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La nonviolenza e' in cammino. 533



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 533 del 12 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. E' ancora possibile fermare la guerra, e necessario
2. Hannah Arendt, ogni obbedienza
3. Mao Valpiana, Massimiliano o dell'obiezione
4. Donatella Di Cesare intervista Richard Rorty
5. Simone Weil, soltanto dei fanatici
6. La Comunita' del Cassano ricorda Ciro Castaldo
7. Adriano Apra' ricorda Stan Brakhage
8. Roberto Silvestri ricorda Stan Brakhage
9. Una presentazione di "Oltre il nulla" di Ausilia Riggi
10. Cristina Piccino, The Lysistrata Project
11. Laura Boella, il dolore di Ingeborg Bachmann
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. E' ANCORA POSSIBILE FERMARE LA GUERRA, E NECESSARIO
Fermare la guerra e' ancora possibile, ed e' necessario sempre.
Ma per farlo occorre contrastare la macchina bellica: contrastarla anche e
innanzitutto con l'azione diretta nonviolenta che impedisca la produzione,
la dislocazione e l'uso delle risorse e le strutture finalizzate a uccidere,
che impedisca alle armi e agli armati di agire.
Occorre contrastare i golpisti e stragisti che la guerra promuovono e
fiancheggiano: fermarli anche promuovendo azioni giudiziarie contro di loro
e chiedendo a magistratura e organi di pubblica sicurezza di intervenire per
arrestarli e processarli. La Costituzione italiana vieta la partecipazione
italiana alla guerra, anzi fa obbligo alle istituzioni italiane di opporsi
alla guerra. Chiunque la guerra sostiene o fiancheggia commette un crimine.
E se a sostenere e favoreggiare la guerra sono persone investite di pubblici
poteri, al crimine di promotori e fiancheggiatori di stragi e terrorismo
essi aggiungono quello di tradimento della Costituzione cui hanno giurato
fedelta': devono essere perseguiti ai sensi di legge, devono essere
arrestati e messi in condizioni di non nuocere, devono essere giudicati e
puniti dalle competenti magistrature sulla base del codice penale in vigore.
*
Opporsi alla guerra significa dunque anche difendere la Costituzione, lo
stato di diritto, la democrazia: opporsi alla guerra e' quindi diritto e
dovere di tutti, a tutela e vantaggio di tutti e di noi stessi.
E opporsi alla guerra significa inoltre e innanzitutto difendere vite umane
minacciate di morte; significa difendere i diritti umani di tutti gli esseri
umani, diritti umani di cui il fondamento ultimo, ovvero la prima radice, e'
il diritto a vivere, a  non essere uccisi. E la guerra consistendo della
commissione di uccisioni di massa e' intrinsecamente, costitutivamente il
piu' grande e piu' grave crimine contro l'umanita', la piu' grande  e piu'
grave violazione dei diritti umani.
Opporsi alla guerra e' un dirittto e un dovere di tutti, diritto soggettivo
e legittimo interesse, valore morale ed obbligazione giuridica, bisogno
radicale e razionale determinazione, esigenza materiale e civile. E'
assunzione personale di responsabilita' a difesa dell'umanita' intera e di
se stessi.
Opporsi alla guerra e' un atto di legittima difesa, della propria persona e
dell'umanita'.
*
Ma opporsi alla guerra richiede rigore intellettuale e morale, richiede una
scelta ineludibile: la scelta della nonviolenza. Solo la nonviolenza si
oppone alla guerra nel modo piu' nitido ed intransigente; solo la
nonviolenza costruisce la pace; solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'
dalla catastrofe.

2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: OGNI OBBEDIENZA
[Da Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, p.
400. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu
allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
Ogni obbedienza presuppone il potere di disobbedire.

3. MEMORIA. MAO VALPIANA: MASSIMILIANO O DELL'OBIEZIONE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta@sis.it) per
questo intervento. Mao Valpiana e' direttore di "Azione nonviolenta" e una
delle figure piu' prestigiose della nonviolenza in Italia. Sulla figura di
Massimiliano di Tebessa (la citta' nella diocesi di Cartagine di cui era
originario) naturalmente si veda quanto riferito negli Acta Sanctorum]
Il giorno 12 marzo e' dedicato, dal calendario della Chiesa cattolica, al
ricordo di San Massimiliano.
Infatti il 12 marzo dell'anno 295 dopo Cristo, il giovane Massimiliano di
Cartagine fu martirizzato perche' rifiuto' di prendere le armi ed entrare
nell'esercito dell'Impero Romano. Al processo motivo' il suo rifiuto
professando la fede cristiana: quindi non poteva in alcun modo imparare ad
uccidere, ma anzi doveva amare il suo prossimo, persino i nemici. Un seguace
di Gesu' non poteva entrare nell'esercito, avendo scelto di servire solo il
Dio dell'amore. Massimiliano venne condannato a morte. Oggi questo santo e'
considerato il patrono degli obiettori di coscienza.
Il martirio del giovane obiettore Massimiliano e' un patrimonio prezioso per
la Chiesa e il mondo intero. Duemila anni dopo il papa Giovanni Paolo II e'
ritirato in preghiera e digiuno per contrastare la guerra che viene dal
male. L'obiezione di coscienza e' ancor oggi il mezzo piu' efficace per
opporsi a tutte le guerre, fatte da chiunque, per qualsiasi motivo.
Nessuna guerra potrebbe essere combattuta se le pesone chiamate alle armi
seguissero l'esempio di Massimiliano. La forza della storia millenaria
dell'obiezione di coscienza oggi deve essere messa in campo per fermare la
guerra dell'Iraq.

4. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE INTERVISTA RICHARD RORTY
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2003. Donatella Di Cesare e'
attenta studiosa della riflessione filosofica contemporanea. Richard Rorty,
come e' noto, e' uno dei piu' influenti pensatori nordamericani
contemporanei. Piu' d'una delle sue opinioni ci trova perplessi o in netto
dissenso, ma non vi e' dubbio che meritino attenzione]
Richard Rorty e' cresciuto nell'ambiente della sinistra americana, ben prima
di diventare uno dei piu' noti filosofi contemporanei. Entrambi i genitori
erano fedeli simpatizzanti del partito comunista fino al 1932 e poi attivi
antimilitaristi impegnati nei circoli intellettuali della sinistra
libertaria e socialista, dove i punti di riferimento privilegiati erano il
poeta Walt Whitman e il filosofo John Dewey. La dedizione di Rorty alla
filosofia ha inizio nel '46 a Chicago dove insegnava tra gli altri Rudolf
Carnap, l'allievo di Frege che, tra gli altri, ha contribuito alla
diffusione della filosofia analitica in America. Dopo aver discusso una tesi
su Whitehead nel 1949, Rorty ha portato a termine il suo dottorato a Yale
nel 1956. Il Wesley College, l'Universita' di Princeton, quella della
Virginia e infine la Stanford University, dove ancora insegna, hanno
scandito gli spostamenti della sua carriera accademica.
Dopo essersi formato alla scuola analitica, negli anni '70 Rorty se ne
allontano' in modo clamoroso proponendo una mediazione tra filosofia del
linguaggio ordinario, pragmatismo ed ermeneutica. Si rese cosi' protagonista
di una vera e propria svolta nella filosofia americana - gia' preannunciata
con La svolta linguistica del 1967 - aprendosi alla filosofia europea. Il
primo passo di questa svolta, espresso nel suo libro del '79, La filosofia e
lo specchio della natura si realizza nella critica all'idea tradizionale,
sostenuta da Cartesio fino a Husserl, che la conoscenza sia una
rappresentazione, un rispecchiamento mentale del mondo esterno. La fine di
una filosofia "spettatoriale", fondata su una verita' universale che
richiederebbe la validita' del criterio di corrispondenza e di conformita',
e' d'altronde anticipata tanto da Heidegger, che da Wittgenstein e da Dewey,
protagonisti della incrinatura di questo paradigma epistemologico.
Rorty ha rifiutato la concezione della filosofia come "scienza rigorosa",
difesa ancora dal positivismo e dalla fenomenologia, e ha invece mirato a
una trasformazione della filosofia - come si legge in Conseguenze del
pragmatismo - che deve rinunciare ad essere paradigma di obiettivita' per
divenire filosofia storico-letteraria, in grado anzitutto di edificare il
dialogo. E' cosi' che Rorty si e' avvicinato alle posizioni
dell'ermeneutica, sebbene il suo pensiero si sia andato precisando in un
senso fortemente etico e politico. Nella cultura "postfilosofica" di oggi,
dove sono venuti meno i tradizionali vincoli religiosi, filosofici, politici
e sociali, e' necessario per Rorty rafforzare un atteggiamento etico di
simpatia e solidarieta' - come scrive nel suo libro dell'89, Contingenza,
ironia e solidarieta' - che siano alla base della comunita'. E' in questo
senso che il compito della filosofia diviene quello di ricercare non la
verita', ma la felicita'. Cosi' la filosofia puo' rispondere meglio a quelle
richieste, anzi a quelle urgenze, che si presentano ogni volta in forma
nuova a partire dalle diverse contingenze storiche e individuali. Negli
ultimi scritti Rorty ha offerto un panorama complesso e variegato di quella
che nel futuro molto prossimo potrebbe essere "la filosofia dopo la
filosofia".
Questa intervista riflette quello che e' l'impegno recente del filosofo
americano contro la guerra all'Iraq, che per quanto sembri inevitabile, e'
tuttavia di giorno in giorno piu' delegittimata, non solo in Europa, ma
negli ambienti intellettuali degli Stati Uniti.
- Donatella Di Cesare: Vorrei iniziare chiedendole come vive un filosofo in
America questo momento. Un filosofo che, come lei, e' stato sempre, per il
suo paese, una voce critica?
- Richard Rorty: Tutti quelli che criticano le scelte politiche del governo
americano vivono vite piu' o meno tranquille e indisturbate dato che gli
Stati Uniti sono ancora un paese in cui la stampa e le universita' sono
libere e indipendenti. Noi americani che esprimiamo indignazione contro la
politica del governo siamo nella stessa situazione degli italiani che stanno
facendo altrettanto con Berlusconi. Forse non abbiamo alcuna influenza, ma
nessuno cerca di vendicarsi su di noi. Pero', e' bene dirlo, le cose
potrebbero peggiorare se ci fossero altri casi di "mega-terrorismo".
L'amministrazione Bush si e' servita dell'11 settembre per diminuire
gravemente le liberta' civili. Per ora questi provvedimenti hanno riguardato
solo poche persone, per lo piu' immigranti o comunque cittadini non
statunitensi, il che e' significativo. Ma e' sconvolgente che il General
Attorney, il nostro ministro della Giustizia, abbia avuto cosi' la
possibilita' di mettere in galera cittadini americani senza che questi
abbiano potuto servirsi di una rappresentanza legale e senza che la loro
situazione abbia potuto essere dibattuta in tribunale. E' la prima volta,
nella mia vita, che un governo americano si e' permesso di avanzare sul
piano legale pretese del genere. Se Al-Quaeda avesse ancora piu' successo,
il General Attorney reclamerebbe poteri maggiori; potrebbe, in breve, far
si' che gli Stati Uniti diventino a tutti gli effetti uno stato di polizia.
- D. D. C.: A piu' di un anno di distanza dall'11 settembre, come
riassumerebbe i cambiamenti intervenuti nella vita dei cittadini americani?
- R. R.: Benche' le preoccupazioni iniziali siano ora diminuite, non e'
detto che non tornino a rifarsi vive, soprattutto se si concretizzasse la
minaccia di un altro attacco terroristico. Il cambiamento piu'
significativo, pero', e' stato il tentativo dell'amministrazione Bush - dato
che la nazione e' "in guerra" - di pretendere di dare inizio, indisturbati,
a una guerra preventiva, e a violare le liberta' civili. Bush e i suoi
consulenti sperano di continuare a vincere le elezioni insistendo sul fatto
che e' pericoloso cambiare cavalli nel mezzo della corsa, ovvero cambiare
presidente nel mezzo della guerra.
- D. D. C.: La guerra e' stata nei secoli un tema della riflessione
filosofica - una riflessione che ovviamente ha mirato per lo piu' alla pace,
anzi alla pace perpetua tra i popoli, anche agitando, come ha fatto Kant, lo
spettro di un ulteriore significato a cui "pace perpetua" rinvia. Nel suo
libro piu' famoso La filosofia e lo specchio della natura (Bompiani) lei ha
insistito sul ruolo "edificante" che puo' svolgere la filosofia permettendo
a tutti di partecipare alla "conversazione del genere umano". Cosa puo',
oggi, la filosofia contro la guerra?
- R. R.: Nulla. Messe di fronte a dittatori e tiranni folli come gli attuali
sovrani dell'Iraq e della Corea del Nord, non c'e' filosofia, non c'e'
religione, non c'e' letteratura che tenga. E' come essere messi davanti a un
cane impazzito. La cosa piu' saggia che si possa fare sara' probabilmente
quella di rifugiarsi da qualche parte sperando che il cane muoia o se ne
vada. Dipende dalle circostanze. Tuttavia non credo davvero che ci siano
buone ragioni per preferire una guerra all'Iraq a una politica di
contenimento. Credo al contrario che la guerra sara' lunga e rovinera'
l'Iraq lasciandolo nel caos. Non penso, come sostiene l'amministrazione
Bush, che la guerra durera' poco e avra' poche vittime.
- D. D. C.: Ma lei non crede che tutto questo vada interpretato, allora,
come un fallimento della filosofia?
- R. R.: No. L'idea che la filosofia possa invocare il grande potere
chiamato Ragione e' un'idea sbagliata come quella che i sacerdoti possano
invocare il grande potere chiamato Dio. Non ci sono magiche pallottole
intellettuali. La filosofia arriva dopo che i grandi mutamenti culturali
hanno avuto luogo e cerca di vederci chiaro. Non puo' far si' che accadano.
- D. D. C.: Lei e' tra quei filosofi che, a partire dalla questione della
solidarieta', ha sottolineato l'esigenza di un dialogo non solo con le
culture "altre", ma anche con quelle societa' che non sono edificate
all'insegna della tolleranza. Eppure mai come ora questa parola "dialogo"
appare fallimentare.
- R. R.: Il dialogo si puo' avviare solo quando le relazioni di potere si
stabilizzano - anche solo temporaneamente - e quando c'e' la possibilita' di
una azione comune, di una cooperazione. Quando si ha a che fare con
dittatori folli, con preti fondamentalisti, e con i loro seguaci, il dialogo
e' irrilevante. Persone del genere si tappano le orecchie. Non vogliono
neppure che si rivolga loro la parola.
- D. D. C.: Nel libro che in italiano si intitola Una sinistra per il
prossimo secolo (Garzanti, 1999) lei ha esaminato in modo originale,
talvolta spietato, la sinistra americana. Alla sinistra tradizionale,
concentrata sulla scolastica del marxismo, lei ha rimproverato un programma
politico antiquato e rigido, fondato su una metafisica di stampo illuminista
che avanza pretese di verita' universale e di rigore scientifico. Alla
sinistra culturale, nata negli anni '60, lei ha rimproverato di confondere
l'astrazione con la sovversione. Insomma, la nuova sinistra che,
richiamandosi a Nietzsche e a Heidegger, a Foucault e a Derrida, ha lottato
in nome delle "differenze", oggi le appare una spettatrice, disgustata e
sarcastica, pericolosamente lontana dalla pratica politica - sa
problematizzare e smascherare, ma non riesce a sperare. Rispetto alla
situazione che si e' andata delineando negli ultimi due o tre anni cosa si
sente di rimproverare, in particolare, alla nuova sinistra?
- R. R.: Credo che alla sinistra europea si possa rimproverare di non aver
lavorato abbastanza duramente per l'unificazione dell'Europa e in particolar
modo per la creazione di una comune politica estera europea in grado di
rafforzare l'Onu e di far avanzare il disarmo nucleare. Troppo spesso la
sinistra europea, soprattutto quando si e' trattato di questioni
internazionali, si e' accontentata di un antiamericanismo comodo e a buon
mercato. Per quel che riguarda la sinistra americana, mi pare che abbia
troppo spesso rifiutato di prendere sul serio i pericoli rappresentati da
dittatori come Saddam o Kim Jong Il e da politici senza scrupoli e avidi
come Yeltsin, come Mugabe o come ora in Italia Berlusconi. Mentre per
l'amministrazione Bush non si puo' certo parlare di lungimiranza,
l'amministrazione Clinton aveva affrontato questi pericoli se non altro con
senso pratico. E quelli che l'hanno criticata da sinistra non si sono mai
chiesti: "Cosa faremmo noi se fossimo al suo posto?". Si sono accontentati
di sparare giudizi dalle retrovie senza riflettere sulla possibilita' di
politiche alternative.
- D. D. C.: Nella sua riflessione di qualche anno fa lei ha delineato con
sconcertante chiarezza uno scenario del futuro prossimo in cui era previsto,
tra l'altro, un "uomo forte" alla guida dell'America, il quale - scrive -
"evochera' la gloriosa memoria della guerra del Golfo per provocare
avventure militari che genereranno una prosperita' di breve periodo". Sembra
che le sue previsioni si stiano avverando...
- R. R.: Fa bene a ricordarmelo. E' lo scenario peggiore che si possa
immaginare, Bush lo sta rendendo via via piu' credibile, anche se non e'
detto sia imminente. In quello stesso passaggio avevo scritto che per
distrarre dalla propria disperazione i piu' poveri, in America come nel
mondo, sarebbero stati sufficienti pseudo-eventi creati dai media, comprese
guerre occasionali, brevi quanto sanguinose. In tal caso la casta dei
super-ricchi, che si sta formando con la globalizzazione, avra' ben poco da
temere. E sara' un disastro per il paese e per il mondo. La gente si
meravigliera' che vi sia stata una resistenza cosi' debole alla sua
evitabile ascesa. Legittimamente si chiedera' dove fosse la sinistra
americana.
- D. D. C.: Torno a riproporle una frase di Hegel su cui lei ha piu' volte
insistito, per chiederle se possa valere ancora: "l'America e' il paese del
futuro... la terra del desiderio per tutti coloro che sono stanchi
dell'arsenale storico della vecchia Europa". Davvero l'Europa e' relegata al
passato? E quale ruolo politico potrebbe svolgere, di per se' e in relazione
all'America?
- R. R.: Ovviamente l'Europa non e' relegata al passato. E' l'unico posto al
mondo, fuori dall'America del nord, in cui la democrazia e la liberta'
convivono - ancora - con la ricchezza economica. Se l'Europa si unisse, si
federasse, potrebbe diventare il leader morale delle democrazie al posto
degli Stati Uniti; potrebbe evitare che persone come Bush sovvertano le
istituzioni americane e rendano gli Stati Uniti una potenza imperiale
egoista e corrotta. La resistenza di parte dell'Europa a Bush - vorrei
sottolinearlo - ci incoraggia enormemente. Se i leaders europei si
rendessero davvero conto della necessita' di avere una politica
internazionale indipendente da Washington, e se proseguissero in questa
direzione, a sua volta Washington potrebbe maturare dei ripensamenti sul
proprio tentativo di egemonia.
- D. D. C.: Quali conseguenze avrebbe per il mondo questa egemonia
americana?
- R. R.: Se l'Europa fallira' l'obiettivo di una comune politica estera,
l'America continuera' imperterrita a fare il poliziotto del mondo. E'
probabile che in tal caso fara' di tutto per mantenere la propria supremazia
militare. Tutto cio' rappresentera' alla lunga una sfida per la Cina;
l'egemonia americana condurra' allora a uno scontro militare - probabilmente
nucleare - tra l'America e la Cina. Certo questo non si verifichera' per
parecchi decenni; ma sara' quasi inevitabile se l'Europa non interverra'
creando una terza forza e incoraggiando iniziative multilaterali per il
mantenimento della pace tra Europa, Russia, Cina e America.
- D. D. C.: Lei ha scritto che "la sinistra, per definizione, e' il partito
della speranza". Al posto della conoscenza devono subentrare "sogni utopici
condivisi"". Allora, quale speranza resta oggi di evitare la guerra? E,
soprattutto, qual e' il compito della sinistra, in America, ma anche in
Europa e nel mondo?
- R. R.: La speranza e' la stessa che ci ha accompagnato fin qui: la
speranza in un mondo in cui tutti i governi siano eletti democraticamente,
la stampa sia libera ovunque e le opportunita' socio-economiche siano
equiparate. I sogni utopici della sinistra non sono cambiati per oltre cento
anni e non e' affatto necessario che cambino. Evitare la guerra si deve, ma
non sempre si puo'. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda sono state
combattute per sconfiggere dittatori come Hitler e Stalin. Dittatori
spunteranno sempre qua o la'. Forse, se avremo fortuna, potremo avere un
giorno delle Nazioni Unite con un proprio esercito in grado di condurre
direttamente una guerra eventuale contro regimi dittatoriali, piuttosto che
riservarsi solo l'alternativa di intraprendere una guerra demandata a
leaders opportunistici di singoli stati nazionali, o di fermarla.

5. MAESTRE. SIMONE WEIL: SOLTANTO DEI FANATICI
[Da Simone Weil, Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione
sociale, Adelphi, Milano 1983, 1984, p. 130. Simone Weil, nata a Parigi nel
1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica
della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella
guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in
America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da
una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel
1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende
pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta,
o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita
alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag:
"Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se
l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara.
Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da'
nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta'
consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil
aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale
della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le
raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la
grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi
Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio
(Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni
sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla
Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla
guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni,
nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil:
fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone
Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la
passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone
Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura
della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil.
L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela
Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, EDB, Bologna 1997; Maurizio Zani,
Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
Soltanto dei fanatici possono attribuire valore alla propria esistenza
unicamente nella misura in cui essa serve una causa collettiva.

6. LUTTI. LA COMUNITA' DEL CASSANO RICORDA CIRO CASTALDO
[Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo recente
comunicato diffuso dalla Comunita' del Cassano per la morte di Ciro
Castaldo, indimenticabile animatore dell'esperienza delle comunita' di base
in Italia]
La Comunita' del Cassano vive oggi un momento molto triste del suo cammino
nell'annunciare a quanti lo hanno conosciuto ed amato, la morte di Ciro
Castaldo che, oltre ad essere una saggia guida nella nostra comunita',
svolgeva con grande dedizione il ruolo di responsabile della segreteria
tecnica nazionale delle comunita' di base italiane, un fratello, un amico
molto caro, ma principalmente un testimone di fede, una fede in ricerca.
La sua testimonianza di coerenza profonda ci da' oggi la certezza che
costruire una "Chiesa Altra", senza potere, a servizio degli ultimi e degli
oppressi, portatrice di un messaggio di pace e di fraternita', e' possibile
seguendo anche la strada che Ciro con il suo impegno, la sua passione e la
sua umilta' ci ha tracciato.

7. LUTTI. ADRIANO APRA' RICORDA STAN BRAKHAGE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2003. Adriano Apra' e' uno
degli studiosi del cinema piu' prestigiosi. Sempre dal medesimo quotidiano
riprendiamo la seguente nota su Brakhage: "Stan Brakhage e' morto nel
pomeriggio di domenica 9 marzo a Victoria, in Columbia Britannica (Canada),
la citta' dove si era trasferito il 10 settembre scorso dopo essere andato
in pensione. Era in ospedale, ricoverato in seguito a una infezione. Ma
soffriva da mesi per un dolorosissimo cancro. L'ultima moglie, Marylin
Brakhage, con la quale ha avuto due figli, era con lui. Tra le sue ultime
parole "Ho avuto una vita meravigliosa. La vita e' grande". Orfano, aveva
avuto cinque figli con la moglie precedente, Jane Collum. La notizia del
decesso e' arrivata via internet attraverso Bruce McPherson, l'editore che
ha pubblicato una antologia degli scritti del filmaker indipendente piu'
famoso del mondo, Essentian Brakhage. Tra i suoi ultimi film ricordiamo
Panels for the walls of heaven (con fotogrammi dipinti a mano) che dura 40
minuti, Ascension, Lovesong 3 e 4, Max, Seasons... A Rotterdam 2003 ne aveva
inviati un po' di questi "movimentati dipinti astratti", saggi teorici sulla
pittura del Novecento, che devono molto a Rotkho, Monet, Maya Deren e
Turner, all'ultimo momento, per ringraziare il festival della personale che
era stata organizzata nel 2002. In quella occasione, nonostante il bastone e
un incedere claudicante, le sue lezioni a fine proiezione erano sempre uno
stimolante avvenimento. Inoltre tutti i filmgoers olandesi lo ricorderanno
perche', durante la proiezione di Corpus callosus, delirante e divertente
opera video dell'amico e collega canadese Michael Snow, seppe dare ritmo
alla ricezione generale con fragorose risate di cuore. Tutta la produzione
di Stan Brakhage e' stata recentemente trasferita dal suo laboratorio, il
Western Cine, al Moma (Museum of Modern Art) di New York per la
conservazione e il restauro degli internegativi. L'Universita' del Colorado
aveva comunque curato recentemente la ristampa di tutti i suoi 380 film
circa, quasi tutti in 16 millimetri e senza sonoro, dei quali pochissimi
sono in vendita home video o dvd. A Boulder, dove Brakhage insegno' dal
1986, e dove si era tenuta l'anno scorso una grande festa per festeggiare i
50 anni di produzione artistica e la fine dei suoi corsi, dovrebbe sorgere
un Brakhage Center. Non solo per la proiezione e protezione dei film suoi e
degli altri grandi filmakers sperimentali, ma per conservare appunti,
scritti, lettere (80 scatole) e, dove possibile, gli originali dei film. Uno
di questi, Dog Star Man, e' stato recentemente incluso dalla Biblioteca del
Congresso degli Stati Uniti nel registro nazionale dei film "a futura
memoria". Ricordiamo anche i suoi poemi neri come The dead e Beautiful
funeral, In between con la musica di John Cage (1955) e le Sexual
meditations"]
E' morto il piu' grande cineasta amatore della storia del cinema.
Da noi "cinema amatoriale" si traduce piuttosto "cinema famigliare". Stan
Brakhage avrebbe amato anche questa seconda versione del concetto, perche',
per tanti anni, fino a che non si e' separato dalla moglie Jane, lei e i
loro figli (allora bambini) sono stati parte integrante dell'universo su cui
egli puntava la propria cinepresa 16mm. Film di famiglia fatti con amore,
come ribadisce uno dei suoi testi piu' belli, In difesa del cine-amatore.
Sembra poco. Ma, lo ha detto Jonas Mekas, grande patriarca dello
sperimentalismo statunitense, nel suo Manifesto per l'anti-centenario del
cinema (1995): "In tempi di produzioni opulente, spettacolari, da 100
milioni di dollari, voglio prendere la parola in favore dei piccoli,
invisibili atti dello spirito umano, cosi' tenui, cosi' piccoli, che quando
vengono esposti ai proiettori muoiono. Voglio celebrare le forme del cinema
piccole, le forme liriche, la poesia, l'acquerello, lo studio, lo schizzo,
la cartolina, l'arabesco, il sonetto, la bagattella e le canzoncine in 8mm".
Tutto questo ha fatto Brakhage, e molto di piu'. La sua e' una sterminata
filmografia, iniziata nel 1952, quando aveva 19 anni, e sicuramente non
terminata, perche' sono convinto che i suoi amici troveranno nelle cantine,
o forse ancora in macchina, pellicola girata ma non ancora sviluppata o
montata.
Brakhage ha fatto film cortissimi e lunghissimi (The Art of Vision, 1961-65,
dura 4 ore e mezza), con immagini captate dalla "realta'", o incollate sulla
pellicola (Mothlight, 1963), o dipinte (The Dante Quartet, 1987, dove per
una volta abbandona il 16mm per lavorare su una pellicola 70mm
successivamente rifotografata in 35mm), e talvolta perfino contrappuntate da
suoni (come nel suo film-opera in quattro parti Faust, 1987-89, con musica
di Rick Corrigan). Ma anche se quasi sempre la fonte delle immagini e' la
realta' esterna, Brakhage la modella, quasi fosse un disegno animato, con i
pochi strumenti di una qualsiasi 16mm amatoriale (quando non 8mm, come nella
stupenda serie di 30 Songs, 1964-69, cosi' realizzati perchi' gli avevano
rubato la 16mm). Non e' infatti la realta' che lo interessa, ma la luce che
"fa" la realta': The Riddle (l'indovinello/enigma) of Lumen, The Text of
Light, come ribadiscono i titoli di due suoi film del 1972 e del 1974.
Da ragazzo Brakhage, che era assai miope, decise di fare a meno degli
occhiali, perche' la miopia, diceva, non fa che aumentare se la si "vizia"
con lenti artificiali. Gli stupidi ne concludevano che i suoi film erano per
questo "fuori fuoco". Ma basta un po' di abitudine per convincersi che il
suo fuori fuoco e' un "altro" fuoco, un modo per vedere diversamente cio'
che di solito la gente, e il cinema, vede "normalmente", per vedere al di
qua e al di la' della realta', per vedere in un fiore, per esempio, la
cellula e tutto l'universo nello stesso tempo: perche' tutto e' contenuto in
quel fiore, basta correggere l'ottica, della cinepresa e della mente. Il suo
e' un cinema materico, fatto della materia del cinema, che e' un composto
chimico modellato dalla luce, ed e', nella successione dei pezzi, una serie
di giunte di montaggio che si devono vedere.
Annette Michelson non ha esitato a dedicare un numero speciale della
prestigiosa rivista d'arte "Artforum" (gennaio 1973) ai due maestri del
montaggio: Ejzenstejn e, appunto, Brakhage. E quest'ultimo, in quel
libriccino delizioso e utilissimo (anche da un punto di vista pratico) che
e' il Manuale per riprendere e ridare i film (tradotto da Massimo Bacigalupo
assieme al piu' corposo Metafore della visione per Feltrinelli nel 1970),
scende nei dettagli tecnici e filosofici della giunta scambiando lettere con
Gregory Markopoulos.
Carmelo Bene, cogliendo a suo modo l'essenza di tale cinema (probabilmente
leggendo questi testi senza aver visto i film), urla: "Giunta te stesso,
Brakhage, e non la tua trasparenza!", e poi si serve dei consigli per
inserire fotogrammi colorati "invisibili" nel montaggio del suo Don
Giovanni; e Piero Bargellini (chi ricorda piu' il nostro maggiore cineasta
sperimentale?) attinge a Brakhage ogni volta che si mette a manipolare la
propria pellicola-pelle mentre la sviluppa... Ma i figli di Brakhage sono
molti, perche' egli era il piu' "accessibile" dei cineasti sperimentali, non
nel senso che fosse "facile" ma nel senso che aveva una visione totale del
cinema, e che quindi chiunque poteva prenderci qualcosa. Se e' difficile
pensare a prosecutori dell'opera di Michael Snow o di Ernie Gehr, per citare
due sommi film-makers di un cinema ridotto all'osso, Brakhage e' fratello di
cineasti di ampio respiro, in sintonia con tutto il mondo, quindi con tutto
il cinema, come Rossellini e John Ford.
Ho avuto il privilegio di assistere nei primi anni '80, prima e unica volta,
a una serie di lezioni tenute da Brakhage nella cantina, anzi nella
soffitta, del Millennium, uno dei mitici templi dell'underground newyorkese.
Lezioni di vita, oltre che di cinema. Ma Brakhage commise un piccolo errore:
quando, per dimostrare quanto assurdo fosse il "sistema" nel suo paese,
riferi' con sdegno del premio alla carriera che il presidente Nixon aveva
assegnato, congiuntamente, a lui e a John Ford. Per una volta, pensai, Nixon
aveva avuto degli ottimi suggeritori.

8. LUTTI. ROBERTO SILVESTRI RICORDA STAN BRAKHAGE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2003]
Film di 4 secondi o di 4 ore. Opere "in prima persona singolare", dove conta
la tensione del punto di vista. Lo sguardo che inquadra, vede, rispetta e
accarezza cose che noi non vediamo. Oltre 300 film che raccontano i sogni,
l'amore, il parto dei figli, l'ascensione in montagna, i giochi dei bimbi, i
viaggi in citta', le foreste che bruciano, il pellegrinaggio nel mondo di un
americano... "Americano e' la capacita' di essere nello stesso tempo
essenziale e volgare".
Pellicole che sanno padroneggiare storia e estetica musicale, letteraria,
pittorica e cinematografica, aprendo nuove piste. "Arte e' un significato di
magico". E che utilizzano budget zero, ogni tecnica e forma espressiva,
comprese quelle piu' manuali e materiche (graffiare sulla pellicola,
dipingervi a mano), per anticipare l'emancipazione del cineasta/videoartista
dalla dittatura del cliche' e combattere il modo di produzione basato su
studio-system, star-system, sterminio del nemico e massimizzazione dei
profitti. Ma anche "occupazione anarchica di un territorio vuoto" lasciato
libero dal mercato. Dunque una maniera tutta americana di concepire la
liberta' d'espressione artistica che si fa passione "mercantile" del vivere
e quel certo modo di dire un grande si' al mondo, alla natura, agli esseri
viventi.
Il suo titolo piu' famoso? Dog Star Man. Prototipo che anticipa forme
estetiche eventualmente utilizzabili per piu' pratici obiettivi. Hollywood e
il design tv, Mtv e lo spot devono molto al sintetico gioco onnivoro dei
designer underground, Brakhage compreso. E' lui a utilizzare il fotogramma
flash che interrompe la sequenza come effetto psicologico in Cat's Cradle.
La pubblicita' saccheggera'. L'uomo del banco dei pegni rubera' il
fotogramma di un'immagine precedente usato per riattivare la memoria, come
facevano Brakhage e Markopoulos in Twice a man, altro capolavoro
underground. La piu' clamorosa smentita e la piu' convincente prova, dunque,
che siamo davvero nell'"epoca della riproducibilita' tecnica dell'opera
d'arte".
Stan Brakhage, un grande del "New American Cinema", il simbolo del filmaker
indipendente e underground, e' nato il 14 gennaio 1933 a Kansas City,
Missouri. Ha completato il suo primo film, Interim, a 19 anni e nel 1998 ha
realizzato il suo trecentesimo. Ha scritto molti libri, dal piu' celebre
Metafore della visione (1964, pubblicato anche in Italia, da Feltrinelli) a
A Moving Picture Giving and Taking Book, The Breakhage Lectures, Seen, Film
Biographies, The Brakhage Scrapbook, Film at Wit's End, I...Sleeping, The
Domain of Aura... Ha sfornato allievi ed e' diventato soggetto di
documentari. Adorava Superman ('78) e ha recitato in Cannibal! The Musical
('96) di Trey Parker e Matt Stone, quelli di South Park, suoi allievi. Negli
ultimi 35 anni Brakhage (professore emerito dell'universita' di Boulder,
Colorado, dove ha insegnato per decenni) ha tenuto corsi e conferenze (dal
1969 al 1981 all'Istituto d'arte di Chicago) in universita', colleges,
musei, gallerie e nei festival che gli hanno dedicato personali e
retrospettive (le ultime a Rotterdam 2002 e al Sundance) e premi (Bruxelles,
Telluride, il Maya Deren 1986 e Guggenheim). A Torino 2003 sarebbe stato
ospite d'onore e ne stava creando la nuova sigla.
Chiedere i suoi film a Canyon Cinema, 145 Ninth Street, Suite 260 San
Francisco, CA 94103; tel. 4156262255, e-mail: films@canyoncinema.com

9. LIBRI: UNA PRESENTAZIONE DI "OLTRE IL NULLA" DI AUSILIA RIGGI
[Ringraziamo Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi@tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questa presentazione del suo recente libro Oltre
il nulla, percorsi di vita religiosa femminile, Edizioni Il Segno dei
Gabrielli, 2003]
L'idea
L'idea nasce tra le "Donne Cosi'" (donne contro il silenzio)
Dopo la prima iniziativa di lanciare un libro per le donne in rapporto ai
preti, ora, senza abbandonare il settore che sta tanto a cuore a noi "donne
contro il silenzio", il nostro interesse e' diretto verso le donne che hanno
amato tanto (e non e' detto che non amino ancora) Cristo e la sua chiesa,
nonche' tutti i bisognosi della terra, fino al punto di farsi suore.
Che cosa le fa essere "diverse"? perche' la loro diversita' si esprime in un
contesto che le pone "fuori dal mondo"? perche' il loro discepolato
particolarmente impegnato rappresenta una categoria di serie A, che suscita,
deve suscitare ammirazione? E perche' i voti sono cosi' esclusivi rispetto
al modo comune di seguire Cristo?
Di fronte a questi e ad altri interrogativi, noi - un gruppo organizzativo
che fa da motore, ma che chiede l'aiuto di co-attori - vogliamo indicare una
via di liberazione delle coscienze sia a chi si affida ad un'istituzione
totalizzante, sia a chi resta affascinato dall'alone sacrale che le protegge
ed esalta.
Precisiamo che il nostro intento non e' metterci contro la Chiesa, ma contro
tutto cio' che dentro e fuori di essa e' contro i diritti e il bene delle
persone. Cio' ha una portata teologica concreta, quale le donne sono
chiamate a realizzare. Le idee che si trasformano in iniziative diventano
fatti. E questi vogliamo privilegiare.
*
Il libro
E' da dare in mano alle religiose senza esitazione. E a chiunque voglia
ripercorrere le tappe della propria vita, per scorgere nei momenti piu' bui
il segno e l'annunzio della liberazione spirituale.
Gli spunti di riflessione che esso offre sono tanti. Non ultimo quello di
cogliere l'essenzialita', il quid della sequela di Cristo, ma senza
l'illusione di poter tornare alle pure origini del cristianesimo.
Questo libro si inserisce nella ricerca storica femminista, la quale, come
dice Adriana Valerio nella sua premessa al volume, sta portando alla luce
alcuni tra gli innumerevoli casi nei quali emerge la conflittualita' tra
l'arbitrio dell'autorita' (che chiede negazione e dipendenza dell'io) e la
ricerca da parte delle donne del proprio "esserci".
Ausilia Riggi, nel narrare il suo iter spirituale, dimostra come nella vita
religiosa si possano ottenere imprevedibili, preziose opportunita', proprio
grazie all'educazione all'interiore svuotamento delle apparenze mondane.
Quasi in amichevole contrasto con la psicologa, Ines Damilano, lei si mostra
consapevole della grande ricchezza che le e' venuta dai quindici anni
trascorsi in Istituto. D'altra parte, afferma, le occasioni che l'hanno
fatto crescere sono analoghe a molte altre, proprie di ogni stato di vita.
Sia la sua, sia le altre trentasette testimonianze riportate nella terza
parte, riproducono - in via generale - lo stesso standard di vita religiosa:
un mondo a se', davvero altro, e non tanto in virtu' del distacco spirituale
dal mondo, quanto per la preminenza che viene attribuita alla Regola e a
tutto cio' che si muove nelle comunita' di persone affiliate, prive o quasi
di autonomia, perfino nell'intimo della coscienza.
Ma che cosa e' il Nulla, che l'autrice ha voluto evocare come traguardo non
voluto ne' cercato, oltre il quale le si schiuderanno orizzonti di Luce?
In una pagina del libro ("Attraversando il Nulla"), cosi' l'autrice si
esprime: "resto ancor piu' sola a sopportare il peso del nulla, a vagare nel
buio, priva del senso di me". Questa mancanza di senso di se' non e' forse
una fase in cui molti inciampano? Del Nulla non si puo' parlare, ne' la
mente lo puo' concepire. Eppure esso, quando non logora le energie fisiche
psichiche spirituali della persona, e' la nube scura dietro la quale si
nasconde il Dio dell'Amore. La filosofia e' impotente a spiegare il mistero.
Solo l'esperienza diretta puo' lasciare una traccia preziosa, inseguendo la
quale trovare un orientamento nel silenzio della fede, quando essa non ha
risposte.
La proposta della Riggi di tradurre il vocabolario della vita consacrata in
un linguaggio piu' evangelico, va nella direzione opposta a quella di una
letteratura religiosa che esalta virtu' eroiche ed eccezionali opere di
bene, proprio grazie all'addio dato al mondo. Senza negare i frutti di bene
operati da tante di coloro che ci hanno preceduto, lei segue una pista
diversa: vuol suonare un'altra campana, come dicono le parole finali del
libro.
I fatti narrati spiegano meglio di ogni teoria che la sequela dentro le
strutture istituzionali puo' nascondere delle insidie, e percio' esige
modifiche strutturali di fondo. I sacri voti, che nella narrazione unanime
delle testimoni sarebbero da considerare come la summa del programma delle
persone consacrate, andrebbero ridimensionati per dare largo spazio alla
parzialita', propria di tutto cio' che e' umano, in modo tale che parole
come servizio consacrazione radicalita' umilta' eccetera, siano davvero
incarnate nella realta': cosa facile a dirsi, non a farsi.
Importante e' l'uso del mezzo narrativo. Il quale ha una sua "innocenza" e
si presta alla ricerca appassionata di chi non vuole enunciare verita',
tanto meno pretende di fare generalizzazioni. Eppure il monito sotteso nelle
molte pagine del libro, senza la pretesa di imporlo, e' questo: e' ora di
caricarci, tutti e tutte, della responsabilita' di seguaci di Cristo, senza
demandarla ad icone costruite su misura di una santita' sacrale, benefica,
elargitrice di mediazione presso Dio.
Un libro che non "fa letteratura ascetica", ma nemmeno "fa romanzo". Anche
se il raccontare serio puo' suscitare, oltre che sentimenti, pensiero. E,
nel nostro caso, pensiero teologico.
*
L'autrice
Ausilia Riggi, siciliana, ormai alla soglia dei settant'anni, ha una lunga
esperienza di vita religiosa. I suoi studi abbracciano l'ambito
antropologico del rapporto donna-sacro. Da poco le e' mancato il marito,
Giacomo Pignata, col quale ha condiviso gli ultimi tre decenni della sua
vita, senza smarrire gli ideali che anche lui, parroco per lunghi anni, ha
continuato a coltivare, soprattutto nei luoghi in cui spira ancora la brezza
rigeneratrice del Vaticano II. Nel suo impegno possiamo ritrovare il seme
della profezia dal quale non sono esclusi gli emarginati. Lei, consapevole
dei limiti nei quali si muove una scelta non-istituzionale, propone di fare
di essi un mezzo di incarnazione concreta.

10. INIZIATIVE. CRISTINA PICCINO: THE LYSISTRATA PROJECT
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 marzo 2003]
Tutto comincia in gennaio a New York, quando cioe' la protesta contro la
guerra preventiva in Iraq esplode con forza, sostenuta apertamente da
intellettuali, artisti, attori, attrici, Sean Penn in testa che vola anche a
Bagdad per vedere cosa accade realmente in quel paese.
L'idea viene a Kathryn Blume e Sharron Bower, registe e attrici di teatro,
che in quei giorni stavano lavorando a un adattamento di Lisistrata, e la
storia scritta da Aristofane secoli fa e' diventata subito gesto
contemporaneo nella volonta' di quelle donne, guidate dalla bella ateniese,
che stanche della guerra infinita tra Atene e Sparta organizzano lo
"sciopero" del sesso. Nasce cosi' The Lysistrata Project, pensato come un
gesto di pace collettivo che coinvolga i palcoscenici di tutto il mondo. La
filosofia delle due ideatrici e' "pensare globalmente, agire localmente",
che poi e' anche un po' il modello seguito per i Dialoghi della vagina di
Eva Esler - la quale ha dichiarato: "e' fantastico sapere che un evento
simile sia possibile, inviate il mio sostegno e sappiate che sono li' tra
voi con tutta l'anima" - visto che per protestare contro la politica di
Bush, le due attrici cercano di coinvolgere sullo stesso testo il piu'
grande numero di artisti. E nello stesso momento, una data, il 3 marzo che
vuole essere scaramantica e simbolica.
"Prima di tutto questo ci sentivamo impotenti, non potevamo fare altro che
guardare in tv l'orrore della politica di Bush, i suoi preparativi per
l'attacco unilaterale all'Iraq. Abbiamo iniziato a spedire e-mail ai nostri
amici, e abbiamo aperto un sito. La risposta e' stata incredibile. Ci hanno
scritto in migliaia dicendoci che vivevano il nostro stesso stato d'animo e
che nei loro paesi discutevano ogni giorno sui pericoli di questa guerra".
Un lavoro appassionato, frenetico e instancabile.
Infatti all'appuntamento hanno aderito cinquantasei paesi sparsi nel mondo,
dagli Stati Uniti all'America Latina, e poi Giappone, Australia, Europa (in
Italia l'evento e' stato ospitato dal teatro Vascello di Roma, e dal Teatro
Miela di Trieste), oltre novecento artisti e compagnie e circa mille
teatri... E tutti presenti con forme e modi diversi, utilizzando anche spazi
non teatrali, biblioteche, parchi, improvvisando o seguendo una regia piu'
studiata. A Londra il Progetto Lisistrata ha "occupato" la piazza di fronte
al Parlamento. Nel coro contro la guerra c'erano anche Vanessa Redgrave,
Magie Steed, Alan Rickman, David Hare, e Toni Harrison che ha "regalato" al
pubblico e alla pace la lettura in anteprima del suo adattamento di
Lysistrata. A New York The Lysistrata Project e' stato rappresentato
all'Harvey Theater, nel ruolo di Lisistrata c'era Mercedes Ruehl, insieme a
Fred Murray Abraham, Kevin Bacon, Peter Boyle, Kathleen Chalfont, Delphi
Harrington, Kyra Sedgwick, Lori Singer con la regia di Ellen McLaughlin. Ha
detto Julie Christie, che ha sostenuto l'iniziativa in California (regia di
Michael Clark Haney, John Densore alle percussioni): "la storia deve
scrivere che milioni e milioni di persone erano contro questa guerra".
All'iniziativa hanno aderito anche moltissime organizzazione per la pace, e
i soldi raccolti nei diversi teatri erano destinati all'aiuto delle
organizzazioni non governative che lavorano nei paesi massacrati dalle
guerre.
E ora? Cosa accadra' del Progetto Lisistrata? Le curatrici continuano a
lavorare (si parla di un prossimo appuntamento per il 3 maggio) e sperano
che la macchina teatrale di protesta non si fermi finche' si parla di
guerra. Dicono Blume e Bower: "noi amiamo il nostro paese e per questo
pensiamo che la sua liberta' e la sua ricchezza devono essere legate a un
grosso senso di responsabilita'. Questa guerra non e' un'azione
responsabile. Bush non vuole ammettere che una guerra rendera' il nostro
paese piu' povero, ci allontentanera' da molti paesi alleati e soprattutto
fara' crescere un sentimento antiamericano in tutto il mondo. Deve essere
chiaro che Bush non parla a nome degli americani. E tutti coloro che sono
contro questa guerra devono dirlo, devono agire per la pace".

11. MAESTRE. LAURA BOELLA: IL DOLORE DI INGEBORG BACHMANN
[Da Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune Edizioni, Mantova 2000, pp.
89-90.
Laura Boella, docente di storia della filosofia morale all'Universita' di
Milano, e' tra le massime studiose di Gyorgy Lukacs, Agnes Heller, Ernst
Bloch, Hannah Arendt. E' impegnata nella ricostruzione del pensiero
femminile nel Novecento. Fa parte della redazione della rivista filosofica
"aut-aut". Opere di Laura Boella: Il giovane Lukacs, De Donato, Bari 1977;
Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977; Ernst Bloch.
Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; Dietro il paesaggio. Saggio su
Simmel, Unicopli, Milano 1987; Parole chiave della politica, Mantova 1995;
Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Feltrinelli,
Milano 1995; Morale in atto, Cuem, 1997; Cuori pensanti. Hannah Arendt,
Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; con
Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Cortina, Milano 2000; Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo,
Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva, Tre Lune, Mantova 2000.
Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma
1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'.
Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione
all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il
lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia
esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto
e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e
poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne.
Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan.
Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo
eventuale. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4
voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und
Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. Opere su Ingeborg Bachmann: un'ampia
bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di
Invocazione all'Orsa Maggiore]
E' vero che Ingeborg Bachmann ha esplicitamente posto il dolore come
mediatore tra esperienza e verita'. Era il suo dolore di donna, ma era anche
tutt'altro, e questo tutt'altro abita e viene ospitato nel suo dolore.
Perche' in Ingeborg Bachmann c'e' tutto. La disperazione e l'autonomia di
pensiero, la solitudine e la resistenza eroica, la critica distruttiva e la
ricerca della verita', l'impotenza della parola e il compimento dello sforzo
linguistico.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 533 del 12 marzo 2003