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Report quarto seminario. Gestire l'acqua come un bene comune per conquistare la pace



1° Forum alternativo dell'acqua
Firenze 21-22 Marzo 2003

Gestire l'acqua come un bene comune per conquistare la pace
I lavori del quarto seminario del Forum Alternativo dell'Acqua

La pace passa attraverso una gestione dell'acqua intesa come bene comune e
non come merce. Dalla Bolivia a Israele, dalla Turchia all'India, dal
Kurdistan alla Palestina, sono molte le zone del mondo in cui il possesso
della risorsa acqua è causa di guerre e conflitti. Stessi problemi, stesse
soluzioni. Una situazione che si riproduce in modo drammatico e identico in
ogni luogo dove l'acqua è una risorsa scarsa e contesa. Superare la cultura
della mercificazione e della sovranità nazionale per arrivare a una
condivisione delle risorse tra i popoli in lotta, questa la soluzione
proposta dalla maggior parte dei relatori intervenuti al seminario "
L'acqua: ricchezza di culture e fonte di pace" nell'ambito del primo forum
alternativo mondiale dell'acqua in corso a Firenze.

Per Ignacio Ramonet, direttore de Le Monde Diplomatique, esistono tre tipi
di guerre: militare, sociale e ecologica. L'unica visibile al grande
pubblico è la prima, ma bisogna considerare che le altre due, le guerre
invisibili, producono molte più vittime di quella militare. Ogni giorno
muoiono 30.000 persone a causa della dell'acqua contaminata. "La guerra in
Iraq sta provocando lo smantellamento del diritto internazionale e della
verità. Saddam rappresenta una minaccia per il mondo, l'Iraq ha legami con
Al Qaeda e possiede armi di distruzione di massa, queste alcune delle
menzogne che ci racconta il presidente Bush. La guerra ha come obiettivo il
petrolio, ma anche l'acqua. Quest'ultima avrà una grande importanza per
l'organizzazione nell'immediato futuro della regione medio orientale".
Ramonet conclude il suo intervento con parole che pesano come pietre:
"Bombardano perché non hanno argomenti, la violenza è la loro debolezza,
hanno la forza ma non hanno il diritto. Vinceranno, ma non ci
convinceranno".

"Considerare l'acqua una merce, vuol dire andare incontro a conflitti e
guerre". Larbi Bouguerra, tunisino della Fondazione France Libertès
sottolinea le problematiche che emergono da una distribuzione ineguale
delle risorse idriche. "L'acqua è vita ed è sempre stata considerata un
bene essenziale per la cultura umana, basti pensare ai precetti religiosi
sia del cristianesimo sia dell'Islam. Il battesimo è dato con l'acqua e la
religione musulmana non è pensabile senza l'acqua: cinque volte al giorno
prima della preghiera i fedeli si devono purificare attraverso le
abluzioni". C'è un detto islamico, continua Bouguerra,  che recita:
"l'acqua non può essere rifiutata neanche al tuo peggior nemico". Ciò
presuppone di considerare l'acqua un bene essenziale non negoziabile che
può diventare una fonte di pace, ma solo se viene considerata come un bene
comune.

"Considerazioni ideologiche per la non privatizzazione delle risorse
idriche", questo il titolo della relazione di Jonathan Laronne,
dell'università Ben Gurion di Tel Aviv. In Palestina e Israele la
popolazione aumenta più della disponibilità delle risorse idriche e aumenta
anche il consumo procapite rendendo l'acqua una risorsa sempre più scarsa.
"Per gestire in modo efficace e efficiente le risorse idriche è inevitabile
pensare a una gestione comune e pubblica di questo bene essenziale per
entrambi gli stati".

Belal Mustafa, rappresentante palestinese, è molto più critico e polemico
nei confronti della gestione delle risorse idriche da parte di Israele.
"L'80% delle risorse idriche palestinesi viene usato da Israele che ha un
controllo pressoché totale sull'acqua presente nella valle del Giordano:
per scavare nuovi pozzi c'è bisogno dell'autorizzazione dell'esercito
israeliano, la maggior parte degli insediamenti dei coloni sono stati
realizzati proprio in base alla presenza di falde acquifere nella zona. Il
controllo dell'acqua viene utilizzato per indebolire la lotta palestinese.
Per dare un senso della diseguaglianza della situazione basti pensare che
gli israeliani hanno a disposizione 260 litri di acqua al giorno
pro-capite, mentre i palestinesi solo 70, meno degli 80 litri considerati
dal processo di pace di Oslo il loro fabbisogno minino".

Remzi Kartal, rappresentante del congresso nazionale curdo, ritiene il
possesso delle risorse idriche uno dei motivi fondamentali dei conflitti in
Kurdistan. "La Turchia sta cercando, attraverso la costruzione di numerose
dighe, di controllare e gestire l'acqua a scapito delle regioni
medio-orientali. Non solo viene impedito al popolo curdo di usufruire
dell'acqua ma viene anche distrutta la loro storia e la loro cultura a
causa delle evacuazioni e delle deportazioni imposte per la creazione dei
nuovi bacini idrici. La proposta e l'unica possibile soluzione pacifica è
una divisione equa e democratica dell'acqua tra i vari popoli interessati.
L'impegno attivo della società civile può condizionare le scelte politiche
dei governi".

Giorgio Riolo, di Punto Rosso, sostiene che la presenza degli Stati Uniti
in Iraq va ben aldilà della necessità di sconfiggere il regime di Saddam
Hussein. E' una guerra per il petrolio ma anche per l'acqua. Il principio
ispiratore del documento: "Progetto per un nuovo secolo americano", è
legato all'idea degli Stati Uniti come unica potenza mondiale che
presuppone come tappa fondamentale il controllo militare e delle risorse
del Golfo Persico.

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