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Report dall'Iraq #56
La festa e' finita.
La festa e' finita.
I "liberatori" sono tornati nei carri, negli autoblindo. Le jeep "Hammer"
hanno ripreso a fare le staffette per le strade della citta'.
I 150/200 giovani iracheni che erano serviti come comparse per la festa in
mondovisione in Piazza Paradiso sono scomparsi. Tornati nelle loro case
senza luce e senz'acqua. Ma con i pacchi di cibo che gli sono stati donati
dai "furieri" dell'armata americana.
Ed i combattimenti sono ripresi: a Saddam City, lungo la Shaab, sulle due
sponde del Tigri, intorno a cio' che rimane del Ministero
dell'Informazione. Combattimenti duri ed impari. I marines si confrontano
con uomini e ragazzi che impugnano armi leggere e perfino bottiglie
incendiarie.
I cannoni e le mitragliatrici rispondono schiantando sulle facciate delle
case migliaia di proiettili che sbriciolano infissi e finestrte, fanno
saltare i vetri inutilmente coperti di nastro adesivo.
Ed ancora sangue, feriti e vittime che sembrano non interessare piu'
nessuno. Certo interessano e preoccupano quella parte della stampa che
alloggia al "Palestine" e che non ha accolto come "liberatori" i soldati
che di forza hanno fatto irruzione nell'hotel, scandendo ad alta voce e
ritmando i nomi dei colleghi uccisi dal fuoco amico dei "liberatori".
Sara e' una giovane fotografa europea "ufficiale", a Baghdad con un
contratto a tempo per conto di una importante agenzia stampa. Sara ha
sempre seguito diligentemente tutte le indicazioni che le venivano fornite
dai funzionari del Ministero dell'Informazione, e' in posseso di tutti i
visti, i passi e le autorizzazioni necessarie per lavorare alla "luce del
sole" nella capitale.
Per due settimane Sara e' rimasta nella sua stanza d'albergo con
l'obiettivo puntato verso l'esterno. Pronta a correre fuori ogni qualvolta
si presentava la possibilita' di uscire con i pulman messi a disposizione
dalle autorita' irachene per arrivare nelle aree della citta' dove i
funzionari del Ministero avevano deciso di portare i giornalisti.
E cosi' sono andate avanti le giornate di Sara, giovane fotografa alla sua
prima esperienza come inviata di guerra, nell'inferno di Baghdad.
Fino ad oggi. Fino all'arrivo dei "liberatori".
Passato l'entusiasmo derivato dall' abbattimento della statuta un po' buffa
e un po' tragica di Saddam Hussein, Sara ha pensato davvero che Baghdad
fosse stata "liberata".
E allora, cosa stare a fare li' in mezzo alla piazza in "festa"?
Sara si e' butatta a piedi per le strade subito dietro il "Palestine" e lo
"Sheraton".
Gli autoblino ed i carri armati erano messi di traverso e puntavano le armi
contro centinaia di civili niente affatto desiderosi di unirsi ai
"festeggiamenti". Poco oltre e Sara assiste ai primo scontri a fuoco:
militari americani che inseguivano uomini e donne sparando raffiche di
mitra, carri armati che salivano e scendevano dai marciapiedi tritando
sotto i congoli tutto quanto si trovavano davanti come automobili,
biciclette, carretti di legno.
E poi i colpi di cannone, secchi che mandavano in frantumi le facciate
delle case, con la popolazione che usciva piangendo, terrorizzata.
Sara ha paura. Si ferma. Scatta una dietro l'altra una serie di foto.
Non crede ai suoi occhi Sara: ma come, pensa, Baghdad non e' stata "liberata"?
Una jeep dei marines si avvicina da dietro, scendono tre soldati mentre uno
rimane alla guida. Le chiedono i documenti, i passi e le autorizzazioni.
Lei, che ha tutto, li mostra senza timore. Poi le viene detto che non
poteva fare foto, perche' quella era zona di guerra.
Ma siamo a centocinquanta metri dagli albeghi dei giornalisti, prova a
giustificarsi. Le sequestrano le pellicole, e dopo averle strappato dal
collo uno degli accrediti le ordinano di andare via, di tornare in albergo.
Sara, con la preoccupazione di salvare le sue macchine fotografiche, si
incammina tornando sui suoi passi.
Ancora una raffica, ancora colpi, ancora urla,pianti, ancora quei rumori e
quei tonfi di vetri esplosi. E poi ancora urla, pianti, quei rumori e quei
tonfi........
Ritornata sulla piazza, la grande statua di Saddam stavolta e' a terra.
Decapitata. Sul basamento di cemento gli stivali di bronzo del rais
appaiono come flosci, piegati su loro stessi.
La festa e' finita. Solo carri armati e soldati. Ma nel silenzio ritrovato
si sentono, proprio li' dietro a due passi, ancora raffiche di mitra,
ancora colpi, ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi.
Che la notte sia leggera.
r.
da Shafa Badran
(Amman)
Rosarita Catani
Notiziario della tv giordana ore 19.30
9.4.03 - I soldati americani entrano nell'aeroporto "Saddam" in Bagdad dopo
la fine di un'operazione nella capitale irachena. Intorno all'aeroporto ci
sono 6000 soldati americani.
Tutti i membri del Governo iracheno hanno lasciato la citta'. Esattamente
non si sa dove si trovino.
L'agenzia di stampa francese, ha dichiarato che l'esercito americano e'
entrato stamattina nei quartieri Nord Est di Bagdad dopo combattimenti tra
l'esercito americano e quell'iracheno. Alcuni testimoni hanno dichiarato
che i soldati americani sono entrati nella parte sciita a Nord di Bagdad
senza aver incontrato resistenza. Le televisioni internazionali hanno
mostrato le immagini d'alcuni iracheni che esprimevano la loro gioia
all'ingresso degli americani.
All'interno della citta' si sono viste operazioni di sciacalaggio da parte
d'iracheni . Degli uomini corrono all'interno d'uffici e portano via tutto
cio' che trovano: sedie, divani suppellettili. Entrano ed escono
dall'edificio molto velocemente trasportando piu' cose possibili.
All'esterno dell'edificio uomini armati controllano la strada. Uno di loro
strappa la foto del presidente iracheno. Poco lontano altri uomini caricano
cio' che trovano ancora su dei camioncini e gridano " Americani go out".
Prendetevi Saddam ed andate via
La sede dell'ONU e' stata anch'essa saccheggiata. E' stata occupata dalle
forze americane anche la citta' natale di Saddam Hussein - Takrit.
I membri dell'esercito americano continuano i loro attacchi al Palazzo
Presidenziale che si trova nel cuore della citta'.
Negli ospedali continuano ad arrivare feriti. Per i civili la situazione e'
sempre piu' grave.
Una bambina e' distesa sul letto dell'ospedale. Ha tutto il vestito rosso.
Rosso di sangue. E' morta. Il padre piange. Si copre il viso con le mani.
Si avventa sul lettino vuole prenderla in braccio. Lo fermano e
l'allontanano da quel corpo.
Una madre piange mentre medicano suo figlio "Haram" dice questa guerra non
e' contro Saddam e' contro il nostro popolo ed i nostri bambini. "Haram" -
Wallah Haram".
Avere informazioni sta diventando un'impresa difficile. Molti giornalisti
hanno lasciato la citta'.
I pochi rimasti hanno paura. In questo momento - h. 17.00 - si vedono le
immagini di un caro armato americano fermo nella piazza di Bagdad, al
centro della stessa la statua di Saddam Hussein, sopra ed intorno al carro
armato civili iracheni contrari al regime. Un iracheno sale sulla statua e
lancia una corda. Stanno tentando di abbatterla.
La situazione e' veramente drammatica. I generi di prima necessita' e le
medicine sono ancora giacenti ai confini. La distribuzione, molto
probabilmente sara' fatta dai soldati americani. La probabilita' e' che chi
avra' realmente bisogno di medicine e di cibo rimarra' senza nulla.
[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su
<<http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php
Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto
dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie
persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai
telefoni di due alberghi della capitale, dove č ospitata la stampa
internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente,
free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora
con loro. *Robdinz* non č a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte"
per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande
onestā intellettuale e capacitā professionale nella attuale realtā
(drammatica) della cittā.]