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REPORT DA BAGHDAD N.47
Questo giorno non è come gli altri a Baghdad. La percezione che qualcosa di
irreversibile stia per accadere non è solo nell’aria, ma nelle strade,
sulle facce degli iracheni. La si può toccare con mano, è visibile.
La linea telefonica, raggiunta libera dopo così tante ore da non sperarci
più, mi porta un racconto di una Baghdad alla fine. O, all’inizio di
qualcosa che segnerà per sempre la città e la popolazione.
Migliaia di soldati sono ormai ammassati nelle periferie nord e sud della
capitale. Per tutta la notte sono ricomparsi i camion scoperti pieni di
milizie in divisa che correvano da un lato all’altro del fiume.
Le bombe ed i missili hanno continuato senza sosta a cadere, esplodere,
incendiare e distruggere quartieri residenziali, viali alberati, ancora
l’università ed ancora un ‘ala del museo nazionale.
Eppure la notte passata, la città era piena di gente che camminava e
correva lungo i muri, gli argini dei fiumi, persino sui tetti della città
vecchia. La città vecchia e tutta l’area metropolitana di Baghdad sono
rimaste al buio, un buio pesto da fa paura.
Chi mi parla sta preparando le sue cose, chiudendo lo zaino e le borse per
trasferirsi altrove. Non ci si fida più a restare nei piccoli alberghi,
preferiscono concentrarsi il più possibile insieme. Tanto per una questione
di sicurezza, quanto per allentare la tensione e la paura che sale fino
alla gola.
Al mattino presto, gli uomini in borghese, armati, che spesso pattugliavano
durante la notte le strade del centro della capitale sono stati visti
equipaggiati con delle maschere anti-gas allacciate in vita. Non tutti le
avevano. Ma, mi riferiscono, l’impressione è stata terribile.
La casa dove sono concentrati i miei contatti, non è lontana da Shaab, dove
si trovava il mercato dilaniato dai missili americani.
I vetri delle finestre sono stati sostituiti con assi di legno ed ogni cosa
che si trovava in qualche modo in bilico è stata posata a terra.
Sotto la casa si trova un grande magazzino pieno di uva passita che sparge
tutto intorno un profumo quasi inebriante fin dentro le stanze della casa.
Il propprietario è riuscito proprio ieri mattina a far andare via dalla
città la sua famiglia, fino alla fattoria del fratello che si trova poco
fuori Baghdad. Egli è convinto che lì siano più al sicuro. Ma lui non
lascia la casa ed il suo magazzino nel quale faceva seccare e lavorava
l’uva per le pasticcerie mischiandola ad altra frutta secca. Preparava
macedonie in barattolo e, pur se formalmente proibito, distillava una
acquavite meritatamente rinomata.
Di bocca in bocca giungono le notizie della grande battaglia all’aeroporto
durata tutta la notte e niente affatto finita. Notizie a volte euforiche,
“l’abbiamo rimandati indietro, gli americani”, a volte, il più delle volte
“100 morti, anzi 300 per le bombe degli invasori”.
La battaglia dell’aeroporto si è sentita fin dentro la città. Si è sentita
e si è vista, con quelle esplosioni che non avvenivano più a terra, ma
dieci, quindi ci metri sopra i palazzi e le infrastrutture. Era come se le
bombe ed i missili esplodessero emettendo una fortissima luce giallo/verde
che illuminava per chilometri tutto quanto era intorno.
Con un rumore, un fragore, un boato esplosivo mai sentito prima da quanto
era enormemente forte.
Proprio per il suo lavoro con la frutta, il padrone di casa conservava in
dei grandi vasconi di ferro ed in altri di pietra tantissima acqua. Che è
servita fino a due giorni fa per cucinare, per bere dopo essere bollita, ed
anche per lavarsi. Stamane l’ha indicata ai reportes che sono con lui, gli
ha tirato un sapone e degli asciugamani profumati di bucato. Non se lo sono
fatti ripetere due volte e l’un con l’altro aiutandosi con un secchio si
sono fatti una doccia.
Baghdad appare cone “fortificata”: una trincea, un avamposto
dove trovano posto cinque milioni di cittadini spaventati. Non più
impegnati a spazzare dai detriti, dei danni provocati dalle bombe e dai
missili, i marciapiedi e gli ingressi delle abitazioni, ma a porre uno su
l’altro, uno accanto all’altro, sacchi di sabbia grandi e piccoli come
fragili ripari da prima linea contro l’arrivo della guerra fin dentro le
case, i vicoli e le grandi strade della capitale. Srotolare metri di nastro
adesivo da incrociare sui vetri dei negozi e delle case. I alcuni casi, mi
dicono, perfino murare, letterlamente, gli ingressi delle abitazioni dove
tantissime famiglie si sono rifugiate come prigioniere delle loro stesse
case, con le ultime scorte di cibo e acqua per aspettare questa notte che
deve arrivare. Una notte lunghissima.
La casa dove si trovano i reporters, è stata come “spostata”al suo interno,
più simile ad un luogo, il più sicuro possibile, di osservazione e di
attesa. I letti rovesciati con i materassi a terra incrociati con i cuscini
dei divani come a formare un grande letto, come quello che fanno bambini
quando giocano o hanno paura.
I tappeti di Fahez, così si chiama il padrone di casa, sovrapposti
anch’essi a terra nella stanza più grande, così da poter mangiare ed
ascoltare i notiziari della radio seduti o semisdraiati sul “morbido”.
Formaggio di capra, carne di agnello e di pollo cotta in padella, con
spezie piccanti e verdure. La dispensa di Fahez era piena, ma ora che la
famiglia è “al sicuro” vuol dividerla con quegli stranieri che considera un
po’ matti, che ancora sono lì a Baghdad per raccontare una guerra che ora è
davvero vicina. Come se non bastasse la guerra delle bombe e dei missili
che continuano a squarciare la città.
La guerra è ora proprio vicina. La guerra con il rumore dei cannoni, dei
fucili, dei cingoli dei carri armati, con il sangue lungo le strade.La
guerra della resistenza dei cittadini e della popolazione contro gli invasori.
Ma la guerra sarà già stanotte? Chiede con insistenza Fahez ai reporters,
mentre puliscono le verdure e non sanno davvero cosa rispondergli.
Stanotte? Si guardano tra loro e non riescono a trovare neppure le parole
per una risposta.
Che la notte sia leggera.
r.
[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su
http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php Queste corrispondenze
sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto dall'Italia , attraverso le
linee telefoniche internazionali, con varie persone che sono a Baghdad e
che fanno riferimento per i contatti ai telefoni di due alberghi della
capitale, dove è ospitata la stampa internazionale. Si tratta di operatori
dell'informazione indipendente, free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche
cittadino di Baghdad che lavora con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma
funziona come una sorta di "ponte" per far arrivare notizie ed informazioni
in tempo reale raccolte con grande onestà intellettuale e capacità
professionale nella attuale realtà (drammatica) della città.]