
all'arena dei gladiatori. In questo senso, Alex Langer denunciava il motto
olimpico "citius, altius, fortius" (piu' veloce, piu' alto, piu' forte) come
emblematico del "modello della gara" che informa fino all'esasperazione e
alla follia il modo di vita dominante (cfr. Alexander Langer, Il viaggiatore
leggero, Scritti 1961-1995, Sellerio editore, Palermo 1996, p. 329). Se
giocare vuol essere solo vincere, quel vincere non e' piu' leggero come il
giocare, ma pesante come il combattere. A questa civilta' della competizione
che produce piu' vittime che successi umani, piu' rifiuti che prodotti, a
questo "progresso" che (come dice Eduardo Galeano) e' un viaggio con piu'
naufraghi che passeggeri, Alex Langer opponeva un altro motto: "lentius,
profundius, suavius" (con piu' calma, piu' profondita', piu' dolcezza).
42. Conosco questa storia familiare: il padre era tornato vincitore, nel
1918, e trovo' disoccupazione, miseria, disordini, sofferenze, violenze,
sfociate nella dittatura fascista. Passano piu' di vent'anni e Mussolini,
dopo la vigliacca vittoria sull'Etiopia, butta l'Italia nella fornace della
seconda guerra mondiale. Il figlio di quell'uomo viene mandato in guerra. Il
padre gli dice: "Senti bene, figlio mio: io l'altra guerra l'ho vinta e non
ho avuto che guai. Tu prova a perderla, chissa' che non ti vada meglio".
Spedito in Africa, il ragazzo appena vede gli inglesi butta a terra il
fucile e si arrende. Passa il resto della guerra da prigioniero. Tornato a
casa, trova un lavoro come reduce e se la passa a sufficienza nell'Italia
della ricostruzione. In quella famiglia non credono molto nella vittoria.
Del resto, e' vero in generale che all'Italia sconfitta nel 1945 e' andata
assai meglio che all'Italia vittoriosa nel 1918.
43. Le feste per la vittoria sono "danza sulle bare". Cosi' scrive Benjamin
Constant in Dello spirito di conquista e dell'usurpazione (Rizzoli, Milano).
44. La guerra che verra'
non e' la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.
(Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg, Einaudi, Torino).
45. "La guerra non ha piu' senso per il semplice fatto che non si vince
piu'. Per il semplice fatto che anche una guerra vinta non chiude il
conflitto che voleva chiudere: lo riapre in forme piu' nuove e terribili"
(Ernesto Balducci).
46. Lamento di David sul gigante ucciso.
La vittoria di David su Golia e' una delle vittorie in armi piu' celebrate e
di piu' "santa" fama. Percio' la aggiungo nella mia raccolta "Dov'e', o
guerra, la tua vittoria?" come uno dei pezzi piu' significativi per togliere
gloria alla vittoria in guerra e mostrarne tutta l'infinita tristezza.
"La notte e' troppo pesante sopra il mio capo
la luna non s'alza
non s'alza sulle colline,
io grido
e non mi risponde la terra di bronzo.
Ma ieri chiamavo la luna su quelle colline
e il giovane vento a giuocare
nella foresta
e i cani e le nuvole
l'acqua del fiume
ed il sonno.
Docile sonno, o mio agnello perduto
io non so dove.
Giuochi che David
non giuochera' mai piu'.
Se io fossi morto, mia madre
piangerebbe su di me,
s'io fossi ferito, qualcuno
laverebbe il mio sangue.
Non piange nessuno
se in qualche parte ho perduto
il mio vergine cuore;
se grondo del sangue di un altro
nessuno mi lava.
Tutti laggiu' fanno festa,
io sono qui solo
con quello che ho ucciso.
Alzati, rosso gigante
ammucchiato ai miei piedi,
riprenditi il tuo respiro le cento teste
e l'ira e le armi di bronzo.
Ridammi la semplice fionda
e il mio cuore
il mio veloce cuore
in corsa sulle colline.
Tu non rispondi, gigante di bronzo.
Terra, tu non rispondi.
E sia pure cosi'. E' inutile gridare.
Dunque la luna ieri
non si alzava per me".
(Elena Bono, Dalla raccolta Alzati, Orfeo, riproposta nel 1981 nella
antologia Piccola Italia, pp. 37-38).
47. Alessandro Manzoni, Il Conte di Carmagnola, Coro dall'atto secondo:
"I fratelli hanno ucciso i fratelli:
Questa orrenda novella vi do.
Odo intorno festevoli gridi;
S'orna il tempio, e risona del canto;
Gia' s'innalzan dai cori omicidi
Grazie ed inni che abomina il ciel.
...
Stolto anch'esso! Beata fu mai
Gente alcuna per sangue ed oltraggio?
Solo al vinto non toccano i guai;
Torna in pianto dell'empio il gioir.
Ben talor nel superbo viaggio
Non l'abbatte l'eterna vendetta;
Ma lo segna; ma veglia ed aspetta;
Ma lo coglie all'estremo sospir.
*
Prego i lettori di voler continuare, con altri documenti e testimonianze, a
disonorare la vittoria militare.
Enrico Peyretti
2. INCONTRI. UN'ASSEMBLEA DI GRUPPI, RETI E ASSOCIAZIONI FEMMINISTE A
FIRENZE
[Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo questo
appello promosso da donne incontratesi a Firenze il 30 marzo 2003. Per
informazioni e contatti: parigi_diverse@womenews.net]
Il 17-18 maggio avra' luogo a Firenze nella sede dell'Arci
un'assemblea-seminario di reti, associazioni, strutture, collettivi
femministi e singole donne, che insieme discuteranno e decideranno forme e
contenuti della partecipazione al Forum sociale europeo di Parigi, in modo
particolare alla giornata delle donne del 12 novembre 2003, che apre il
Forum. Questo percorso dovra' poi collegarsi con l'insieme dei gruppi
europei che intendono partecipare all'evento, a partire dai collettivi del
paese che lo ospita.
I soggetti che sottoscrivono questo testo hanno deciso di dar vita a un
percorso comune sulla base di alcune valutazioni e aspettative comuni.
1) Femminismi diversi, collegati tra loro in modi diversi, sono stati
presenti fin dall'inizio nel movimento dei movimenti. Alla loro presenza si
devono i sia pur occasionali riconoscimenti del debito del movimento con il
femminismo, l'ingresso di temi e problemi altrimenti ignorati, i rapporti
talvolta meno asimmetrici tra donne e uomini.
Tuttavia l'azione dei femminismi esistenti e' stata finora debole per
ragioni sulle quali sarebbe difficile esprimere opinioni comuni. La comune
constatazione di questa debolezza ci induce a ritenere irrimandabile un
tentativo di superamento della incomunicabilita' e della dispersione; un
nuovo tentativo di ascoltarsi e di intendersi, senza che questo significhi
la rinuncia di qualcuna alla propria storia e alle proprie convinzioni; una
forte tensione verso l'agire politico e la costruzione di soggettivita' piu'
visibili e piu' radicate nel mondo reale.
2) Il movimento dei movimenti per la sua opposizione alla globalizzazione
liberista e alla guerra permanente, per la molteplicita' dei progetti e
delle culture, per la dinamica convergente che esprime, rappresenta per le
donne come per gli uomini una speranza per il futuro e una realta' del
presente. Ci accomuna quindi la scelta di considerarlo l'interlocutore
privilegiato, sia pure con distanze variabili da momento a momento e senza
mai rinunciare alla nostra autonomia.
3) Malgrado i suoi meriti e la sua natura progressiva, il movimento dei
movimenti e' comunque attraversato da strutture patriarcali. E' diretto in
prevalenza da uomini, spesso con i tradizionali modi maschili di fare
politica; non riconosce, se non occasionalmente e con limitate conseguenze
sul piano pratico, il debito contratto con il femminismo e con le donne;
ignora analisi, temi e desideri espressi dalla nostra politica.
Perche' la presenza delle donne sia il piu' possibile anche presenza di una
storia con le sue diversita' e articolazioni, perche' le acquisizioni
intellettuali e pratiche della "rivoluzione piu' lunga" rafforzino le donne
nel movimento e il movimento nel suo complesso, noi saremo presenti al Forum
sociale europeo di Parigi e alle riunioni internazionali che lo preparano.
Prime firmatarie: Marcia mondiale delle donne - Forum delle donne Prc.
Invitiamo tutte le donne, appartenenti a gruppi o associazioni e singole del
movimento antiglobalizzazione, per la pace e la globalizzazione dei diritti,
presenti e non presenti alla riunione di Firenze del 30 marzo, a
sottoscrivere e partecipare al dibattito che si sviluppera' sulla lista
parigi_diverse@womenews.net . Per iscriversi alla lista inviare un messaggio
all'indirizzo majordomo@womenews.net scrivendo nel corpo della mail:
subscribe parigi_diverse
3. APPELLI. LA PACE NELLA CARTA EUROPEA
[Questo appello e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2003]
Noi cittadine e cittadini, organizzazioni e istituzioni europee, uniti piu'
che mai nel nome della pace e dei diritti umani, della giustizia e della
solidarieta' tra i popoli, chiediamo che nella Costituzione europea in
discussione si affermi, come all'articolo 11 della Costituzione italiana,
che: "l'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale
delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un
ordine internazionale pacifico e democratico; a tale scopo promuove e
favorisce il rafforzamento e la democratizzazione dell'organizzazione delle
Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione internazionale".
Giulio Cozzari (presidente Coordinamento enti locali per la pace e i diritti
umani), Flavio Lotti (Tavola della pace), Alex Zanotelli (missionario
comboniano), Antonio Papisca (direttore master europeo diritti umani e
democratizzazione), Armando Dito (portavoce Studenti.Net), Carlo Gubitosa
(PeaceLink), Cesare Taviani (Fivol), Claudia Pratelli (presidente Uds), don
Albino Bizzotto (Beati i costruttori di pace), don Luigi Ciotti (Libera);
don Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Edo Patriarca (portavoce Forum del terzo
settore), Enrico Paissan (Forum trentino per la pace), Ermete Realacci
(presidente Legambiente), Fabio Alberti (presidente Un ponte per...), Fabio
Salviato (presidente Banca etica), Giampiero Rasimelli (portavoce Forum del
terzo settore), Gianni Rocco (portavoce Associazione per la pace), Gigi
Bobba (presidente Acli), Gino Barsella (Sdebitarsi), Gino Strada
(Emergency), Giulietto Chiesa (Megachip), Giulio Marcon (presidente Ics),
Giuseppe Giulietti (portavoce Articolo 21), Grazia Bellini (presidente
Agesci), Graziano Zoni (presidente Emmaus Italia), Guglielmo Epifani
(segretario generale Cgil), Guido Montani (presidente Movimento federalista
europeo), Laura Cappelli (portavoce Associazione per la pace), Leopoldo
Piraccini (centri per la pace di Forli'/Cesena), Lino Lacagnina (presidente
Agesci), Luciana Castellina (NoWar Tv), Luciano Ardesi (presidente Lega per
i diritti e la liberazione dei popoli), Marco Braghero (presidente
PeaceWaves), Marco Mascia (Polo europeo Jean Monnet - Universita' di
Padova), Vittorio Agnoletto (Forum sociale mondiale), Mario Gay (presidente
Cocis), Massimo Pilati (Rete Lilliput), Nella Ginatempo (Basta guerra),
Rosario Lembo (presidente Cipsi), Sabina Siniscalchi (Manitese), Savino
Pezzotta (segretario generale Cisl), Sergio Marelli (presidente Associazione
Ong italiane), Stefano Fancelli (presidente Sinistra giovanile), Tom
Benetollo (presidente Arci), Alessandra Mecozzi (Fiom), Claudio Martini
(presidente regione Toscana).
4. INCONTRI. NADIA DE MOND, NICOLETTA PIROTTA: LA MARCIA MONDIALE DELLE
DONNE RIPARTE DALL'INDIA
[Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo questo
resoconto dell'incontro della "Marcia mondiale delle donne" tenutosi a Delhi
in marzo. Nadia De Mond e Nicoletta Pirotta sono state delegate italiane a
Delhi (per contatti: nicoletta.pirotta@tin.it)]
Carissime,
vi inviamo il resoconto dell'incontro internazionale della marcia.
E' stato un incontro molto intenso, segnato dallo scoppio della guerra che
ne ha condizionato lo svolgimento. La marcia dopo il quarto incontro si pone
sempre di piu' sulla strada della costruzione di un vero e proprio movimento
di donne che, seppur composito e articolato al proprio interno, sa darsi
contenuti e regole di funzionamento condivisi. Il pezzettino di India che
abbiamo visto, inoltre, ci ha sollecitato emozioni e sentimenti contrastanti
che ancora ci accompagnano.
Ora ci aspetta il duro lavoro quotidiano: continuare anche nel nostro paese
la costruzione di uno "spazio comune" nel quale le donne possano
incontrarsi per condividere impegni e iniziative insieme alla voglia di
costruire un mondo diverso. Il seminario di maggio sara' tappa importante di
questo cammino.
A presto, dunque
Nadia e Nicoletta
*
Dal 18 al 22 marzo si e' tenuto a Delhi in India il quarto incontro mondiale
della Marcia mondiale delle donne contro guerre, violenze e poverta'. Un
centinaio di delegate di 36 paesi, in prevalenza provenienti dai continenti
del Sud, si sono riunite, per 5 giorni consecutivi, per tracciare il
percorso futuro di questa parte del movimento che si mobilita contro
l'intreccio di liberismo, militarismo e patriarcato. Almeno una ventina di
delegate dei paesi che hanno rinnovato la loro adesione a questa rete
femminista internazionale non hanno potuto raggiungere la capitale indiana,
ostacolate dall'imminente scoppio della guerra di Bush, che ha determinato,
per alcune regioni del mondo, materiali difficolta' di spostamento e diniego
dei visti.
Inevitabilmente l'agenda prevista e' stato fortemente scadenzata dai tempi
della guerra sia nelle discussioni che nella volonta' di uscire, il giorno
dello scoppio "ufficiale", dal recinto protetto della Universita' Jamia
Hamdard per scendere in manifestazione nelle strade di Delhi, unendo la
nostra protesta a quella dei movimenti indiani contro la guerra.
Anfitrioni dell'incontro mondiale sono state due organizzazioni "ombrello"
che raggruppano decine di gruppi di base che operano sia nelle periferie
delle citta' che in ambito rurale contro le immense discriminazioni e
violenze contro le donne indiane: Nawo, una rete di ong e Aidwa, piu' legata
ad una delle correnti politiche del movimento di provenienza comunista.
Entrambi le reti avevano aderito alla Marcia mondiale nel 2000 e mantenuto i
legami internazionali negli anni successivi, partecipando alle iniziative
femminista nel Forum sociale mondiale di Porto Alegre, in particolare alla
conferenza sulle violenze di genere, e, in maggior misura, al Forum sociale
asiatico di Hyderabad.
Grazie all'impegno comune nell'organizzazione del quarto incontro le due
reti hanno avuto l'opportunita' di lavorare insieme, a stretto contatto fra
loro, malgrado le grandi differenze di origine politica, sociale e culturale
che le caratterizzano.
Anche in questa occasione, quindi, la Marcia delle donne sembra in qualche
modo precorrere cio' che succede dentro il movimento dei movimenti che si
sta preparando per il prossimo incontro mondiale in India e continua ad
esercitare una proficua pressione centripeta, di dialogo e collaborazione
tra spezzoni di movimento tra loro molto diversi e spesso finora non
comunicanti.
Ha partecipato a parte dei lavori della Marcia Meena Menon, membro del
Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale che poi ha dovuto
lasciare la riunione per raggiungere il Forum sociale indiano a Bombay che
doveva decidere, tra l'altro, quale citta' avrebbe ospitato il Forum
mondiale. Scelta che e' poicaduta proprio su Bombay, quasi certamente dal 9
al 17 gennaio 2004. La data dovra' essere confermata nella riunione,
prevista nelle prossime settimana, con gli altri paesi asiatici e con il
Comitato di continuita' brasiliano.
L'incontro della Marcia mondiale aveva come punto principale all'ordine del
giorno l'individuazione di una iniziativa politica globale da realizzarsi
nell'anno 2005, 10 anni dopo la Conferenza di Pechino e a 5 anni dalla prima
marcia mondiale delle donne che aveva coinvolto piu' di 6.000 gruppi in 160
paesi del mondo.
La metodologia utilizzata in questo come nei precedenti incontri della
Marcia mondiale delle donne ha previsto uno scambio di idee incrociato, tra
grandi regioni del mondo (Americhe, Asia, Africa, Europa) e gruppi
linguistici omogenei (francofoni, anglofoni, ispanofoni), combinato con
assemblee plenarie e consultazione dei coordinamenti nazionali che integrano
la rete. La discussione e' stata orientata al raggiungimento del piu' ampio
consenso possibile, senza nascondere eventuali dissensi: per questo si e'
potuto inserire nuovi punti all'ordine del giorno o promuovere riunioni di
caucus particolari.
In questo senso questo movimento non cessa di essere una scuola di
democrazia partecipativa in cui, spinte dal desiderio di produrre parola e
iniziativa politica globale, si ricercano sul campo nuove regole e
metodologie di lavoro condivise.
Da molti paesi veniva la richiesta di una nuova marcia mondiale che
permettesse di collegare l'iniziativa quotidiana dei gruppi di base contro
le violenze e l'impoverimento delle donne ad un livello politico globale,
misurandoci con l'esigenza di contribuire all'affermazione di un altro mondo
possibile.
Cosi' e' nata la proposta dell'elaborazione di una Carta femminista per
l'umanita', costruita dal basso a partire dalle esigenze quotidiane delle
donne con la "pretesa" di farsi carico delle sorti del mondo. Dal 2004 in
poi una marcia a staffetta attraversera' il pianeta, tessendo man mano una
ragnatela di legami che sappiano collegare il Burkina Faso a Belgrado,
Hyderabad al Quebec, Lima a Stoccolma portando con se' le parole della
Carta. Carta che verra' materialmente intrecciata su pezzi di stoffa e di
carta e la cui "marcia" culminera' in un evento simbolico nell'ottobre del
2005 in uno dei paesi impoveriti del mondo.
Le varie tappe della mobilitazione dovranno naturalmente essere
ulteriormente discusse a livello nazionale e regionale. Si sono comunque
individuate alcune tematiche sulle quali concentratre le iniziative: la
tratta delle donne, il debito e i trattati commerciali neocoloniali in
America Latina e in Africa.
In Europa il nuovo percorso della Marcia comprende gia' due scadenze
importanti.
Il primo ci vede impegnate nell'articolazione di una forte presenza
femminista al prossimo Forum sociale europeo di Parigi. Il Forum verra'
aperto, il 12 novembre, da una giornata dedicata ai diritti delle donne e
vedra' protagoniste - tra le altre - le giovani immigrate di seconda
generazione delle periferie parigine.
Il secondo consiste in una mobilitazione autonoma nel mese di giugno 2004,
in Galizia, terra di marea nera e di poverta', alla periferie della fortezza
Europa.
Nell'incontro mondiale vengono riconfermati gli assi fondamentali di
attivita' della Marcia mondiale: l'elaborazione di un pensiero e di una
pratica femminista all'interno del movimento dei movimenti, la creazione di
una rete internazionale di solidarieta' operante nei casi di emergenza, la
discussione strategica sulle alternative femministe al neoliberismo, alla
cultura militarista, razzista e patriarcale.
La questione lesbica, di difficile comprensione per molti movimenti di
donne, dall'Africa al Medio Oriente, passando per la stessa India, e' stata
affrontata durante l'incontro in modo non ideologico ma partendo dal vissuto
reale delle donne interessate. Due esponenti di un'associazione lesbica
operante a Delhi in semiclandestinita' hanno portata la loro testimonianza
all'assemblea, parlando cosi' per la prima volta in pubblico in India e
davanti ad una platea internazionale, rompendo, almeno in quel momento, le
barriere con il movimento delle donne piu' tradizionale.
Questo incontro aveva anche lo scopo di dotarsi di una struttura di
coordinamento piu' stabile e rappresentativo, che portasse a termine
l'evoluzione della Marcia , cioe' il passaggio da una rete ideata e
sostenuta fondamentalmente dal Quebec (attraverso la potente Federation des
Femmes) ad un movimento veramente internazionale, con un peso prevalente dei
paesi del Sud del mondo.
Si e' percio' costituito un comitato internazionale composto da due
rappresentanti per continente che, per una durata di due anni, fino al
prossimo incontro mondiale, dovra' sviluppare e coordinare le proposte
uscite dall'incontro, assicurare la comunicazione e il funzionamento dei
gruppi di lavoro internazionali.
5. LUTTI. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI RICORDA ENRICA COLLOTTI PISCHEL
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2003.
Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i
massimi esperti italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di
Giampaolo Calchi Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera
non e' indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La
rivoluzione algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La
decolonizzazione (1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa
(1987); Nord/Sud (1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella
storia e nella politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995).
Enrica Collotti Pischel "e' nata a Rovereto (Trento) il 23 giugno 1930, in
una famiglia di intellettuali antifascisti. Ha studiato a Milano,
laureandosi in filosofia nel 1953 con Antonio Banfi, con una tesi
sull'apporto occidentale nell'ideologia rivoluzionaria cinese. Gia' negli
anni degli studi si e' vivamente interessata al movimento rivoluzionario dei
popoli coloniali e in particolare asiatici. Dal 1953 lavora al settore
Estremo Oriente dell'Istituto per gli studi di politica internazionale
(Ispi) di Milano, seguendo quotidianamente gli eventi asiatici e scrivendo
ad ogni numero sul settimanale dell'istituto "Relazioni internazionali"
nonche' sull'"Annuario di politica internazionale". Ha collaborato e
collabora anche ad altre riviste italiane e straniere su problemi asiatici,
in particolare di storia contemporanea dell'Asia, estendendo i propri
interessi alla problematica coloniale in generale. Presso la casa editrice
Einaudi di Torino ha pubblicato Le origini ideologiche della rivoluzione
cinese (1958), La rivoluzione ininterrotta (1962), La Cina rivoluzionaria
(1965). Con Paolo Calzini ha curato due raccolte sul dissidio tra Cina e
Urss, una a carattere ideologico (Coesistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino
1963) ed una a carattere piu' propriamente cronachistico (Il contrasto
cino-sovietico, Ispi, Milano 1965). Insieme con Chiara Robertazzi ha curato
una vasta bibliografia su L'Internazionale Comunista e la rivoluzione
coloniale 1919-1935 (di imminente pubblicazione in Francia [Mouton, 1968]),
elaborata direttamente sulle fonti dell'Internazionale Comunista, ed ha poi
ripreso in esame i problemi dell'orientamento del mondo comunista nei
confronti della rivoluzione nelle colonie" (questa scheda abbiamo estratto
dalla seconda di copertina del suo saggio su Mao Tse-tung nella collana de
"I protagonisti della storia universale", Cei, Milano 1966). Successivamente
Enrica Collotti Pischel e' divenuta professore ordinario di storia e
istiituzioni dei paesi afro-asiatici all'universita' di Milano. Tra le altre
sue opere segnaliamo almeno: Storia della rivoluzione cinese, Editori
Riuniti, Roma 1971; L'India oggi, Angeli, Milano 1985; con Emilia Giancotti
e Aldo Natoli, Mao Zedong dalla politica alla storia, Editori Riuniti, Roma
1988; Gandhi e la nonviolenza, Editori Riuniti, Roma 1989. E' deceduta nel
2003]
Stando a quanto si e' saputo dai familiari nelle ore dopo la sua morte, non
inattesa da quando la malattia di cui soffriva da tempo si era
irrimediabilmente aggravata ma la cui notizia e' giunta egualmente dolorosa
per tutti coloro che la conoscevano e la frequentavano, Enrica Collotti
Pischel ha lasciato scritto o detto di volere ricevere l'ultimo saluto nella
sede dell'Universita' dove insegnava, a Milano, la sua facolta' di scienze
politiche, in via Conservatorio. E' una scelta emblematica e per certi
aspetti obbligata. E' il suggello piu' giusto di una vita che
nell'insegnamento ha trovato la sua vera ragion d'essere.
Enrica era anzitutto e soprattutto una docente, un'insegnante. A costo, a
volte, di apparire didascalica, quando parlava, non importa se in un'aula
universitaria o in una conferenza pubblica, ma anche negli incontri piu'
ristretti, come nelle riunioni che tenevamo attorno a Giorgio Borsa finche'
e' stato vivo, uno dei suoi maestri che non poteva non ammirare e amare pur
dissentendo da molti dei suoi presupposti o delle sue conclusioni, non era
mai convinta di essere stata abbastanza chiara e tornava sui concetti, sulle
interpretazioni, affinando continuamente il suo ragionamento.
Sempre critica con se stessa e con gli altri. Perche' le sue scelte
politiche, i valori in cui fermissimamente credeva, non le impedivano di
interrogarsi sugli opposti che si scontrano, nella dialettica argomentativa
e in ultima analisi nella storia, sapendo che sono troppe le variabili per
permettersi di essere sicuri e tanto meno dogmatici.
Il suo presunto "estremismo", in effetti, era talmente intrecciato con la
consapevolezza dei limiti della conoscenza storica o della condivisione
politica, da ammettere dubbi, riconsiderazioni, confronti.
In occasione di una delle ultime lezioni che mi chiese di tenere nel quadro
dei seminari che organizzava all'universita' con la collaborazione di un
centro di studi milanese, aperti al pubblico esterno, tardi nel pomeriggio
per favorire l'affluenza di studenti di altre facolta', giovani e
lavoratori, per tutto commento, dopo aver sentito un'analisi della crisi
africana che segui' visibilmente sofferente quasi piegata sulla sedia,
disse: "Avevamo sperato qualcosa di piu' per i nostri paesi". I "nostri
paesi" erano le nazioni dell'Africa e dell'Asia, gli stati della
decolonizzazione, i popoli che avevano puntato sulla "liberazione" dopo il
colonialismo.
I suoi interessi di studiosa si concentravano soprattutto sul Vietnam e
sulla Cina, sull'Asia orientale, ma i suoi orizzonti erano piu' ampi. Non
per niente, il suo insegnamento universitario si intitola appunto, un po'
bizzarramente secondo alcuni puristi dell'epistemologia, Storia e
istituzioni dei paesi afro-asiatici. La sua formazione, che era partita
dalle discipline letterarie, dalla filosofia e dalla storia, prima di
approdare alla politica internazionale attraverso l'Ufficio studi dell'Ispi
ai tempi d'oro di "Relazioni Internazionali" e dell'Annuario di politica
internazionale, fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, che e' stato per
molti un passaggio prezioso verso la pubblicistica di livello alto e
l'universita', la predisponeva a approfondimenti che scontavano anche la
capacita' di leggere i molti nessi in senso geografico e tematico.
Alla Cina ha dedicato il suo ultimo libro, uscito pochi mesi fa presso
l'editore Franco Angeli (La Cina. La politica estera di un paese sovrano).
Il nuovo corso della Cina vi veniva sviscerato fuori d'ogni concessione per
i pregiudizi positivi o negativi. Enrica Collotti Pischel si misurava con i
fatti e con la realta'. Lo sviluppo economico, le dimensioni della grande
potenza, avrebbero compensato i compromessi ideologici o addirittura
l'abbandono della rivoluzione e della stessa solidarieta' afro-asiatica. Si
sforzava di capire senza lasciarsi deviare dai suoi progetti, anche se per
lei la costruzione di una societa', comunque la si chiami, che abolisse lo
sfruttamento e le ingiustizie del capitalismo, era parte integrante della
sua esistenza e della sua militanza.
Quando Urss e Cina - le due grandi potenze del comunismo mondiale, che
dovevano essere, ciascuna per quanto le competeva, vindici e garanti di un
ordine diverso - arrivarono all'orlo della guerra, la' sul fiume Ussuri, la
ferita le sembro' troppo lacerante per essere solo una materia di studio.
Eppure, assorbito il trauma, anche psicologico, si mise subito al lavoro per
raccogliere documenti e analisi in grado di spiegare i perche' di quella
lotta, magari fratricida, che derivava comunque dalle dinamiche storiche.
Dopo la tragedia della piazza Tien An Men si interrogo' ancora piu' in
profondita' sulle possibilita' di regressioni autoritarie e repressive fino
ai limiti del fascismo anche dopo una rottura rivoluzionaria.
La Cina era uno dei "nostri paesi", uno dei "suoi" paesi, ma il suo rigore
di trentina, nata in una famiglia di frontiera, non si conciliava con
nessuna compiacenza. Ne' giustificazionismo ne' rimpianto: solo l'esaltante,
drammatica, contraddittoria "lezione della storia". Una lezione appunto,
cara Enrica.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 565 del 13 aprile 2003