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La nonviolenza e' in cammino. 546
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 546
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Tue, 25 Mar 2003 12:01:28 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 546 del 25 marzo 2003
Sommario di questo numero:
1. Sul sagrato del duomo di Narni
2. Unione donne italiane, contro tutte le guerre
3. Alessandro Marescotti, oggi davanti al senato contro i mercanti di morte
4. Amelia Alberti, come a volte a teatro
5. Maria G. Di Rienzo, fare domande
6. Ileana Montini, nuovi anziani e nuove anziane
7. Valentino Parlato ricorda Laura Lombardo Radice
8. Luigi Pintor ricorda Laura Lombardo Radice
9. Giulio Vittorangeli, il cielo sopra Baghdad
10. Quattro senatori denunciano il ministro Martino
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. SUL SAGRATO DEL DUOMO DI NARNI
[Domenica 23 marzo a Narni si e' svolta una fiaccolata per la pace, da
piazza Vittorio De Sica a Narni Scalo, fino alla Rocca che sovrasta l'ampia
serena conca ternana che ti si schiude a notte bella come la culla del
mondo. Lungo il percorso e' stata fatta tappa nel cuore antico della citta'
di Narni, e dai gradini del sagrato del duomo hanno preso la parola per
confortare e ringraziare i camminanti e i concittadini e le persone tutte di
volonta' buona, ed esprimere alcuni riflessi dei sentimenti di tutti, il
parroco, il sindaco, ed uno degli amici che da tempo partecipa del percorso
di accostamento alla nonviolenza promosso da varie persone di Narni, Amelia,
Attigliano, Terni ed altre citta' e paesi della regione. Qui di seguito
ricostruiamo a memoria la sintesi del terzo intervento]
* Ci sta a cuore l'umanita'
Siamo qui, ognuna e ognuno con i nostri volti, con le nostre storie
personali e collettive.
Siamo qui, per dire ancora una volta che la vita umana ha un valore, ognuna
e ognuno di noi una particola, una scintilla di umanita', e tutta intera
l'umanita' in ognuno e ognuna di noi.
Siamo qui, per dire ancora una volta che ci sta a cuore l'umanita', e ci sta
a cuore ogni singola vita umana. E chi uccide un essere umano colpisce
l'umanita' intera, chi uccide chiunque altro uccide anche una parte di se
stesso. E' per te che suona la campana.
Siamo qui, con i nostri volti, con i nostri corpi, con i nostri cuori, con
il nostro respiro e il nostro affanno, perche' ci sentiamo umanita', perche'
siamo umanita'. E vogliamo che l'umanita' viva.
* Contro la guerra, dalla parte delle vittime
Siamo qui per dire che la guerra e' sempre omicidio di massa, e' sempre
uccisione di donne e di uomini. Noi diciamo no alla guerra.
Siamo qui per dire no al terrorismo, e alla guerra che e' il terrorismo piu'
grande.
Siamo qui per dire no alle dittature, e alla guerra che e' la dittatura piu'
grande.
Siamo qui per dire no alle uccisioni, e alla guerra che e' cumulo di
uccisioni.
Siamo qui per dire che la guerra e' nemica dell'umanita', e noi siamo
umanita'.
Siamo qui per dire che la guerra nell'epoca delle armi di sterminio di massa
mette in pericolo la sopravvivenza dell'intera umanita', puo' distruggere
l'umanita' intera, e noi siamo umanita', noi non vogliamo essere distrutti,
noi vogliamo che l'umanita' viva, e nessun essere umano sia ucciso.
Siamo qui per dire che la guerra deve essere bandita dalla storia affinche'
possa esservi ancora una storia umana, affinche' possa proseguire la vita
degli uomini e delle donne.
Siamo qui perche' occorre scegliere tra la guerra e l'umanita', tra la
catastrofe e l'umanita', tra il nulla e l'umanita'; e noi siamo umanita', e
solo la pace puo' salvare l'umanita' dall'annientamento.
Siamo qui nel nome e nel ricordo delle vittime di Auschwitz e di Hiroshima,
per dire mai piu' guerre, mai piu' persecuzioni.
Siamo qui nel nome e nel ricordo dei caduti di tutte le guerre, per dire mai
piu' guerre, mai piu' persecuzioni.
Siamo qui per dire che vogliamo che siano riconosciuti tutti i diritti umani
a tutti gli esseri umani; e di tutti i diritti il diritto fondamentale senza
del quale nessun altro diritto si da' e' il diritto a vivere, a non essere
uccisi.
* Noi abbiamo ancora un sogno
Come Martin Luther King noi abbiamo ancora un sogno.
Il sogno che un giorno le figlie ed i figli dell'umanita' possano vivere in
pace e in armonia. Ed e' oggi che occorre agire perche' questo sogno, di
pace e di liberazione, diventi realta'.
Il sogno che un giorno le spade saranno trasformate in aratri. Ed e' oggi
che occorre agire perche' questo sogno, di disarmo e di solidarieta',
diventi realta'.
Il sogno di Giacomo Leopardi, che l'intera umanita' si unisca contro il male
e la morte. Ed e' oggi che occorre agire perche' questo sogno, il sogno
della dignita' di tutti e di ognuno e della sorellanza e fratellanza umana,
diventi realta'.
* Sognatori pratici: fermare la guerra, costruire la pace
Perche' noi siamo dei sognatori di un tipo speciale. Siamo sognatori
pratici, non ci basta essere sognatori, vogliamo essere anche costruttori di
sogni.
Siamo sognatori pratici, i nostri sogni voglamo realizzarli.
Siamo sognatori pratici, che sognano con l'anima e col corpo, con i piedi e
con le mani, che alla sequela di una visione di pace e di giustizia si
mettono in cammino; che alla sua edificazione mettono mano, scegliendo la
convivenza anziche' l'uccidere, la dignita' anziche' l'umiliazione, la
solidarieta' anziche' l'oppressione, la pace anziche' la guerra.
Noi sappiamo che la pace non verra' da sola, ma sara' il frutto dell'agire
giusto, sara' l'opera della volonta' buona di donne e di uomini. O non
sara'.
Noi sappiamo che la pace non piovera' dal cielo, ma dovra' essere edificata
dalla terra, con lo sforzo tenace e faticoso, ed insieme tenero e benigno,
con lo sforzo sempre piu' cosciente e limpido delle donne e degli uomini di
volonta' buona. O non sara'.
Noi sappiamo che ad ogni uccisione dobbiamo opporci, qui e adesso, con le
nostre mani e con i nostri cuori.
Noi sappiamo di dover fermare la guerra, qui e adesso, con i nostri cuori e
con le nostre mani. Per dire questo oggi siamo qui.
* Le leggi e le opere
Opporsi alla guerra e' necessario, e' necessario fermare la guerra.
Lo chiede e lo comanda l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica
Italiana che ripudia la guerra: noi siamo qui fedeli a quella speranza e a
quell'impegno scritto col sangue dei martiri della Resistenza. Noi siamo qui
fedeli alla legge fondamentale del nostro paese, garanzia di liberta',
presidio di democrazia. Noi siamo il popolo italiano, noi siamo l'Italia.
Lo chiede e lo comanda la Carta delle Nazioni Unite che fin dal suo
preambolo chiama i popoli del mondo ad unirsi per impedire il flagello della
guerra: noi siamo fedeli a quell'impegno e a quella speranza scritta col
sangue dei martiri di tutte le lotte di liberazione, di tutte le Resistenze
all'inumano. Noi siamo qui fedeli alla legge dei popoli delle Nazioni Unite.
Noi siamo persone e popolo, popoli del mondo.
Lo chiede e lo comanda la legge scritta in tutte le grandi tradizioni
religiose e filosofiche, la legge incisa nel vivo delle coscienze, la legge
che dice "Tu non uccidere": noi siamo qui fedeli a quella voce, a quella
pietra, a quella rosa che e' la civilta' umana in tutte le sue tradizioni
grandi, ad unire la nostra voce a quella voce: "Tu non uccidere". Noi siamo
le figlie ed i figli dell'intera umanita' passata. Ci sta a cuore l'umanita'
passata.
Lo chiede e lo comanda l'appello a impedire la distruzione del mondo da
parte delle armi che oggi possono annichilire l'intera civilta' umana e
ridurre il pianeta a deserta rovina: noi siamo qui perche' quell'appello
abbiamo udito. Abbiamo a cuore la vita e la felicita' dei figli nostri e
delle nostre figlie. Ci sta a cuore l'internazionale futura umanita'.
Lo chiede e lo comanda l'invocazione che il volto muto e straziato delle
vittime degli orrori del secolo nostro ci rivolge, e ci chiama alla
responsabilita': noi siamo qui all'ascolto di quel grido, noi siamo qui
perche' ci sentiamo responsabili, noi siamo qui perche' una e' la carne
dell'umanita'. Noi siamo qui perche' siamo parte dell'umanita' vivente,
dell'umanita' intera. E vogliamo che l'umanita' viva: in tutti ed in
ciascuno.
* Le opere e le leggi
Opporsi alla guerra e' dunque necessario, e' dunque necessario fermare la
guerra. Ma e' anche possibile? Noi diciamo di si'.
Con l'azione diretta nonviolenta per bloccare materialmente, concretamente,
effettualmente, la macchina bellica stragista. Nel nostro stesso paese
mettendo in condizione di non nuocere gli apparati e gli strumenti della
guerra.
Con la denuncia penale dei poteri golpisti, terroristi e stragisti che la
guerra hanno promosso e favoreggiato, che la guerra stanno eseguendo ed
appoggiando. Occorre che essi siano arrestati, processati e puniti per
crimini di guerra e crimini contro l'umanita', e per quanto concerne le
pubbliche autorita' italiane che alla guerra hanno dato e stanno dando
effettuale sostegno anche per il reato di colpo di stato, di tradimento
della Costituzione e attentato alla Costituzione cui pure avevano giurato
fedelta'.
Con lo sciopero generale ad oltranza fino alla caduta del governo golpista e
fuorilegge che sostiene la guerra terrorista e stragista, ed alla sua
sostituzione con un governo che rispetti la legalita', la Costituzione, il
diritto internazionale, la dignita' e il diritto a vivere del popolo
italiano e dell'umanita' intera, un governo che obbedisca e adempia al
dovere ad esso imposto dalla Costituzione di opporsi alla guerra.
Con scelte personali di giustizia e di condivisione, nella nostra stessa
vita quotidiana, nei nostri consumi, nelle nostre relazioni, nel nostro
sentire ed agire quotidiano. E' con le nostre mani, con i nostri gesti, che
noi diciamo la parola pace.
Con il disarmo, coll'opposizione a tutti gli strumenti e gli apparati di
morte.
E con la scelta della nonviolenza, che e' l'unica risorsa che puo' fermare
la guerra, che puo' salvare l'umanita'.
* No alla guerra, giu' le armi
Nel nome e nel ricordo di Oscar Romero, di cui domani ricorre l'anniversario
dell'uccisione, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi".
Nel nome e nel ricordo di Rachel Corrie, la giovinetta americana nonviolenta
assassinata pochi giorni or sono, noi diciamo "no alla guerra, giu' le
armi".
Nel nome e nel ricordo di Rosa Luxemburg, che "poiche' ai poveri diceva la
verita' / i ricchi l'hanno mandata nell'aldila'", noi diciamo "no alla
guerra, giu' le armi".
Nel nome e nel ricordo di Etty Hillesum, che anche nel lager volle essere
"cuore pensante" per l'umanita' intera, noi diciamo "no alla guerra, giu' le
armi".
Nel nome e nel ricordo di Marianella Garcia, l'Antigone salvadoregna sorella
di tutte le vittime soccorritrice di tutti gli oppressi assassinata
vent'anni fa, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi".
Nel nome e nel ricordo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, testimoni
dell'orrore della guerra e dei profitti sanguinolenti di essa, noi diciamo
"no alla guerra, giu' le armi".
E nel ricordo di tutti gli uccisi, il cui numero e' infinito e il cui stesso
nome e' stato cancellato dalla furia degli assassini, ma la cui voce e'
ancora viva e impetuosa se solo noi in silenzio ci disponessimo all'ascolto
del palpito del nostro stesso cuore, noi diciamo "no alla guerra, giu' le
armi".
* Qui
Siamo qui, ognuna e ognuno con i nostri volti, con le nostre storie, per
dire ancora una volta che la vita umana ha un valore, per dire ancora una
volta: fermiamo la guerra, cessino le uccisioni, fuori la guerra dalla
storia.
Vogliamo vivere.
Siamo esseri umani.
2. EDITORIALE. UNIONE DONNE ITALIANE: CONTRO TUTTE LE GUERRE
[Da Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti@libero.it) riceviamo
e diffondiamo il comunicato che l'Udi (per contatti: e-mail:
udinazionale@tin.it, tel. 066865884) ha diffuso il 20 marzo]
In queste ore il fragore della guerra gia' riempie tutto il nostro presente.
Noi sappiamo di poter continuare il cammino della pace.
Non pronunciamo queste parole col cuore leggero, ma non intendiamo entrare
nella logica della guerra che ci dichiara sconfitte.
La guerra e' una sconfitta per tutti perche' impone categorie semplificate
di lettura e devasta la convivenza anche dove non cadono direttamente le
bombe.
Nella guerra il bilancio della vita e' sempre in perdita per tutti, ma noi
donne perdiamo di piu' proprio perche' sulla vita, la sua cura e
conservazione investiamo di piu' e perche' la guerra cancella i soggetti,
donne e uomini, grandi e piccoli affidandoci tutti agli stereotipi degli
slogan.
Contro questa guerra, contro tutte le guerre, noi ci prepariamo a un lungo
lavoro, a cominciare da subito.
Ci impegniamo a moltiplicare la visibilita' delle nostre parole e praticarle
in ogni momento della nostra vita perche' quella che vogliamo per tutte e
tutti e' una pace da abitare.
Questa guerra non promette solo il consueto carico di morte e di
distruzione, ma rappresenta anche il disprezzo della volonta' della
maggioranza delle donne e degli uomini che abitano la terra e una grave
delegittimazione degli organismi internazionali.
Aderiamo a tutte le forme di mobilitazione collettiva per testimoniare il
nostro ripudio della guerra come forma di risoluzione dei conflitti ed
esercitare il dovere di cittadinanza condiviso nel nostro patto
costituzionale.
Abitiamo un mondo piu' grande di quello che sanno percorrere i nostri piedi,
la pace e' la strada che ci consente di valicare i confini che ancora
rinchiudono i nostri pensieri.
La pace e' la condizione in cui radichiamo il nostro presente per poter
crescere il futuro.
3. INIZIATIVE. ALESSANDRO MARESCOTTI: OGGI DAVANTI AL SENATO CONTRO I
MERCANTI DI MORTE
[Da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, la principale rete
telematica pacifista italiana (per contatti: e-mail:
a.marescotti@peacelink.it, sito: www.peacelink.it) riceviamo e diffondiamo]
E' un dovere di ogni pacifista "autoconvocarsi" individualmente e andare a
Roma di fronte al Senato martedi' 25 marzo. Ognuno con la bandiera della
pace. Ognuno contro i mercanti di armi che stanno per brindare alla
vittoria. Infatti la legge 185/90, una buona legge scritta nata per
controllare l'esportazione di armi italiane, sta per essere smantellata.
Quella legge la chiedemmo noi pacifisti quando i venditori di morte si
arricchivano inviando armi a Saddam Hussein e ad altri dittatori. Oggi - nel
pieno di una guerra nata con il pretesto di disarmare "il rais" ieri cosi'
ben armato da chi oggi lo bombarda - rispunta la "lobby di Saddam".
Si', proprio quella che ieri armo' il dittatore e che oggi punta ad armare
altri dittatori liberalizzando il mercato bellico, oggi regolato per
l'Italia dalla legge 185/90 che proibisce di vendere armi a stati che
violano i diritti umani.
Che fare?
Esiste ancora una probabilita' di salvare una buona legge, tentiamola.
Ognuno con la bandiera della pace si schieri davanti al Senato, dalla
mattina alla sera. Ognuno fissi negli occhi i senatori e chieda un gesto di
responsabilita'.
4. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: COME A VOLTE A TEATRO
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di
Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica,
collaboratrice di questo foglio, impegnata in iniziative di pace e di
solidarieta', ha questa straordinaria capacita' di restituire in parola
poetica vibrante di emozione e verita' cio' che lo sguardo sui fatti del
mondo coglie di essenziale, e cosi' la sua voce e' ad un tempo voce di
denuncia e di impegno, di strazio per la visione dell'inumano, e di
irriducibile resistenza all'inumano]
Da "La Stampa" del 22 marzo 2002: "L'esito del braccio di ferro militare si
gioca anche sul numero di vittime civili. I ruoli sono invertiti rispetto ai
manuali di guerra tradizionali: il presidente americano George Bush attacca
ma ha interesse ad evitare vittime quanto piu' possibile, il dittatore
iracheno Saddam Hussein si difende ma ha l'interesse opposto perche' l'unica
possibilita' di fermare la guerra, e di riuscire a sopravvivere, e' nel
farla apparire sui teleschermi come un immane massacro".
Assistiamo in questi giorni, anche noi che non siamo soliti intrattenerci
con i video-games violenti, alla riduzione della morte (carne che urla,
strazio, silenzio) a pantomima. Trangugiamo i servizi da Bagdad nelle ore
che dedichiamo ai pasti e quindi inghiottiamo pasta o riso o carne o uova
sullo sfondo di colonne di fumo o di sagome verdognole di aerei militari e
carri armati in marcia. Raramente ci viene mostrato dagli schermi un essere
umano sofferente (e magari noi siamo alla frutta o al caffe', gia' protesi
ai nostri affari privati urgentissimi). La resa del soldato irakeno al
collega amerikano ci e' apparsa piu' come il risultato di una mediocre
ripresa cinematografica, che non come la reale, insopportabile umiliazione
che e' stata. Che dire? La guerra, di sproporzioni cosi' enormi, ha un
destino segnato e gli Amerikani vinceranno. E' anche possibile che dopo il
rais subentri in Irak un governo meno bieco e assassino. A prezzo di uno
straniamento globale, che da una parte inonda via internet le strade e le
piazze di manifestanti sinceramente assetati di pace e giocondita', e
dall'altra rende tutti noi comparse assunte senza contratto per una tragica
rappresentazione, dove realta' e immaginazione si sovrappongono e la
sofferenza rappresentata appare piu' vera di quella reale. Stiamo malissimo,
come a volte a teatro.
5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: FARE DOMANDE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Fare domande e' l'attrezzo base per il cambiamento, giacche' le domande
muovono verso l'azione. Fare domande puo' cambiare l'intera vostra vita,
puo' cambiare istituzioni e culture. Fare domande puo' rivelare il potere e
i sogni che giacciono inascoltati dentro di voi e darvi la capacita' di
creare tecniche e soluzioni nuove. Fare domande ai vostri oppositori puo'
spostarli verso la guarigione e la riconciliazione.
Chiamiamole "domande chiave": sono quel tipo di domande che fanno la
differenza. Esse danno inizio ad un processo che trasforma sia chi le pone,
sia chi risponde. Quando ci apriamo ad altri punti di vista, le nostre
stesse idee devono "muoversi", per accogliere informazioni diverse, nuove
possibilita', tecniche differenti per risolvere i problemi.
Vi hanno insegnato come fare domande? Siete state/i incoraggiate/i a farlo?
E' accettabile negli ambienti che frequentate porre domande di cui non si
conoscono in anticipo le risposte? Probabilmente no.
A scuola, per esempio, ogni domanda ha la sua precisa risposta: quanto fa
sei per sette? Dove mori' Garibaldi? Quante mogli ebbe Enrico VIII? Noi
abbiamo cosi' appreso che le domande hanno risposte "fisse" e "corrette" e
che, usualmente, vi e' una sola risposta per ogni domanda. La risposta
errata viene punita con una valutazione piu' bassa ed il vasto scenario
dell'apprendere si divide in due rigidi contenitori: giusto e sbagliato.
Naturalmente, sei per sette non puo' che fare quarantadue in questo mondo, e
porre domande simili e' utile per allenare la memoria, ma non offre alcuna
preparazione alle questioni che le/gli studenti dovranno affrontare fuori
dalla scuola.
In alcune famiglie, le bambine ed i bambini imparano che devono evitare di
porre domande a cui non vi sia una risposta certa, perche' cio' mette le
persone adulte in imbarazzo. I genitori sembrano odiare il momento in cui
devono dire "Non lo so". Puo' anche accadere che essi pensino meritevole di
castigo o rimprovero il sentirsi porre domande imbarazzanti, al che i loro
figli e le loro figlie smettono di farne.
Questo e' assai inefficace nella nostra epoca, in cui siamo circondati da
domande che non hanno risposte immediate e certe. E se nessuno vi ha
insegnato come maneggiare situazioni simili, e' probabile che esse vi
appaiano intimidatorie, spaventose, non risolvibili.
*
Apprendere come porre "domande chiave" e' il sentiero su cui trasformiamo
una percezione passiva e timorosa del mondo in un'esplorazione dinamica
delle informazioni e delle soluzioni di cui abbiamo bisogno. Noi siamo in
grado di assemblare una risposta per quasi ogni problema.
Torniamo un attimo alla scuola tradizionale. L'insegnante vi ha chiesto
"Quanto fa sei per sette?" e voi avete risposto "Ventinove". Che accadrebbe
se invece di replicare: "Sbagliato!", l'insegnante vi chiedesse di spiegare
attraverso quale processo siete giunte/i a tale risultato? Avreste
l'opportunita' di apprendere, assieme alla matematica, qualcosa su voi
stessi, su come si forma il vostro pensiero, su come si interviene
attivamente nell'apprendimento. E l'insegnante avrebbe la possibilita' di
capire come migliorare l'efficacia delle tecniche che usa per spiegare la
lezione.
Nelle famiglie in cui il porre domande non e' incoraggiato, raramente gli
adulti faranno seguire al loro "Non lo so" qualcosa del tipo: "Vediamo se si
puo' trovare una risposta". Essi sono cosi' presi dal loro imbarazzo da non
essere in grado di offrire altro. Oggi questo "altro" ve lo offro io. Non e'
mai troppo tardi, d'accordo?
*
Ci sono sette caratteristiche principali per formulare una "domanda chiave":
a) Una "domanda chiave" crea movimento.
La maggior parte delle domande che poniamo sono statiche. Una domanda chiave
chiede esplicitamente: "Come possiamo muoverci?". Si tratta di domande
dinamiche, che tendono a non permettere alle situazioni di restare
inchiodate dal senso di impotenza.
Poniamo il banale caso che la vostra amica Sara abbia l'occasione di
trasferirsi in un'abitazione che, a differenza di quella in cui vive ed e'
nata, e' piu' grande, o ha un giardino, ecc. Sara e' molto attaccata alle
sue origini e pur essendo tentata non sa cosa fare. Voi potete dirle: "E'
un'occasione. Perche' non ti trasferisci?", ma non le sarete di molto aiuto.
Le state facendo un suggerimento, non una domanda. Per le vostre ragioni,
quali esse siano, voi pensate che dovrebbe trasferirsi, ed e' probabile che
piu' farete pressione in questo senso, piu' Sara si irrigidira'. Una
"domanda chiave" potrebbe invece essere: "In che tipo di posto ti piacerebbe
trasferirti, se volessi farlo?"; oppure: "Che posto ti viene in mente se
pensi ad un futuro felice?", o ancora: "Che significato ha il cambiare
residenza, nella tua vita?". Sara, in questo modo, viene incoraggiata a
parlare delle qualita' delle sue scelte, dei suoi scopi e di come
raggiungerli: ed e' in questo che potete aiutarla.
Porre domande simili puo' muovere le persone verso l'attivismo: "Che cosa ti
piacerebbe fare per ripulire il fiume dall'inquinamento?", "Che cosa
potresti fare per la pace?". Molte idee di valore nascono dalle repliche:
soprattutto perche' le domande implicano il valore delle persone a cui
vengono poste, sottintendono la loro volonta' e la loro capacita' di
cambiamento.
Quando ci troviamo incastrate/i in un problema, cio' che ci trattiene
dall'agire per il cambiamento e' la mancanza di informazioni, o l'aver
sperimentato una ferita personale rispetto all'istanza che stiamo
fronteggiando, o il percepire che non vi sia posto e modo per muoverci
rispetto ad essa.
Quando io pongo la domanda: "Cosa ti piacerebbe fare per ripulire il fiume?"
apro una porta, e invito le persone a muoversi oltre la sofferenza, il senso
di colpa e di impotenza relativi all'inquinamento; le invito a sognare
attivamente ed a creare il proprio contributo originale.
*
b) Una "domanda chiave" crea opzioni.
Se chiedete a Sara: "Perche' non ti trasferisci in quella casa?", state
ponendo una questione che e' dinamica solo in un senso (quella casa) e
limitate le opzioni a disposizione della vostra amica. Una "domanda chiave",
che e' piu' potente, ne offrira' altre: "In che tipo di posto ti piacerebbe
trasferirti?".
E' importante riuscire ad uscire dal pensiero binario (o/o) per porre
domande di questo tipo: usualmente noi consideriamo solo due opzioni e non
facciamo lo sforzo creativo di guardare a tutte le possibilita'. Mi si dira'
che la scelta fra due opzioni ci e' familiare, e che e' piu' facile operare
scelte in questo modo, ma rifletteteci un attimo: poiche' due alternative
sono comunque piu' complesse di una, allora perche' non smettere
semplicemente di pensare?
Prendete quest'altra situazione. Una giovane donna decide all'improvviso di
andarsene di casa: in famiglia si e' litigato spesso, la ragazza ha avuto
problemi seri di qualsiasi tipo, ecc. La madre sa che treno prendera' la
figlia e dove ella e' diretta, e pensa di avere solo due opzioni a
disposizione: lasciarla andare, o correre alla stazione e tentare di
convincerla a non prendere il treno. Pensando creativamente, ovvero
ponendosi la domanda: "Cos'altro potrei fare per agire questo conflitto in
modo positivo?", la madre potrebbe avere l'idea di prendere il treno con la
figlia, e di parlare con lei durante le sei ore di viaggio...
*
c) Una "domanda chiave" va a fondo.
Avete mai provato ad aprire un barattolo di pittura murale quando il
coperchio si e' incrostato con la pittura secca? Certo, avete fatto leva con
qualcosa. E avete usato un bastoncino per rimestare la pittura, andando a
fondo. Con le "domande chiave" e' lo stesso. Alcune persone affrontano i
problemi come se le loro teste fossero barattoli con il coperchio
incrostato: se ponete loro la domanda che fa leva, e se questa riesce a
smuoverle in profondita', vedrete scaturire da quelle teste una miriade di
soluzioni creative, innovative, originali.
*
d) Una "domanda chiave" evita il "perche'".
Ricordate Sara? Quando le avete chiesto "perche'" non si trasferiva, la
vostra domanda intendeva conoscere le ragioni per cui lei non avrebbe voluto
farlo, piuttosto che creare un contesto creativo sulla questione.
Molti "perche'" sono di questo tipo. Forzano a difendere la prima decisione
presa e creano resistenza al cambiamento.
Riuscite a percepire la differenza fra il chiedere: "Perche' non vieni piu'
alle riunioni?" e "Cosa ti trattiene, o ti impedisce, dal partecipare al
lavoro di gruppo?".
Chiedere "perche'" puo' servire quando state definendo valori e significato
del vostro gruppo o del vostro lavoro, ma in generale e' una leva corta.
*
e) Una "domanda chiave" viene formulata in modo da evitare le risposte
"si'/no".
Una domanda a cui si possa rispondere solo si' o no e' un vicolo cieco:
lascia la persona a cui e' stata fatta in uno stato passivo, non creativo, e
non incoraggia l'approfondimento della questione.
Fate una prova: mettetevi d'accordo con qualcuno (il vostro migliore amico,
vostro marito o vostra moglie, il vostro gruppo di attiviste/i, ecc.) e per
una giornata riformulate tutte le domande che vi ponete l'un l'altro di modo
da rendere impossibile rispondere solo si' o no. Preparatevi a dire, felici
e meravigliati, il giorno dopo: "Non ho mai parlato tanto in vita mia.
Sembra che in realta' ci conoscessimo assai meno di quel che credevamo".
*
f) Una "domanda chiave" da' potere.
Essa crea infatti fiducia: la fiducia che ci si puo' muovere insieme, e che
ciascuno ha la capacita' di intervenire. La domanda "Cosa ti piacerebbe fare
per ripulire il fiume dall'inquinamento?" implica che colui/colei a cui
viene posta ha il potere di cambiare qualcosa, ha una parte attiva nel
processo di guarigione. E questo non e' limitato ai nostri amici e compagni.
Una delle domande da fare sempre, ove possibile, ai nostri oppositori e':
"Cosa potrebbe indurla a cambiare idea sulla questione?". Cio' significa che
noi intendiamo percorrere con essi il sentiero della trasformazione, che
abbiamo fiducia nella loro capacita' di cambiamento. Immaginate che io vada
a protestare contro un'azienda agricola i cui lavoratori stanno tagliando
alberi centenari e chieda loro: "Cosa potrebbe farvi cambiare idea, e
indurvi a non tagliare alberi cosi' antichi?". La domanda e' un invito a chi
ha in mano la sega a posarla un attimo, per trovare con me opzioni
differenti. I lavoratori potrebbero rendermi palesi i loro ostacoli e i loro
bisogni, io potrei porre alla loro attenzione le preoccupazioni dell'intera
comunita' per quell'area, ecc. Se questo approccio riesce, la pianificazione
risultante dal dialogo molto probabilmente non sara' la prima opzione che
entrambe le parti avevano in mente, ma una nuova via che terra' insieme gli
interessi di tutti.
Dare potere e' l'opposto della manipolazione. Quando usate le "domande
chiave" permettete alle persone di tirar fuori cio' che avevano in testa e
di lavorarci sopra, piuttosto che cercare di stipare le vostre idee nei loro
cervelli.
*
g) Una "domanda chiave" chiede cio' che non si deve chiedere.
Per ogni individuo, gruppo o societa' esistono delle domande tabu'. Una
"domanda chiave" e' spesso una di queste, perche' mette in discussione
strutture, valori e assunti di base su cui l'istanza in questione si regge.
Dunque, pensate a quella fiaba in cui l'imperatore, convinto di indossare
dei meravigliosi abiti, si presenta nudo ad una parata. C'e' un bambino, o
una bambina, che fa la domanda tabu': "Perche' l'imperatore e' senza
vestiti?". Se il piccolo o la piccola fossero stati attivisti politici
avrebbero magari fatto altre domande tabu': "Abbiamo davvero bisogno
dell'imperatore?"; oppure "Come potremmo avere un governo piu' saggio di
questo?".
Ragionare su valori, abitudini, schemi di pensiero e azione, e' essenziale
per il cambiamento. Se riuscite a farlo in maniera non faziosa, senza
suscitare in chi parla con voi imbarazzo o senso di colpa, ma dirigendo le
vostre domande verso il comune futuro, avrete reso un incomparabile servizio
all'istanza di cui vi occupate.
6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: NUOVI ANZIANI E NUOVE ANZIANE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
E' tempo di fare i conti con le legioni di nuovi anziani. Chi sono? Dove
sono diversi dai loro genitori e nonni, se lo sono? E le donne anziane, in
particolare, dove vanno, come si comportano? A queste domande ha cercato di
rispondere una bella ricerca condotta da due sociologhe, Elisabetta Donati e
Pina Madami per conto della Fondazione Asm di Brescia e pubblicata di
recente (Il futuro accettato, ricerca di Elisabetta Donati e Pina Madami,
ed. Fondazione Asm di Brescia).
Nell'introduzione Chiara Saraceno si pone una domanda: "Come chiamare chi ha
tra i 60 e i 70 anni? Giovani anziani?". I loro comportamenti stanno creando
qualche problema a chi si occupa di Welfare perche' sono diametralmente
opposti agli stereotipi secolari sui "vecchi". Quali sono allora le "mappe
mentali" che caratterizzano questi nuovi anziani del tremila?
E' solo a partire dalla fine degli anni settanta e primi ottanta che le
generazioni di sessantenni sperimenta l'eta' dell'anzianita' a livello di
massa. Rispetto alla generazioni passate, meno istruite e meno autonome
economicamente, le generazioni ultime di anziani sono preparate ad accettare
la dipendenza dai familiari e sono meno disponibili a modificare le proprie
abitudini. Sono le prime generazioni anziane ad avere piu' istruzione e ad
essere stati bambini ed adolescenti in una Paese in forte evoluzione
economica e di costume. Hanno assistito a rilevanti trasformazioni quali la
diminuzione delle nascite e l'allungamento della vita.
La riduzione della fecondita', anche per la diffusione degli
anticoncezionali, ha liberato tempo alle donne e cosi' il modello della
doppia presenza ha rappresentato una conquista ed insieme un'enorme fatica a
reggere l'equilibrio senza l'aiuto di adeguati (in Italia) servizi sociali.
Diventa pero' una sorta di risorsa in vecchiaia perche' l'impegno di cura
conferma queste generazioni di donne come anello forte di rapporti
intergenerazionali.
Chi sono, allora, i sessantenni e settantenni?
Si tratta di persone non piu' giovani, ma non ancora vecchie: vengono
definiti post adulti in una fase in cui si porta a compimento la propria
storia lavorativa e si ridisegna la collocazione nella rete parentale.
Persone che, appunto, sono state coinvolte da processi di modernizzazione
che differenzia la loro condizione dalle precedenti. Sono stati esposti a
complessi mutamenti e sono soprattutto portatrici di domande nuove sul
significato dell'invecchiare.
Sono aumentati i pensionati con un'abitazione di proprieta' e pensione
dignitosa; molti aiutano i genitori e i figli. Mediamente sono in buona
salute e praticano la prevenzione.
Ma tra uomini e donne ritornano le differenze.
Quando giungono al pensionamento gli uomini da sempre hanno tempo libero
organizzato, mentre per le donne e' un tempo diverso rispetto alla loro vita
di prima e alle generazioni delle loro mamme. Gli uomini sembrano un po'
quasi rallentare il passo, "sostare incapaci di affrontare il ricambio", e
fanno piu' fatica a mettersi in discussione, mentre le donne sono piu'
curiose.
A questo punto emerge il lato della progettualita'. Nelle passate epoche non
era concepito una periodo di vita aperto alla progettualita' dopo una certa
eta'. E' questa la novita': emerge un bisogno, una tendenza alla
progettualita' futura. Non poche sono le persone che continuano a lavorare,
soprattutto tra gli autonomi.
*
Un segno di questa nuova tendenza lo si verifica nell'atteggiamento rispetto
alla sessualita'.
E' certamente ancora forte la mentalita' che ritiene la vita anziana come
disdicevole per l'intimita' sessuale. Nella ricerca emerge chiaro che questo
genera pero' sofferenza al posto della passiva antica accettazione: "dopo i
60 anni c'e' un bisogno di intimita' insoddisfatto, dovuto sia alla presenza
di modelli culturali che identificano sessualita' e giovinezza che ai ruoli
sessuali rigidamente definiti, che renderebbero gli uomini vittime anche in
tarda eta' di una sorta di 'machismo' e le donne di 'mistica femminile'".
La ricerca bresciana ha messo in evidenza come la dimensione affettiva e
sentimentale e' pero' fonte di generale soddisfazione: si dichiarano
soddisfatti nel 44% dei casi e abbastanza per il 37%, "componendo una
popolazione di persone fra i 60 e i 70 anni diffusamente appagata nel
bisogno di legami intimi".
I desideri non fanno comunque i conti con il persistere degli stereotipi
culturali. Infatti le donne temono soprattutto la reazione maschile e gli
uomini che restano vedovi o divorziano a questa eta' cercano donne piu'
giovani, anche perche' sarebbero terrorizzati dall'idea di provarci con una
della loro eta'.
Scrive Chiara Saraceno nell'introduzione che le donne anziane si rimettono
in coppia meno degli uomini anziani e cio' ha certamente a che fare con il
mito del corpo giovane, non segnato dagli anni "che accompagna in modo un
po' contraddittorio lo spostamento in avanti della soglia dell'eta' anziana:
perche' e' un corpo che non matura, che non e' segnato dal tempo, che non
riconosce debolezze".
La grossa novita' di queste generazioni nuove di donne anziane, e' che e'
venuta un po' meno l'etica della sofferenza e l'oblativita' a tutto campo.
Inoltre sono finalmente soggetti meno predicatori, meno invadenti perche'
sentono, come scrivono le ricercatrici, "di non avere una eredita' certa da
passare e non si sentono di dover sanzionare i comportamenti 'trasgressivi'
dei figli/e (come nel caso di una separazione, divorzio)".
Per concludere sembra terminata l'era antica degli anziani passivi verso il
tempo che inesorabilmente avanza, lasciando emergere bisogni di
progettualita' con un'immagine del futuro come tempo da riempire con
progetti vicini ai propri desideri.
7. LUTTI. VALENTINO PARLATO RICORDA LAURA LOMBARDO RADICE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003. Valentino Parlato, tra i
fondatori del "Manifesto", rivista prima e quotidiano poi, e' uno dei piu'
prestigiosi intellettuali della sinistra italiana]
La notizia della morte di Laura Lombardo Radice, nata nel 1913 a Fiume e
sposatasi nel 1944 con Pietro Ingrao, suscita due pulsioni, convergenti.
La prima e' il dolore per la morte, che e' forte e continua a persistere.
Sappiamo bene che la morte e' il destino dei viventi, tuttavia resta il
senso della perdita.
La seconda pulsione, piu' personale e, quindi, anche piu' aspra e' quella di
conoscere poco, o di aver rimosso, la storia della persona per la cui morte
ci addoloriamo, tanto piu' che quella storia e' - dovrebbe essere - anche
storia nostra.
Ieri mattina, lo confesso, la mia prima reazione alla notizia e' stata
quella di prendere il dizionario enciclopedico della Treccani per leggermi
chi era Giuseppe Lombardo Radice, padre di Laura e anche di Lucio, che ho
conosciuto e frequentato piu' di Laura. Giuseppe Lombardo Radice era un
pedagogista importante, che ebbe grande peso nella riforma Gentile, che (a
mio sommesso parere) nonostante il fascismo del suo autore, e' stata
fondamentale nella formazione degli italiani e anche di quell'antifascismo
che poi si espresse nella Resistenza e nella Repubblica. Quella di Giuseppe
Lombardo Radice era la famiglia formativa di Laura e una famiglia che gia'
nei primi anni '30 si sarebbe incontrata con quella di Adolfo Natoli, padre
di Aldo, e di Fortunato Pintor, uno dei protagonisti della storia della
Treccani. Tre persone, tutte uscite dalla Scuola Normale di Pisa e tutte e
tre fondamentali per la generazione nata tra la seconda meta' degli anni '20
e i primi anni '30. E' un letto di cultura che abbiamo rimosso, ma senza del
quale non saremmo quelli che siamo: come dimenticare che Lucio Lombardo
Radice, nel comitato centrale del Pci, si astenne quando ci fu la radiazione
degli eretici de "il manifesto"?
Laura, che purtroppo ho conosciuto poco e che ho cercato di capire meglio
attraverso i racconti di Pietro, delle figlie e soprattutto dalle lacrime
della nipote Eva, deve aver rappresentato ed espresso questa ricchezza.
Diventata antifascista e comunista in questo brodo di coltura, alieno dal
fanatismo, ma senza limiti all'impegno politico ed esistenziale; Laura
appena ventenne partecipa alla protesta delle donne in via Giulio Cesare,
quella ripresa in Roma citta' aperta, dove la Magnani rappresenta
l'uccisione della Gullacci. Laura e' nata e si e' formata in quel
ricchissimo crogiuolo del '900, che colpevolmente abbiamo rimosso e che, con
poco buon senso, qualcuno condanna. E' questo crogiuolo che ci aiuta a
leggere la vita di Laura. L'eredita' della nonna fiumana, maestra di scuole
elementari, ma impegnata pedagogista e, a suo modo, femminista. Nella nostra
famiglia - mi dicono le figlie - c'e' una sorta di genealogia femminile, di
autonomia femminile, che in Laura si e' manifestato nell'eguale impegno
materno e politico. Laura frequentava la sezione Italia del Pci, ma ha
sempre evitato di essere parlamentare o consigliere comunale; pare che una
volta sola sia stata consigliere di circoscrizione. Ma soprattutto l'impegno
nell'insegnamento: in casa e a scuola. In casa raccontando ai figli non solo
le favole, ma anche pezzi della Divina Commedia o i racconti di Boccaccio o,
ancora, pezzi dei Promessi sposi. E poi nella scuola pubblica. Cominciando,
ai tempi dell'antico precariato, a Chieti e poi alla scuola magistrale
Oriani di Roma. E, sopraggiunta la pensione, insegnante volontaria ai
carcerati di Rebibbia, alcuni dei quali ancora telefonavano.
Mi piacerebbe concludere, scimmiottando Flaubert, "Laura Lombardo Radice
sono io", ma purtroppo non e' cosi' e non per colpa di Laura che fino
all'ultimo ha cercato di dircelo, di farcelo capire. I suoi scritti, le sue
lezioni, la sua partecipazione all'Udi, ma soprattutto il suo essere se
stessa, questo volevano dirci.
Per imparare c'e' sempre tempo e, a pensarci bene, ci sono molte Laure e
Lauri, che abbiamo trascurato. Certo bisogna stare attenti alle novita', ai
cambiamenti strutturali e sovrastrutturali (tanto per rimanere nel
linguaggio canonico), ma questo non e' proprio il momento di dimenticare, e
vorrei aggiungere che dimenticare e' sempre sbagliato. Protestiamo tanto
contro Fukuyama che ha detto che la storia e' finita, ma stiamo commettendo
un errore ancora piu' grosso, quello di cancellare la storia che e' alle
nostre spalle.
Oggi dalle 15 alle 18 la camera ardente al tempietto egizio del cimitero del
Verano. Nello stesso luogo, domani alle 9,30, si svolgeranno i funerali. A
Pietro, Celeste, Bruna, Chiara, Renata, Guido, a tutti i nipoti un grande
abbraccio da noi del "manifesto".
8. LUTTI. LUIGI PINTOR RICORDA LAURA LOMBARDO RADICE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003. Luigi Pintor e' nato nel
1925 a Roma, fratello di Giaime, antifascista, giornalista a "L'Unita'" dal
1946 al 1965, parlamentare, radiato dal PCI nel 1969 ha dato vita al
"Manifesto", dapprima rivista e poi quotidiano su cui ancora scrive. E' uno
straordinario corsivista politico, unisce una prosa giornalistica di
splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento di eccezionale
nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma; Servabo, Bollati
Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La signora Kirchgessner,
Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001;
Politicamente scorretto, Bollati Boringhieri, Torino 2001]
Cara Laura,
io ti ricordo come una sorella maggiore saggia e generosa ed e' con questo
animo che vorrei ora salutarti abbracciando i tuoi figli e Pietro. E' un
ricordo molto antico, il nostro tempo affannato in un mondo ostile lascia
poco spazio all'amicizia e all'affetto. Cosi' abbiamo avuto una esistenza
parallela ma senza l'intimita' della nostra adolescenza e giovinezza. La
morte restituisce intatto questo antico ricordo.
Abitavamo a due passi, in quel quartiere romano familiare, e capitavo a
trovare te, Lucio, Giuseppina con la stessa reverenza che voi mostravate
verso la nostra casa. Intuivo che con voi cresceva un'altra cultura, una
giovane generazione comunista, ma il fascismo e la guerra incombente non
oscuravano la serenita' che comunicavate al bambino qual ero.
Lucio, il mancato appuntamento al tennis con Giaime, la prigionia, i libri
compromettenti gettati nel Tevere, e il conforto della tua tenace presenza.
Poi questa presenza, tenace e riservata, l'ho risentita quando al giornale
di via IV Novembre e altrove si succedevano nel tempo i quattro nomi
femminili e l'ultimo maschile dei vostri figli, che appena conosco ma di cui
mi sento nonno. La memoria e' egocentrica e allora penso anche ai miei figli
nati anche loro in quegli anni in cui pensavamo di cambiare il mondo.
All'amicizia di Giaimetto con Marco, quando leggevano e recitavano Guerra e
Pace.
Forse abbiamo sbagliato a pensare troppo ai massimi sistemi anziche' a
valori piu' elementari e essenziali. Pensieri e parole ora inutili, il
dolore e' silenzio. Ma caro Pietro lasciami dire a bassa voce che non sei
vissuto solo e non resti solo, anche se noi tutti in questo momento non
possiamo nient'altro che abbracciarti.
Luigi
9. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL CIELO SOPRA BAGHDAD
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose
impegnate nella solidarieta' internazionale]
Si possono dire tante cose sull'assurdita' di questa guerra "Colpire e
terrorizzare" (in realta' la prima guerra in Iraq non e' mai finita, e'
continuata fino a oggi come guerra aerea e come embargo), scatenata per
l'impossibilita' da parte dell'amministrazione americana di recedere senza
rimettere in discussione la sua strategia complessiva e il suo primato
mondiale, che non e' solo sete di petrolio. "Colpire e terrorizzare" e' la
tragica dimostrazione di come la leadership che governa gli Stati Uniti ha
interiorizzato e riconosciuto il terrore subito l'11 settembre, al punto da
imitarlo e riprodurlo all'ennesima potenza.
I bagliori luccicanti delle bombe che piovono sui quartieri di Baghdad; le
immagini dei primi marines morti e di quelli catturati e mostrati da
al-Jazeera; la gente che in tutto il mondo manifesta per le strade.
Manifestazioni negative, le ha definite Berlusconi, e infatti lo sono
perche' negano e rinnegano la catastrofe umanitaria che avanza; perche'
vogliono spezzare la catena di dolore, di distruzione, di odio e di morte
che e' iniziata nel 1991 con la prima guerra del Golfo ed e' proseguita
nelle "guerre umanitarie" dei Balcani e in Afghanistan. Mai e' stato cosi'
grande l'isolamento internazionale in cui sono precipitati i signori della
guerra; perche' come ha scritto il "New York Times" (16 febbraio 2003) "Nel
pianeta ormai ci sono due sole superpotenze: gli Stati Uniti e l'opinione
pubblica".
Una guerra contro la Costituzione e contro l'Onu, la cui ragion d'essere
risiede precisamente nella messa al bando della guerra e nel mantenimento
della pace, attraverso un complesso sistema di misure che include un uso
regolato e controllato della forza sotto la costante direzione del Consiglio
di sicurezza.
Una guerra rilegittimata come sistema politico, presentata in nome della
liberta' e della democrazia, negando il sanguinante paradosso: si fa la
guerra per portare la democrazia, ma nel farla non ci si puo' permettere di
essere democratici.
Gli Stati Uniti hanno annunciato una lunga occupazione militare, dopo la
vittoria. I suoi generali si faranno carico di stabilire la democrazia in
Iraq. Come ha scritto Eduardo Galeano (ripreso nel n. 543 di questo foglio):
"Sara' uguale a quella che regalarono a Haiti, alla Repubblica Dominicana o
al Nicaragua? Hanno occupato Haiti per diciannove anni e fondato un potere
militare che sbocco' nella dittatura di Duvalier. Hanno occupato la
Repubblica Dominicana per nove anni, e fondato la dittatura di Trujillo.
Hanno occupato il Nicaragua per ventuno anni e fondato la dittatura della
famiglia Somoza. La dinastia di Somoza, che i marines avevano messo sul
trono, e' durata mezzo secolo, fino a essere cacciata dalla furia popolare
nel 1979. All'epoca il presidente Reagan monto' a cavallo e si lancio' a
salvare il suo paese minacciato dalla rivoluzione sandinista. Povero tra i
poveri, il Nicaragua possedeva in totale cinque ascensori e una scala
mobile, rotta. Ma Reagan denunciava che il Nicaragua era un pericolo, e
mentre parlava la televisione mostrava una mappa degli Stati Uniti che si
tingeva di rosso a partire dal sud, per illustrare l'invasione imminente. Il
presidente Bush gli ha copiato i discorsi per seminare il panico? Bush dice
Iraq dove Reagan diceva Nicaragua?".
Intanto, in queste ore cariche di angoscia e di terrore, mentre il cielo
iracheno sputa morte, facciamo nostre le parole del poeta Mudhfar Al-Nawab:
"Io non so ancora come e' l'alba e il tramonto laggiu'. Io vorrei vedere
ancora il sole splendere in quel paese".
10. INIZIATIVE. QUATTRO SENATORI DENUNCIANO IL MINISTRO MARTINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2003]
Il capogruppo del Prc al senato Luigi Malabarba ha depositato ieri alla
Procura della Repubblica di Roma un esposto contro il ministro della difesa
Antonio Martino, responsabile di aver concesso agli Stati Uniti "l'utilizzo
delle infrastrutture di trasporti (porti, aeroporti, ferrovie, ecc.) per
consentire il transito di uomini e materiali da utilizzare per la guerra
all'Iraq".
Nell'esposto, sottoscritto anche dai senatori Francesco Martone (Verdi),
Piero Di Siena (Ds) e Oskar Peterlini (misto), si ipotizzano i reati di
attentato all'integrita', all'indipendenza e all'unita' dello stato (pena
prevista l'ergastolo) e di attentato contro la Costituzione (da dodici anni
in su') a carico dell'"on. prof. Antonio Martino e degli ulteriori membri
del governo e di altri soggetti, allo stato ignoti, che hanno partecipato".
Esposti simili vengono presentati in questi giorni alle Procure di mezza
Italia da cittadini e organizzazioni aderenti al Social forum europeo.
Secondo i senatori dell'opposizione, le scelte di Martino non si possono
giustificare, come invece il ministro aveva fatto in una lettera alle
commissioni difesa dei due rami delparlamento, "con il generico riferimento
agli obblighi internazionali derivanti all'Italia dall'appartenenza alla
Nato. Non vi e' - si legge nell'esposto - alcuna risoluzione del consiglio
di sicurezza Onu che autorizzi all'uso della forza" e "la mancanza di una
risoluzione Onu non puo' essere superata con il riferimento al trattato
Nato".
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 546 del 25 marzo 2003