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Milano bellissima per un giorno
Articolo di Silvia Arioli - Milano
15/3/2003 ore 14
Per un giorno la Milano che di solito detesto diventa una Milano
bellissima, piena di colori, di gente, di suoni, di occhi, di sorrisi,
piena soprattutto di bandiere di pace. Milano per un giorno ha sostituito
la sua faccia grigia e musona con un fiume coloratissimo e rumoroso di
persone venute da ogni parte d'Italia per dire NO alla guerra. Persone
diverse, con facce uniche, con bandiere e striscioni colorati, alcuni
uguali altri unici, ma tutte li' con uno scopo comune: la pace. Ci sono
tanti bambini, portano striscioni piu' grandi di loro. In effetti, gli
striscioni sono fatti per gli adulti, visto che sono gli adulti a volere la
guerra... Camminando in questa "mia" Milano stravolta e sradicata dal suo
quotidiano, guardando i volti felici degli altri manifestanti e i volti
(soliti) musoni e imbronciati di qualche milanese scocciato di questo
contrattempo che interrompe il suo shopping, ascoltando le parole di pace
di chi ci crede nella bandiera che porta e le parole di chi ha troppo da
fare per stare a pensare a questo genere di cose, o peggio di chi questa
guerra contro i nemici del mondo (leggi anche i nemici degli USA) la
ritiene giusta, e sentendo anche i clacson degli automobilisti infastiditi
perche' bloccati dal corteo che pensano di accelerare la cosa strombettando
dalle loro auto, be' vedendo e ascoltando tutto cio' mi chiedo cosa davvero
sia la pace, da dove nasce questa pace che noi vogliamo. La pace e' davvero
solo un'assenza di guerra? Non credo. In fondo con l'embargo gli USA non
sono gia' in guerra da 10 anni con l'Iraq? La guerra e' gia' scoppiata da
tempo. Ma allora perche' siamo tutti qua a urlare che la guerra non la
vogliamo? Perche' non ci uniamo a urlare che anche l'embargo noi non lo
vogliamo? Cos'e' che cerchiamo davvero di comunicare? Forse che siamo
stufi. Forse davvero siamo stufi che il pirla di turno si permetta di
decidere nel nostro nome cose che noi non approviamo. Prima si brontola col
vicino di casa sulla politica, poi si possono prender due strade: la prima
e' questa, e' dire che noi non ci stiamo piu'. L'altra e' quella di chi
dice "Tanto non serve a niente" e si guarda bene dal fare sentire la sua
voce. Noi che strada abbiamo preso? Io che strada ho preso? Io questa pace
la voglio davvero, e capisco che allora non basta manifestare, gridare,
attaccare adesivi, distribuire volantini. Devo portarla nel mio cuore la
pace. Manifesto davvero la pace che voglio con i colleghi, coi pazienti,
coi vicini di casa, con la mia famiglia? E' nel mio cuore la pace o e' solo
sulle mie labbra? Cosa vuol dire la parola "pace"? Penso che la pace non
sia ne' un concetto ne' una meta, ma un viaggio che si fa giorno dopo
giorno. Rispettare la diversita' di chi ci sta accanto per quanto difficile
sia, e amare chi ci e' accanto nonostante (o forse proprio per questo) la
sua diversita'. Non vuol dire essere sorridenti e accondiscendenti, no, ma
amare e rispettare l'altro. Perche' l'altro puo' essere oggi un paziente
particolarmente difficile, ma domani puo' essere un popolo diverso dal mio.
La mia pace, allora, quella pace che dico di volere, dov'e', solo sulle mie
labbra o anche dentro il mio cuore? Non lo so. Ma so che dentro al mio
cuore ogni giorno c'e' un pezzetto di me che manifesta con le bandiere di
pace...
Drane