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La nonviolenza e' in cammino. 551



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 551 del 30 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Bozza di ordinanza urgente ad uso di sindaci nel territorio dei cui
Comuni si trovino basi militari di potenze straniere (o di alleanze
inclusive di potenze straniere) impegnate nella guerra illegale e criminale
in corso
2. May Mudhaffar Nasiri, Baghdad (1991)
3. Renato Solmi: inorridire, si', ma di che cosa? Una proposta a tutto il
movimento
4. Clara Gallini: shock & awe, potere e paura
5. Nelly Sachs, e' l'ora planetaria dei fuggiaschi
6. Benedetto Vecchi intervista Immanuel Wallerstein
7. Giovanni Mandorino, per lo sciopero generale contro la guerra
8. Il 2 aprile sciopero generale contro la guerra promosso dai sindacati di
base
9. Tavola spezzina per la pace e la globalizzazione dal basso: contro la
guerra digiuno a staffetta di riflessione sulla sobrieta' e pratica della
condivisione
10. Per la salvezza di Amina Lawal
11. Riviste: "A. Rivista anarchica" di marzo
12. Riviste: "Il foglio" di marzo
13. Riviste: I quaderni speciali di "Limes", La guerra promessa
14. Riviste: "Micromega" n. 2/2003, Giustizia e pace, guerra e regime
15. Riviste: "Nigrizia"  di marzo
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. BOZZA DI ORDINANZA URGENTE AD USO DI SINDACI NEL TERRITORIO
DEI CUI COMUNI SI TROVINO BASI MILITARI DI POTENZE STRANIERE (O DI ALLEANZE
INCLUSIVE DI POTENZE STRANIERE) IMPEGNATE NELLA GUERRA ILLEGALE E CRIMINALE
IN CORSO
[La seguente bozza di ordinanza urgente, e' stata diffusa oggi dal "Centro
di ricerca per la pace" di Viterbo, con proposta a tutti gli itnerlocutori
di esaminarla, discuterla ed inoltrarla - eventualmente modificata ed
integrata nelle parti ove vi sembrasse necessario - ai Sindaci dei Comuni
interessati affinche' intervengano con un atto concreto ed efficace in
difesa della legalita' costituzionale e del diritto a vivere di tutti gli
esseri umani, per fermare la guerra e le stragi]
Comune di ...

Il Sindaco

Premesso che
- nel territorio del Comune si trova una base militare di potenza straniera
attualmente impegnata nella guerra in corso in Iraq (o di alleanza inclusiva
di potenze straniere attualmente impegnate nella guerra in corso in Iraq);
- ai sensi della legislazione italiana e secondo il diritto internazionale
tale guerra e' illegale e criminale, e si configura come stragista e
terroristica, di invasione e coloniale;
- l'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana fa obbligo alle
istituzioni italiane e al popolo italiano di opporsi alla guerra sia come
"strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli", sia come "mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali";
- lo stesso Consiglio di Sicurezza dell'Onu, per una volta fedele ai
principi e al dettato della Carta istitutiva delle Nazioni Unite, non ha
dato ne' legittimazione ne' avallo alla guerra in corso, che si configura
pertanto inequivocabilmente sia come aggressione criminale e stragista, sia
come attentato alla sicurezza dei popoli del mondo, sia come proditorio
attacco alle istituzioni internazionali, al diritto internazionale, ad un
ordinamento pacifico e democratico del mondo;
- alla luce della Costituzione della Repubblica Italiana ed altresi' alla
luce della Carta delle Nazioni Unite e dei trattati internazionali
dall'Italia sottoscritti, il nostro paese non puo' in alcun modo ne'
avallare ne' sostenere ne' prender parte in alcun modo - anche indiretto - a
tale guerra illegale e criminale; non solo: il nostro paese e' vincolato sia
dalla sua legge fondamentale che dagli impegni assunti in sede
internazionale ad impegnarsi contro la guerra, e quindi hic et nunc per la
sua immediata cessazione, stante l'imperativo cogente alla base del nostro
ordinamento giuridico e democratico del ripudio della guerra;

Considerato che
- la presenza e l'attivita' della base militare de quo costituisce
pertanto - nelle circostanze presenti - una flagrante violazione della
legalita' costituzionale e del diritto internazionale, configurandosi - tale
presenza ed attivita' di base militare di potenza straniera impegnata in una
guerra illegale e criminale - come direttamente implicata e implicante nella
guerra illegale e criminale, della guerra partecipe in quanto effettuale
articolazione della macchina bellica impegnata nella guerra;
- sic stantibus rebus tale presenza e attivita' della base militare de quo
si configura altresi' come criminale e criminogena, confliggente con la
legge italiana e con il diritto internazionale in quanto effettualmente
intesa alla commissione ed al sostegno alla commissione di crimini di guerra
e di crimini contro l'umanita';
- ne discende conseguentemente che tale presenza e attivita' oltre ad essere
illegale e criminale de jure e de facto, costituisce evidente motivo di
pericolo per la pubblica incolumita', sia per il territorio che per la
cittadinanza del Comune, sia per i territori e le popolazioni che della
guerra sono oggi vittime dirette;
- tale pericolo per la pubblica incolumita' costituito dalla presenza e
dall'attivita' della citata base si estrinseca sia nel fatto che essa e'
parte della macchina bellica che materialmente sta commettendo stragi e sta
mettendo in pericolo l'umanita' intera con la guerra illegale e criminale in
corso; sia nel fatto che tale presenza ed attivita' espone il territorio
italiano e segnatamente il territorio di questo Comune a divenire teatro e
bersaglio di azioni di guerra e di terrorismo;

Considerato inoltre che
- la vigente legislazione fa obbligo a tutte le autorita' istituzionali che
hanno giurato fedelta' alla Costituzione della Repubblica Italiana nell'atto
di assumere il mandato pubblico ad esse conferito di adempiere a quanto
dalla Costituzione stabilito, e la Costituzione stabilisce il dovere di
legge di ripudiare la guerra, e quindi di impedire l'attivita' bellica
illegale e criminale;
- la vigente legislazione attribuisce specificamente al Sindaco il potere e
il dovere di assumere provvedimenti contingibili ed urgenti nei casi in cui
si presenti la necessita' e l'urgenza ad intervenire a difesa della pubblica
incolumita';
- nella presente circostanza ricorrono tutti i requisiti previsti dalla
legge perche' venga con adeguata motivazione e piena legittimita' emessa
un'ordinanza urgente; e particolarmente:
a) la presenza di un "pericolo grave" tale da costituire "minaccia alla
pubblica incolumita'" (e non vi e' dubbio che una guerra illegale e
criminale sia tale, e che la presenza sul territorio comunale di apparati
bellici di potenza straniera impegnati - direttamente o indirettamente -
nella guerra illecita, terroristica e stragista, costituisca anch'essa un
"pericolo grave" tale da costituire "minaccia alla pubblica incolumita'");
b) l'ordinanza si riferisca ad almeno una delle seguenti materie: sanita',
edilizia, polizia locale (e non vi e' dubbio che la peculiare attuale
situazione di "pericolo grave", situazione configurata dalla guerra e dalla
presenza ed attivita' della macchina bellica, rientri nell'ambito della
difesa del diritto alla salute, di cui il mantenimento della vita umana e'
il fondamento e la "conditio sine qua non", e specificatamente configuri una
"minaccia alla pubblica incolumita'" che e' considerato per unanime consenso
il caso canonico di motivazione di un'ordinanza in tale ambito; ne' vi e'
dubbio che la presenza di una base militare e delle relative infrastrutture
rientri altresi' nell'ambito edilizio e di gestione del territorio; ne' vi
e' dubbio che l'intervento necessario sia palesemente intervento di polizia
locale, trattandosi di impedire la commissione di omicidi, la violazione
della legalita' costituzionale, l'attivita' finalizzata a stragi);
c) l'ordinanza oltre ad avere i requisiti di urgenza ha anche quello della
contingibilita' poiche' e' evidente che - come confermano le reiterate
pronunce del Consiglio di Stato in materia - si tratta di fronteggiare
d'urgenza un pericolo subitaneamente manifestatosi (con l'inizio della
guerra), naturalmente in attesa di altri ulteriori adeguati interventi da
parte delle altre autorita' istituzionali ciascuna nell'ambito delle
competenze ad essa specificamente attribuite;
d) ricorre altresi' il requisito dell'urgenza, stante la pericolosita'
immediata (la guerra illegale e criminale e' in corso; quotidianamente
innumerevoli esseri umani vengono da essa uccisi; e se si volesse
argomentare ad abundantiam vi e' altresi' crescente pericolo dell'estensione
del conflitto a tutte quelle aree territoriali che nell'epoca delle
cosiddette "guerre asimmetriche" possono essere considerate nella guerra
implicate: ed il territorio che ospita una base militare di un esercito
impegnato nella guerra - e come aggressore, ed in una guerra illegale,
terroristica e stragista - e' evidentemente ad altissimo rischio di subire
azioni belliche e/o terroristiche);
e) ricorre inoltre il requisito dell'interesse pubblico: l'ordinanza e'
intesa infatti non a tutelare i diritti di un singolo, ma un interesse
generale e i diritti di intere popolazioni, sia le popolazioni vittime
dirette della guerra in corso, sia la popolazione locale che viene esposta
ad essere bersaglio di attacchi bellici e terroristici in quanto residente
in area contigua a base militare impegnata nella guerra terrorista e
stragista;
f) la legge prevede altresi' che vi sia proporzione tra l'ordine impartito
con l'ordinanza del Sindaco ed il pericolo cui far fronte: criterio inteso
ad evitare eccessi di potere repressivo da parte del Sindaco: ma in questo
caso vi e' piuttosto sproporzione nel senso opposto, poiche' l'intervento
del Sindaco e' ben piccola cosa rispetto all'orrore della guerra illegale e
criminale, e quindi non si configura in alcun modo un eccesso di potere da
parte dell'autorita' comunale, la cui ordinanza e' evidentemente soltanto un
atto dovuto inoppugnabilmente legittimo, necessario, urgente;

Ritenuto quindi che
a) ricorrano le condizioni previste per l'assunzione della presente
ordinanza;
b) sia obbligo di legge difendere la legalita' costituzionale e il diritto
alla vita delle persone minacciate dalla guerra illegale e criminale,
terroristica e stragista;
c) stante l'urgenza a provvedere per fronteggiare il pericolo grave che
minaccia la pubblica incolumita';

Visti
- la Costituzione della Repubblica Italiana;
- la legislazione relativa all'ordinamento degli enti locali e
specificamente relativa alle competenze e agli obblighi di legge del
Sindaco;
- il Codice Penale;
- lo Statuto Comunale;

ordina
1. l'immediata cessazione nel territorio comunale di ogni attivita'
finalizzata, anche indirettamente, alla guerra criminale e illegale in
corso;
2. il sequestro degli oggetti e degli immobili siti nel territorio comunale
che siano anche solo potenzialmente funzionali e/o finalizzati al sostegno,
anche indiretto, della guerra illegale e criminale in corso;
3. la denuncia all'autorita' giudiziaria di tutte le persone coinvolte
nell'attivita' della base militare de quo per complicita' nella guerra
illegale e criminale, terrorista e stragista, guerra che non solo
costituisce flagrante violazione della legalita' costituzionale e del
diritto internazionale, ma che altresi' consiste nella commissione di
crimini di guerra e crimini contro l'umanita' che costituiscono reati
previsti e puniti dall'ordinamento penale italiano.
L'ufficio di Polizia Municipale e' incaricato di dare esecuzione alla
presente ordinanza.
La Polizia Municipale e le forze dell'ordine sono incaricate di far
rispettare la presente ordinanza.

Dispone inoltre
I. l'invio all'autorita' giudiziaria territorialmente competente del
presente atto quale formale denuncia dell'attivita' criminale, terroristica
e stragista implicata e costituita dalla presenza e dall'attivita' nel
territorio italiano - e segnatamente di questo Comune - di base militare di
potenza straniera impegnata in una guerra illegale e criminale;
II. l'invio del presente atto al Questore ed al Prefetto territorialmente
competenti, ed al Presidente della Repubblica ed al Presidente del Consiglio
dei Ministri; oltre che al Presidente del Tribunale ed al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale giurisdizionalmente competenti; invio
effettuato ad ogni buon fine, per opportuna conoscenza ed ai fini
dell'adozione ope legis dei provvedimenti di specifica competenza;
III. l'affissione della presente ordinanza con manifesti murali nel
territorio comunale e la pubblicazione di essa sui principali organi
d'informazione locali e nazionali.

Luogo, data

Il Sindaco

2. POESIA E VERITA'. MAY MUDHAFFAR NASIRI: BAGHDAD (1991)
[Questa poesia di May Mudhaffar Nasiri e' apparsa nei "Quaderni" del Fondo
Alberto Moravia, n. 2 del 2002, p. 242 (per contatti: e-mail:
fondoalbertomoravia@tiscalinet.it, sito: www.fondoalbertomoravia.it). May
Mudhaffar Nasiri cosi' e' presentata dalla prestigiosa rivista: "poetessa e
saggista nata a Baghdad nel 1940, e' considerata una delle principali
autrici irakene. Laureatasi in arte e letteratura, ha conseguito il
dottorato al Royal College of Arts di Londra. Autrice, dal 1965, di numerose
raccolte di poesie, edite a Baghdad, Amman, Beirut e in traduzione inglese,
e' tra le principali autrici del mondo arabo in A century of feminist arab
writing (Londra, 1990). Perseguitata dal regime di Saddam Hussein, vive in
esilio in Giordania col marito pittore anche lui in dissenso col regime
irakeno. Collabora a numerose riviste del mondo arabo"]

La sera Baghdad e' un porto
da cui nessuna nave piu' salpa
la mano dell'inverno si allunga prepotente
strappa il calore dal cuore della citta'
mentre le case ferite risuonano di lamenti

Baghdad...

perla che giace sommersa:
c'e' forse un innamorato
c'e' forse un mago
che possa tuffarsi nelle ceneri
per riportarla
alla luce?

3. EDITORIALE. RENATO SOLMI: INORRIDIRE, SI', MA DI CHE COSA? UNA PROPOSTA A
TUTTO IL MOVIMENTO
[Ringraziamo di cuore Renato Solmi (per contatti: rsolmi@tin.it) per questo
nitido intervento. E se ci e' lecita minima una digressione, ai furbacchioni
di turno che vorranno sostenere che dichiarando il carattere illegale e
criminale della guerra di Bush saremmo "oggettivamente" (secondo il gergo
stalinista che il presidente statunitense ed i suoi araldi di ogni ordine e
grado hanno ereditato dal dittatore georgiano, come molte altre cose del
resto) complici del regime iracheno assassino, o degli assassini
fondamentalisti islamici a suo tempo finanziati ed armati dagli Usa, o di
altre eventuali e non meglio definite concrezioni e superfetazioni "del
Male" (secondo il linguaggio ad un tempo hollywoodiano e maccartista oggi
dominante nelle relazioni internazionali), vorremmo dare avviso fin d'ora
che noi, le persone amiche della nonviolenza che scriviamo queste righe e
mettiamo insieme questo notiziario, siamo di quelli che manifestavano contro
il regime dittatoriale iracheno gia' quando l'Italia lo riforniva di armi, e
i Tartuffe odierni tacevano: e forse meglio farebbero a tacere anche oggi,
giacche' dalle loro bocche ci pare escano parole maculate di sangue, del
sangue delle vittime delle stragi in corso oggi e di quelle di allora.
Renato Solmi e' uno dei massimi intellettuali italiani viventi, e' stato tra
i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere
fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico
contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di
persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i
suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria
strumentazione intellettuale, sovente senza ricordarlo neppure (ed e'
proprio dei maestri grandi questo aiutarti a costruire la tua autonomia,
anziche' soffocarla)]
A proposito della dichiarazione del segretario della Cgil, che avrebbe messo
sullo stesso piano Bush e Saddam, prendendo le distanze sia dall'uno che
dall'altro (ne' con Bush ne' con Saddam), e che ha suscitato le proteste del
Presidente della Camera dei Deputati, che si e' detto inorridito di
un'affermazione di questo genere, vorrei operare una distinzione che mi
sembra indispensabile a chiarire il complesso dei problemi che sono oggetto
di questa disputa.
Se e' vero che, dal punto di vista della struttura costituzionale interna,
gli Stati Uniti si trovano a un livello nettamente superiore, in fatto di
democraticita' e di trasparenza, di garanzia dei diritti fondamentali di
liberta' e di opinione, di selezione delle rappresentanze, e cosi' via
discorrendo, anche se negli ultimi tempi si sono manifestati, in diverse
occasioni, sintomi pericolosi di fatiscenza e di attrito nel funzionamento
delle istituzioni democratiche di quel grande paese, rispetto al regime
dittatoriale e monopartitico vigente in uno stato come l'Iraq (che non e'
pero' certamente il solo a trovarsi in queste condizioni fra i paesi
rappresentati nell'Organizzazione delle Nazioni Unite), bisogna tenere
presente, tuttavia, che il problema a cui ci troviamo di fronte, e sul
merito del quale dovremmo pronunciarci, non riguarda le strutture interne di
ogni singolo membro dell'Onu, ma piuttosto le relazioni che si stabiliscono
o che si dovrebbero stabilire fra di essi, e i limiti che ciascuno di essi
e' tenuto ad osservare nei confronti degli altri e della comunita'
internazionale nel suo complesso. Ci troviamo di fronte, cioe', a un
problema di democrazia internazionale, che rileva della competenza del
diritto internazionale e che dovrebbe essere affrontato e risolto, giudicato
e valutato secondo i principi stabiliti dalla Carta delle Nazioni Unite e le
procedure fissate da essa per la composizione dei contrasti che possono
sorgere fra nazioni diverse.
Quando si tratta di costituzione interna dei singoli stati, il problema o i
problemi che essa puo' porre dal punto di vista di un'analisi comparata dei
diversi sistemi e' (o sono) del tutto irrilevanti rispetto alla questione
della legittimita' di una guerra fra una nazione (o un gruppo di nazioni) e
le altre. Se cosi' non fosse, la pace non avrebbe potuto essere conservata,
fra le grandi potenze, in tutto il periodo della guerra fredda, quando i
regimi vigenti nell'Unione Sovietica e negli altri paesi che si dichiaravano
socialisti non erano certamente conformi agli standard di democrazia che
erano considerati come imperativi nei paesi liberali dell'Occidente; e,
d'altra parte, anche all'interno di quest'ultimo, le grandi potenze non
avrebbero potuto tollerare la presenza di stati a regime dittatoriale o
monopartitico, come la Spagna fino al 1975, il Portogallo fino al 1974, il
Cile dal 1973 al 1990, la Grecia dal 1967 al 1974, e innumerevoli altri
paesi, con cui le grandi potenze liberali, a cominciare dagli Stati Uniti,
hanno intrattenuto, com'e' ben noto, rapporti molto stretti di
collaborazione e financo di amicizia. Ne' si puo' dire che la situazione sia
cambiata fondamentalmente al giorno d'oggi.
*
Sfoglio il Dizionario Enciclopedico Treccani (non del tutto aggiornato, a
dire la verita') e leggo le seguenti definizioni degli stati facenti parte
della penisola arabica, che gli Stati Uniti considerano come i loro piu'
fedeli alleati e da cui prendono attualmente le mosse per la loro
aggressione allo stato iracheno. "L'Arabia Saudita e' una monarchia
assoluta... Non esiste una costituzione scritta; capo dello stato e
dell'esecutivo e' il re (cui spetta anche il potere legislativo) che nomina
e presiede il Consiglio dei ministri. Il re governa sulla base delle
prescrizioni della legge islamica (sharia). Dal dicembre 1993 il re e'
affiancato da un consiglio consultivo di 60 membri da lui nominati per
quattro anni. Non esistono partiti politici". "Il Bahrein e' una monarchia
assoluta... Capo dello Stato e dell'esecutivo e' l'emiro (cui spetta di
fatto anche il potere legislativo) che nomina e presiede il Consiglio dei
ministri. Nel 1973 il sovrano istitui' un'Assemblea nazionale, parzialmente
elettiva, che tuttavia fu sciolta alcuni anni dopo. Dal dicembre 1992
l'emiro e' affiancato da un Consiglio consultivo di 30 membri da lui
nominati per quattro anni. Non esistono partiti politici". "Gli Emirati
Arabi Uniti... sono una federazione di monarchie assolute... Organo
principale della federazione e' il Consiglio supremo dell'Unione, costituito
dai sette emiri, le cui decisioni richiedono una maggioranza di almeno
cinque membri (fra i quali Abu Dhabi e Dubai). Il Consiglio supremo elegge
fra i propri membri il presidente (capo dello Stato) e il vicepresidente
dell'Unione, che durano in carica cinque anni; il Consiglio dei ministri,
nominato dal presidente e presieduto da un primo ministro, e' responsabile
di fronte al Consiglio supremo. Il Consiglio federale nazionale, di 40
membri (nominati dagli emiri ogni due anni), ha funzioni meramente
consultive. Non esistono partiti politici". Pressoche' identiche le
definizioni dell'Oman e del Qatar, che risparmio quindi ai lettori. Fa
eccezione solo la Repubblica dello Yemen, che pero' e' sita da tutt'altra
parte della regione, e verso la quale il governo degli Stati Uniti nutre
sentimenti molto meno amichevoli. Il Kuwait, che, dal punto di vista
geografico, fa ancora parte della penisola arabica, e che costituisce, come
e' noto, la base principale dell'offensiva americana, anche se,
"formalmente, e' una monarchia costituzionale", e' "di fatto sottoposto al
potere assoluto dell'emiro. Secondo la costituzione  del 1962, piu' volte
sospesa dall'emiro, quest'ultimo e' capo dello Stato e dell'esecutivo;
l'emiro governa con l'ausilio di un Consiglio dei ministri (comprendente un
primo ministro), all'interno del quale i dicasteri principali sono
tradizionalmente attribuiti a membri della famiglia reale. Il potere
legislativo spetta formalmente a un'Assemblea nazionale di 50 membri, eletti
per quattro anni a suffragio maschile ristretto (circa il 6% della
popolazione), che e' stata pero' piu' volte sospesa dall'emiro. Non esistono
partiti politici". E crediamo che basti.
Andiamo: non mi si dira' che la situazione interna di questi stati presenti,
dal punto di vista dell'ortodossia costituzionale democratica, vantaggi
sostanziali rispetto a quella dell'Iraq, dove ha avuto luogo una rivoluzione
repubblicana, che e' poi degenerata in una dittatura nazionalistica. Fra
parentesi, il segretario alla Difesa americano Rumsfeld, che puo' essere
considerato, secondo autorevoli ricostruzioni giornalistiche, come
direttamente responsabile della strage di Mazar-e Sharif, da lui
raccomandata e approvata (1500 prigionieri facenti parte delle formazioni di
volontari dei paesi arabi in Afghanistan che sono stati trucidati senza
processo per evitare che fuggissero nell'autunno del 2001), ha avuto il
coraggio di vantarsi del fatto che tutti i paesi rivieraschi del Golfo
Persico, ad eccezione di uno (che supponiamo essere l'Iran), si  erano
schierati al fianco degli Stati Uniti nella guerra imminente. Abbiamo visto
di quali modelli di democrazia si tratti. Ma forse Rumsfeld, quando parla di
democrazia, intende riferirsi all'Impero americano nascente.
*
Veniamo, quindi, ai problemi della democrazia internazionale, che avevano
trovato, in questo dopoguerra, una sistemazione tutt'altro che improvvisata
nel quadro della Carta dell'Onu. E qui la domanda che dobbiamo porci e'
soltanto questa: se e' scoppiata una guerra, chi se ne deve considerare
responsabile? Qual e' lo stato, o quali sono gli stati, aggressori e chi e'
l'aggredito? L'intervento militare che ha avuto luogo (e che, nel caso in
cui avesse avuto luogo secondo tutte le forme previste dalla Carta, avrebbe
dovuto presentare un carattere completamente diverso) e' stato deliberato
dal Consiglio di Sicurezza? E se cosi' non e' stato, ma gli Stati Uniti,
insieme ad alcuni altri stati, vista l'impossibilita' di ottenere una
maggioranza nel Consiglio di Sicurezza, si sono elevati al di sopra di
quest'ultimo e della Carta dell'Onu, dando vita a un colpo di stato
internazionale che modificava radicalmente l'assetto istituzionale vigente
in questo ambito, o, per dir meglio, lo sconvolgeva del tutto, l'aggressione
da essi compiuta ai danni dell'Iraq, e che si potrebbe paragonare, con tutte
le avvertenze del caso, a quelle effettuate dall'Italia fascista e dalla
Germania hitleriana fra il 1935 e il 1939, e' o non e' un crimine di guerra?
E coloro che l'hanno compiuto devono o non devono essere deferiti al
tribunale penale internazionale di recente fondazione, che ne abbiano o non
ne abbiano riconosciuto l'autorita'?
E dal momento che a tutte queste domande non si puo' rispondere che in modo
affermativo, mi sembra che se ne debba concludere che il segretario della
Cgil si e' espresso, tutto sommato, in modo inadeguato, cercando di mediare
fra due diversi ordini di problemi, di cui uno, pero', non puo' essere
considerato rilevante a questo proposito, e che, pertanto, in questo caso,
il governo iracheno, comunque lo si possa giudicare per la sua costituzione
interna e per i suoi misfatti passati, non puo' essere dichiarato
responsabile di questa guerra, la cui responsabilita' ricade interamente sul
governo degli Stati Uniti e sui loro alleati diretti o indiretti (fra cui
possiamo e dobbiamo collocare anche il governo italiano, che ne ha approvato
a piu' riprese le iniziative e ne ha giustificato a posteriori gli atti),
che, quindi, non possono essere messi sullo stesso piano del governo
iracheno, che, in questa occasione, ha dato prova di una notevole
correttezza, ma, al contrario, debbono essere posti molto al di sotto di
esso, e che debbono essere colpiti dalle sanzioni previste per le violazioni
da loro compiute, e isolati, nel frattempo, dalla coscienza morale di tutta
l'umanita', che si e' gia' manifestata abbastanza chiaramente nelle
imponenti dimostrazioni di questi giorni. E il presidente della Camera,
invece di inorridire delle affermazioni di Epifani (che, come abbiamo gia'
visto, avrebbero potuto essere criticate, tutt'al piu', solo per un eccesso
di morbidezza nella denuncia e nella condanna degli aggressori), dovrebbe
cominciare a prendere espressamente, anche su questo punto, le distanze dal
governo e dalla sua maggioranza, come sembra, da qualche tempo, che abbia
intenzione di fare su altri (relativi al carattere fondamentalmente
illegittimo della posizione detenuta dal Presidente del Consiglio), se
corrisponde al vero cio' che leggo sulla "Stampa" di oggi (26 marzo) a
proposito del dibattito che ha avuto luogo a Roma sul libro pubblicato da
poco dal senatore Fisichella.
Mi ricollego, a questo proposito, a quanto e' stato scritto con molta
efficacia negli scorsi giorni sulle pagine di questo notiziario a proposito
della necessita' di far cadere quanto prima possibile questo governo e di
sostituirlo con un altro di unita' nazionale, o di emergenza patriottica, o
comunque lo si voglia chiamare, che sia deciso a far valere prima di ogni
altra cosa il rispetto della legalita' costituzionale, del diritto
internazionale e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Fare in modo che il nostro paese si unisca, senza riserve, al fronte
internazionale della pace, che deve porsi come obbiettivo l'arresto
immediato della guerra, la sua condanna da parte del Consiglio di Sicurezza,
la convocazione immediata dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e la
realizzazione di tutte le misure che potranno essere proposte o deliberate
da essa perche' sia posto termine all'aggressione in corso e siano
ristabilite le condizioni della pace: e' questo il compito che il movimento
per la pace che si e' sviluppato in Italia deve proporsi di assolvere; e, a
questo scopo, e cioe' a quello di organizzare e di predisporre tutte le
attivita' e le iniziative che possono risultare efficaci da questo punto di
vista, mi sembra di poter dire che dovrebbe avere luogo al piu' presto
un'assemblea generale di tutte le sue componenti, a cui dovrebbero essere
invitati a partecipare anche tutti i parlamentari e gli uomini politici
dell'opposizione che si sono pronunciati concordemente contro la guerra e
contro ogni forma di collaborazione e di collusione con essa (fra cui, in
primo luogo, la concessione dell'uso delle basi), e che dovrebbero essere
accolti, a mio avviso, come fratelli maggiori e collaboratori indispensabili
da tutti gli attivisti del movimento una volta che abbiano dimostrato, con
la loro disposizione a partecipare a queste assise da esso promosse, di
attribuire una priorita' assoluta al conseguimento di questo grande
obbiettivo comune, piuttosto che ad ogni altro interesse di carattere
egoistico e particolare, di natura personale, di partito o di gruppo.

4. RIFLESSIONE. CLARA GALLINI: SHOCK & AWE, POTERE E PAURA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003. Clara Gallini, come e'
noto, e' una delle piu' illustri antropologhe viventi]
In questa mia breve nota, vorrei ragionare solo di parole. Ma anche le
parole pesano, e contengono intenti che possono o non possono (come in
questo caso mi augurerei) avverarsi. Tutti sappiamo che il nome dato dal
Pentagono all'attuale guerra illecitamente intrapresa contro l'Iraq e'
"Shock and Awe", tradotto in italiano con un "Colpire e Terrorizzare", che
non restituisce appieno la sinistra complessita' della locuzione originaria,
in tutti i suoi nessi semantici che sembrano alludere a nuove modalita' di
concepire sia il dominio che gli strumenti da mettere in campo per il suo
raggiungimento.
"Shock and Awe" nasce come concetto strategico elaborato nel corso di
dibattiti e ricerche collettivamente condotte all'interno della Ndu, la
National Defense University, per poi trasformarsi in un libro pubblicato nel
dicembre 1996, pubblicizzato e raggiungibile su Internet in modi cosi'
semplici che perfino un'analfabeta come la sottoscritta riesce a metterci le
mani sopra. Curato da Harlan K. Ullman e James P. Wade con il contributo di
vari coautori, Shock & Awe porta il seguente sottotitolo: Achieving Rapid
Dominance, che tradurrei, senza alterarne il senso, come Metodo rapido per
conquistare il dominio.
Almeno quanto al sottotitolo, il testo sembra dunque condividere una certa
aria di famiglia con tutte quelle valanghe di manualetti che pretendono di
istruire il lettore sulle vie piu' semplici e brevi per eliminare balbuzie o
eiaculazioni precoci, diventare manager d'impresa, insomma: avere un
successo nella vita che sia immediato e senza costi. Contiguita', travasi
tra l'uno e l'altro genere sono comunque all'ordine del giorno,
articolandosi all'interno di un discorso che fa della guerra senza
spargimento di sangue il modello generale di riferimento. Ad esempio,
persino in Italia (lo so per notizia diretta) tra i giovani manager rampanti
ha furoreggiato e continua a furoreggiare il riferimento a un libretto,
diventato ormai cult in questi ambienti: quell'Arte della guerra di Sun Tzu,
che e' anche il pilastro su cui si sono costruite le retoriche di Shock &
Awe, con i relativi tentativi di traduzione pratica nella guerra attuale. Ma
quanto di "reale", e quanto di "irreale" (nel senso di ideologico) soggiace
in questo nuovo Tao, che da cammino lungo e pacifico verso il dominio
interiore promette di trasformarsi in cammino breve e violento verso ben
altri domini? L'interrogativo e' aperto. Il dramma sta sotto i nostri occhi.
Ma veniamo alle tecniche messe a punto e suggerite per la rapida e incruenta
(sic!) ottimizzazione dei risultati. Il concetto sta proprio nel titolo:
Shock & Awe, che e' molto restrittivo tradurre con un "colpisci e
terrorizza". Il piano di battaglia cosi' chiamato "punta sulla distruzione
psicologica della volonta' del nemico piuttosto che sulla distruzione fisica
delle forze militari".
Traduco sempre da Internet, Cbs News, del 27 gennaio scorso, che cosi'
continua: "'Vogliamo che la piantino. Vogliamo che non combattano', dice
Harlan Ullman, uno degli autori del concetto Shock & Awe che si basa
sull'uso di un gran numero di armi di precisione teleguidate. In questo modo
otterrete un effetto simultaneo, abbastanza simile a quello delle armi
nucleari utilizzate a Hiroshima, e senza impiegare giorni o settimane, ma in
pochi minuti".
Massiccio e simultaneo, l'attacco Shock si rappresenta come una forma di
esercizio bellico, apparentemente nuova e inedita. Ma il suo crudo
riferimento a Hiroshima ci indica anche continuita' di pratiche e di
discorsi persino in una strategia bellica, come la attuale, che a parole
nega la realta' degli effetti di morte per puntare invece sulle conseguenze
di annientamento psicologico del nemico.
Esibizione di forza allo stato puro, lo Shock implica dunque sia l'attacco
che le sue conseguenze. Terribile e sovrumano non puo' che produrre
sovrumani terrori. Awe significa appunto questo: non spavento, paura, timore
o terrore nelle rispettive designazioni psicologiche. Allude piuttosto ad
altri concetti, e piu' precisamente a quella categoria del "numinoso" su
cui, a suo tempo, Rudolph Otto scrisse pagine ormai classiche che analizzano
il carattere ancipite del sacro, nelle sue correlate dimensioni di fascinans
e di tremendum (R. Otto, Il sacro, Feltrinelli).
Vale la pena di riconsiderarle, per quanto attiene al nostro caso. E'
proprio da un esempio bellico tratto dall'Antico Testamento - "Io mandero'
davanti a te il mio terrore e mettero' in rotta ogni popolo presso il quale
arriverai" (Esodo, 23, 27) - che Otto ci illustra il significato della
locuzione: emat Jahveh, il "terrore di Dio".
"E' un terrore saturo di intimo raccapriccio, quale nessuna cosa creata, non
la piu' minacciosa, nemmeno la piu' potente, riesce ad istillare. V'e' in
esso qualcosa di spettrale". Di difficile traduzione, per restituire il
senso del termine "l'inglese ha awe, che nel suo significato piu' profondo e
tecnico si avvicina molto da presso al nostro significato".
Se questo e' il genere di "terrore sacro" che l'impresa Shock & Awe si
prefigge di provocare, sento a questo punto la necessita' di suggerire una
breve riflessione. Non mi sembra tanto stupefacente il fatto che il
linguaggio bellico possa ricorrere a commistioni con quello biblico - non
sarebbe certo il primo esempio nella cultura americana. Inquietante - molto
inquietante - e' piuttosto la concezione del potere che si dichiara
espressamente nel testo- base dell'attuale ideologia del Pentagono: una
Dominance che si pretende capace di trasformare la violenza in Sacro, capace
dunque di legittimarsi come Sacra Violenza che, attraverso la produzione
dell'Awe, arroga a se' il diritto di ogni decisione unilaterale in fatto di
guerra o di democrazia.

5. POESIA E VERITA'. NELLY SACHS: E' L'ORA PLANETARIA DEI FUGGIASCHI
[Da AA. VV., L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del '900, Mondadori,
Milano 1996, 1999, p. 159. Nelly Sachs (Berlino 1891 - Stoccolma 1970) e'
stata una delle piu' alte voci poetiche del Novecento, ricevette il premio
Nobel nel 1966]

E' l'ora planetaria dei fuggiaschi.
E' la fuga travolgente dei fuggiaschi
nella vertigine, la morte!

E' la caduta stellare dalla magica prigione
del focolare, del pane, della soglia.

E' il frutto nero della conoscenza,
angoscia! Spento sole d'amore
in fumo! E' il fiore della fretta
stillante sudore! Sono i cacciatori
fatti di nulla, solo di fuga.

Sono i cacciati, che portano nelle tombe
i loro mortali nascondigli.

E' la sabbia, atterrita,
con ghirlande di commiato.
E' la terra che s'affaccia all'aperto,
il suo respiro mozzato
nell'umilta' dell'aria.

6. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA IMMANUEL WALLERSTEIN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 marzo 2003. In una scheda annessa
all'intervista l'intervistatore cosi' presenta l'illustre storico
dell'economia: "Nato nel 1930, Immanuel Wallerstein e' considerato uno dei
maggiori storici dell'economia moderna. Formatosi negli Usa, e' stato da
subito attratto dagli studi degli studi dello storico francese Fernand
Braudel. Una delle sue opere piu' note e' senza dubbio la trilogia Il
sistema mondiale dell'economia moderna (Il Mulino), dove conia due
espressioni che accompagneranno tutta la sua produzione teorica:
sistema-mondo e economia-mondo, sottolineando cosi' la propensione del
capitalismo a colonizzare il mondo intero. Da allora la sua produzione
teorica si e' arricchita del saggio Il capitalismo storico, dove
Wallerstein, utilizzando lo schema della lunga durata, sostiene che di
"naturale" nel capitalismo c'e' ben poco e che come tutti i sistemi sociali
e' destinato ad essere sostituito da un altro modello di produzione della
ricchezza. Importante e' anche il saggio, scritto assieme a Giovanni Arrighi
e Terence Hopkins, sugli Antisystemic movement (Manifestolibri), un'analisi
del ruolo dei "movimenti antisistema" nello sviluppo dell'economia globale e
dove il Sessantotto viene paragonato a una "rivoluzione mondiale" al pari di
quella che investi' il mondo nel 1848, quando si formarono gran parte degli
stati nazionali moderni in Europa. E provocatorio e' anche quello scritto
dopo il crollo del socialismo reale Dopo il liberalismo (Jaca Book), in cui
sostiene che il socialismo reale era una variante del capitalismo. Da alcuni
anni, con assiduita', la casa editrice Asterios sta pubblicando gran parte
degli scritti di Wallerstein (L'era della transizione, Geopolitica e
geocultura, Capitalismo storico e civilta' capitalistica)"]
Il suo nome viene sempre in mente quando la storia conosce repentine e
brusche deviazioni da cio' che sembrava il suo "naturale" corso. Gia',
perche' Immanuel Wallerstein e' sempre attento alla lunga durata, e per
questo motivo non si fa quasi mai impressionare dagli elementi imprevisti
che il presente accumula di fronte ai nostri occhi, anche se hanno il volto
straziato di una donna o di un bambino di Baghdad o lo sguardo terrorizzato
di una nera mandata al fronte senza sapere bene perche'. In piu' di
un'occasione, in questi ultimi anni, le sue parole sono servite spesso a
mettere il presente nella giusta prospettiva, oscillando tra le sue antiche
radici e la forzatura di tendenze appena abbozzate. Ma la guerra contro
l'Iraq lo ha spiazzato. Misura le parole, e' asciutto nelle risposte, dando
per scontate molte cose per giungere al nocciolo del problema, rimando pero'
cauto nel fare previsioni.
"Nel prossimo futuro dominera' l'incertezza e il mondo del dopoguerra sara'
caotico", afferma. Ma c'e' un movimento globale contro la guerra, possibile
che non riuscira' a condizionare l'amministrazione statunitense? Nel
Sessantotto Wallerstein ha parlato di rivoluzione mondiale. Ora il "New York
Times" parla di "superpotenza mondiale": non e' quindi detto che la guerra
proseguira' nel suo orrore, indifferente ai milioni di uomini e donne che
l'avversano. Ma lo studioso dell'economia-mondo invita alla cautela anche in
questo caso: "Il Sessantotto e' stata si' una rivoluzione mondiale, ma ha
riguardato sostanzialmente il mondo della sinistra. Oggi, invece, mi sembra
che la vera novita' del movimento contro la guerra e' rappresentata dagli
uomini e donne che, per usare un'espressione tratta dal lessico politico,
sono centristi, cioe' dei moderati che non hanno finora mai manifestato o
protestato per qualcosa, ma che sono stanchi e infastiditi dalla retorica
dei falchi americani sulla unica superpotenza che puo' fare il bello e
cattivo tempo nel mondo. Come si evolvera' questo movimento nel prossimo
futuro e' difficile da prevedere, perche' dipende da come evolvera' la
guerra in Iraq".
L'intervista con Immanuel Wallerstein continua dunque sul binario tracciato
dall'incertezza, anche se dietro le sue frasi perentorie si intuisce invece
un desiderio di trovare le parole giuste per venire a capo di quel labirinto
inestricabile che sta diventando il "sistema-mondo".
*
- Benedetto Vecchi: Nei tuoi scritti, hai sempre sottolineato che l'ordine
mondiale uscito dalla dissoluzione del socialismo reale era instabile, ma in
qualche modo intelligibile. Poi c'e' stato l'11 settembre e la storia ha
accelerato il suo svolgimento. La guerra in Afghanistan prima, l'Iraq ora:
sembra che gli Usa vogliono rimettere ordine nel mondo con i
cacciabombardieri e i carri armati. Insomma, la guerra come strumento
politico privilegiato. Sei d'accordo con questa analisi?
- Immanuel Wallerstein: Gli Usa e l'Inghilterra stanno combattendo questa
guerra perche' avevano bisogno di una guerra per rimettere al loro posto
molti tasselli di un puzzle scompaginato. C'e' da dire che l'Iraq e' stato
scelto dagli strateghi militari del Pentagono perche' sembrava un obiettivo
facile; oltre a questo, il regime di Saddam Hussein non e' molto amato in qu
ella regione e suscita la critica dell'opinione pubblica mondiale perche' e'
antidemocratico e perche' e' sospettato di aver disatteso molte delle
risoluzioni dell'Onu in merito al sospetto che nel suo arsenale militare ci
fossero armi di distruzione di massa. Per l'amministrazione Bush c'e' anche
un altro fattore che ha influito nella scelta del paese da colpire: l'Iraq
non ha la bomba atomica e non e' neanche in grado di costruirla nel prossimo
futuro. Infine, per i "falchi" dell'attuale amministrazione il regime di
Baghdad ha umiliato gli Stati Uniti perche' la prima guerra del Golfo nel
'91 e' terminata non con una completa e indiscutibile vittoria statunitense,
ma con un pareggio. Ma al di la' dei motivi che ho citato, e che sono
comunque insufficienti per spiegare l'escalation militare, ce ne sono due
che meritano di essere nominati perche' sono i veri obiettivi della
strategia politica statunitense. Questa, e' stato affermato, e' una guerra
"preventiva", ma anche intimidatoria, specialmente per quei paesi che
coltivano il progetto di costruire armi nucleari. Secondo le teste d'uovo
dell'amministrazione statunitense, l'intervento nel Golfo e' da intendersi
come dissuasivo nei confronti dei propositi di riarmo nucleare coltivati da
questo o quel paese. L'altro obiettivo e' piu' ambizioso e riguarda l'Unione
europea. O meglio, la guerra serve a prevenire la costruzione di un altro
protagonista del sistema-mondo. Cio' che e' accaduto, e che sta accadendo
tuttora, mi portano pero' a dire che, se guardiamo nella prospettiva del
medio periodo, gli Stati Uniti rischiano forte di fallire entrambi gli
obiettivi.
*
- B. V.: In molti, pero', sostengono che il piu' importante motivo che e'
dietro alla guerra e' il petrolio. Non credi che anche questo elemento sia
necessario per comprendere il perche' della guerra?
- I. W.: Secondo me, il petrolio e' un obiettivo secondario. Ovviamente, ma
questo mi sembra scontato, la prospettiva di un controllo su gran parte
delle risorse petrolifere non puo' che piacere agli Stati Uniti. E tuttavia
sono convinto che mettere l'accento sulla volonta' statunitense di
controllare il "ciclo produttivo" dell'oro nero puo' provocare la
cancellazione dei veri motivi che hanno spinto l'amministrazione Bush a
muovere guerra all'Iraq. D'altronde gli Stati Uniti gia' adesso esercitano
un enorme controllo sia sulla produzione, la distribuzione, le oscillazioni
del prezzo e di conseguenza sui profitti che il petrolio genera. E questo
grazie al rapporto di subalternita' che hanno imposto all'Arabia Saudita. Ma
gli americani rischiano grosso in questa guerra. Il rischio maggiore e'
proprio di perdere il controllo sul petrolio. Un rischio dovuto al fatto che
la guerra puo' indebolire le relazioni che gli Stati Uniti hanno intessuto
con l'irreprensibile alleato saudita. Cosi', chi sostiene che tutto quel che
sta accadendo e' dovuto al petrolio incorre in un gigantesco abbaglio.
Ciononostante, una vittoria rapida e schiacciante allontanerebbe questa
prospettiva, ma non cancellerebbe il rischio di cui parlavo.
*
- B. V.: La guerra serve anche per uscire dalla recessione economica,
affermano alcuni studiosi, perche' l'amministrazione Bush con la guerra
favorisce il complesso militare-industriale e di conseguenza la ripresa
economica. Stiamo di fronte al dispiegarsi di un "keynesismo militare"?
- I. W.: Anche in questo caso mi sembra che questo ordine di problemi sia
secondario. Non dubito che ci siano delle persone - forse lo stesso Bush -
che pensano, o forse sperano, che la guerra possa mettere fine alle
difficolta' economiche degli Stati Uniti. Ma ritengo che si autoingannino.
La maggior parte degli analisti della situazione economica mondiale
sostengono infatti il contrario. Ovviamente ci saranno delle imprese che
saranno avvantaggiate dalla guerra - il complesso militare industriale - e
dal dopoguerra - le societa' che ricostruiranno l'Iraq. Ma in generale, il
carico fiscale che si abbattera' sui cittadini statunitensi sara' enorme,
cancellando cosi' qualsiasi beneficio degli investimenti statali a favore
del complesso militare-industriale o delle societa' coinvolte nella
ricostruzione dell'Iraq.
*
- B. V.: Una delle prime vittime "eccellenti" di questa guerra sembra essere
l'Onu, la seconda l'Unione europea. Il terzo, forse minore per importanza,
e' il "New labour" di Tony Blair, intendendo con questo la retorica sulla
"terza via" propugnata da Giddens. Quale puo' essere l'ordine mondiale che
esce dalla distruzione di Baghdad?
- I. W.: Non sono sicuro che l'Onu sia una vittima casuale. La maggior parte
dell'opinione pubblica ritiene che le Nazioni Unite siano state una
importante istituzione internazionale e auspicano che nel prossimo futuro
possano svolgere lo stesso importante ruolo di governo delle controversie
internazionali. Da parte mia, ritengo che l'Onu e' stata capace solo in
minima parte di sviluppare una politica che non coincidesse con gli
obiettivi statunitensi. Ma cosa e' accaduto negli ultimi mesi? Per la prima
volta gli Stati Uniti hanno corso il rischio di essere messi in minoranza al
palazzo di vetro. Cosi', e per la prima volta dalla sua costituzione, il
consiglio di sicurezza dell'Onu e' diventato il luogo dove si combatteva una
vera battaglia di potere. A questo punto all'interno dell'amministrazione
statunitense e' maturata la decisione di abbattere questo ostacolo che si
frapponeva al conseguimento dei suoi obiettivi. Per quanto riguarda l'Unione
europea, possiamo dire che questa situazione ha solo messo in evidenza cio'
che era accaduto politicamente: la divisione cioe' tra chi voleva che
l'Unione europea diventasse la seconda protagonista dell'arena mondiale e
chi invece riteneva che il vecchio continente dovesse rimanere "atlantico".
Va detto che il primo gruppo stava risultando vincente. Ma il prevalere
politico dei sostenitori di una Europa indipendente dagli Usa ha significato
anche l'inizio della crisi tra alcuni paesi dell'Unione europea e
l'amministrazione Bush. Infine, non ho mai creduto che la "terza via" fosse
una proposta credibile per risolvere i problemi del mondo. In primo luogo,
era legata troppo ad alcune personalita' politiche, le quali o non sono piu'
dei protagonisti o sono in difficolta'. Infatti, Clinton non e' piu' il
presidente degli Stati Uniti, cosi' come in Brasile non c'e' piu' Cardoso.
Schroeder mi sembra che abbia imboccato un altro sentiero distante dalla
"terza via". Per non parlare di Tony Blair, che e' in vera difficolta'. Ma
che tipo di mondo ci consegnera' il dopoguerra? Bella domanda, di quelle da
cento milioni di dollari. Nell'immediato futuro, il mondo sara' caotico.
Sara' l'incertezza a farla da padrone sia dal punto di vista politico ed
economico che ideologico, se assumiamo questo termine nel senso migliore che
ha avuto nella sua storia, cioe' una visione del mondo, dei valori e delle
finalita' condivise.
*
- B. V.: Finora, tutti gli economisti e gli opinion-maker hanno volto
l'attenzione ai rapporti tra Usa, Europa e mondo arabo. Poco si dice di quel
che accade in Asia. Le tigri asiatiche hanno le unghie spezzate e non
spaventano piu' nessuno, mentre la Cina si presenta sempre piu' come il
prossimo "avversario" degli Usa. Secondo te e' proprio cosi'?
- I. W.: Possiamo dire che in questo quadro di incertezza, la Cina e' il
paese che sta meglio di molti altri. Conosce una crescita economica che
stupisce tutti gli economisti, si sta rafforzando militarmente, aumenta la
sua influenza politica in Asia e al tempo stesso mantiene un basso profilo
per non provocare tensioni o punti di rottura con gli Usa. Ci dovremmo
interrogare su quanto durera' questa situazione tutto sommato "tranquilla".
Per prima cosa pero' penso che la Cina non puo' trovarsi in contrasto con i
suoi vicini. Per questo motivo, nel prossimo futuro sentiremo parlare di una
nuova entita' economica e politica, l'Asia orientale che comprendera' la
stessa Cina, la Corea riunificata e il Giappone. Parlare di questi tre paesi
come degli alleati che danno vita a una formazione politica e economica e'
un azzardo. Sono infatti piu' le diversita', gli interessi divergenti se non
conflittuali tra loro che non i punti di convergenza. E tuttavia sono tre
paesi che saranno costretti a mettere da parte le loro divergenze se
vorranno diventare dei paesi floridi. Per il momento, e' difficile
immaginare l'Asia orientale, ma chissa' se tra dieci anni non sara' una
delle novita' emerse proprio dal dopoguerra.

7. RIFLESSIONE. GIOVANNI MANDORINO: PER LO SCIOPERO GENERALE CONTRO LA
GUERRA
[Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: g.mandorino@tiscali.it) per
questo intervento. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive
persone impegnate per la nonviolenza]
Sono venuto a conoscenza che il sindacalismo di base (Cobas, Cub, Rdb,
Sincobas, Slaicobas e Usi) ha proclamato uno sciopero generale nazionale
contro la guerra di una giornata il 2 aprile 2003 con manifestazioni in
diverse citta` italiane (per maggiori informazioni: www.rdbcub.it).
Credo che tutti noi avremmo preferito che una decisione di questo genere
fosse stata presa dalle maggiori confederazioni sindacali nazionali e, da
quel che mi e` stato detto, questa era ed e` anche la speranza dei sindacati
che hanno proclamato l'astensione dal lavoro. Fino al punto di essersi detti
disponibili a rinviare lo sciopero stesso se dagli altri sindacati venisse
un segnale di attenzione per una iniziativa di questo genere.
Cosi` non e` stato fino ad ora e difficilmente lo sara` in futuro: quando si
tratta di passare dalle dichiarazioni ai fatti, troppo spesso le maggiori
organizzazioni sindacali si trovano a mediare tra le esigenze e gli
interessi dei loro rappresentati (ed e` un interesse concreto di tutti i
lavoratori quello che non ci siano guerre) ed altri interessi di natura
diversa (basti pensare al tasso di migrazione dai vertici sindacali di vario
livello ai vertici di questo o quel partito politico).
Penso che in questa situazione (in particolare dopo la proclamazione dello
stato di emergenza con riferimento alla situazione in Iraq da parte del
Consiglio dei Ministri del 28 marzo), tutti noi dobbiamo porci il problema
ed assumerci le nostre responsabilita`, misurando le nostre azioni con la
voce della nostra coscienza, con gli eventuali costi che potremmo dover
sopportare e la nostra capacita` di sopportarli in relazione alla situazione
personale di ciascuno. Dopo di che fare la scelta che ci sembra piu' giusta.

8. INIZIATIVE. IL 2 APRILE SCIOPERO GENERALE CONTRO LA GUERRA PROMOSSO DAI
SINDACATI DI BASE
[Da varie persone amiche della nonviolenza riceviamo e volentieri
diffondiamo il testo del telegramma inviato dai sindacati di base per
annunciare la giornata di sciopero generale contro la guerra che avra' luogo
il prossimo 2 aprile]
Telegramma N. 033/IA del 22 marzo 2003
Al presidente del Consiglio dei Ministri
al presidente della Commissione di garanzia ex legge 146/90
al Ministero della funzione pubblica
al Ministero del welfare
Facendo riferimento alla procedura di conciliazione avvenuta in data
10/02/2003 e al telegramma n. 125/EH dell'11/3/03 le sottoscritte
Confederazioni e organizzazioni sindacali proclamano lo sciopero generale di
tutte le categorie pubbliche e private per l'intera giornata del 2 aprile
2003.
Lo sciopero generale viene proclamato per protestare contro la guerra in
Iraq, e contro il coinvolgimento dell'Italia attraverso la concessione
dell'uso delle basi militari e del diritto di sorvolo del nostro territorio.
Nel corso dello sciopero saranno rispettate le fasce orarie e la
salvaguardia dei servizi minimi essenziali. Eventuali articolazioni di
categoria e/o aziendali saranno comunicate dagli interessati.
Confederazione Cobas, Confederazione unitaria di base, Sincobas, Slaicobas,
Usi

9. INIZIATIVE. TAVOLA SPEZZINA PER LA PACE E LA GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO:
CONTRO LA GUERRA DIGIUNO A STAFFETTA DI RIFLESSIONE SULLA SOBRIETA' E
PRATICA DELLA CONDIVISIONE
[Riceviamo e diffondiamo stralci di questo appello della Tavola spezzina per
la pace e la globalizzazione dal basso (per contatti: saccanig@libero.it)]
Non basta dire no alla guerra...
Alla consapevolezza dei motivi profondi della guerra, deve seguire una
necessaria autocritica sul nostro modello di consumo, se vogliamo la pace
dobbiamo costruire la pace, piu' del semplice e forse ipocrita no alla
guerra e' necessario cercare di reciderne una delle radici piu' importanti.
Proponiamo un digiuno a staffetta, con l'obiettivo di stimolare la
riflessione di tutti e ciascuno sulla sobrieta' come scelta di vita
alternativa al modello consumistico e come scelta di noncollaborazione e
ritiro del consenso al sistema economico "occidentale" produttore
instancabile di guerre e ingiustizie.
Come gesto di concreta condivisione, invitiamo i digiunatori a devolvere il
corrispettivo dei pasti non consumati, in favore delle vittime dei
bombardamenti, all'associazione umanitaria "Un ponte per...", con causale:
Un ponte per Baghdad.

10. APPELLI. PER LA SALVEZZA DI AMINA LAWAL
[Da molte persone amiche abbiamo ricevuto il seguente appello a sostegno
dell'iniziativa di Amnesty International per salvare la vita di Amina Lawal]
E' stata confermata dalla corte suprema nigeriana la condanna a morte
tramite lapidazione di Amina Lawal.
La condanna e' stata rinviata di un mese per l'allattamento del figlio.
Entro un mese, Amina Lawal verra' sepolta fino al collo e lapidata, a meno
che  una marea di firme non riesca a persuadere le autorita' nigeriane a
revocare la  condanna, come nel caso di Safiya.
Per Amina sono state raccolte poche firme; per favore entrate nel sito
spagnolo www.amnistiaporsafiya.org e firmate l'appello di Amnesty
International per la revoca della  condanna a morte di Amina.

11. RIVISTE. "A. RIVISTA ANARCHICA" DI MARZO
"A. Rivista anarchica", i nostri lettori lo sanno, e' una delle migliori
riviste di politica e cultura esistenti in Italia. Nel numero di marzo 2003
si faticherebbe a scegliere cosa segnalare particolarmente, praticamente
tutto e' interessante ed appassionante, dall'intervista a un poeta Lakota a
un diario dal Chiapas, ai contributi su Gaber, a molto altro. E' in edicola
a 3 euro. Per contatti con la redazione e per leggere on-line anche molti
numeri precedenti di questa storica e prestigiosa rivista giunta al
trentatreeesimo anno di pubblicazioni: e-mail: arivista@tin.it, sito:
www.anarca-bolo.ch/a-rivista

12. RIVISTE. "IL FOGLIO" DI MARZO
"Il foglio" e' la bella rivista mensile promossa da "alcuni cristiani
torinesi", giunta al trentatreesimo anno di esistenza ed al numero 300 con
questo fascicolo di marzo 2003. Sono solo 8 pagine, di grigia carta
riciclata, fitte di scrittura e senza immagini, ma da leggere e meditare
dalla prima all'ultima riga. Per richieste e per contatti: e-mail:
antonello.ronca@libero.it, sito: www.ilfoglio.org

13. RIVISTE. I QUADERNI SPECIALI DI "LIMES": LA GUERRA PROMESSA
Nei quaderni speciali di "Limes", la sempre interessante rivista italiana di
geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, e' stato pubblicato un volume
monografico su La guerra promessa (pp. 160, euro 8). Come di consueto
vengono ospitate posizioni diverse e presentati approcci sovente non banali
(dispiace che il punto di vista degli amici della nonviolenza non vi appaia
pressoche' mai); anche se di taglio prevalentemente pubblicistico e
giornalistico alcuni contributi alla conoscenza e alla discussione sono
particolarmente apprezzabili.

14. RIVISTE. "MICROMEGA" N. 2/2003: GIUSTIZIA E PACE, GUERRA E REGIME
Il volume di "Micromega" n. 2/2003, monografico su Giustizia e pace, guerra
e regime, reca su tutta la prima e la quarta di copertina la bandiera
arcobaleno, ed ospita come sempre numerosi utili contributi di riflessione e
di documentazione (tra tanti meriti, dispiace la scarsissima attenzione al
pensiero delle donne ed alla nonviolenza). Da non perdere, e' in edicola al
costo di 12 euro per 256 pagine.

15. RIVISTE. "NIGRIZIA" DI MARZO
"Nigrizia" e' la bella rivista mensile "dell'Africa e del mondo nero"
promossa dai padri comboniani. Il numero di marzo reca in copertina la
bandiera arcobaleno con il titolo complessivo: Pace senza se e senza ma.
"Nigrizia" e' una lettura semplicemente indispensabile. Per richieste e
contatti: tel. 045596238, e-mail: redazione@nigrizia.it, sito:
www.nigrizia.it

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 551 del 30 marzo 2003