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Il diritto alla resistenza
- Subject: Il diritto alla resistenza
- From: Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
- Date: Tue, 25 Mar 2003 12:28:49 +0100
[Per gentile concessione di Giorgio Giannini, del Centro Studi Difesa
Civile, pubblichiamo questo lavoro preliminare per uno studio approfondito
sul diritto di Resistenza]
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IL DIRITTO DI RESISTENZA
NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di Giorgio Giannini [1]
IL DIRITTO DI RESISTENZA NELLA STORIA
Nell'era moderna, il problema dell'obbedienza o meno all'Autorita' ed al
potere costituito si pone con il Cristianesimo, per il quale l'obbedienza a
Dio viene prima di quella alle leggi dello Stato (Obedire oportet Deo,
magis quam hominibus- Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini- Atti
5,9-). In base a questo principio, i cristiani dei primi due secoli
disobbediscono alle leggi romane che essi considerano contrarie ai
comandamenti divini, in primo luogo la legge che impone di prestare il
servizio militare, perche' e' contrario al comandamento di "non uccidere",
ed affrontano serenamente le pene, compreso il martirio, per rimanere
fedeli alla propria religione ed alla propria coscienza (i cristiani sono
infatti i primi obiettori di coscienza al servizio militare).
Tutto cambia nel 313, quando l'imperatore Costantino riconosce come
Religione il Cristianesimo, che successivamente diventera' addirittura
l'unica e vera Religione dello Stato romano. Nel 380, con un provvedimento
dell'imperatore Teodosio, solo i cristiani saranno considerati meritevoli
di prestare il servizio militare nelle truppe imperiali.
Dal Medio Evo, vari filosofi e teologi elaborano dottrine sul diritto di
resistenza; ricordiamo S. Tommaso d'Aquino che afferma: "Chi uccide il
tiranno e' lodato e merita un premio".
Secondo autorevoli costituzionalisti, il riconoscimento giuridico del
diritto di resistenza risale alla Bolla d'oro di Andre' II del 1222 ed al
Capitolo 61 della Magna Charta inglese del 1225.
Il diritto -dovere di resistenza e' riconosciuto espressamente nella
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America del 5 luglio
1776: "Noi riteniamo che ...tutti gli uomini sono stati creati uguali, che
il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti....che
ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini,
sia diritto del popolo il modificarla o l'abolirla, istituendo un nuovo
governo che ponga le basi su questi principi...Allorche' una lunga serie di
abusi e di torti...tradisce il disegno di ridurre l'umanita' ad uno stato
di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo
diritto, rovesciare un tale governo...".
Il diritto -dovere di resistenza all'oppressione riceve la legittimazione
giuridica anche nella Rivoluzione Francese. Infatti la Dichiarazione dei
Diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 afferma all'art.2:"Lo scopo di
ogni societa' e' la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili
dell'uomo. Questi diritti sono la liberta' e la proprieta', la sicurezza e
la resistenza all'oppressione".
In modo piu' esplicito, la Costituzione francese del 1793 ( che pero' non
e' mai entrata in vigore) afferma all'art.33 : "La resistenza
all'oppressione e' la conseguenza degli altri diritti dell'uomo" ed
all'art.35 :" Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione
e' per il popolo il piu' sacro dei diritti ed il piu' indispensabile dei
doveri".
Negli anni seguenti, con l'affermarsi degli Ordinamenti
democratico-liberali, si affievolisce l'interesse per il diritto-dovere di
resistenza all'oppressione, che diventa l'extrema ratio per la difesa
dell'Ordinamento democratico dello Stato [2]. Cosi', anche in Italia, dopo
l'emanazione dello Statuto Albertino del 1848, la resistenza, soprattutto
quella collettiva, finisce con l'essere legittimata solo entro i limiti del
rispetto della Costituzione vigente.
Il problema del riconoscimento giuridico del diritto-dovere di Resistenza
si ripropone alla fine della Seconda Guerra mondiale, dopo le tragiche
vicende dello sterminio di milioni di esseri umani, soprattutto ebrei, nei
Lager nazisti. Cosi', nello Statuto del Tribunale di Norimberga, definito
nell'accordo di Londra dell'8.8.1945 da parte delle potenze alleate, viene
stabilito il principio della responsabilita' penale personale di coloro che
hanno commesso "crimini di guerra" o "crimini contro l'umanita'", anche se
in esecuzione di ordini emanati da un'autorita' superiore.
Questo principio e' stato riconosciuto dall'Ordinamento Internazionale ed
il diritto di resistenza e' stato inserito in numerose Costituzioni del
secondo dopoguerra, soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca, che
aveva dato origine all'orrore nazista. Cosi', la Costituzione del Lander
dell'Assia del 1.12.1946, all'art.147 afferma: "La resistenza contro
l'esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito e' diritto e
dovere di ciascuno". La Costituzione del Lander di Brema del 21.10.1947
,all'art. 19 afferma:" Se i diritti dell'uomo stabiliti dalla Costituzione
sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la
resistenza di ciascuno e' diritto e dovere". La Costituzione del Lander di
Brandeburgo del 31.1.1947, all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in
contrasto con la morale e l'umanita' sussiste un diritto di resistenza".
Anche la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ,all'art.20, 4°
comma, afferma:" Tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro
chiunque intraprenda a rimuovere l'ordinamento vigente, se non sia
possibile alcun altro rimedio".
Recentemente, una importante sentenza del Conseil Constitutionnel francese
(equivalente alla nostra Corte Costituzionale) ha riaffermato la resistenza
"come diritto positivo di valore costituzionale" che "potra' servire da
parametro di costituzionalita' per la valutazione di leggi repressive che
tendano ad impedire al popolo sovrano alcune forme di esercizio".
Il DIRITTO DI RESISTENZA NEL DIBATTITO PER L'APPROVAZIONE DELLA
COSTITUZIONE ITALIANA
Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all'interno della Commissione
dei 75 ( cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare la prima parte
della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione, al 2° comma
dell'art.50, la seguente disposizione, "Quando i pubblici poteri violino le
liberta' fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la
resistenza all'oppressione e' diritto e dovere del cittadino".
La norma e' proposta dall'On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall'On.
demolaburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre Carte
Costituzionali, in particolare all'art.21 della Costituzione francese del
1946, che stabilisce: "Qualora il governo violi la liberta' ed i diritti
garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, e' il piu'
sacro dei diritti ed il piu' imperioso dei doveri".
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione e' discusso nel plenum
dell'Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al
Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea
di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di
resistenza, sollevano dei dubbi sull'opportunita' del suo inserimento nella
Costituzione. [3]
Nel dicembre 1947, quando si esamina l'art.50 del Progetto di Costituzione,
anche i democristiani si oppongono all'inserimento del diritto di
resistenza nel testo definitivo della Costituzione. [4] Cosi', quando si
vota il testo dell'art.54, che ha sostituito l'art.50 del Progetto, il
diritto di resistenza e' soppresso, nonostante il voto favorevole dei
comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente
sull'esito del voto influirono motivazioni di opportunita' politica ed
anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di resistenza
e quello di rivoluzione. Invece tra i due termini c'e' una profonda
differenza : la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico;
invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico (purche'
sia, naturalmente, democratico) e quindi e' uno strumento di garanzia per
la sua esistenza.
LA SOVRANITA' POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA
Secondo autorevoli costituzionalisti, anche se non e' espressamente
stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il "diritto di resistenza
all'oppressione" e' implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie
di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi
fondamentali in essa stabiliti. [5] Infatti, il diritto di resistenza trova
la sua legittimazione nel principio della "sovranita' popolare" , sancito
nell'art. 1 della nostra Costituzione [6] , che quindi rappresenta la
legittimazione all'intero Ordinamento giuridico.
La "sovranita'", peraltro, e' attribuita ad ogni singolo cittadino, come
membro del popolo, e non solo al popolo nel suo insieme.
Nel nostro Ordinamento giuridico, comunque, ci sono varie norme che
stabiliscono la legittimita' della resistenza individuale ( cioe' del
singolo individuo) di fronte al provvedimento illegittimo (anche se
apparentemente legittimo) dell'Autorita' e/ o al comportamento arbitrario
di un pubblico funzionario. Ricordiamo, l'art. 4 del DLL n. 288 del 1944 ,
che legittima la resistenza attiva (non solo passiva) ad un pubblico
ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora
queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. Ricordiamo
anche l'art.51 del Codice penale che esclude la punibilita' dei fatti
compiuti nello "esercizio di un dovere" o nello "adempimento di un dovere,
imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
Autorita'" e l'art.650 del Codice Penale, che legittima la disobbedienza
contro provvedimenti non "legalmente dati" dall'Autorita' ,cioe' emanati
arbitrariamente e quindi illegittimi.
Per i militari, inoltre, il dovere di disobbedire all'ordine manifestamente
illegittimo e' previsto dalla legge 11.7.1978 n. 382 (Norme di principio
sulla disciplina militare), che all'art. 4 stabilisce: " Il militare al
quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le
istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque
manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine e di informare
al piu' presto i superiori". La norma e' ribadita nell'art.25 del
Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con il DPR n. 545 del
1986.
Questa norma e' una chiara esecuzione dell'art. 52 , 2 comma della
Costituzione, che stabilisce che "l'ordinamento delle Forze Armate si
informa allo spirito democratico della Repubblica".
Allo stesso modo e' perfettamente legittima la resistenza collettiva contro
ordini, decisioni o comportamenti, in contrasto con i principi
incostituzionali, adottati non solo da pubblici funzionari o dalle
Autorita', ma anche da Organi Costituzionali, quali Governo e Parlamento,
che rappresentano lo Stato-apparato.
La resistenza collettiva si esercita attraverso l'esercizio dei diritti di
liberta'
, previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il
diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero
(art.40) , anche politico. [7]
In verita', l'art. 54 della Costituzione sancisce: "Tutti i cittadini hanno
il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione
e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il
dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento".
Non si deve pero' confondere il dovere di fedelta' con quello di
obbedienza. Sono infatti due concetti diversi: la fedelta' alla Repubblica
precede , logicamente e concettualmente, l'osservanza delle leggi dello
Stato. Pertanto, il dovere di fedelta' alla Repubblica, e quindi alla
Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti,
prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il
presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore
con i principi fondamentali dell'Ordinamento Costituzionale, e' sempre
l'obbedienza a questi ultimi che prevale sull'obbedienza alle leggi.
Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l'obbligo di
fedelta' alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in
sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla Carta Costituzionale.
Non a caso il diritto di resistenza e' stato concepito nel 1946 (quando
viene inserito nell'art.50 del Progetto di Costituzione) come collegato al
dovere di fedelta', stabilito dall'art. 54 ( gia' art. 50 del Progetto),
anche se in un primo momento era stato collegato al principio della
sovranita' popolare.
Naturalmente, la resistenza non puo' essere esercitata in forma violenta,
perche', per difendere un diritto fondamentale, leso dall'esercizio
arbitrario di pubbliche funzioni, non si puo' ledere e sacrificare altri
diritti fondamentali, di pari o maggiore rilevanza, quale quello alla vita
ed alla sicurezza delle persone. [8]
LA " PACE" PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLA COSTITUZIONE
L'art.11 della Costituzione sancisce: "L'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali". Da questa disposizione,
inserita nei "principi fondamentali", deriva una chiara connotazione
"pacifista" del nostro Paese e quindi l'illegittimita' non solo della
guerra "offensiva", ma anche di quella decisa al di fuori della decisione
degli Organismi Internazionali di cui il nostro Paese fa parte, quali l'ONU
o la NATO.
La nostra Costituzione, inoltre, all'art.2 "riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo", tra i quali c'e' sicuramente anche il
"diritto alla pace" ( cioe' dei cittadini a vivere in pace). Pero' questo
diritto inviolabile non puo' essere tutelato con la violenza, sacrificando
cosi' altri diritti inviolabili, come abbiamo gia' detto.
Inoltre, la Costituzione, all'art.10 stabilisce espressamente che il nostro
Ordinamento giuridico "si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute", le quali recepiscono i principi fondamentali
del cosidetto "diritto delle genti", ed alle quali pertanto nessuno puo'
sottrarsi.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 829 del 1988 ha chiarito che
quando la Costituzione affida l'adempimento dei "compiti fondamentali", tra
i quali rientra anche quello della "convivenza pacifica tra i popoli" in
base all'art.11, alla Repubblica o all'Italia, si riferisce anche agli Enti
Locali, nelle loro varie articolazioni (Regioni, Provincie, Comuni), i
quali pertanto sono corresponsabili nell'adempimento di questi "compiti
fondamentali". Ne deriva che gli Enti Locali hanno non solo il diritto, ma
anche il dovere di "impegnarsi per la pace", ad esempio attivandosi per
promuovere e diffondere tra i cittadini la "cultura della pace". Inoltre,
possono anche attuare "atti di non collaborazione" con le iniziative
belliche decise dal Governo in modo illegittimo, perche' in contrasto con i
principi costituzionali.
CONCLUSIONI
Il diritto di resistenza e' sostanzialmente (ed implicitamente) accolto
dalla nostra Costituzione, in quanto rappresenta una estrinsecazione del
principio della sovranita' popolare, sancita dall'art. 1 della Costituzione
e che quindi informa tutto il nostro Ordinamento giuridico.
La sovranita' e' esercitata in modo diretto attraverso i fondamentali
diritti di liberta', garantiti espressamente dalla Costituzione, ed in modo
indiretto attraverso lo Stato- apparato (la Pubblica Amministrazione), la
cui attivita' non puo' comunque essere in contrasto con la sovranita'
popolare. Pertanto, quando lo Stato non esprime una volonta' contraria a
quella del popolo, spetta a questo ( e quindi ai cittadini, singolarmente o
collettivamente) riappropriarsi della sovranita' per ripristinare la
legalita' ( ad esempio difendere le Istituzioni democratiche).
In pratica, quando il Governo, pur instauratosi legalmente ( con le
elezioni) agisce al di fuori della propria legittimazione (che deriva dalla
sovranita' popolare espressa con le elezioni), i cittadini, che sono gli
effettivi titolari della sovranita' possono, anzi devono, attivarsi
(appunto con la resistenza) per ripristinare la legalita' violata.
Se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, quale
estremo rimedio per ripristinare la legalita' violata, il principio della
sovranita' popolare sarebbe di fatto privo di significato [9]. Pertanto, la
resistenza dei cittadini e' uno strumento fondamentale, seppure
eccezionale, di garanzia dell'Ordinamento Costituzionale, anche se non e'
espressamente stabilita.
Inoltre, il dovere di fedelta' alla Costituzione, sancito dall'art.54,
comporta il dovere di non obbedire alle leggi che sono in contrasto con
essa. Pertanto, quando si compiono, da parte di qualunque Organo
Costituzionale, anche il Governo o il Parlamento, atti di eversione
dell'ordine costituzionale, c'e' non il diritto, ma il dovere di resistenza
( individuale o collettiva ed anche "attiva", purche' attuata in modo
nonviolento per non ledere i diritti fondamentali di altri individui), al
fine di salvaguardare le Istituzioni democratiche.
Cosi', quando lo Stato-apparato realizza materialmente un'attivita'
contraria ai principi fondamentali della Costituzione, come ad esempio fare
una guerra "offensiva" o illegittima, quale e' quella decisa al di fuori
degli Organismi Internazionali, nasce il dovere di resistenza, anche
collettiva, quale "extrema ratio" per il ripristino della legalita'
costituzionale, e che puo' essere praticata anche nella forma della
disobbedienza civile, nonviolenta.
NOTE
[1] Ricercatore e storico, e' autore di numerose pubblicazioni
sull'opposizione popolare al fascismo, sulla Resistenza e sull'obiezione di
coscienza, socio fondatore del Centro Studi Difesa Civile.
[2] Vedasi al riguardo quando affermato dal giurista Romagnosi in La
scienza della Costituzione nel 1849.
[3] Al riguardo l'On. liberale Condorelli afferma: "Bisogna riconoscere che
questo diritto di resistenza, che si manifesta attraverso insurrezioni,
colpi di Stato, rivoluzioni, non e' un diritto, ma la stessa realta'
storica...Sono fatti logicamente anteriori al diritto".
[4] L'On. democristiano Mortati, nella sua dichiarazione di voto afferma:
"Non e' al principio che ci opponiamo ,ma all'inserzione nella Costituzione
di esso, e cio' perche' a nostro avviso il principio stesso riveste
carattere metagiuridico e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le
possibilita' di accertare quando il cittadino eserciti una legittima
ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima"
[5] Al riguardo, il prof. Paolo Barile scrive: "Anche qualora il diritto
positivo vietasse espressamente al resistenza, essa sarebbe perfettamente
legittima in quanto la violazione della costituzione materiale compiuta da
un soggetto legittimerebbe la conseguente violazione delle norme che
vietano la resistenza da parte di un altro soggetto interessato al
mantenimento delle basi dell'ordinamento violato." Infatti, dai lavori
preparatori si ha la sensazione che l'Assemblea Costituente non abbia
voluto costituzionalizzare un tale principio, ma che non abbia neppure
voluto prendere la esplicita posizione di vietarlo". (Il soggetto privato
nella Costituzione italiana, Cedam, 1953).
[6] Al riguardo, l'On. Costantino Mortati, anche lui eminente
costituzionalista, nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell' art 50
del Progetto di Costituzione, afferma: "La resistenza trae titolo di
legittimazione dal principio della sovranita' popolare perche' questa,
basata com'e' sull'adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella
Costituzione, non puo' non abilitare quanti siano piu' sensibili a essi ad
assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando cio' si
palesi necessario per l'insufficienza e la carenza degli organi ad essa
preposti". Inoltre, nel suo commento all'art.1 della Costituzione, nel
Commentario della Costituzione del 1975, afferma: "Per contestare
l'ammissibilita' del diritto di resistenza non vale richiamarsi alla
decisione della Costituente di eliminare la norma del progetto che lo
prevedeva. In realta' dalla discussione non emergono chiaramente i motivi
del rigetto, molto contestato, ma prevalente sembra essere stata l'opinione
dell'inutilita' di una norma che disciplini i modi di esercizio di un
diritto che, per sua stessa natura, sfugge ad astratte predisposizioni"
[7] Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un
costituzionalista molto acuto (chiamato il "dottor sottile" ed in seguito
diventato Presidente del Consiglio dei Ministri), commentando le due
sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania in
seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell'On.
Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano
(peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961
scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo " non fanno
capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via
permanente, dal popolo". Pertanto, "l'esercizio di quei poteri deve
svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare
una permanete conformita' dell'azione governativa agli interessi in senso
lato della collettivita' popolare: si che, quando tale conformita' non sia
perseguita da quell'azione, e' perfettamente conforme al sistema, cioe'
legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla
situazione costituzionalmente abnorme". Sostiene inoltre che " la
resistenza collettiva puo' indirizzarsi anche contro il Parlamento" qualora
la sua azione sia illegittima. Pertanto, "potrebbe il popolo, nel mancato
funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all'interno dello
Stato-governo, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano
volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione".
Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranita' popolare
nell'ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi di
controllo e di garanzia ,se cioe' lo stesso Stato-apparato fosse "partecipe
dell'azione eversiva", compiendo "atti difformi dai valori e dalle
finalita' fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella
Costituzione", allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza,
individuale o collettiva. Afferma inoltre:" ove circostanze particolari lo
impongano, come puo' disconoscersi al popolo, che della sovranita' e'
titolare e che ne controlla l'esercizio....da parte dello Stato-governo, il
potere di ricondurre alla legittimita', con mezzi anche non previsti,
questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti".
[8] Peraltro il comportamento violento del singolo individuo e' ammesso
solo in alcune ipotesi espressamente previste dal Codice penale, quali la
legittima difesa e lo stato di necessita', che comunque sono valutati dal
giudice con rigore.
[9] Al riguardo il Prof. Vezio Crisafulli, eminente costituzionalista,
scrive che ,negli ordinamenti nei quali e' accolto il principio della
sovranita' popolare, il popolo "e' sempre in grado di far valere la propria
volonta', a tutela dei propri interessi, nei confronti di quella,
eventualmente contrastante, manifestata dalla persona statale attraverso i
suoi organi".