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"E che mi chiamo Pasquale?" [Dies iraq. Tre]
"E che mi chiamo Pasquale?" [Dies iraq. Tre]
lanfranco caminiti [www.lanfranco.org]
C'è una "nuova moltitudine" dunque che si affaccia sulla scena mondiale:
le masse arabe e islamiche che la rabbia e il dolore contro la guerra di
Bush hanno proiettate nelle piazze di diversi paesi, paesi spesso ostili
fra loro e con governi nemici l'un l'altro. Quello che non è riuscito in
decine d'anni a fare la Lega araba, c'è riuscito in pochi giorni
l'intervento americano in Iraq: dare brandelli di identità e coagulare
forme di soggettività politica per masse "senza nome e senza volto".
Dalla Siria all'Iran dalla Giordania al Pakistan: basta solo elencare
queste nazioni per rendersi conto di quanto diverse fossero e siano le
situazioni di regime e di vita e le contraddizioni interne attraversate
da questa "nuova moltitudine". Eppure. E siamo - non è gran profezia
prevederlo - solo all'inizio. La pressione contro o verso i propri
governi è fortissima: la fragile intelaiatura dei regimi e delle
dinastie che "tengono" il Medio Oriente è sottoposta a una doppia
trazione: da un lato, l'esigenza di schieramento determinata dall'impero
americano e dalla sua volontà di riordinare quell'area del mondo,
dall'altro - opposta - quella che "sale" da questa opinione di piazza.
L'irruzione di questa nuova moltitudine cambia - e non poco - lo
scenario dell'opinione pubblica che finora si è battuta contro la
guerra: la determinazione e la chiarezza con cui le masse arabe scendono
in piazza portano un peso specifico.
Quello che è sempre stato "implicito" nell'opinione pubblica mondiale
dei movimenti, ovvero l'opposizione alla guerra di Bush tanto quanto
l'opposizione al fondamentalismo terrorista [o alle varie dittature
arabe], qui non viene neppure preso in considerazione: l'opposizione è
univoca: gli Stati uniti sono il Satana. Questo è il peso specifico. Il
fondamentalismo terrorista e le varie dittature sono diventati o eroici
simboli di riferimento o "capitani coraggiosi".
Guardare questa marea montante con occhio compiaciuto è grottesco e
folle, come il Totò che se la rideva preso a schiaffi da uno sconosciuto
che continuava a dargli del "Pasquale" tra una manrovescio e l'altro:
lui, tanto, non era "Pasquale". Pasquale, il Satana è il mondo
occidentale. Anche noi. Il n'y a pas des innocents. Non ci sono
innocenti.
Guardare con occhio preoccupato, come è per chi si era opposto alla
guerra proprio temendo l'evolversi in questo senso delle contraddizioni
- a esempio la chiesa ma anche buona parte del pensiero e della politica
dei "conservatori" americani, gente come Brzezinski, per dire, e
europei, gente come Chirac, per dire - è utile, ma francamente non so
più quanto possa tradursi in cose e quali spazi di manovra siano
rimasti. Di certo, non nell'immediato.
Chi, in questo momento, è maggiormente in difficoltà è l'opposizione
laica, civile, libertaria, repubblicana del mondo arabo, il pensiero
"mediano" che si è battuto e si batte - e spesso è in galera -
apertamente contro i regimi dispotici così come contro il colonialismo e
il dominio occidentali. Per questa opposizione il nemico politico
principale è il fondamentalismo terrorista: chi non sa o non capisce
questo parla proprio a vanvera: perché il fondamentalismo terrorista è
quanto più lontano da sé ma è anche quanto più "contiguo".
Come quell'opposizione, anzi più di quella, noi qui siamo politicamente
disarmati contro il fondamentalismo terrorista. Non come "pensiero", ci
mancherebbe, o come percezione delle cose, come conoscenza e
comprensione delle stesse. O anche come esplicitazione. Ci mancherebbe.
E' assolutamente connaturato al movimento "occidentale" il ripudio del
fondamentalismo terrorista. E' solo un provocatore e un untorello chi
chiede al movimento di dire con più forza che si è contro il terrorismo
- come se invece ne fosse complice -, di portare gli striscioni contro
Saddam o contro bin Laden accanto a quelli contro Bush. Certo, si può,
anzi si deve fare. Evita, magari, di lasciare sottintesi. Anche io mi
sentirei più sollevato. Ma non è questo il punto.
Il punto è che il movimento, la disobbedienza, la nonviolenza sono lotte
dentro lo "spazio pubblico": costruire un'opinione pubblica, promuovere
iniziative, esporre ai balconi uno straccio bianco o una bandiera,
indire manifestazioni, sviluppare azioni minute, tutto questo appartiene
e sviluppa "cosa pubblica": non sto facendo il panegirico della
democrazia, al contrario sto facendo il panegirico delle lotte: la
democrazia non è mai octroyée, concessa, è una conquista, continua.
Senza le lotte, senza i "diritti" delle lotte, la democrazia diventa
amministrazione, autoritarismo, totalitarismo persino.
Contro la politica dell'amministrazione Bush, i movimenti occidentali
hanno costruito un'opinione forte: il consenso attorno le decisioni dei
governi belligeranti non è massiccio e in ogni caso questi governi
devono dare conto continuamente delle loro scelte. Non si è fermata la
guerra, è vero. Ma questo non ha generato frustrazione, riflusso: si
continua a lottare, a opporsi, a sperare. A fare.
Ma quali sono le battaglie politiche dei movimenti contro il terrorismo
fondamentalista?
E' questo il punto. Come combatto politicamente contro bin Laden? Per
quale curioso "effetto domino" [per parafrasare gli strateghi militari
americani] l'opposizione contro Bush in nome della pace, il disarmo di
Bush dovrebbe disarmare bin Laden?
Si scende in piazza contro Bush. E' giusto, è sacrosanto. I ragazzi
fanno "azioni creative", le mamme e le scolaresche espongono bandiere ai
balconi o portano spillette. E' giusto, è sacrosanto. Tutto questo è
contro la guerra. Si curano i feriti e si distribuiscono cibo, medicine
e vestiti. E' giusto e sacrosanto.
E contro il fondamentalismo terrorista, contro le dittature arabe,
contro le teocrazie? Quelle "azioni creative", quelle bandiere e quelle
spillette, quelle manifestazioni, quelle medicine possono anche contro
questo lato della spirale orribile guerra-terrorismo? No, lo sa
chiunque.
Perché noi possiamo fare pressione sull'Onu o su Bush, su Berlusconi o
su Blair, possiamo, ci riusciamo, modificare il corso delle cose. Ma
nulla può contro il terrorismo la nostra azione politica. E' questo il
punto.
Tra il fondamentalismo islamico e noi non c'è "spazio comune", la guerra
di bin Laden non "parla" a noi, a noi come opinione, a noi come
movimento, a noi come opposizione. Il terrorismo di bin Laden, il
fondamentalismo parla a "loro", a quelle masse arabe addolorate e
rabbiose.
E ugualmente, la nostra azione non "parla" a bin Laden, non può
parlargli. Quand'anche milioni di persone scendessero in piazza contro
bin Laden questo non smonterebbe la sua "causa": la rallenterebbe, come
è accaduto in Spagna dopo l'assassinio del giovane Blanco del Partido
popular a opera dell'Eta, o come accadde in Italia dopo l'omicidio di
Guido Rossa [e già qui parliamo di masse "interne", figurarsi delle
mobilitazioni "occidentali" quanto se ne impipa bin Laden o chi per
lui]. Ma il fondamentalismo trova solo in sé le ragioni della sua
azione: il resto del mondo è "manipolato". E questa considerazione,
della "manipolazione" delle opinioni, la si riscontra anche nel campo
avverso: se gli iraqeni non applaudono gli americani è perché sono
manipolati. E' vero peraltro che le opinioni di chiunque sono
manipolate, ma anche non significa nulla. Da qui non si va da nessuna
parte.
L'autoritarismo americano [e non solo] e il terrorismo islamico lavorano
"insieme" a svuotare ogni spazio intermedio: ognuno giustifica
nell'altro il proprio agire. Noi possiamo batterci però solo contro un
aspetto dell'uovo del serpente. La guerra, di per suo, diventa il punto
focale d'un paese: tutto, dalle dinamiche salariali all'implementazione
dei diritti, viene visto attraverso la lente focale della guerra. E
parlo anche di cose "minute", i nostri spostamenti quotidiani, le nostre
conversazioni telefoniche, il nostro navigare in internet, i prezzi dei
nostri generi alimentari, quello che leggiamo sui giornali o guardiamo
alla tivvù, quello che diciamo e facciamo al lavoro, insomma la nostra
vita.
L'opposizione alla guerra e all'amministrazione Bush sembra il punto di
attrazione tra i movimenti occidentali e la nuova moltitudine araba:
sembra, ma non è così. Mentre invece l'opposizione al fondamentalismo
terrorista è il punto di maggiore divergenza tra i movimenti occidentali
e la nuova moltitudine araba: e questo è proprio così, ma non sembra.
Ma anche: l'opposizione al fondamentalismo terrorista è il punto di
maggiore convergenza tra i movimenti occidentali e l'opposizione civile
araba.
E ancora: l'opposizione al fondamentalismo terrorista è un punto di
divergenza con la sinistra riformista e democratica europea che, a volte
con fastidioso opportunismo ipocrita [oltre il limite della decenza,
direbbe D'Alema], abbraccia la "pace" ma che affida sostanzialmente al
militarismo la soluzione del terrorismo.
Il movimento invece dovrebbe avere una "soluzione politica" per battere
il fondamentalismo, facendo leva su quanto già esiste nei paesi arabi e
islamici. E' possibile battere il terrorismo fondamentalista
politicamente? E' questo il punto. Principale.
Ora, proprio senza ipocrisie, non è che uno per principio è contro la
"forza" della democrazia: penso che Martin Luther King e tutto il
movimento dei diritti civili fosse contento quando la Guardia nazionale
permetteva ai primi studenti negri l'accesso alle università in Alabama.
Penso che anche tutto il movimento democratico dei "Kennedy's boys"
fosse convinto quando scendeva negli stati del Sud per battersi contro
il Ku Klux Klan e il razzismo scoperto. Lo facevano proprio come si vede
in "Mississipi Burning": e a volte erano fighetti, buoni figlioli, con
un cuore grande così, prendevano legnate e subivano attentati, qualcuno
c'è pure morto [la tradizione del volontariato americano umanitario, di
carità, è lunga, e arriva sino a Rachel Corrie]: e se non si fosse mossa
la Guardia nazionale, l'amministrazione e gli agenti dell'Fbi, quelli
che magari intanto li schedavano come pericolosi "comunisti", non ce
l'avrebbero fatta. La democrazia si può "esportare" dunque, certo, può
essere "enforced".
Ma può essere "costituita" dove esiste già un movimento, un'opposizione,
un'opinione.
E adesso l'intervento americano ha semmai spostato ancora di più questa
opinione di massa araba contro ogni "posizione mediana", contro ogni
"interposizione".
Si finisce sotto le macerie.
Roma, 29 marzo 2003