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Report dall'Iraq #58
E li chiamano sciacalli.
I ragazzi che corrono tutto il giorno da una parte all’altra di Baghdad
sono giovanissimi, tra i 16 ed i 30 anni. Hanno un’energia addosso che si
direbbe impensabile per chi come loro vivono da almeno 12 anni sotto il
tacco dell’embargo economico più duro che sia mai capitato di subire ad una
popolazione civile. Per chi come loro si trovano ancora sotto l’incubo di
una guerra che per settimane a bombardato la loro città lasciandoli senza
cibo, acqua, scuole, università.
I ragazzi di Baghdad, decine forse centinaia di migliaia si sono presi la
città. Impazzano per le strade di Al-Jumhurrya, nei quartieri delle
ambasciate e delle fastose ville e dimore dei burocrati di stato, appaiono
all’improvviso nei quartieri meridionali di Dorah, e dall’altra parte della
capitale nei sobborghi nord di Adhamiya, e poi ancora in centro lungo la
Al-Saadun Street.
Non stanno mai fermi i ragazzi di Baghdad.
E li chiamano sciacalli.
Portano con loro borse, sacche, valige, lenzuola annodate ai quattri lati,
carretti tirati mano. Guidano vecchie automobili senza targa, furgoncini e
pick-up in alcuni casi nuovi di zecca. Suonano il clackson e corrono da una
parte all’altra della città a riprendersi quello che gli è sempre stato
negato, quello che gli stato tolto dall’ottusità di uno stato sordo alle
grida ed ai loro bisogni.
E sfidano il coprifuoco e la presenza di un esercito invasore che aveva
programmato per loro il ruolo di comparse festose al cospetto di un
esercito di “liberazione”.
Non ci stanno i ragazzi di Baghdad. Non ci stanno più ad essere programmati
in un modo o in un altro per quello che non sono. Non hanno scelto né
Saddam né Bush, e non vogliono più dire sissignore a nessuno. Oggi si
sentono, sono, i ragazzi di Baghdad. E basta.
E li chiamano sciacalli.
Oggi si che è festa a Baghdad: si corre verso i quartieri residenziali
degli alti funzionari di stato, dei burocrati, dei vertici delle forze
armate. Con i bastoni, con attrezzi da cantiere si sfondano le finestre e
le porte di quelle case di un lusso così anacronistico e pacchiano.
Il reporter indipendente che per tutta la mattina è stato con alcuni di
loro, mi parla di Abdel, primo di sette fratelli, tutti maschi, di un papà
mite e timido che fa il vigile urbano. E di una mamma sarta che ha passato
la vita a cucire per sé e per gli altri. Cucire a mano senza neppure una
macchina da cucire, pulendo e lucidando gli aghi per paura che si potessero
rovinare.
Una famiglia ubbidiente quella di Abdel, una vita schiacciata dalla
mancanza di tutto. L’equivalente di settanta dollari al mese per cercare di
fa quadrare le esigenze di nove persone. Tutti i giorni di ogni mese, tutti
i mesi di ogni anno. E così da anni.
Il papà di Abdel ha una gamba che quand’era bambino è stata colpita dalla
poliomelite, e questo gli ha fatto scampare le ultime tre guerre, quella
contro l’Iran, la guerra del Golfo del 1991 e quella di oggi. I fratelli di
Abdel troppo piccoli allora come ora per essere arruolati. Ma non Abdel,
che con i suoi 19 anni sa di dover andare sotto le armi, e nel settembre
scorso riceve la chiamata a presentarsi. Abdel indossa la divisa senza
protestare fino alla fine dello scorso marzo, quando ormai la guerra sembra
davvero inevitabile.
Un giorno Abdel disubbidisce, esce dalla caserma e non vi fà più ritorno.
Scoppia la guerra ed Abdel si ritrova disertore. In famiglia, la notizia
giunge come uno stordimento per il papà vigile urbano, come una vergogna.
Ma Abdel resiste, e favorito anche dalle tragedie provocate dai
bombardamenti non fa poi molto per nascondersi. Pensa, a ragione, chi mai
si occuperà di me in questa situazione tanto drammatica?
La famiglia rimane unita sotto i bombardamenti, come tutti senza acqua, con
pochissimo cibo, senza luce. Ogni tanto, quando la corrente elettrica
torna, accendono la radio per capire cosa accade fuori da quelle mura,
fuori da Baghdad. Non hanno televisione, computer. Neppure una macchina da
cucire. Del resto con settanta dollari al mese non si sono mai potuti
permettere proprio nulla.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad.
Perché oggi sono andati a prendersi i loro sogni.
Entrano nelle case bianche e volgari della ricca borghesia di stato,
rimangono abbagliati dai marmi, i tappeti, gli specchi. E Abdel è con loro,
entrano in ogni stanza, rovesciano ogni cosa, mettono a soqquadro quei
saloni tanto grandi che sembrano sale da ballo.
Afferrano le televisioni a colori giapponesi, i video registratori, i cd
musicali, i computer. Persino una playstation. E poi ancora lenzuola,
coperte, vestiti, scarpe. Carne surgelata, bottiglie di vino e birra, olio
e farina. Prendono tutto, tutto quello che trovano in tutte le case che
trovano. E’ come una scarica elettrica che gli attreversa il corpo e la
testa, quell’adrenalina che sale e li sconvolge ogni volta che una porta
salta sotto la spinta di venti mani, ogni volta che un congelatore pieno di
pesce, verdura, fragole e dolci si spalanca, ogni volta che saltano come
danzando sui grandi letti matrimoniali coperti di seta.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad.
Abdel entra in un’altra casa ancora, una casa con una torretta di mattoni
bianchi. Saranno in dieci, forse di più, e con loro anche il reporter
indipendente che mi parla di questa mattina di furiosa eccitazione. Abdel
ha ormai un chiodo fisso in testa. E cerca, cerca dovunque, persino sotto
gli alti baldacchini dei letti, nei garage vuoti, nei seminterrati. Ed
anche nelle dispense, nei locali adibiti a lavanderia. Un’altra stanza ed
un’altra stanza ancora quando sotto un lenzuolo si materializza l’oggetto
che di casa in casa è andato cercando come una furia: una macchina da
cucire. Una vecchia Singer con il mobile di legno e ferro con la pedana
mobile per far andare su e giù l’ago. Una Singer nera piena di fregi in
oro. E nei cassetti aghi, fili di seta e di cotone, bottoni, nastri e
coccardine, ditali d’oro e d’argento, elastici di ogni altezza.
Salta, urla, ride Abdel, abbraccia il reporter e abbraccia pure quella
fantastica macchina da cucire.
La alza da un lato e poi dall’altro ed infine la carica sulla schiena e
corre giù per le scale della villa come se non avvertisse il peso. Ed il
reporter con lui, di corsa fino al carretto a mano lasciato fuori.
Una coperta marrone buttata su a coprire tutto e poi via di corsa verso
casa, tirando un sogno su un carretto.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad.
Che la notte sia leggera.
r.
(fine.)
[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su
<http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php
Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto
dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie
persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai
telefoni di due alberghi della capitale, dove è ospitata la stampa
internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente,
free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora
con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte"
per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande
onestà intellettuale e capacità professionale nella attuale realtà
(drammatica) della città.]