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Articolo su 'Guerra psicologica'
Guerra psicologica
di Federico Rosati
Mentre dal cielo viene scatenato un inferno di missili e bombe, e da terra
le truppe angloamericane avanzano alla conquista del territorio, vi e' un
altro fronte su cui si combatte una guerra altrettanto aspra ed
asimmetrica. E' il fronte della guerra psicologica, fatto di notizie
manipolate quando non false, generalmente diffuse da militari e politici ed
amplificate in modo acritico da giornalisti e commentatori televisivi del
tutto privi di una qualsiasi dignita' professionale o intellettuale.
Iniziata molto tempo prima della guerra fatta con le armi, quest'altra
guerra vede in prima linea un vero e proprio esercito di opinionisti,
giornalisti, generali invitati a talkshow televisivi, esperti vari, uomini
politici, tutti impegnati nel dare della guerra in Iraq una visione falsa
ma utile a giustificare in qualsiasi circostanza l'operato degli Stati
Uniti e della Gran Bretagna; al contrario, l'informazione che si oppone a
questo allineamento ideologico, in Italia come negli altri paesi "amici"
(degli Stati Uniti), e' nettamente minoritaria. Ed e' cosi' che una guerra
di aggressione, illegale e criminale secondo il diritto internazionale, si
trasforma nel lessico dei nostri media in "guerra di liberazione", mentre
le truppe dei paesi invasori diventano "truppe alleate", espressione che
suscita inevitabilmente sentimenti positivi in quanto rimanda alle forze
dei paesi che nell'ultima guerra mondiale hanno combattuto contro la
Germania nazista. I combattenti iracheni, al contrario, vengono chiamati
"fedelissimi di Saddam", cosi' che l'opinione pubblica pensi che essi
stiano combattendo per difendere un criminale, e non il proprio Paese;
mentre gli attacchi kamikaze degli iracheni vengono definiti "attentati
terroristici", come se non fosse in atto un'aggressione ai danni dell'Iraq
e come se gli iracheni avessero la possibilita' di difendersi attraverso un
confronto militare paritetico con le truppe angloamericane. Ma ve n'e' per
tutti, anche per le milioni di persone che nel mondo si oppongono a questa
guerra chiedendo la pace; lo fanno perche' sono "antiamericane", viene
detto, mentre nei casi in cui a farlo siano cittadini statunitensi, poiche'
la stupidita' di tale appellativo risulterebbe troppo evidente, essi
vengono definiti "antipatrioti".
La situazione purtroppo non cambia quando dalle parole si passa ai fatti.
Qui la manipolazione agisce in modo ancora piu' pesante, cosi' che risulta
veramente difficile avere una qualche cognizione di cio' che sta realmente
accadendo in Iraq. Se pero' la realta' di questa guerra non puo' essere
conosciuta, come forse non potra' mai esserlo, a tre settimane dall'inizio
del conflitto sono gia' numerosissime le menzogne che il tempo ha permesso
di svelare ed i fatti che ci permettono di capire come questa guerra
psicologica venga condotta. Vediamone alcuni in dettaglio:
LA FUGA E LA MORTE DI TAREQ AZIZ - Il 19 marzo, il giorno prima dell'inizio
della guerra, tra i mezzi di informazione circola per tutto il giorno la
notizia di una presunta fuga di Tareq Aziz, vice primo ministro dell'Iraq.
Nella mattina tale voce viene inizialmente diffusa dalla tv iraniana,
secondo la quale Tareq Aziz e il vice presidente Taha Yassin Ramadan erano
in fuga da Baghdad e avevano gia' raggiunto il Kurdistan; subito dopo la
notizia viene confermata in un'intervista rilasciata all'emittente privata
bulgara bTV da Islmail Sayer, leader del gruppo di opposizione "Foro
democratico iracheno". Nel corso della giornata, la radio pubblica
israeliana e il sito web del Jerusalem Post affermano che, secondo un
radioamatore israeliano che aveva intercettato comunicazioni in merito,
Tareq Aziz in realta' sarebbe stato ferito o ucciso dalle stesse truppe
irachene durante un tentativo di fuga dal Paese insieme alla famiglia.
Un'altra versione ancora viene poi diffusa dal sito web israeliano Debka,
una fonte considerata vicina ai servizi di sicurezza israeliani, il quale
citando fonti kurde sostiene che Aziz era stato catturato nel nord
dell'Iraq e consegnato ad agenti della CIA.
Alle confuse e contraddittorie notizie sulla presunta fuga e morte di Aziz
viene dato un grandissimo risalto sia dalla televisione americana CNN sia
dalla britannica BBC, ed anche in Italia viene dedicata loro un'edizione
speciale del TG2. Nel pomeriggio, tuttavia, queste voci vengono smentite
sia da fonti dell'amministrazione USA sia da un responsabile del Partito
Democratico Kurdo (PDK), Jawahat Salim, ed infine, intorno alle 18:30, a
Baghdad viene convocata una conferenza stampa dallo stesso Tareq Aziz, il
quale bolla tali menzogne come frutto "della guerra psicologica condotta
dagli Stati Uniti per minare il morale del popolo iracheno". Ma com'e'
possibile, ci chiediamo, che fonti politicamente cosi' distanti l'una
dall'altra, come ad esempio i mezzi di informazione israeliani ed iraniani,
abbiano potuto diffondere indipendentemente una notizia completamente falsa
come questa? Viene da pensare che a monte ci sia stato qualcuno che alla
vigilia dello scoppio della guerra abbia voluto montare questa bufala per
qualche scopo preciso. E in effetti tale sospetto e' stato confermato da
una notizia diffusa il 20 marzo dall'ANSA e dal sito web de Il Corriere
della Sera, i quali riportano che secondo fonti anonime della base militare
USA di Al Udeid, in Qatar, la falsa notizia della fuga e morte di Aziz era
stata intenzionalmente diffusa dai servizi segreti statunitensi come
trappola per tentare di stanare Saddam Hussein ed ucciderlo. A causa della
diffusione di tale notizia, infatti, Aziz era stato costretto a tenere una
conferenza stampa, cosi' che i servizi segreti USA, terminata la
conferenza, avevano potuto seguirlo via satellite fino al centro di comando
delle forze armate irachene, scoprendone l'ubicazione. Ed e' cosi' che la
mattina del 20, su segnalazione dei servizi di intelligence, viene iniziato
anticipatamente l'attacco all'Iraq con l'obiettivo di bombardare proprio
quel centro di comando scoperto grazie alla falsa notizia della morte di
Aziz. Vera o falsa che sia quest'ultima ricostruzione dei fatti, la vicenda
appare tuttavia come estremamente istruttiva, in quanto ci aiuta a capire
meglio il senso di quella frase pronunciata dal senatore californiano Hiram
W. Johnson di fronte al Senato USA gia' nel 1917, durante la Prima Guerra
mondiale, quando affermo' che "La prima vittima della guerra e' la verita'".
GLI SCUD DI SADDAM HUSSEIN - I primi due giorni di guerra, il 20 e il 21
marzo, ufficiali dell'esercito USA e funzionari del ministero della Difesa
kuwaitiano riferiscono ripetutamente che l'Iraq aveva lanciato vari missili
Scud contro il Kuwait. La notizia, cui viene data un'ampia risonanza dai
media internazionali, viene subito presentata come estremamente
significativa, in quanto gli Scud, con una portata di 650 km, superano di
500 km il limite imposto all'Iraq in seguito alla guerra del 1991 per la
portata dei propri missili, e rientrano quindi tra le armi proibite che
Saddam Hussein aveva dichiarato di non possedere. Di fronte ad una notizia
di tale delicatezza, la maggior parte dei mezzi di informazione ne accetta
senza riserve la veridicita', senza prendere in gran considerazione
l'immediata smentita del ministro dell'Informazione iracheno Mohammed Saeed
al Sahaf, che aveva ribadito che il proprio Paese non possedeva piu' tali
armi. Tale e' il credito datole, che durante la trasmissione Porta a Porta
del 21 marzo, condotta da Bruno Vespa su RAI1, si arriva addirittura ad
affermare che poiche' l'Iraq aveva lanciato degli Scud, ed essendo questi
delle armi proibite, la guerra poteva essere considerata legittima.
Nessuno dei nostri professionisti dell'informazione, tuttavia, sembra
essersi posto alcun problema circa la scarsa plausibilita' strategica di
quanto veniva riportato. Risulta piuttosto incomprensibile, infatti, il
motivo per cui, quand'anche l'Iraq avesse avuto degli Scud, questi avrebbe
dovuto sprecarli contro il Kuwait, raggiungibile con missili di portata ben
inferiore, e non piuttosto usarli per colpire Israele, come fece nel 1991;
ed anche se per qualche motivo in questa circostanza non fosse stato
interessato a colpire Israele, non si capisce comunque perche' avrebbe
dovuto usare gli Scud i primi giorni di guerra, quando ancora manteneva il
controllo sui propri confini e poteva raggiungere Kuwait City con missili
balistici di breve portata. E non e' tutto. I nostri giornalisti avrebbero
potuto anche prendere in considerazione quanto riferito il 20 e il 21 marzo
dal sito web del quotidiano israeliano Ha'aretz, che riportava l'opinione
di ufficiali della Difesa israeliana secondo i quali i missili lanciati
contro il Kuwait non sarebbero stati degli Scud, bensi' dei Frog, dalla
portata assai piu' limitata di 70 km. Se quindi i "professionisti
dell'informazione" avessero condiviso i nostri dubbi ed avessero dato
maggior credito a fonti diverse da quelle statunitensi e kuwaitiane,
avrebbero potuto evitare di fare quella pessima informazione che hanno fatto.
La notizia infatti era un falso. Il 23 marzo lo stesso segretario alla
Difesa USA Donald Rumsfeld ha dichiarato alla BBC che le "forze alleate"
non hanno prove che gli iracheni abbiano finora sparato degli Scud; e il 2
aprile, nel corso di un briefing al Pentagono a Washington, il generale
Stanley McChrystal ha detto che le forze della coalizione angloamericana
non hanno finora trovato missili Scud in Iraq ne' rampe lanciamissili.
Considerato come la notizia e' stata gestita e che si trattava dei primi
giorni dell'attacco, e' probabile che non siamo molto lontani dalla verita'
nell'ipotizzare che essa sia stata montata ad arte dai comandi USA e
diffusa con la compiacenza dei mezzi di informazione internazionali per
cercare di presentare una giustificazione in extremis a questa guerra che
agli occhi del mondo appare come del tutto illegittima.
LA RAPIDA CONQUISTA DI UMM QASR - L'informazione relativa alle operazioni
militari nella citta' meridionale di Umm Qasr e' stata una vera e propria
beffa continua ai danni di chi voleva essere informato su quanto stava
accadendo, e rappresenta forse il caso piu' emblematico che illustra quanto
poco ci si possa fidare di cio' che viene raccontato dai media in tempo di
guerra (e non solo). La sera del 20 marzo l'agenzia di stampa ufficiale
kuwaitiana Kuna annuncia che le forze statunitensi hanno gia' preso
possesso della citta' irachena di Umm Qasr, piccolo centro portuale di
circa 45.000 abitanti considerato di grande importanza strategica. La
notizia viene smentita la mattina del 21 marzo prima dal ministro
dell'Interno iracheno Mahmoud Diab al Ahmed, e poi dallo stesso ministro
della Difesa britannico Geoff Hoon, il quale tuttavia precisa che la
cittadina sarebbe stata entro breve sotto il pieno controllo della
coalizione. Rispettando le previsioni di Hoon, la mattina del 22 sia il
capitano Al Lockwood, portavoce delle forze britanniche nella sede del
comando centrale in Qatar, sia un giornalista della Associated Press al
seguito dei Marines, dichiarano che le truppe angloamericane hanno assunto
il "pieno controllo della citta'". E tuttavia la situazione appare
tutt'altro che chiara, in quanto la stessa mattina una fonte dei Marines
riferisce che nel porto vecchio della citta' "c'e' ancora un po' di
resistenza da parte degli iracheni". La stessa confusione appare dai
dispacci d'agenzia della mattina del 23, quando, mentre la televisione Sky
News annuncia che "i combattimenti ad Umm Qasr sono finiti", Al Lockwood
afferma che vi sono "isolate resistenze" e non meglio precisati testimoni
parlano esplicitamente di "combattimenti in corso". Nel pomeriggio dello
stesso giorno il ministro della Difesa britannico Geoff Hoon annuncia che
"il sud dell'Iraq e' sotto il generale controllo delle forze alleate", e
tuttavia la sera l'agenzia Associated Press parla ancora di "resistenza
irachena residua", specificando che "circa 100 uomini di Saddam Hussein si
muovono ancora liberamente nella zona". Solo in seguito alla mattina del 25
marzo, quando il comandante delle truppe britanniche nel Golfo annuncia che
Umm Qasr e' adesso "sicura e aperta", a parte le smentite da parte irachena
non arriveranno piu' agenzie che parlano di combattimenti in corso. In
pratica, dal primo annuncio della conquista di Umm Qasr a quella che forse
puo' essere considerata come la presa effettiva della citta' passano ben
quattro giorni e mezzo.
LA RESA DELLA 51/a DIVISIONE IRACHENA - La sera del 21 marzo, il secondo
giorno di guerra, il sito web del New York Times pubblica la notizia che il
comandante ed il vice-comandante della 51/a divisione irachena, schierata
nel sud dell'Iraq per contrastare l'avanzata delle truppe angloamericane
verso Bassora, si erano arresi ai Marines. La mattina del 22 la notizia
viene confermata da una fonte del Pentagono, la quale precisa che non si
erano arresi solo i comandanti, bensi' l'intera divisione, forte di 8.000
uomini.
Anche in questo caso, nonostante fosse stata smentita da un portavoce
iracheno, la notizia viene rilanciata dai nostri media insieme alle
numerose altre notizie di centinaia di militari iracheni che di fronte
all'avanzata angloamericana si arrendevano o abbandonavano le loro
postazioni. Nei primi giorni di guerra, in effetti, l'impressione data dai
mezzi d'informazione era che gli iracheni stessero opponendo scarsa
resistenza e che il conflitto sarebbe durato poco. Eppure, la sera del 22
il generale McChrystal afferma durante un briefing al Pentagono che i
prigionieri di guerra catturati in Iraq erano al massimo 2.000. Che fine
avevano fatto i militari della 51/a divisione? Il sospetto che si trattasse
dell'ennesima bufala ai nostri giornalisti poteva venire, eppure un
dispaccio ANSA delle 22:22 del 22 marzo arriva ad ipotizzare che i militari
fossero stati lasciati liberi dopo essere stati disarmati! Il 23 marzo,
infine, il giallo viene risolto. Il comandante della 51/a divisione
irachena, generale Khaled al Hahsemi, smentisce la notizia in un'intervista
rilasciata alla tv del Qatar Al Jazeera, informando che lui ed i suoi
uomini non si erano affatto arresi, ma stavano a Bassora e difendevano la
citta'; come previsto, si era trattato dell'ennesima menzogna di questa
guerra. Con il passare dei giorni e' apparso inoltre evidente come
l'immagine data inizialmente dai media di una guerra facile e rapida fosse
falsa, e come gli iracheni, lungi dall'accogliere festanti le truppe dei
"liberatori", stessero invece opponendo una dura resistenza.
GLI INGANNI DEI MILITARI IRACHENI - Dalle truppe angloamericane e' stato
ripetutamente riportato il fatto che in alcune circostanze i militari
iracheni fingevano di arrendersi per attirarli in delle trappole ed
attaccarli. Il 23 marzo, ad esempio, il generale Richard Myers, capo di
Stato Maggiore USA, dichiarava che a Bassora "ci sono soldati che indossano
abiti civili o sventolano bandiere bianche, cercando cosi' di attirare gli
alleati in un tranello. Non ci sono riusciti ed hanno pagato il prezzo dei
loro inganni". Se la circostanza sia vera o meno noi non siamo ovviamente
in grado di dirlo. Quello che possiamo dire con certezza, pero', a dar
credito alla testimonianza che stiamo per riportare, e' che almeno in una
circostanza le truppe angloamericane hanno sparato su militari iracheni che
si stavano arrendendo, il che rende legittimo il dubbio che tale storia
possa essere stata inventata per giustificare la propria condotta
criminale. Il 22 marzo e' infatti stata diffusa la notizia che tre inviati
della televisione britannica ITV, Terry Loyd, Fred Nerac e Hussein Othman,
risultavano dispersi nella zona tra la penisola di al Faw e la citta' di
Bassora, forse colpiti da fuoco nemico. Il giorno successivo, tuttavia, si
e' appreso cosa era realmente accaduto grazie alla testimonianza di un
operatore che era insieme a loro, Daniel Demoustier, e che era riuscito a
tornare in Kuwait. Demoustier racconta che i giornalisti e gli operatori
della troupe della ITV si stavano spostando a bordo di due jeep, quando
all'improvviso hanno visto di fronte a loro un gruppo di soldati iracheni
che sembravano volersi arrendere alle unita' angloamericane che procedevano
lungo la stessa strada. Non volendo restare troppo vicini a possibili
bersagli, essi hanno quindi deciso di tornare indietro, ma mentre le due
auto erano impegnate in questa manovra, che li metteva sulla linea di tiro
degli alleati, i tanks hanno cominciato a sparare con armi pesanti. "I
proiettili colpivano la jeep - ha raccontato Demoustier - i vetri sono
saltati, la carrozzeria si e' accartocciata, gli iracheni sono tutti
morti", cosi' come Terry Lloyd e forse anche gli altri due giornalisti. Lui
si e' potuto salvare, riportando solo qualche ferita, perche' e' uscito
dalla jeep e si e' gettato in un fossato.
COLPIRE LA PROPAGANDA NEMICA - Fino ad ora abbiamo visto come la guerra
psicologica venga combattuta a colpi di notizie false o manipolate. Assai
spesso, tuttavia, accade che alla guerra dell'informazione si sovrapponga
la guerra delle armi, e che mezzi di informazione non allineati, oppure
anche mezzi di informazione in genere, vengano fatti oggetto di attacchi
militari. Poco importa alle "truppe alleate" che cio' violi il diritto
internazionale, e in particolare l'articolo 57 del I° Protocollo aggiuntivo
alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione
delle vittime dei conflitti armati internazionali, adottato a Ginevra l'8
giugno 1977. Questo articolo afferma che: "Par. 1. I beni di carattere
civile non dovranno essere oggetto di attacchi ne' di rappresaglie. Sono
beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari ai
sensi del paragrafo 2. Par. 2. Gli attacchi dovranno essere strettamente
limitati agli obiettivi militari. Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi
militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione,
destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all'azione militare, e
la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre,
nel caso concreto, un vantaggio militare preciso. Par. 3. In caso di
dubbio, un bene che e' normalmente destinato ad uso civile, quale un luogo
di culto, una casa, un altro tipo di abitazione o una scuola, si presumera'
che non sia utilizzato per contribuire efficacemente all'azione militare".
Se cio' non fosse sufficiente, il Paragrafo 1 dell'Articolo 79 del predetto
protocollo precisa che "I giornalisti che svolgono missioni professionali
pericolose nelle zone di conflitto armato saranno considerati come persone
civili ai sensi dell'articolo 50 paragrafo 1". Eppure...
Nelle prime ore successive allo scoppio della guerra, la mattina del 20
marzo, arrivano varie agenzie secondo le quali le forze USA avevano
bombardato la radio di Stato irachena e un edificio della tv di Stato a
Baghdad. Cio' appare sorprendente, in quanto a detta dei comandi USA/GB i
primi bombardamenti della mattina del 20 dovevano riguardare obiettivi
selezionati al fine di colpire la leadership irachena. Potevano la tv e la
radio di Stato rientrare tra questi "obiettivi selezionati"?
Tra il pomeriggio del 25 marzo e la mattina del 26 viene colpita
massicciamente e ripetutamente la tv di Stato irachena, e per tutta la
notte vengono interrotte le trasmissioni. Secondo la CBS la tv irachena
sarebbe stata colpita dal un'E-bomb, ossia una bomba elettromagnetica
sperimentale che ha il potere di mandare in corto circuito qualsiasi
congegno elettronico si trovi nel raggio di qualche centinaio di metri
(inclusa quindi la strumentazione ospedaliera); un giornalista dell'Afp,
tuttavia, ha detto che la mattina del 26 si vedeva ancora del fumo nero
levarsi dalla sede della televisione nel centro di Baghdad, e che
l'edificio, bruciato durante la notte, sembrava parzialmente distrutto, con
gli edifici vicini parzialmente danneggiati e i vetri dei negozi andati in
frantumi. Quand'anche si fosse trattato di un'E-bomb, quindi, sembrerebbe
che questa produca degli effetti per nulla dissimili da quelli delle bombe
convenzionali. Ad ogni modo, nonostante la condanna espressa da numerose
organizzazioni non governative, tra cui la Federazione Internazionale dei
Giornalisti ed Amnesty International, funzionari del Pentagono hanno
affermato candidamente che non si era trattato di un errore, ma che
obiettivo dell'attacco aereo erano stati proprio gli impianti della tv
irachena, colpevole di aver coalizzato la popolazione contro gli
angloamericani (sic!).
Nella notte tra il 30 e il 31 marzo viene nuovamente bombardata la tv
irachena a Baghdad, e le trasmissioni rimangono interrotte per tutta la
mattina, fino alle 12:30 locali. I comandi USA si giustificano affermando
che la tv ha anche una funzione militare, in quanto permette al regime di
comunicare con gli iracheni.
La mattina dell'8 aprile, contemporaneamente all'avanzata delle truppe USA
dentro Baghdad, vengono interrotte le trasmissioni sia della tv satellitare
sia di Radio Baghdad. Anche in questo caso un portavoce militare USA
dichiara che i trasmettitori nella capitale irachena sono un obiettivo
militare.
LE SCOMODE IMMAGINI DI AL JAZEERA - Oltre ai mezzi di informazione
iracheni, anche i media "non allineati" vengono presi ti mira. Non sono
piaciute agli angloamericani le continue immagini mandate in onda dalla
televisione del Qatar Al Jazeera di civili morti o feriti e dei soldati
statunitensi fatti prigionieri dagli iracheni; gli USA ricordano ancora,
inoltre, la poco gradita trasmissione dei video di Osama bin Laden da parte
della tv qatariota. Ed e' cosi' che possiamo constatare come nel corso di
questa guerra anch'essa sia diventata un "obiettivo militare".
La mattina del 25 marzo la Borsa statunitense New York Stock Exchange vieta
l'ingresso nella sua sala delle contrattazioni ad un giornalista di Al
Jazeera, affermando che la sua presenza limitava quella delle reti
"responsabili".
Dalla mattina del 25 marzo in poi, inoltre, i siti web di Al Jazeera, sia
quello in arabo sia quello in inglese, vengono ripetutamente colpiti da
attacchi di pirati informatici. All'indirizzo del sito in lingua araba
compare addirittura una pagina con l'immagine della cartina degli Stati
Uniti e la scritta "God bless our troops!!!", il tutto firmato da una certa
Freedom Cyber Force Militia.
Il 28 marzo una troupe di Al Jazeera viene colpita da alcuni carri armati
britannici mentre stava filmando la distribuzione di aiuti alimentari per
la popolazione irachena in un magazzino all'entrata nord di Bassora. Il
fatto e' stato riferito in diretta telefonica sulla televisione dal
giornalista della troupe, Mohamed Abdallah, il quale ha riferito che mentre
stavano facendo le loro riprese si sono avvicinati quattro carri armati
britannici, e loro hanno iniziato a riprenderli. "Apparentemente questo li
ha allarmati - ha raccontato - e i tank inglesi hanno aperto il fuoco senza
preavviso". I colpi hanno distrutto l'auto di Al Jazeera, che non aveva
alcuna contrassegno di identificazione in quanto era stata noleggiata a
Bassora. Il cameraman della troupe si e' nascosto nel magazzino, ma questo
e' stato colpito dai colpi dei carri armati ed ha preso fuoco. E con esso
anche dieci camion di aiuti umanitari. Altri due giornalisti della troupe
sono rimasti feriti, ma i soccorsi della Mezza Luna Rossa non sono potuti
intervenire - ha raccontato sempre Abdallah - "a causa dei colpi che i
blindati hanno continuato a sparare".
La mattina dell'8 aprile, infine, gli angloamericani abbandonano ogni
pudore e bombardano gli uffici a Baghdad di Al Jazeera, situati nel
quartiere Mansour. Un cameramen della tv, Tareq Ayoub, muore in seguito
alle ferite riportate, mentre un corrispondente risulta disperso. Un
portavoce del Dipartimento di Stato USA dichiara che il bombardamento
mirava a colpire la leadership irachena, ed esprime le condoglianze del
proprio governo al network televisivo. In seguito all'episodio, tuttavia,
il direttore della tv Ibrahim Hillal annuncia di voler ritirare tutti i
suoi giornalisti dall'Iraq. "Ritengo che nessuno di loro sia piu' al sicuro
- ha dichiarato - sia a Baghdad sia nel resto dell'Iraq, anche quelli che
sono con le truppe americane. Il mio augurio e' quello di farli rimpatriare
tutti". Sembra che finalmente si sia reso conto che le sue troupes in Iraq
non sono una presenza gradita agli angloamericani.
GIORNALISTI NEL MIRINO - I fatti di questa guerra ci mostrano tuttavia
qualcosa di piu' rispetto a quanto abbiamo detto fino ad ora, e cioe' che
nelle guerre moderne condotte dalla superpotenza USA cio' che infastidisce
non sono solo i giornalisti del nemico o quelli che si rifiutano di
allinearsi alla propaganda statunitense, bensi' l'informazione in genere,
chiunque si rechi sul posto per cercare di riferire, in modo piu' o meno
onesto, cio' che sta accadendo.
La mattina dell'8 aprile, infatti, avviene un fatto che ha
dell'incredibile: un carro armato USA M-1 colpisce l'Hotel Palestine, dove
alloggiano la maggior parte dei giornalisti della stampa internazionale.
Nel filmato ripreso dagli operatori della catena televisiva francese France
3 si osservano alcuni carri USA impegnati in uno scambio di tiri su un
ponte sul Tigri; all'improvviso, si vede la torretta di uno dei blindati
che si gira in direzione dell'Hotel Palestine, poi l'affusto del cannone
che si solleva, e dopo due minuti parte il proiettile che raggiunge l'hotel
al quindicesimo piano, colpendo un cameraman che stava filmando la scena
sul ponte. L'attacco provoca la morte di due giornalisti, l'ucraino Taras
Protsyuk, della Reuters, e lo spagnolo Jose' Couso, di Telecinco, ed il
ferimento di altri tre, il libanese Samia Nakhoul, l'iracheno Faleh Kheiber
ed il britannico Paul Pasquale, tutti della Reuters. Il Centcom, il Comando
centrale in Qatar delle forze angloamericane, dichiara che l'Hotel
Palestine era considerato un obiettivo militare, e che cio' era stato
comunicato ai giornalisti 48 ore prima dell'incidente; i soldati USA,
inoltre, avrebbero agito "secondo il loro diritto all'autodifesa", in
quanto nell'Hotel Palestine, sempre secondo il Comando USA, vi sarebbero
stati dei cecchini che sparavano contro i soldati americani. Come se tali
affermazioni non fossero di per se' ridicole, vi sono anche le
dichiarazioni dei numerosi giornalisti presenti, i quali negano che vi
fossero cecchini nell'albergo e dichiarano che non si e' trattato di un
incidente, ma di un attacco deliberato. "Non ho mai visto ne' sentito
cecchini sparare dall'albergo", ha detto la giornalista Gabriella Simoni al
TG5; e il corrispondente di Sky News da Baghdad, David Chater, che si
trovava sul balcone dell'albergo poco prima dell'esplosione: "Non ho
sentito un solo colpo provenire da nessuna zona qui intorno, certamente non
dall'hotel".
La dichiarazione piu' onesta e significativa e' stata quella del portavoce
del Pentagono Victoria Clarke: "Abbiamo sempre detto che Baghdad non era un
posto sicuro per i media". Come dire... "Giornalisti, statevene a casa".
Federico Rosati, 9 aprile 2003