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La nonviolenza e' in cammino. 534



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 534 del 13 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Una canzone per Marianella Garcia. Nel ventesimo anniversario della morte
2. Campagna Nord-Sud: Contro la guerra, cambia la vita (un appello del 1991)
3. Pierre Carniti, Luigi Ciotti, Margherita Hack, Pietro ingrao: la nostra
solidareta'
4. Giuliana Sgrena, i bambini di Baghdad
5. Norberto Bobbio, non uccidere
6. Johan Galtung, alcuni criteri della lotta gandhiana
7. Ida Dominijanni, ritorno alle origini
8. Angela Giuffrida, sul "naturale" pacifismo delle donne
9. Ausilia Riggi, la pace seme di liberta'
10. Wanda Tommasi, l'esercizio del pensiero in Hannah Arendt e Simone Weil
11. Elisabetta Marano, aggiornamenti nel sito della "Libreria delle donne"
di Milano
12. Letture: Giulio Girardi, Resistenza e alternativa
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. UNA CANZONE PER MARIANELLA GARCIA. NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO
DELLA MORTE
[Questa canzone su un modulo tradizionale e' stata raccolta e
frettolosamente trascritta durante un viaggio dal nostro collaboratore
Benito D'Ippolito. Marianella Garcia, nata nel 1949, attivista per i diritti
umani salvadoregna, collaboratrice di monsignor Romero, amica della
nonviolenza, "avvocato dei poveri, compagna degli oppressi, voce degli
scomparsi", fu assassinata il 13 marzo del 1983 dai soldati del regime. La
sua vita e' narrata nel bel libro (ampiamente basato sulla registrazione di
conversazioni con lei svoltesi nel 1981 e nel 1982) di Raniero La Valle e
Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983]

Ay Marianella, Marianella Garcia
potevi fare la vita dei signori
i tuoi buoni studi, il tuo seggio in parlamento
ma tu scegliesti di stare con noi poveri.
Ay Marianella che pioggia di sangue.

Era Marianella sorella di noi morti
perche' amava la vita e che la vita
fosse degna di essere vissuta.
Ay Marianella si spensero le stelle.

Era intrepida e vestita di umilta'
sapeva che i fascisti la cercavano
e ti raggiunse la furia dei fascisti.
Ay Marianella la furia dei fascisti.

Parlava la lingua dei contadini e degli angeli
sapeva le parole che guariscono
parole di luce e di pane.
Ay Marianella la terra nera e rossa.

Sapeva tutte le cose e anche le cose
che tutti sanno e e' difficile dire
e lei le diceva con voce di uccellino.
Ay Marianella che fredda e' la notte.

Ti ammazzarono come hanno ammazzato
i morti che cercavi e che il tuo sguardo
resuscitava nel cuore del popolo.
Ay Marianella che pianto infinito.

Cosi' dura e' la nostra dura vita
che anche nella gioia noi piangiamo
ma mentre ti piangiamo ricordiamo
con gioia che sei stata e resti viva.
Ay Marianella, Marianella Garcia.

2. MATERIALI. CAMPAGNA NORD-SUD: CONTRO LA GUERRA, CAMBIA LA VITA (UN
APPELLO DEL 1991)
[Riproponiamo il testo dell'appello diffuso il 18 gennaio 1991 dalla
"Campagna Nord-Sud: Biosfera-Sopravvivenza dei popoli-Debito"]
Contro la guerra: cambia la vita.
Tra le cose che tutti possono fare, segnaliamo in particolare:
- sottrarsi personalmente alla guerra, negarle il proprio sostegno,
manifestare la propria opposizione (obiezione di coscienza, rifiuto di
pagare con le tasse le spese militari, scrivere ai giornali, telefonare alle
radio, telefonare o scrivere il proprio punto di vista ai rappresentanti
politici, portare e diffondere adesivi e manifesti contro la guerra, etc.);
- non farsi accecare dalla propaganda della TV, della stampa, dei discorsi
ufficiali, e mantenere la propria diffidenza critica verso chi esalta
(implicitamente o esplicitamente) la potenza di questa guerra tecnologica
apparentemente senza vittime umane, verso chi tace o deforma la realta'
delle donne e degli uomini coinvolti, verso chi propina stereotipi sulla
vita, sui costumi, sulla fede dei popoli toccati da essa; e contribuire
cosi' a spezzare l'appiattimento amici/nemici; protestare contro le tante
volgari manifestazioni di "tifo" e di disinformazione dei media; evitare l'
inquinamento mentale da televisione;
- approfondire, anche nella vita quotidiana, la nostra conoscenza sui
problemi dell'area coinvolta e delle persone legate ad essa (cultura
islamica, conflitto israelo-palestinese, mondo arabo, problema curdo, etc.)
ed intensificare i rapporti e l'amicizia con chi da noi li vive direttamente
(immigrati, studenti, etc.);
- ridurre e modificare i nostri consumi e comportamenti quotidiani che ci
rendono complici diretti di un sistema che esige la guerra per continuare a
rifornirci - a spese della natura e di altri popoli - di energia, materie
prime, alimenti (e quindi contenere i nostri consumi di benzina, trasporti,
riscaldamento, sprechi di ogni genere; ed adottare comportamenti piu'
compatibili con i limiti naturali e con la giustizia tra i popoli);
- diminuire la nostra dipendenza (materiale e culturale) da tecnologie che
ci fanno diventare appendici sempre meno autonome di grandi meccanismi
predeterminati dall'industria, dalla finanza, dagli stati;
- rifiutare di considerare la democrazia (bene importantissimo)
automaticamente identica al modello di rappresentanza e di organizzazione
politica attualmente vigente nei nostri paesi;
- sviluppare e intensificare la comunicazione, le manifestazioni di
solidarieta', di compartecipazione, di cura reciproca, di attivazione di
risorse umane, di memoria popolare che in "tempi di guerra" possono far
recuperare qualcosa che e' andato distrutto nell'anonimato e nel
produttivismo della vita quotidiana attuale.

3. APPELLI. PIERRE CARNITI, LUIGI CIOTTI, MARGHERITA HACK, PIETRO INGRAO: LA
NOSTRA SOLIDARIETA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 marzo 2003. Pierre Carniti e' stato
uno dei piu' importanti dirigenti del movimento sindacale; don Luigi Ciotti
e' il fondatore del Gruppo Abele; Margherita Hack e' una prestigiosa
scienziata; Pietro Ingrao e' una delle voci piu' autorevoli dell'impegno
civile]
E' questa la nostra solidarieta'.
Il volto della guerra al quale siamo tristemente abituati e' quello delle
vittime, dei profughi che fuggono, dei bambini e delle donne indifese, della
popolazione che improvvisamente si ritrova senza un tetto, senza cibo, senza
protezione. E' il volto dell'ingiustizia e della sofferenza. E' cio' che in
tanti anni di interventi militari e di embargo, hanno conosciuto le
popolazioni irachene: 5 milioni di persone vivono oggi nell'insicurezza
alimentare e il 25% dei bambini e' denutrito.
E' questa la situazione dell'Iraq. Una nuova guerra rendera' la condizione
della popolazione drammatica.
La guerra colpisce sempre loro, le popolazioni innocenti, che come in ogni
guerra pagano il prezzo della follia delle armi e della sopraffazione. E'
per questo che diciamo no alla guerra, comunque e sempre. E' per questo che
insieme ci mobilitiamo per la pace e per la solidarieta'.
Lanciamo un invito: sosteniamo le organizzazioni umanitarie che
riconoscendosi nella manifestazione pacifista del 15 febbraio e nel Forum
sociale europeo e autonomamente dal governo italiano si mobilitano a
sostegno delle popolazioni irachene. Un aiuto ad organizzazioni impegnate a
ricostruire scuole ed ospedali, a nutrire e curare i bambini ammalati, a
potabilizzare le acque inquinate, per inviare cibo alla popolazione
denutrita, a soccorrere i profughi.
Sosteniamo il "tavolo di solidarieta' con le popolazioni irachene" che le
raccoglie e le coordina e invitiamo i cittadini italiani ad aiutare le
organizzazioni e i loro interventi nel territorio iracheno.
Ogni persona salvata, ogni aiuto mandato, ogni scuola ricostruita, ogni
ospedale funzionante e' la speranza di un domani migliore, di una dignita'
finalmente rispettata, di un futuro che abbia altre radici: quelle dei
diritti umani, della pace, della vita.

4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: I BAMBINI DI BAGHDAD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 marzo 2003. Giuliana Sgrena, inviata a
Baghdad, e' una delle principali esperte di questioni internazionali]
Corsie piene di ragazzi esangui abbandonati impotenti sul letto per la
trasfusione, indispensabile per far fronte a una malattia, la thalassemia,
che colpisce molti iracheni e che negli ultimi anni ha registrato un forte
aumento in Iraq.
"Ogni settimana registriamo 2-3 nuovi casi", dice la dottoressa Shema Khedar
al-Jelad, che dirige il centro per la cura della thalassemia che si trova
presso l'ospedale pediatrico Ibn al-Biladi, una grande costruzione bassa
alla periferia settentrionale di Baghdad.
Sono soprattutto bambini e ragazzi a frequentare il centro piu' importante
per la cura di quella malattia genetica che piu' comunemente si definisce
anemia mediterranea. "Sono soprattutto ragazzi perche' qui, con gli scarsi
mezzi a disposizione e la mancanza di sangue, difficilmente i pazienti
affetti da questa malattia raggiungono i 18 anni", dice la dottoressa Khan
al-Rashid. "I malati hanno bisogno di una trasfusione ogni 2-3 settimane, ma
sono 1.700 i malati che vengono qui ogni giorno da tutto l'Iraq per essere
assistiti, naturalmente non vengono ricoverati, ma vengono loro garantite le
cure con una sorta di day-hospital", spiega la dottoressa.
La presenza di personale femminile e' molto alta nell'Ibn al-Biladi, come in
tutti gli ospedali pediatrici, sottolinea una di loro. Ma molte altre
donne - dottoresse e infermiere - non vengono piu' al lavoro: lo stipendio
copre appena i costi del trasporto, ci spiegano. Incontriamo diverse
ragazzine dei corsi per infermiera, sono tutte velate contrariamente alle
dottoresse vestite all'occidentale.
A causa dell'embargo, manca il sangue per le trasfusioni, scarseggiano le
medicine e difficile e' l'accesso ai nuovi testi per l'aggiornamento
scientifico. Shema Khedar ricorda quando, un paio di anni fa, presso
l'ospedale si era tenuto un seminario con la partecipazione di esperti
italiani di thalassemia e loro avevano potuto fotocopiare testi importanti
per l'aggiornamento.
Inoltre l'embargo impedisce la prevenzione con i test per individuare la
malattia nel feto, spiega Shema Khedar, quando vi e' ancora la possibilita'
dell'aborto terapeutico, l'unico ammesso in Iraq. Il centro per la cura
dell'anemia mediterranea e della leucemia occupa solo un'ala dell'ospedale
costruito nel 1983, che dispone in totale di 312 letti. A parte un reparto
maternita', tutti i ricoverati sono bambini al di sotto dei 14 anni. Dal
1990, ricorda il direttore dell'ospedale Ali Jumaili, "abbiamo registrato
una ripresa di malattie come la meningite, la polio e la malaria, oltre ad
un aumento di malattie congenite e malformazioni - e ci mostra una serie di
fotografie scioccanti - e ancora diarrea, asma".
E poi la malnutrizione, denunciata ripetutamente in questi giorni anche
dall'Unicef. "La malnutrizione e' aumentata drammaticamente dopo la guerra
del Golfo del 1991, in parte per la distruzione delle infrastrutture e la
scarsa possibilita' di utilizzo delle risorse e in parte per le sanzioni
internazionali che hanno drasticamente ridotto il potere d'acquisto delle
famiglie e anche il consumo di proteine (mancanza di carne nella dieta).
Questo spiega perche' il 60% delle donne irachene soffre mancanza di ferro,
la conseguenza si manifesta nella nascita di bambini sottopeso", sostiene
l'Unicef.
"Oggi un quarto dei bambini iracheni nascono sottopeso, e un numero simile
di bambini sotto i cinque anni (circa un milione) sono malnutriti", ha detto
ieri in una conferenza stampa il rappresentante dell'Unicef per l'Iraq,
"questa situazione e' gia' abbastanza preoccupante. Ma la guerra comporta
spostamenti di persone, interruzione di rifornimenti di cibo e acqua,
scoppio di malattie. Combinati, questi elementi avranno pesanti
ripercussioni su una popolazione di bambini che gia' lotta per la
sopravvivenza". E meta' dei 24,5 milioni di iracheni sono bambini.
L'Unicef in questi giorni ha fatto arrivare in Iraq 1.000 tonnellate
metriche di biscotti ad alto contenuto proteico, che dovrebbero essere
distribuiti a circa 400.000 bambini malnutriti. L'agenzia dell'Onu ha anche
fornito latte terapeutico per circa 10.000 bambini, come parte della
campagna avviata dall'Unicef in vista di un possibile conflitto
 "Noi speriamo ancora in una soluzione pacifica della crisi", ha detto la
direttrice esecutiva Carol Bellamy. "Ma e' un fatto che i bambini iracheni
sono estremamente vulnerabili. La loro salute, nutrizione, accesso all'acqua
sara' ulteriormente deteriorata con la guerra. Agendo per raggiungerli ora,
speriamo di salvare le loro vite nelle prossime settimane e mesi". La
situazione si fa particolarmente drammatica alla vigilia di una nuova
guerra, che anche in questo caso colpira' soprattutto i bambini. "I bambini
sono i piu' vulnerabili, fisicamente ed emotivamente. Qualsiasi cosa
pensiamo della guerra, dobbiamo riconoscere questo fatto. E' una verita'
dimostrata in questa regione cosi' come in Afghanistan, Sudan, Colombia, e
decine di altri paesi in conflitto. La vera questione e' cosa facciamo per
proteggere i bambini in tempo di guerra", ha concluso Carol Bellamy.

5. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: NON UCCIDERE
[Il testo seguente, che nuovamente riproponiamo, e' quello del discorso
pronunciato a conclusione del dibattito sull'omonimo film di Claude
Autant-Lara (Torino, 4 dicembre 1961), pubblicato in "Resistenza", XV, n.
12, dicembre 1961, p. 4; successivamente ristampato in Norberto Bobbio, Il
terzo assente, Edizioni Sonda, Milano-Torino 1989, pp. 139-142. Norberto
Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della politica e
del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei
diritti umani, della pace. E' uno dei piu' prestigiosi intellettuali
italiani viventi. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si
intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di
questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute,
Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi
libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte
dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno
Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti
presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il
futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta';
tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi.
Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino,
varie ristampe; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?,
Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A
nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura,
Einaudi; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Teoria generale del
diritto, Giappichelli. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico
Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero
Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della
pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli,
Roma 2000]
Mi propongo di chiarire il significato storico e il significato attuale
dell'obiezione di coscienza. Parto dalla definizione piu' generale:
l'obiettore di coscienza e' colui che rifiuta incondizionatamente la guerra.
Si badi: incondizionatamente, cioe' senza condizioni. In altre parole: e'
colui che non accetta nessuno dei tentativi che sono stati fatti per
giustificare la guerra.
Si dira': nulla di nuovo. Tutti condannano la guerra. La condannano, ma la
fanno. E poi, e' vero che tutti condannano la guerra? Siamo proprio sicuri
di essere tutti d'accordo che la guerra e' cosa da condannarsi
incondizionatamente?
Guardiamo la storia, la storia della nostra civilta' cristiana,
illuministica, umanitaria. Abbiamo sempre giustificato la guerra. Moralisti,
filosofi, teologi sono andati a gara a escogitare teorie per giustificare la
guerra. E la guerra, sinora, c'e' sempre stata. Noi l'abbiamo giustificata
proprio perche' c'e' sempre stata. E, del resto, come e' possibile resistere
alla tentazione di dare una giustificazione di quello che e' un elemento
costitutivo, essenziale, della nostra storia? Poiche' parte della storia e'
storia di guerre, se noi non riuscissimo a giustificare la guerra, la storia
ci apparirebbe o come un immenso errore o come una assurda follia. Per non
dover credere che la storia umana sia una storia sbagliata o assurda,
filosofi, moralisti e teologi hanno dovuto giustificare la guerra.
E' stata giustificata in tanti modi. Ne indico quattro.
Anzitutto con la distinzione, accolta per alcuni secoli dalla teoria del
diritto internazione, tra guerre giuste e ingiuste. Si dice: non tutte le
guerre sono uguali; vi e' guerra e guerra. Alcune guerre sono un male, altre
non lo sono. Sono un male, per esempio, soltanto le guerre di conquista, non
le guerre di difesa.
Seconda giustificazione: la guerra e' un male minore. Tutte le guerre sono
un male, ma vi possono essere malanni peggiori della guerra, la perdita
della liberta', dell'onore nazionale, della fede avita. Qui siamo di fronte
a un conflitto di valori. La guerra rappresenta solo la negazione di un
valore, quello della pace. Ma la pace e' il valore supremo? Non vi sono
altri valori piu' alti della pace? La liberta', la giustizia, l'onore, la
religione?
Terza giustificazione: la guerra e' un male (non si dice se maggiore o
minore, e non si fa piu' un confronto con qualche altro valore) ed e' un
male necessario. Necessario perche' senza guerra non c'e' progresso, non
c'e' sviluppo storico. La storia procede per affermazioni e negazioni: se
non ci fosse la negazione, non ci sarebbe neppure l'affermazione. E' la
concezione dialettica della storia, oppure la concezione della guerra come
molla del progresso. Il pacifista Kant aveva fatto l'elogio dell'antagonismo
e della guerra. Chi volesse raccogliere un bel florilegio di elogi della
guerra come momento necessario dello sviluppo storico, non avrebbe che
l'imbarazzo della scelta.
Quarta giustificazione: la guerra non e' ne' un bene ne' un male. E' un
fatto. Essendo un fatto, e' quello che e'. Non si discute: lo si accetta. Fa
parte del nostro destino o se volete, del disegno della provvidenza. Anche
Croce si inchinava alla tremenda maesta' della guerra, e l'immanentista
Gentile la chiamava "dramma divino". Se la guerra e' inevitabile, non
possiamo far nulla contro di essa. Magari non provocarla, ma quando scoppia
per ragioni imprevedibili e insondabili, bisogna fare il proprio dovere.
Riflettiamo su questa frase: fare il proprio dovere. Fare il proprio dovere
significa in questo contesto accettare il proprio destino, accettare la
condanna di essere uomini.
Ho voluto soffermarmi brevemente sulle principali ideologie della guerra,
perche' solo cosi' entriamo nel vivo del problema agitato dagli obiettori di
coscienza. In termini generali, si puo' dire che l'obiettore di coscienza e'
colui che non accetta in principio nessuna di queste, e di altre possibili
giustificazioni. L'obiettore di coscienza e' colui che, affermando che la
guerra e' violenza e che la violenza e' un male assoluto, conclude che la
guerra e' un male assoluto.
Primo: per l'obiettore non vi sono guerre giuste e ingiuste. E la guerra di
difesa? Anche la guerra di difesa e' violenza. E poi chi ha il diritto di
distinguere la guerra di offesa da quella di difesa? Esiste nella storia dei
rapporti tra gli stati l'innocente? Chi e' stato il primo colpevole? Chi
sara' l'ultimo innocente? O non e' forse vero che la ferrea catena di
guerre, in cui consiste la nostra storia, ci rende impossibile risalire alla
prima radice del male? E allora non bisogna spezzare questa catena? Ma per
spezzarla occorre pure che qualcuno cominci. L'obiettore di coscienza e'
colui che dice: comincio io, e accada quel che deve accadere.
Secondo: la guerra non e' un male minore; e' puramente e semplicemente un
male. Non bisogna fare il male, ecco tutto. E poi non e' il male minore,
perche' tutti i mali si generano dalla violenza. E non vi e' bene che possa
essere barattato con la perdita della pace, perche' la pace e' la condizione
stessa del fiorire di tutti gli altri valori.
Terzo: la guerra non e' un male necessario. Puo' ben darsi che, dopo la
guerra, la storia umana faccia un passo innanzi. Ma quanti ne ha fatti
indietro per causa della guerra? Tanto orrenda e' la situazione di guerra,
che, tornata la pace, ci sembra di aver fatto un passo innanzi. Ma come
possiamo sapere quale sarebbe stato il destino dell'uomo se non ci fossero
state guerre? Come possiamo saperlo se le guerre ci sono sempre state? Come
possiamo paragonare il progresso storico attraverso le guerre col progresso
storico attraverso la pace, se sino ad ora l'umanita' ha conosciuto soltanto
il primo e non anche il secondo di questi due corsi?
Quarto: la guerra non e' un fatto inevitabile. Dipende da noi, dalle nostre
passioni che possiamo reprimere, dai nostri interessi che possiamo
conciliare, dai nostri istinti che dobbiamo correggere e frenare. Se abbiamo
saputo eliminare le guerre tra individui, tra comuni, perche' dovrebbe
continuare a sussistere la guerra tra gli stati? Perche', dal semplice fatto
che un evento e' sempre stato, dobbiamo dedurne che sempre sara'? Dov'e'
scritto e chi l'ha scritto?
Ho voluto riassumere brevemente (e imperfettamente) alcuni eterni motivi
dell'obiezione di coscienza, perche' oggi ci troviamo di fronte a una
situazione nuova, a una vera e propria svolta della storia umana, di fronte
alla quale l'obiezione di coscienza, il dir di no alla guerra, assume un
significato piu' attuale, piu' vasto, piu' universale. La situazione nuova
e' quella che e' determinata dalla corsa spaventosa verso gli armamenti
atomici. La situazione e' nuova, perche' per la prima volta nella storia la
guerra totale puo' portare all'annientamento della vita sulla terra, cioe'
della storia stessa dell'uomo.  Ci vuole un certo sforzo d'immaginazione per
comprendere che questo puo' accadere: ma questo sforzo dobbiamo farlo.
Di fronte all'evento possibile della distruzione della storia, ogni
giustificazione della guerra diventa impossibile. Siamo in una condizione in
cui non possiamo piu' accettare la guerra. Il che significa che siamo
diventati, che dobbiamo diventare tutti quanti potenzialmente obiettori di
coscienza. L'alternativa e' questa: o l'obiezione di coscienza, nel senso di
impossibilita' morale di accettare la guerra, o la possibile distruzione del
genere umano. Se vi paiono un po' troppo apocalittiche queste mie
considerazioni, vi invito a ragionarvi su.
Primo: di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono piu' guerre
giuste o ingiuste; una guerra, qualunque essa sia, che puo' provocare la
scomparsa della vita sulla terra, e' ingiusta.
Secondo: e' semplicemente stolto considerare la guerra, che puo' avere una
simile conseguenza, come un male minore: non ci sono alternative possibili.
Di fronte alle guerre del passato puo' avere ancora un senso parlare di
alternativa tra la pace e la liberta', tra la pace e la giustizia, tra la
pace e l'onore. Ma di fronte alla guerra atomica, quale alternativa potrebbe
ancora concepirsi? O la liberta' o il suicidio universale? Chi beneficerebbe
di questa liberta'?
Terzo: la guerra non puo' piu' essere considerata come un male necessario,
come uno strumento di bene. Quale bene, se dopo non c'e' piu' nulla? La
guerra atomica non e' un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma un
fine, anzi, meglio, e' la fine.
Quarto: la guerra non puo' piu' essere considerata come un fatto
inevitabile, a meno che si accetti come fatto inevitabile (badate,
inevitabile), l'autodistruzione dell'uomo.
Forse qualcuno potrebbe considerare che con questa considerazione io sia
andato fuori tema. Ma riflettiamo: obiezione di coscienza significa rifiuto
di portare armi. Ora quando nel concetto di arma rientra una bomba che, come
si legge nei giornali, ha da sola il potere esplosivo di meta' di tutte le
bombe gettate nell'ultima guerra, mi domando se il portar armi non sia
diventato un problema di coscienza non solo per l'obiettore che protesta in
nome della sua fede religiosa, ma per ciascuno di noi, in nome
dell'umanita'. Obiezione di coscienza significa letteralmente quella
situazione in cui la nostra coscienza ci vieta col suo imperativo di
compiere un'ingiustizia. Se interroghiamo la nostra coscienza, non possiamo
piu' rifiutarci di riconoscere che oggi - questa e' dunque la conclusione
cui volevo giungere - siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori.

6. MATERIALI. JOHAN GALTUNG: ALCUNI CRITERI DELLA LOTTA GANDHIANA
[Dal libro di Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1987, riproponiamo questa scheda su "Le regole del comportamento
conflittuale secondo Gandhi" (li' alle pp. 120-121, e commentata
dettagliatamente - e criticamente - nelle pagine successive). Johan Galtung,
nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di
ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello
mondiale il piu' noto studioso di peace research. Segnaliamo una volta di
piu' che quella che segue e' semplicemente una interpretazione, certamente
qualificata, di un aspetto della riflessione gandhiana, ma che essa non e'
esaustiva e soprattutto che altre interpretazioni sono possibili e sono
state date da altrettanto qualificati studiosi a partire da punti di vista
diversi e con formulazioni anche sensibilmente diverse da quelle di cui fa
uso Galtung qui. Del resto lo stesso Galtung, immediatamente dopo aver
proposto questo schema, scrive (p. 122 dell'edizione citata): "Tutto questo
non va inteso, naturalmente, in maniera rigidamente definitoria. Molto
lavoro sarebbe necessario per approfondire le implicazioni di un tale
sistema di norme. Possiamo sempre imparare moltissime cose da Gandhi, non
pero' se lo accettiamo senza spirito critico. C'e' la famosa affermazione in
cui Gandhi dice di non essere egli stesso un  vero gandhiano, e, in molti
altri scritti, egli sottolinea di essere ancora in crescita e afferma che
continuera' a crescere anche dopo la morte, cercando la Verita' e l'Amore".
Quanto al modo sommario e precettistico con cui ha sintetizzato queste
"regole del comportamento conflittuale secondo Gandhi", Galtung aggiunge (p.
122, di seguito): "Una parola sul metodo che e' stato usato. Senza dubbio e'
frammentario: riduce a pezzi Gandhi, cercando di presentarlo come un
catalogo, come un insieme di direttive. Ma a questa obiezione puo' essere
ribattuto che egli stesso lo ha fatto molto spesso; amava realmente emettere
regole e direttive. La questione e' piuttosto fino a che limite questa
interpretazione sia corretta, e il lettore trovera' che le formulazioni -
necessariamente concise, poiche' sono formulazioni di norme, non brevi
trattati - non riflettono la ricchezza delle espressioni di Gandhi. Esse
sono quindi da considerarsi solamente delle approssimazioni e del resto
sarebbe piu' opportuno cercare di cogliere lo spirito delle indicazioni
gandhiane che non esigere l'esattezza della formulazione linguistica".
"D'altra parte - conclude Galtung -, potrebbe essere vantaggioso per le
persone in conflitto - cio' significa per tutti noi in qualsiasi momento,
anche se non necessariamente ne siamo coscienti - verificare il proprio
comportamento, sia interiore che esteriore, in base a queste norme"].
1. I fini e il conflitto
Regola 1.1. Nei conflitti agisci
- Agisci subito
- Agisci qui
- Agisci per il tuo gruppo
- Agisci per identificazione
- Agisci per convinzione
Regola 1.2. Delimita bene il conflitto
- Definisci i tuoi fini chiaramente
- Cerca di capire i fini del tuo avversario
- Metti in evidenza i fini comuni e compatibili
- Descrivi i fatti rilevanti del conflitto in modo obiettivo
Regola 1.3. Adotta un approccio positivo al conflitto
- Dai al conflitto un'accentuazione positiva
- Considera il conflitto come occasione per incontrare l'avversario
- Considera il conflitto come occasione per trasformare la societa'
- Considera il conflitto come occasione per trasformare te stesso
*
2. La lotta conflittuale
Regola 2.1. Agisci in modo nonviolento nei conflitti
- Non offendere o ferire con azioni
- Non offendere o ferire con parole
- Non offendere o ferire con pensieri
- Non danneggiare le proprieta' dell'avversario
- Preferisci la violenza alla codardia
- Fai del bene anche a chi fa il male
Regola 2.2. Agisci in maniera conforme al fine
- Includi sempre un elemento costruttivo
- Usa forme di lotta che ne rivelino il fine
- Agisci apertamente, non segretamente
- Dirigi la lotta verso l'obiettivo corretto
Regola 2.3. Non collaborare con il male
- Non collaborare con una struttura malvagia
- Non collaborare con un ruolo sociale ingiusto
- Non collaborare con un'azione malvagia
- Non collaborare con quelli che collaborano con il male
Regola 2.4. Sii disposto a sacrificarti
- Non fuggire davanti alle punizioni
- Sii disposto a morire se necessario
Regola 2.5. Non polarizzare il conflitto
- Distingui tra antagonismo e antagonista
- Distingui tra persona e ruolo sociale
- mantieni il contatto
- Immedesimati nella posizione del tuo avversario
- Sii flessibile nel delimitare le parti in causa e le loro posizioni
Regola 2.6. Non provocare escalation nel conflitto
- Rimani il piu' leale possibile
- Non provocare e non lasciarti provocare
- Non umiliare e non farti umiliare
- Non ampliare i termini del conflitto
- Usa le forme di condotta piu' miti possibili durante il conflitto
*
3. La risoluzione del conflitto
Regola 3.1. Risolvi i conflitti
- Non continuare la lotta conflittuale per sempre
- Cerca sempre di negoziare con l'avversario
- Cerca di ottenere trasformazioni sociali positive
- Cerca di trasformare gli esseri umani ((te stesso; l'avversario)
Regola 3.2. Insisti sulle cose essenziali, non su quelle marginali
- Non barattare le cose essenziali
- Sii disposto ai compromessi per le cose non essenziali
Regola 3.3. Considerati fallibile
- Ricordati che puoi essere nel torto
- Ammetti apertamente i tuoi errori
- La coerenza nel tempo non e' molto importante
Regola 3.4. Sii generoso nei confronti dell'avversario
- Non sfruttare la debolezza dell'avversario
- Non giudicare l'avversario piu' severamente di te stesso
- Abbi fiducia nel tuo avversario
Regola 3.5. Conversione, non coercizione
- Cerca sempre soluzioni che siano accettabili (per te stesso; per
l'avversario)
- Non forzare mai l'avversario
- Converti l'avversario in un sostenitore della causa.

7. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: RITORNO ALLE ORIGINI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2003. Ida Dominijanni e' una
prestigiosa intellettuale femminista]
Scorri le agenzie della vigilia e ti accorgi che ogni anno e' peggio. Dalle
cartoline in memoria della regina Elena ai concorsi con l'uomo-oggetto in
premio, dalle fiaccolate per la pace con dibattito finale di soli leader
(uomini) alla conta compiaciuta delle presenze femminili nelle forze armate,
dal lavoro (malpagato) che aumenta alla rappresentanza politica che langue,
dalla promozione governativa delle culle sempre piu' vuote alle stupefazioni
sociologiche per gli uxoricidi sempre piu' frequenti, il catalogo
dell'immaginario sul secondo sesso si dispiega ogni 8 marzo che il
calendario manda in terra, anche oggi che di secondo quel sesso non ha piu',
nel bene e nel male, proprio nulla.
Sempre piu' simile alle feste comandate, piu' carnevale che natale, piu'
mascherata che evento, come una festa comandata l'8 marzo va preso: nessuna
ci farebbe caso se non ci fosse, ma c'e' e tanto vale segnare il rito in
prima persona invece che farselo disegnare addosso.
La regressione della storia e della politica verso la guerra impongono
quest'anno un ritorno alle origini. E' un tema antico, quello del pacifismo
femminile, ed e' un antico rito quello dell'8 marzo pacifista. L'uno e
l'altro non privi di incrostazioni stereotipate e di cliche'. Ai quali
rischia di aggiungersi il cliche' dei cliche', ovvero una stereotipata
analisi dello stereotipo. Del tipo: le donne sono pacifiste davvero o
perche' recitano sempre la stessa parte in commedia? per natura o per
cultura? per abitudine o per scelta? e di che pacifismo femminile si va
cianciando, se poi ci sono donne che la guerra la fanno arruolate negli
eserciti, e donne che la decidono arruolate nei governi? e che cos'hanno da
dire, che non sia il solito no alla guerra, sullo scenario politico e
geopolitico, e come se la caverebbero se ci fossero loro a governare il
mondo?
Ci sono donne guerriere da ogni parte del pianeta, e sotto ogni latitudine
politica, etnica e religiosa. Donne che da decenni combattono e vincono ogni
giorno, nella microfisica dei conflitti quotidiani, la loro battaglia di
liberta'. Senza tirarsi indietro, senza risparmiarsi, ma senza versare una
goccia di sangue, senza usare ne' taglierini sugli aerei ne' bombe mirate
dagli aerei, e senza misurare i guadagni di liberta' col metro del potere.
Notoriamente, questa ormai lunga battaglia di liberta' ha cambiato il
profilo della storia, della societa', e checche' se ne dica, anche della
politica. Non e' estranea alla liberta' femminile guadagnata la distanza
sempre maggiore, femminile e maschile, da una politica che invece continua a
misurarsi solo in termini di potere e di potenza, e a questo fine usa i
taglierini e riabilita le bombe. Non e' estranea alla liberta' femminile
guadagnata la politica di relazione, dialogo, confronto con l'altra e con
l'altro, con il vicino di confine condannato come nemico dal proprio stato,
che una enorme quantita' di reti femminili dispiega nel mondo, proprio su
quelle frontiere dove la politica di potenza altro non sa proporre che
guerra per reagire ai propri scacchi.
Meglio stare a questo, che e' un dato del nostro tormentato presente,
piuttosto che rompersi la testa su quanto il segno della pace sia inscritto
nel corpo e quanto nella testa delle donne. E' inscritto nella politica che
le donne hanno messo al mondo, che non e' solo un'altra politica possibile
ma un'altra politica gia' all'opera. Prova lampante, testimonianza viva, che
sui conflitti del mondo globale e sui loro micidiali ingredienti -
identita', fondamentalismi, esclusioni, risentimenti - non sono bandiere,
eserciti e confini a poter mettere ordine, ma solo aperture, scambi,
differenza, contaminazioni.
Per una volta, non e' il pacifismo femminile a essere fuori dal tempo e
dalla storia, ma chi non sa ascoltarne il messaggio e ponderarne la forza.

8. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: SUL "NATURALE" PACIFISMO DELLE DONNE
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43@inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia; tra le sue
pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma]
Nei suoi articoli "8 marzo di pace", pubblicato da "Il manifesto" del 4
marzo 2003 e inserito nel n. 526 de "La nonviolenza in cammino", e "Ritorno
alle origini", pubblicato sullo stesso quotidiano l'8 marzo [e riportato in
questo stesso numero del notiziario], Ida Dominijanni polemizza con lo
stereotipo della "natura femminile pacifica e salvifica". Rinunciando a
comprendere "quanto il segno della pace sia inscritto nel corpo e quanto
nella testa delle donne", si limita a rinvenirlo "nella politica che le
donne hanno messo al mondo, che non e' solo un'altra politica possibile ma
un'altra politica gia' all'opera".
Ora, se e' vero che le speciali qualita' delle donne, le quali, "senza
versare una goccia di sangue", hanno "cambiato il profilo della storia,
della societa', e checche' se ne dica, anche della politica", non sono un
dono gratuito di madre natura, e' altrettanto vero che neanche la politica
"altra" da loro messa in atto puo' avere una aprioristica ed insondabile
provenienza. Come si vede, la permanenza nel sistema di pensiero maschile,
che assolutizza i dati e li oppone, non permette di dare risposte
significative ai problemi. Glissare elegantemente su cosa renda piu'
pacifica, quindi piu' evoluta, la mente femminile, non rende un servigio
alla specie, che puo' uscire dalla profonda crisi in cui si trova solo
servendosi delle competenze che le madri umane hanno sviluppato lungo la
loro permanenza sulla terra.
Mettere sullo stesso piano le "donne guerriere" che "da ogni parte del
pianeta e sotto ogni latitudine politica, etnica e religiosa... combattono
nella microfisica dei conflitti quotidiani, la loro battaglia di liberta'" e
lo sparuto, seppur valoroso, "Gruppo di uomini di Pinerolo" che non ne puo'
piu' della violenza, cosi' come collocare nello stesso calderone le solite
Condoleeza Rice e Margareth Tatcher e gli ideatori e replicatori del sistema
socio-simbolico che da quasi cinquemila anni stanno portando al collasso il
pianeta, significa ingenerare ulteriore confusione. Significa anche azzerare
la portata ed il valore della produzione della vita e del lavoro di cura,
proprio come gli uomini che hanno ridotto l'esperienza materna a mera
animalita' e la cura ad attivita' servile, l'una e l'altra prive di
significato per la formazione del pensiero.
Nel mio saggio Il corpo pensa (Prospettiva edizioni), dimostro che proprio
l'esercizio di "femminita'", fatto nel dare e sostenere la vita, ha permesso
alle donne di sviluppare una mente equilibrata, capace di contenere e
gestire la complessita' e la ricchezza del reale. Il misconoscimento di
questa elementare verita' ha impedito finora al pensiero della differenza il
suo naturale sbocco: l'elaborazione di un nuovo e diverso sistema
categoriale, capace di permettere alle donne il recupero, auspicato con
lungimiranza da Sara Morace, del ruolo di "madri sociali", cosa che
permetterebbe loro di organizzare le comunita' attorno alla persona,
favorendo anche l'evoluzione civile della mente degli uomini.

9. RIFLESSIONE. AUSILIA RIGGI: LA PACE SEME DI LIBERTA'
[Ringraziamo Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi@tiscalinet.it) per
questo intervento. Ausilia Riggi Pignata, scrive lei stessa, si e' data un
campo circoscritto di impegno per abbattere la violenza istituzionale quando
contrasta con la liberta' di coscienza; e nello stesso ambito ha
particolarmente approfondito il tema "donna e sacro" (su cui si veda il sito
www.donne-cosi.org)]
Perche' la pace rivoluzioni i parametri della corsa alla supremazia dei
forti che usano strumentalmente masse asservite e "giocate" dalla loro
sfrenata volonta' di potenza, e' necessario diffondere non soltanto idee di
pace, ma anche la consapevolezza dei diritti di tutti, e non cedere alle
logiche del potere.
Agire a vari livelli (non ultimo quello dell'opposizione alla menzogna
antievangelica che fa dell'istituzione il tramite mediatore della volonta'
di Dio) significa riflettere sulla necessita' di ridare agli "ultimi"
l'autonomia decisionale, in altre parole il proprio destino."
Pace non e' "pacificazione", ma seme di liberta'. Ovunque ci sia uno che
dice "parlo in nome di Dio" c'e' l'insidia del prepotere.

10. MAESTRE. WANDA TOMMASI: L'ESERCIZIO DEL PENSIERO IN HANNAH ARENDT E IN
SIMONE WEIL
[Da Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre lune edizioni, Mantova 2001,
p. 235.
Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima".
Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le
scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani,
Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano
1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori,
Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum.
L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, EDB, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
L'esercizio del pensiero si configura, per entrambe, come amore per il mondo
e come attenzione alla realta'.

11. INFORMAZIONE. ELISABETTA MARANO: AGGIORNAMENTI NEL SITO DELLA "LIBRERIA
DELLE DONNE" DI MILANO
[Riceviamo e diffondiamo la newsletter n. 2 del 2003 della Libreria delle
donne di Milano (e-mail: info@libreriadelledonne.it, sito: www.libreria
delledonne.it)]
Arriva Amelia
Amelie Nothomb e' stata alla Libreria delle donne il 25 febbraio per
presentare il suo ultimo libro La cosmetica del nemico (casa editrice
Voland). Alla giovane belga del Giappone il sito www.libreriadelledonne.it
dedica uno "spazio tutto per lei", dove leggere la sua storia, i libri, la
trama dell'ultimo romanzo.
*
Il  paradiso e' anche una stanza
Aprite www.libreriadelledonne.it/Stanze/Paradiso/Paradiso.htm Troverete le
segnalazioni dei romanzi che ci sono piaciuti tanto da scriverne - per farli
leggere ad altre e altri.
"Mettere becco" non e' solo una cattiva abitudine... e proprio per questo vi
segnaliamo: Donna Tartt, "Il piccolo amico" (uno scritto di Bianca
Pitzorno).
*
Dalla stanza "Movimento di movimenti": Vento nel silenzio, di Leon-Lara
Conversazione con il subcomandante Marcos durante la marcia verso il Zocalo,
la piazza principale di Citta' del Messico.
"La Marcia produce effetti di profonda trasformazione in coloro che ne fanno
parte, fino al punto che una comunita' potrebbe dire "ho camminato gli
zapatisti". E, allo stesso tempo, gli zapatisti potranno dire senza
contraddirsi "ho camminato per quella comunita'". E' una cosa che non si
comprende con la testa ne' con il cuore, ma con lo stomaco".
*
Da "Cosa c'e' di nuovo":
- "La lotta alla miseria del banchiere dei poveri" di Rory Cappelli
Storia di Muhammad Yunus, economista, che vedendo morire i poveri di inedia
sul portone della sua universita', abbandono' le eleganti teorie accademiche
perche', come ricorda, "non erano in grado di riflettere il reale". Storia
di come da un piccolo prestito di 42 dollari a un gruppo di donne Yunus ha
fatto nascere la Grameen Bank, istituto di credito indipendente dalle
speculazioni.
- Gruppo Uomini di Pinerolo: non ne possiamo piu' della violenza
Nominare la violenza, anche quella domestica, per dire no alla guerra; la
riflessione di un gruppo di uomini che provano a "partire da se'".
*
Premio Maria Grazia Zerman
In tutte la pagine del sito e' attiva l'icona del premio Zerman. Nella
pagina potete trovare tutte le informazioni relative a bandi di concorso
dell'Associazione dedicata a Maria Grazia Zerman.
*
E per finire
In uscita a marzo il nuovo numero di "Via Dogana", intitolato Io e il
capitale.
A presto a tutte e tutti.

12. LETTURE. GIULIO GIRARDI: RESISTENZA E ALTERNATIVA
Giulio Girardi, Resistenza e alternativa, Edizioni punto rosso, Milano 2002,
pp. 336, euro 13. Questo recente e come sempre lucido e appassionato libro
di Giulio Girardi, filosofo e teologo della liberazione, "raccoglie alcuni
contributi di riflessione, legati da un filo conduttore, che ne caratterizza
l'oggetto e il metodo: il tentativo di ascoltare e ripercuotere il grido
degli esclusi e delle escluse del presente ordine mondiale. Mi pare questo,
per un intellettuale, il compito piu' urgente ed appassionante, quello che
riempie di significato la sua vita, la sua ricerca e la sua lotta" (dalla
presentazione dell'autore). Un libro assai utile che vivamente
raccomandiamo.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 534 del 13 marzo 2003