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[DIRITTO] - Brevi considerazioni sulla seconda guerra del Golfo
Fonte: http://www2.unife.it/forumcostituzionale/contributi/temagiorno.htm#fv
Brevi considerazioni sulla seconda guerra del Golfo
di Filippo Vari *
(12 marzo 2003)
La crisi irachena, con l'incombente epilogo bellico verso il quale e'
indirizzata, appare confermare la lucida analisi contenuta in uno degli
ultimi scritti di Giovanni Motzo, secondo il quale "la sola superpotenza
attiva sulla scena mondiale sembra disfarsi progressivamente dell'apparato
delle Nazioni Unite... e del diritto internazionale" (Quad. cost., 1999).
L'imponente mobilitazione di strumenti bellici realizzata dagli Stati Uniti
d'America e dai loro alleati rende chiaramente visibile come non sia in
realta' il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a gestire la reazione
della comunita' internazionale di fronte a situazioni di crisi, secondo
quanto previsto invece dal capo VII della Carta di San Francisco.
E' bene ricordare come gli USA abbiano piu' volte espresso l'intenzione di
scatenare un conflitto anche in assenza o in contrasto con le
determinazioni del Consiglio di sicurezza, il cui ruolo in questa occasione
- come gia' in passato avvenuto - potrebbe, nella migliore (o peggiore, a
seconda dei punti di vista) delle ipotesi, essere limitato alla mera
approvazione/ratifica dell'assetto determinatosi.
E' evidente, in tale evenienza, l'illegittimita' di un'eventuale guerra,
per contrasto con il divieto di uso o minaccia della forza vigente
nell'ordinamento internazionale.
L'unica eccezione allo stesso, e cioe' la legittima difesa ad un attacco
armato o ad un'aggressione gia' sferrata, non potrebbe essere invocata
dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, diversamente da quanto avvenuto
per l'intervento contro l'Afghanistan.
Ne' l'intervento potrebbe essere giustificato in ragione di un'ipotetica
legittima difesa preventiva, giacche' l'accoglimento di una tale
giustificazione finirebbe in sostanza per vanificare il divieto di uso
della forza nell'ordinamento internazionale. Nella fattispecie in esame,
oltretutto, considerate le 'non inconfutabili' ne' tanto meno
incontrovertibili prove fornite dagli Stati Uniti e dagli ispettori in
ordine alle attivita' terroristiche e belliche non convenzionali irachene,
si tratterebbe di una legittima difesa "putativa".
Il discorso cambia, invece, qualora il Consiglio di sicurezza decidesse di
autorizzare l'intervento militare, la cui legittimita' sul piano del
diritto internazionale sarebbe piu' difficilmente contestabile.
In tale ipotesi si potrebbero semmai muovere delle obiezioni sulla delega
che il Consiglio conferirebbe ai singoli Stati per la gestione della crisi,
dal momento che il capo VII della Carta ONU prevede, invece, che le azioni
siano svolte e guidate direttamente dallo stesso. Cosi' come andrebbe
tenuto presente che l'azione bellica non potrebbe eccedere il limite della
necessaria proporzionalita' rispetto al fine di rimuovere la causa per la
quale essa e' stata decisa, e cioe' la distruzione dell'arsenale non
convenzionale iracheno e il rispetto delle Risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza sul disarmo.
Va, comunque, evidenziata la pericolosita' del principio che si
affermerebbe con l'avallo dell'ONU a una guerra contro l'Iraq nelle attuali
concrete circostanze.
In ipotesi, il Consiglio di sicurezza potrebbe decidere di seguire
un'analoga impostazione, ad es., anche nei riguardi della Corea del Nord, a
causa del programma di riarmo recentemente intrapreso, con conseguenze
facilmente immaginabili per il futuro dell'umanita'. Come si e' evidenziato
di recente, la prospettiva e', infatti, quella di un (dis)ordine mondiale
finalizzato alla ricerca di "una pace perpetua che si raggiunge mediante
una guerra che rischia a sua volta di essere perpetua".
Se questa e' la situazione per cio' che concerne il diritto internazionale,
parzialmente diverso e' il discorso con riferimento all'ordinamento
costituzionale italiano che, sotto il profilo in esame, appare ispirato a
un rifiuto della guerra ancor piu' radicale del primo.
Come noto, per valutare l'ammissibilita' di un eventuale intervento
italiano e' necessario prendere le mosse dall'art. 11 Cost. che, ripudiando
"la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", preclude
all'Italia l'intrapresa di qualsiasi guerra che non sia - anche ai sensi di
quanto previsto dall'art. 52 Cost. e alla luce degli impegni di reciproca
tutela assunti dall'Italia con altri Stati (come ad es. quelli derivanti
dal Trattato NATO) - di legittima difesa.
Come in precedenza evidenziato, la legittima difesa nel caso in esame non
e' invocabile: ne discende, anche alla luce degli artt. 10 e 117 primo
comma Cost., l'illegittimita' di un'eventuale partecipazione italiana ad
operazioni belliche non autorizzate dall'ONU.
Ne' il quadro appare destinato a mutare in caso di placet del Consiglio di
Sicurezza all'azione.
Per giustificare il conflitto non si puo', infatti, far riferimento alla
seconda parte dell'art 11 Cost., che "consente, in condizioni di parita'
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni".
A parte i noti profili legati ai limiti che tale partecipazione incontra,
anche secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, e' la seconda
parte dell'art. 11 Cost. (e cioe' la partecipazione alle organizzazioni
internazionali) a dover essere letta alla luce della prima e del principio
ivi espresso del ripudio della guerra, e non il contrario, pena la
sostanziale vanificazione del principio stesso, considerata anche l'assenza
nell'ordinamento internazionale di un'autorita' imparziale che valuti la
fondatezza delle ragioni dei contendenti e, dunque, il reale perseguimento
di fini di pace e giustizia tra le Nazioni. In altre parole, la ratio
dell'art. 11 Cost. sembrerebbe quella di bollare come ingiusta qualsiasi
guerra che non sia di legittima difesa, anche qualora essa costituisca lo
strumento per affermare certi diritti, sulla base della presunzione,
confermata piu' volte dalla storia, che la pace non si costruisce mediante
la guerra.
In ragione di un tale quadro normativo, un'eventuale partecipazione
dell'Italia alle azioni belliche nei confronti dell'Iraq non potrebbe
essere in alcun modo giustificata e si porrebbe, pertanto, in insanabile
contrasto con il disposto costituzionale.
Ne' si potrebbe sostenere, cosi' come avvenuto anche in altre occasioni,
che si tratterebbe non di una guerra, bensi' di un'operazione di polizia
internazionale. Quest'ultima e', infatti, una locuzione che, analogamente a
quella di intervento umanitario, ricomprende un ampio ventaglio di
fattispecie che vanno dall'istituzione di aree protette e di corridoi
umanitari, come in Bosnia, ad operazioni di tipo propriamente bellico, come
avvenuto per la "crisi del Kosovo".
Nella prospettiva dell'art. 11 Cost., il tentativo di valorizzare le
ragioni che possono portare ad un intervento di tipo bellico contro uno
Stato, e cioe', in sostanza, la tutela dei "diritti umani" di un certo
gruppo di persone, appare irrilevante, dal momento che, nella valutazione
della natura bellica degli accadimenti, operata dalla norma in esame, sono
decisivi non le cause proclamate della missione, bensi' gli strumenti cui
si ricorre per perseguire le finalita' della stessa.
Alla luce di quanto detto, non appare nemmeno legittima la concessione
della basi per un attacco militare nei confronti dell'Iraq. Secondo le
regole del diritto internazionale, lo Stato che mette a disposizione il
proprio territorio per un atto di aggressione assume, infatti, la stessa
responsabilita' dello Stato aggressore.
Non vi sarebbero ostacoli, invece, a una partecipazione italiana limitata
ad aspetti prettamente (questi si') umanitari, quali ad esempio la
costruzione di campi di accoglienza per i profughi o di strutture ospedaliere.
* Ricercatore in Diritto costituzionale presso la Facolta' di
Giurisprudenza dell'Universita' degli Studi di Bari - filvari@tin.it