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Il diritto alla resistenza



[Per gentile concessione di Giorgio Giannini, del Centro Studi Difesa 
Civile, pubblichiamo questo lavoro preliminare per uno studio approfondito 
sul diritto di Resistenza]

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IL DIRITTO DI RESISTENZA
NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di Giorgio Giannini [1]

IL DIRITTO DI RESISTENZA NELLA STORIA

Nell'era moderna, il problema dell'obbedienza o meno all'Autorita' ed al 
potere costituito si pone con il Cristianesimo, per il quale l'obbedienza a 
Dio viene prima di quella alle leggi dello Stato (Obedire oportet Deo, 
magis quam hominibus- Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini- Atti 
5,9-). In base a questo principio, i cristiani dei primi due secoli 
disobbediscono alle leggi romane che essi considerano contrarie ai 
comandamenti divini, in primo luogo la legge che impone di prestare il 
servizio militare, perche' e' contrario al comandamento di "non uccidere", 
ed affrontano serenamente le pene, compreso il martirio, per rimanere 
fedeli alla propria religione ed alla propria coscienza (i cristiani sono 
infatti i primi obiettori di coscienza al servizio militare).
Tutto cambia nel 313, quando l'imperatore Costantino riconosce come 
Religione il Cristianesimo, che successivamente diventera' addirittura 
l'unica e vera Religione dello Stato romano. Nel 380, con un provvedimento 
dell'imperatore Teodosio, solo i cristiani saranno considerati meritevoli 
di prestare il servizio militare nelle truppe imperiali.
Dal Medio Evo, vari filosofi e teologi elaborano dottrine sul diritto di 
resistenza; ricordiamo S. Tommaso d'Aquino che afferma: "Chi uccide il 
tiranno e' lodato e merita un premio".
Secondo autorevoli costituzionalisti, il riconoscimento giuridico del 
diritto di resistenza risale alla Bolla d'oro di Andre' II del 1222 ed al 
Capitolo 61 della Magna Charta inglese del 1225.
Il diritto -dovere di resistenza e' riconosciuto espressamente nella 
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America del 5 luglio 
1776: "Noi riteniamo che ...tutti gli uomini sono stati creati uguali, che 
il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti....che 
ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, 
sia diritto del popolo il modificarla o l'abolirla, istituendo un nuovo 
governo che ponga le basi su questi principi...Allorche' una lunga serie di 
abusi e di torti...tradisce il disegno di ridurre l'umanita' ad uno stato 
di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo 
diritto, rovesciare un tale governo...".
Il diritto -dovere di resistenza all'oppressione riceve la legittimazione 
giuridica anche nella Rivoluzione Francese. Infatti la Dichiarazione dei 
Diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 afferma all'art.2:"Lo scopo di 
ogni societa' e' la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili 
dell'uomo. Questi diritti sono la liberta' e la proprieta', la sicurezza e 
la resistenza all'oppressione".
In modo piu' esplicito, la Costituzione francese del 1793 ( che pero' non 
e' mai entrata in vigore) afferma all'art.33 : "La resistenza 
all'oppressione e' la conseguenza degli altri diritti dell'uomo" ed 
all'art.35 :" Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione 
e' per il popolo il piu' sacro dei diritti ed il piu' indispensabile dei 
doveri".
Negli anni seguenti, con l'affermarsi degli Ordinamenti 
democratico-liberali, si affievolisce l'interesse per il diritto-dovere di 
resistenza all'oppressione, che diventa l'extrema ratio per la difesa 
dell'Ordinamento democratico dello Stato [2]. Cosi', anche in Italia, dopo 
l'emanazione dello Statuto Albertino del 1848, la resistenza, soprattutto 
quella collettiva, finisce con l'essere legittimata solo entro i limiti del 
rispetto della Costituzione vigente.
Il problema del riconoscimento giuridico del diritto-dovere di Resistenza 
si ripropone alla fine della Seconda Guerra mondiale, dopo le tragiche 
vicende dello sterminio di milioni di esseri umani, soprattutto ebrei, nei 
Lager nazisti. Cosi', nello Statuto del Tribunale di Norimberga, definito 
nell'accordo di Londra dell'8.8.1945 da parte delle potenze alleate, viene 
stabilito il principio della responsabilita' penale personale di coloro che 
hanno commesso "crimini di guerra" o "crimini contro l'umanita'", anche se 
in esecuzione di ordini emanati da un'autorita' superiore.
Questo principio e' stato riconosciuto dall'Ordinamento Internazionale ed 
il diritto di resistenza e' stato inserito in numerose Costituzioni del 
secondo dopoguerra, soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca, che 
aveva dato origine all'orrore nazista. Cosi', la Costituzione del Lander 
dell'Assia del 1.12.1946, all'art.147 afferma: "La resistenza contro 
l'esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito e' diritto e 
dovere di ciascuno". La Costituzione del Lander di Brema del 21.10.1947 
,all'art. 19 afferma:" Se i diritti dell'uomo stabiliti dalla Costituzione 
sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la 
resistenza di ciascuno e' diritto e dovere". La Costituzione del Lander di 
Brandeburgo del 31.1.1947, all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in 
contrasto con la morale e l'umanita' sussiste un diritto di resistenza". 
Anche la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ,all'art.20, 4° 
comma, afferma:" Tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro 
chiunque intraprenda a rimuovere l'ordinamento vigente, se non sia 
possibile alcun altro rimedio".
Recentemente, una importante sentenza del Conseil Constitutionnel francese 
(equivalente alla nostra Corte Costituzionale) ha riaffermato la resistenza 
"come diritto positivo di valore costituzionale" che "potra' servire da 
parametro di costituzionalita' per la valutazione di leggi repressive che 
tendano ad impedire al popolo sovrano alcune forme di esercizio".

Il DIRITTO DI RESISTENZA NEL DIBATTITO PER L'APPROVAZIONE DELLA 
COSTITUZIONE ITALIANA

Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all'interno della Commissione 
dei 75 ( cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare la prima parte 
della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione, al 2° comma 
dell'art.50, la seguente disposizione, "Quando i pubblici poteri violino le 
liberta' fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la 
resistenza all'oppressione e' diritto e dovere del cittadino".
La norma e' proposta dall'On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall'On. 
demolaburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre Carte 
Costituzionali, in particolare all'art.21 della Costituzione francese del 
1946, che stabilisce: "Qualora il governo violi la liberta' ed i diritti 
garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, e' il piu' 
sacro dei diritti ed il piu' imperioso dei doveri".
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione e' discusso nel plenum 
dell'Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al 
Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea 
di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di 
resistenza, sollevano dei dubbi sull'opportunita' del suo inserimento nella 
Costituzione. [3]
Nel dicembre 1947, quando si esamina l'art.50 del Progetto di Costituzione, 
anche i democristiani si oppongono all'inserimento del diritto di 
resistenza nel testo definitivo della Costituzione. [4] Cosi', quando si 
vota il testo dell'art.54, che ha sostituito l'art.50 del Progetto, il 
diritto di resistenza e' soppresso, nonostante il voto favorevole dei 
comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente 
sull'esito del voto influirono motivazioni di opportunita' politica ed 
anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di resistenza 
e quello di rivoluzione. Invece tra i due termini c'e' una profonda 
differenza : la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico; 
invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico (purche' 
sia, naturalmente, democratico) e quindi e' uno strumento di garanzia per 
la sua esistenza.

LA SOVRANITA' POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA

Secondo autorevoli costituzionalisti, anche se non e' espressamente 
stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il "diritto di resistenza 
all'oppressione" e' implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie 
di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi 
fondamentali in essa stabiliti. [5] Infatti, il diritto di resistenza trova 
la sua legittimazione nel principio della "sovranita' popolare" , sancito 
nell'art. 1 della nostra Costituzione [6] , che quindi rappresenta la 
legittimazione all'intero Ordinamento giuridico.
La "sovranita'", peraltro, e' attribuita ad ogni singolo cittadino, come 
membro del popolo, e non solo al popolo nel suo insieme.
Nel nostro Ordinamento giuridico, comunque, ci sono varie norme che 
stabiliscono la legittimita' della resistenza individuale ( cioe' del 
singolo individuo) di fronte al provvedimento illegittimo (anche se 
apparentemente legittimo) dell'Autorita' e/ o al comportamento arbitrario 
di un pubblico funzionario. Ricordiamo, l'art. 4 del DLL n. 288 del 1944 , 
che legittima la resistenza attiva (non solo passiva) ad un pubblico 
ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora 
queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. Ricordiamo 
anche l'art.51 del Codice penale che esclude la punibilita' dei fatti 
compiuti nello "esercizio di un dovere" o nello "adempimento di un dovere, 
imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica 
Autorita'" e l'art.650 del Codice Penale, che legittima la disobbedienza 
contro provvedimenti non "legalmente dati" dall'Autorita' ,cioe' emanati 
arbitrariamente e quindi illegittimi.
Per i militari, inoltre, il dovere di disobbedire all'ordine manifestamente 
illegittimo e' previsto dalla legge 11.7.1978 n. 382 (Norme di principio 
sulla disciplina militare), che all'art. 4 stabilisce: " Il militare al 
quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le 
istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque 
manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine e di informare 
al piu' presto i superiori". La norma e' ribadita nell'art.25 del 
Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con il DPR n. 545 del 
1986.
Questa norma e' una chiara esecuzione dell'art. 52 , 2 comma della 
Costituzione, che stabilisce che "l'ordinamento delle Forze Armate si 
informa allo spirito democratico della Repubblica".
Allo stesso modo e' perfettamente legittima la resistenza collettiva contro 
ordini, decisioni o comportamenti, in contrasto con i principi 
incostituzionali, adottati non solo da pubblici funzionari o dalle 
Autorita', ma anche da Organi Costituzionali, quali Governo e Parlamento, 
che rappresentano lo Stato-apparato.
La resistenza collettiva si esercita attraverso l'esercizio dei diritti di 
liberta'
, previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il 
diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero 
(art.40) , anche politico. [7]
In verita', l'art. 54 della Costituzione sancisce: "Tutti i cittadini hanno 
il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione 
e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il 
dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento".
Non si deve pero' confondere il dovere di fedelta' con quello di 
obbedienza. Sono infatti due concetti diversi: la fedelta' alla Repubblica 
precede , logicamente e concettualmente, l'osservanza delle leggi dello 
Stato. Pertanto, il dovere di fedelta' alla Repubblica, e quindi alla 
Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti, 
prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il 
presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore 
con i principi fondamentali dell'Ordinamento Costituzionale, e' sempre 
l'obbedienza a questi ultimi che prevale sull'obbedienza alle leggi. 
Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l'obbligo di 
fedelta' alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in 
sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla Carta Costituzionale.
Non a caso il diritto di resistenza e' stato concepito nel 1946 (quando 
viene inserito nell'art.50 del Progetto di Costituzione) come collegato al 
dovere di fedelta', stabilito dall'art. 54 ( gia' art. 50 del Progetto), 
anche se in un primo momento era stato collegato al principio della 
sovranita' popolare.
Naturalmente, la resistenza non puo' essere esercitata in forma violenta, 
perche', per difendere un diritto fondamentale, leso dall'esercizio 
arbitrario di pubbliche funzioni, non si puo' ledere e sacrificare altri 
diritti fondamentali, di pari o maggiore rilevanza, quale quello alla vita 
ed alla sicurezza delle persone. [8]

LA " PACE" PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLA COSTITUZIONE

L'art.11 della Costituzione sancisce: "L'Italia ripudia la guerra come 
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di 
risoluzione delle controversie internazionali". Da questa disposizione, 
inserita nei "principi fondamentali", deriva una chiara connotazione 
"pacifista" del nostro Paese e quindi l'illegittimita' non solo della 
guerra "offensiva", ma anche di quella decisa al di fuori della decisione 
degli Organismi Internazionali di cui il nostro Paese fa parte, quali l'ONU 
o la NATO.
La nostra Costituzione, inoltre, all'art.2 "riconosce e garantisce i 
diritti inviolabili dell'uomo", tra i quali c'e' sicuramente anche il 
"diritto alla pace" ( cioe' dei cittadini a vivere in pace). Pero' questo 
diritto inviolabile non puo' essere tutelato con la violenza, sacrificando 
cosi' altri diritti inviolabili, come abbiamo gia' detto.
Inoltre, la Costituzione, all'art.10 stabilisce espressamente che il nostro 
Ordinamento giuridico "si conforma alle norme del diritto internazionale 
generalmente riconosciute", le quali recepiscono i principi fondamentali 
del cosidetto "diritto delle genti", ed alle quali pertanto nessuno puo' 
sottrarsi.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 829 del 1988 ha chiarito che 
quando la Costituzione affida l'adempimento dei "compiti fondamentali", tra 
i quali rientra anche quello della "convivenza pacifica tra i popoli" in 
base all'art.11, alla Repubblica o all'Italia, si riferisce anche agli Enti 
Locali, nelle loro varie articolazioni (Regioni, Provincie, Comuni), i 
quali pertanto sono corresponsabili nell'adempimento di questi "compiti 
fondamentali". Ne deriva che gli Enti Locali hanno non solo il diritto, ma 
anche il dovere di "impegnarsi per la pace", ad esempio attivandosi per 
promuovere e diffondere tra i cittadini la "cultura della pace". Inoltre, 
possono anche attuare "atti di non collaborazione" con le iniziative 
belliche decise dal Governo in modo illegittimo, perche' in contrasto con i 
principi costituzionali.

CONCLUSIONI

Il diritto di resistenza e' sostanzialmente (ed implicitamente) accolto 
dalla nostra Costituzione, in quanto rappresenta una estrinsecazione del 
principio della sovranita' popolare, sancita dall'art. 1 della Costituzione 
e che quindi informa tutto il nostro Ordinamento giuridico.
La sovranita' e' esercitata in modo diretto attraverso i fondamentali 
diritti di liberta', garantiti espressamente dalla Costituzione, ed in modo 
indiretto attraverso lo Stato- apparato (la Pubblica Amministrazione), la 
cui attivita' non puo' comunque essere in contrasto con la sovranita' 
popolare. Pertanto, quando lo Stato non esprime una volonta' contraria a 
quella del popolo, spetta a questo ( e quindi ai cittadini, singolarmente o 
collettivamente) riappropriarsi della sovranita' per ripristinare la 
legalita' ( ad esempio difendere le Istituzioni democratiche).
In pratica, quando il Governo, pur instauratosi legalmente ( con le 
elezioni) agisce al di fuori della propria legittimazione (che deriva dalla 
sovranita' popolare espressa con le elezioni), i cittadini, che sono gli 
effettivi titolari della sovranita' possono, anzi devono, attivarsi 
(appunto con la resistenza) per ripristinare la legalita' violata.
Se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, quale 
estremo rimedio per ripristinare la legalita' violata, il principio della 
sovranita' popolare sarebbe di fatto privo di significato [9]. Pertanto, la 
resistenza dei cittadini e' uno strumento fondamentale, seppure 
eccezionale, di garanzia dell'Ordinamento Costituzionale, anche se non e' 
espressamente stabilita.
Inoltre, il dovere di fedelta' alla Costituzione, sancito dall'art.54, 
comporta il dovere di non obbedire alle leggi che sono in contrasto con 
essa. Pertanto, quando si compiono, da parte di qualunque Organo 
Costituzionale, anche il Governo o il Parlamento, atti di eversione 
dell'ordine costituzionale, c'e' non il diritto, ma il dovere di resistenza 
( individuale o collettiva ed anche "attiva", purche' attuata in modo 
nonviolento per non ledere i diritti fondamentali di altri individui), al 
fine di salvaguardare le Istituzioni democratiche.
Cosi', quando lo Stato-apparato realizza materialmente un'attivita' 
contraria ai principi fondamentali della Costituzione, come ad esempio fare 
una guerra "offensiva" o illegittima, quale e' quella decisa al di fuori 
degli Organismi Internazionali, nasce il dovere di resistenza, anche 
collettiva, quale "extrema ratio" per il ripristino della legalita' 
costituzionale, e che puo' essere praticata anche nella forma della 
disobbedienza civile, nonviolenta.

NOTE

[1] Ricercatore e storico, e' autore di numerose pubblicazioni 
sull'opposizione popolare al fascismo, sulla Resistenza e sull'obiezione di 
coscienza, socio fondatore del Centro Studi Difesa Civile.

[2] Vedasi al riguardo quando affermato dal giurista Romagnosi in La 
scienza della Costituzione nel 1849.

[3] Al riguardo l'On. liberale Condorelli afferma: "Bisogna riconoscere che 
questo diritto di resistenza, che si manifesta attraverso insurrezioni, 
colpi di Stato, rivoluzioni, non e' un diritto, ma la stessa realta' 
storica...Sono fatti logicamente anteriori al diritto".

[4] L'On. democristiano Mortati, nella sua dichiarazione di voto afferma: 
"Non e' al principio che ci opponiamo ,ma all'inserzione nella Costituzione 
di esso, e cio' perche' a nostro avviso il principio stesso riveste 
carattere metagiuridico e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le 
possibilita' di accertare quando il cittadino eserciti una legittima 
ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima"

[5] Al riguardo, il prof. Paolo Barile scrive: "Anche qualora il diritto 
positivo vietasse espressamente al resistenza, essa sarebbe perfettamente 
legittima in quanto la violazione della costituzione materiale compiuta da 
un soggetto legittimerebbe la conseguente violazione delle norme che 
vietano la resistenza da parte di un altro soggetto interessato al 
mantenimento delle basi dell'ordinamento violato." Infatti, dai lavori 
preparatori si ha la sensazione che l'Assemblea Costituente non abbia 
voluto costituzionalizzare un tale principio, ma che non abbia neppure 
voluto prendere la esplicita posizione di vietarlo". (Il soggetto privato 
nella Costituzione italiana, Cedam, 1953).

[6] Al riguardo, l'On. Costantino Mortati, anche lui eminente 
costituzionalista, nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell' art 50 
del Progetto di Costituzione, afferma: "La resistenza trae titolo di 
legittimazione dal principio della sovranita' popolare perche' questa, 
basata com'e' sull'adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella 
Costituzione, non puo' non abilitare quanti siano piu' sensibili a essi ad 
assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando cio' si 
palesi necessario per l'insufficienza e la carenza degli organi ad essa 
preposti". Inoltre, nel suo commento all'art.1 della Costituzione, nel 
Commentario della Costituzione del 1975, afferma: "Per contestare 
l'ammissibilita' del diritto di resistenza non vale richiamarsi alla 
decisione della Costituente di eliminare la norma del progetto che lo 
prevedeva. In realta' dalla discussione non emergono chiaramente i motivi 
del rigetto, molto contestato, ma prevalente sembra essere stata l'opinione 
dell'inutilita' di una norma che disciplini i modi di esercizio di un 
diritto che, per sua stessa natura, sfugge ad astratte predisposizioni"

[7] Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un 
costituzionalista molto acuto (chiamato il "dottor sottile" ed in seguito 
diventato Presidente del Consiglio dei Ministri), commentando le due 
sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania in 
seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell'On. 
Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano 
(peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961 
scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo " non fanno 
capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via 
permanente, dal popolo". Pertanto, "l'esercizio di quei poteri deve 
svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare 
una permanete conformita' dell'azione governativa agli interessi in senso 
lato della collettivita' popolare: si che, quando tale conformita' non sia 
perseguita da quell'azione, e' perfettamente conforme al sistema, cioe' 
legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla 
situazione costituzionalmente abnorme". Sostiene inoltre che " la 
resistenza collettiva puo' indirizzarsi anche contro il Parlamento" qualora 
la sua azione sia illegittima. Pertanto, "potrebbe il popolo, nel mancato 
funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all'interno dello 
Stato-governo, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano 
volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione".
Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranita' popolare 
nell'ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi di 
controllo e di garanzia ,se cioe' lo stesso Stato-apparato fosse "partecipe 
dell'azione eversiva", compiendo "atti difformi dai valori e dalle 
finalita' fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella 
Costituzione", allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza, 
individuale o collettiva. Afferma inoltre:" ove circostanze particolari lo 
impongano, come puo' disconoscersi al popolo, che della sovranita' e' 
titolare e che ne controlla l'esercizio....da parte dello Stato-governo, il 
potere di ricondurre alla legittimita', con mezzi anche non previsti, 
questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti".

[8] Peraltro il comportamento violento del singolo individuo e' ammesso 
solo in alcune ipotesi espressamente previste dal Codice penale, quali la 
legittima difesa e lo stato di necessita', che comunque sono valutati dal 
giudice con rigore.

[9] Al riguardo il Prof. Vezio Crisafulli, eminente costituzionalista, 
scrive che ,negli ordinamenti nei quali e' accolto il principio della 
sovranita' popolare, il popolo "e' sempre in grado di far valere la propria 
volonta', a tutela dei propri interessi, nei confronti di quella, 
eventualmente contrastante, manifestata dalla persona statale attraverso i 
suoi organi".