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I LAVORI IN SENATO PER LA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO DELLE ARMI



SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA

346a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MARTEDÌ 4 MARZO 2003

(Antimeridiana)

_________________

Presidenza del presidente PERA,

indi del vice presidente DINI

_________________

[...omissis...]

Presidenza del vice presidente DINI

Seguito della discussione del disegno di legge:

(1547) Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica 
francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il 
Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e 
dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la 
ristrutturazione e le attivita' dell'industria europea per la difesa, con 
allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonche' modifiche alla 
legge 9 luglio 1990, n. 185 (Approvato dalla Camera dei deputati)


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del 
disegno di legge n. 1547, gia' approvato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 27 febbraio ha avuto inizio la 
discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Giarretta. Ne ha facolta'.


GIARETTA (Mar-DL-U). Signor Presidente, desidero intervenire per sostenere 
l'approvazione dell'ordine del giorno G3. Il poco tempo che abbiamo a 
disposizione, del tutto inadeguato, ritengo, rispetto ad un provvedimento 
cosi' importante, mi impedisce di sviluppare le argomentazioni al riguardo. 
Chiederei percio' fin d'ora l'autorizzazione a consegnare l'intervento 
scritto, limitandomi qui a sottolineare il seguente aspetto.

Noi riteniamo che ci siano strumenti meno rozzi della guerra preventiva per 
prevenire la diffusione degli armamenti. La legge n. 185 del 1990 e' uno di 
questi strumenti; essa andrebbe rafforzata e non indebolita, come fa il 
provvedimento al nostro esame. In modo particolare, l'ordine del giorno G3, 
e sottolineo l'esigenza di approvarlo, e' volto appunto a contrastare la 
diffusione delle armi leggere (di cui il nostro Paese purtroppo e' un 
grande produttore), diffusione che alimenta molte guerre locali. Per questo 
e' necessario utilizzare i primi strumenti, anche di cooperazione 
internazionale, che sono volti ad ostacolare la diffusione di questi mezzi 
di guerra.

Consegno il mio intervento, se il Presidente mi autorizza. (Applausi dai 
Gruppi Mar-DL-U e DS-U).


PRESIDENTE. La autorizzo in tal senso, senatore Giaretta.

È iscritto a parlare il senatore D'Onofrio. Ne ha facolta'.


*D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, ci troviamo 
in una situazione per qualche aspetto singolare, in seconda lettura, dopo 
il voto della Camera di ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro 
stipulato il 27 luglio 2000 a Farnborough sul tema della cooperazione 
europea. Ricordo (poiche' siamo in fase conclusiva di questa vicenda molto 
lunga e tormentata) che i Paesi firmatari dell'Accordo quadro sono la 
Francia, la Germania, l'Italia, la Spagna, la Svezia e la Gran Bretagna, 
Paesi quindi di particolare rilevanza.

In cosa consisteva questo Accordo? Perche' noi, in seconda lettura, 
discutiamo ancora nel merito di un Accordo che, ragionevolmente, dovrebbe 
essere stato ratificato da qualche tempo? Voglio soltanto osservare che gli 
altri Paesi lo hanno tutti ratificato.

Le ragioni della lunghezza della procedura italiana e delle incertezze che 
si sono manifestate non riguardano tanto l'esecuzione dell'Accordo, quanto 
il fatto che la legge italiana di ratifica e di esecuzione dell'Accordo 
medesimo prevede alcune modifiche di un'altra legge italiana - non europea 
quindi - la n. 185 del 1990 in materia di esportazione di armi.

Tale legge e' ritenuta, complessivamente, particolarmente rigorosa e 
garantista, sia dal punto di vista degli elementi conoscitivi di cui il 
Governo viene in possesso nel momento in cui si chiede di esportare armi, 
sia per quanto riguarda la destinazione delle armi stesse. Si e' ritenuto 
da piu' parti che, nel dare ratifica a questo Accordo, si sia colta 
l'occasione per ridurre, indebolire o - come qualche minuto fa diceva il 
collega Giaretta - ammorbidire talune delle prescrizioni della legge n. 
185, rendendola piu' blanda.

Alla Camera dei deputati queste preoccupazioni, dopo il varo della ratifica 
in Commissione, avvenuto all'unanimita', si sono manifestate in Aula, la 
quale ha votato questo provvedimento nel giugno 2002, quasi un anno fa. 
Tali preoccupazioni si sono nuovamente manifestate al Senato.

Allora, poiche' si tratta di preoccupazioni particolarmente rilevanti, 
molto diffuse, che hanno riguardato settori assai significativi della 
societa' civile italiana, interessati in modo particolare ai problemi della 
produzione e dell'esportazione di armi, ho ritenuto di fermare, a nome del 
Gruppo dell'UDC, l'approvazione del provvedimento in Aula al Senato e di 
attivare, insieme ai colleghi Forlani, Tarolli e Meleleo, che e' componente 
della Commissione difesa, una serie di consultazioni anche tecniche, per 
capire se le preoccupazioni che erano state manifestate prima alla Camera e 
quindi nuovamente al Senato erano in qualche misura fondate dal punto di 
vista del merito oppure potevano essere, si', legittimamente manifestate, 
ma altrettanto legittimamente fatte rientrare, una volta chiarito che 
queste stesse preoccupazioni, che pure il testo al nostro esame poteva far 
insorgere, non sussistono ad un'adeguata e attenta lettura tecnica.

Dico questo perche' le preoccupazioni sono state manifestate soprattutto in 
riferimento a tre questioni che sono state riproposte anche qui in Senato.

Nella legge n. 185 del 1990 (la legge italiana sulle esportazioni di armi) 
si prevede che non si dia luogo ad esportazione di armi nei Paesi in cui si 
sia riscontrata violazione dei diritti umani. Nel disegno di legge di 
ratifica del Trattato, invece, si dice che e' vietata l'esportazione di 
armi prodotte in seguito alla cooperazione europea in Paesi i cui Governi 
siano responsabili di "gravi violazioni" dei diritti umani.

Ci si chiede, in altri termini, se non vi sia una riduzione di garanzia, 
nel senso che l'esportazione di armi prodotte in seguito all'Accordo di 
cooperazione finisca con l'essere consentito anche in Paesi responsabili di 
violazione dei diritti umani riducendo, in un certo senso, le garanzie 
previste dalla citata legge n. 185.

Al riguardo, vorrei far riferimento senza intento polemico di sorta - lo 
dico ai colleghi del centro-sinistra, in particolare ai colleghi diessini - 
ad una considerazione svolta in Aula alla Camera dall'onorevole Minniti, il 
quale ad un'Assemblea forse distratta, comunque non sufficientemente 
attenta, come attenta invece era l'opinione pubblica esterna che 
polemizzava con questa legge di ratifica, cercava di spiegare che con 
l'Accordo quadro non si introduce una nuova disciplina di esportazione 
delle armi, bensi' una disciplina per la produzione coordinata europea di 
armi, cosa radicalmente diversa.

L'Accordo quadro, in altri termini, tende a consentire l'aggregazione di 
piu' forze produttive, governative e private, da parte dei Paesi 
sottoscrittori dell'Accordo medesimo per realizzare armi. La disciplina 
dell'esportazione delle armi rimane in vigore come disciplina distinta, per 
cui la legge n. 185 del 1990, che riguarda appunto l'esportazione di armi, 
non e' coinvolta in quanto tale dalla ratifica dell'Accordo quadro che 
concerne invece l'attivita' dell'industria europea di difesa.

Dico questo perche' all'epoca c'era il Governo D'Alema e l'onorevole 
Minniti aveva una specifica conoscenza della questione, non perche' la 
responsabilita' della riduzione delle garanzie sia di un altro Governo: se 
cosi' fosse, questo Governo non avrebbe alcun dovere di dare attuazione ad 
un accordo del genere. Dico soltanto che il Governo D'Alema non aveva dato 
vita ad un accordo quadro con la conseguenza di ridurre le garanzie 
interne, e lo ripeto perche' e' importante che anche i colleghi senatori, i 
quali hanno mostrato comprensibilmente preoccupazione rispetto alla legge 
italiana di ratifica di questo Accordo, sappiano qual e' stata l'opinione 
espressa al riguardo da un collega della Camera particolarmente autorevole.

L'onorevole Minniti ha poi votato contro la legge, esprimendosi a favore 
della ratifica dell'Accordo, ma contro la modifica della legge n. 185. 
Infatti, dagli atti della Camera risulta che voto' a favore in Commissione, 
mentre mi sembra che in Aula si sia espresso contro gli articoli dal 3 al 
17. Vorrei pero' evitare argomenti troppo tecnici perche' in questo momento 
mi interessa rendere chiaro il perche', a nostro giudizio, le 
preoccupazioni del tutto comprensibili non sono tuttavia giustificate, per 
cui il Gruppo dell'UDC, se vorra' seguire il mio orientamento, votera' a 
favore della legge di ratifica nel suo complesso.

L'onorevole Minniti sosteneva che "il cuore del Trattato di Farnborough 
riguarda la cooperazione e la ristrutturazione dell'industria europea per 
la difesa, mentre l'aspetto dell'esportazione non solo non e' essenziale, 
ma anzi, derivando unicamente come conseguenza della cooperazione, non e' 
un punto di riferimento dell'Accordo".

Su questo vorrei che fosse fatta chiarezza fino in fondo: l'Accordo 
riguarda la possibilita' di dare vita ad armi prodotte con la cooperazione 
europea, mentre i procedimenti di esportazione delle armi cosi' prodotte 
sono altra cosa. Se noi, dando vita alla ratifica, riducessimo le garanzie 
per le esportazioni delle armi, si sarebbe in presenza di una diminuzione 
della garanzie, ma cosi' non e'.

Il primo dei tre punti fondamentali di cui parlavo riguarda il passaggio 
dal divieto di esportazione in Paesi che abbiano commesso violazioni di 
diritti umani al divieto di esportazione verso Paesi nei quali si siano 
verificate e siano state accertate, da parte degli organismi internazionali 
a cio' preposti, "gravi violazioni" dei diritti umani.

Se cosi' fosse, la preoccupazione sarebbe seria. Qui, pero', mi riferisco 
ad una specifica dichiarazione di voto dell'onorevole Mattarella, ex 
ministro della difesa, che proprio in riferimento alla questione delle 
"gravi violazioni" rispetto alle "violazioni" svolge due considerazioni 
(che risultano dai resoconti stenografici della seduta dell'Aula della 
Camera del 25 giugno scorso) di estrema rilevanza, esprimendo un voto 
favorevole al testo che contiene la previsione delle "gravi violazioni".

L'onorevole Mattarella dichiara : "Prevedere la parola "gravi", colleghi, 
non e' senza un fondamento, bensi' vi sono due ragioni. Anche l'Italia 
riceve contestazioni per violazioni dei diritti umani: per la lunghezza dei 
processi, per lo stato delle carcerazioni, ma se tutti i comportamenti 
vengono omologati e uniformati nel medesimo trattamento sanzionatorio, le 
norme perdono efficacia, diventano grida manzoniane".

Prosegue poi l'onorevole Mattarella con la seguente affermazione: "Del 
resto, i comportamenti per i quali e' vietato - ed anche nella citata legge 
n. 185 si intende vietare - il trasferimento di armi sono quelli in cui si 
realizzano genocidi, repressioni armate e uso delle armi, cioe' le 
violazioni che sono gravi e che tali sono dichiarate dall'ONU, dal 
Consiglio di sicurezza e dall'Unione europea".

Questo, pero', non e' il punto decisivo dell'intervento dell'onorevole 
Mattarella; il punto decisivo viene immediatamente dopo, e lo cito 
testualmente perche' su questo ritengo sia stata fatta chiarezza. Non 
vorrei percio' che si riaprisse una discussione nel merito, che considero 
conclusa nel senso in cui l'ha conclusa alla Camera dei deputati 
l'onorevole Mattarella.

Egli afferma che non e' soltanto il codice di condotta europeo, perche' la 
previsione delle gravi violazioni e' contenuta nel codice di condotta 
europeo, che e' uno strumento - come il Presidente gli riconosce - del 
Consiglio europeo; non e' cioe' una normativa italiana, ma l'espressione di 
un orientamento del Consiglio europeo ad operare in questo senso. La legge 
italiana si ispira alla formulazione del codice di condotta europeo.

L'onorevole Mattarella, quindi, afferma (ed e' questo il punto 
fondamentale): "Non e' soltanto il codice di condotta europeo a prevedere 
gravi violazioni dei diritti umani sotto questo profilo. Vi e' una 
differenza e su questo punto chiedo l'attenzione dei colleghi: il codice di 
condotta europeo chiede ai Paesi aderenti soltanto una particolare cautela 
nel cedere, vendere o trasferire armi a quei Paesi. Questa legge - quella 
di ratifica dell'Accordo - "prevede il divieto - non la particolare cautela 
- di cedere, esportare, vendere o far transitare armi attraverso quei 
Paesi. Si tratta di un passo in avanti, anche se vi e' scritto "gravi", 
perche' finalmente vi e' un carattere ineludibile e non piu' discrezionale 
che rappresenta un passo in avanti nella disciplina". "Per queste ragioni", 
afferma ancora l'onorevole Mattarella, "personalmente votero' a favore di 
questo articolo".

Sul punto della differenza tra "violazioni gravi" e "violazioni", il Senato 
puo' - se lo ritiene - attestarsi sulle motivazioni indicate dall'onorevole 
Mattarella, particolarmente esperto e non solo particolarmente sensibile, 
in ordine alla difesa dei diritti umani. Mattarella non e' caratterizzato 
da indifferenza verso i diritti umani, ma, al contrario, mostra particolare 
sensibilita' rispetto alla violazione dei diritti umani medesimi. Se 
Mattarella ritiene che in questo caso la legge sia addirittura piu' 
rigorosa del codice di condotta europeo, credo che ci dovremmo sentire 
tranquilli sul fatto che questa differenza non configura una riduzione 
delle garanzie, ma una diversa modulazione delle stesse, alla quale poterci 
attenere.

Oggi al Senato sono poste altre due questioni, e io ritengo che, rispetto a 
quella delle "gravi violazioni", le considerazioni dell'onorevole 
Mattarella alla Camera dei deputati siano conclusive. Chi non le condivide 
legittimamente porrebbe di nuovo il discorso, ma io ritengo che siano 
conclusive e, da questo punto di vista, tranquillizzanti.

Le altre questioni riguardano la destinazione finale dell'arma una volta 
prodotta (quindi, torniamo a parlare di esportazioni) e le notizie bancarie 
sulla cooperazione europea per la produzione di armi. Sono entrambe 
questioni significative; infatti, se fosse vero che le armi prodotte in 
seguito alla cooperazione europea si sottraessero alla disciplina rigorosa 
che la legge italiana prevede (in base alla quale occorre sapere qual e' 
l'uso finale, il punto di arrivo dell'arma), evidentemente la cooperazione 
europea finirebbe per consentire un aggiramento della normativa italiana, 
ma cosi' non e'. Allo stesso modo, se le notizie bancarie previste per la 
produzione di armi non fossero piu' richieste, il ragionevole - non uso il 
termine legittimo per evitare polemiche antiche - sospetto di far fuori il 
circuito bancario da questa materia potrebbe diventare legittimo, ma cosi' 
non e'.

E cosi' - ripeto - non e'. Dico questo perche' abbiamo giustamente 
approfondito, anche in contraddittorio con le parti che avvertono queste 
preoccupazioni, le due questioni che, signor Presidente, intendo esporre.

Nell'articolo 6 del disegno di legge di ratifica non si prevede che la 
domanda per il rilascio della licenza globale di progetto - che costituisce 
una innovazione normativa rispetto al passato e che rappresenta la ragione 
dell'Accordo di Farnborough - sia accompagnata anche dal certificato di uso 
finale, richiesta che invece e' prevista per la esportazione di armi.

La domanda e' la seguente: l'arma prodotta in seguito alla cooperazione 
europea rimane sottoposta alla disciplina italiana che prevede il 
certificato di uso finale oppure no? Certamente e' cosi'; l'arma resta 
sottoposta alla disciplina italiana, non perche' sia un'opinione da noi 
espressa, ma perche' questa norma non viene in alcun modo ne' abrogata ne' 
modificata. E se la licenza globale di progetto non prevede assolutamente 
il certificato di uso finale, e' perche' evidentemente essa attiene ad un 
profilo che non e' quello della esportazione delle armi. Pertanto, quando 
l'arma prodotta in seguito alla cooperazione deve essere esportata, 
l'esportazione riguardera' anche il certificato di uso finale.

Dal momento che non riteniamo che questa potesse essere opinione di chi 
parla, abbiamo voluto esplicitare questa argomentazione in un ordine del 
giorno, uno strumento parlamentare adoperato, in un certo senso, in modo 
anomalo perche' di fatto esprime un'interpretazione autentica. Abbiamo 
quindi esplicato nell'ordine del giorno che noi votiamo a favore del 
disegno di legge di ratifica, sapendo che e' in vigore la norma a cui ho 
fatto riferimento. Pertanto, la richiesta di certificato di uso finale deve 
essere avanzata qualora dalla cooperazione europea risultasse la produzione 
di armi da esportare.

Un altro punto dibattuto e' quello delle certificazioni bancarie. Ho 
l'impressione che su questo argomento sia stata montata una polemica al di 
la' del ragionevole. Non e' che la cooperazione bancaria, prevista nella 
legge n. 185 del 1990, non e' piu' contemplata nel disegno di legge di 
ratifica. Se cosi' fosse mi preoccuperei, ma cosi' - lo ribadisco - non e'.

L'articolo 27, comma 1, della citata legge n. 185 stabilisce che "Tutte le 
transazioni bancarie in materia di esportazione, importazione e transito di 
materiali di armamento, come definiti dall'articolo 2, vanno notificati al 
Ministero del tesoro". Quindi, le informazioni bancarie, se riguardanti 
l'esportazione di un'arma, devono essere trasmesse al Tesoro; la licenza 
globale di progetto pero' e' un atto autorizzativo del Governo. Che senso 
avrebbe quindi che il Governo, il quale acquisisce tali informazioni, 
informi anche il Tesoro, parte del Governo stesso?

Per questo motivo, l'abrogazione delle garanzie bancarie non si traduce in 
una cancellazione in base alla quale l'attivita' bancaria diventa 
misteriosa ed occulta; si elimina l'onere di notifica al Tesoro da parte di 
chi richiede la licenza globale di progetto, poiche' il Governo entra in 
possesso delle informazioni bancarie in quanto soggetto che autorizza. Non 
si eliminano quindi le informazioni bancarie, ma solo l'onere di informare 
il Tesoro. Il Governo e' informato aliunde; da questo punto di vista non 
c'e' evidentemente alcuna preoccupazione.

Si tratta di elementi che apprenderemo dalla relazione che il Governo 
presentera' al Parlamento. Pertanto, le informazioni saranno ovviamente 
disponibili; non vi e' alcun occultamento di attivita' bancarie.

Per queste ragioni, signor Presidente, abbiamo voluto che le due questioni, 
quella del certificato di uso finale e quella delle informazioni bancarie, 
risultate ancora controverse, fossero indicate in questo ordine del giorno 
con il quale non impegniamo il Governo ad essere bravo, cosa che non 
avrebbe senso, ma avvertiamo che noi voteremo in favore del disegno di 
legge di ratifica sapendo che gli strumenti di cui ho parlato sono in 
vigore. Riteniamo quindi, da questo punto di vista, che la tranquillita' 
possa essere garantita.

È evidente - e concludo - che la connessione tra questo Accordo e la 
complicatissima vicenda irachena ha concorso a far modificare taluni 
atteggiamenti, anche politici o di opinione, in ordine all'Accordo medesimo.

Non vorrei che, mentre per quanto riguarda l'Iraq si continua a discutere 
anche della legittimita' del ricorso alle armi, in riferimento al disarmo 
di quello stesso Paese, si creasse una commistione con quest'altra vicenda...


BEDIN (Mar-DL-U). Nessuno l'ha fatto, senatore D'Onofrio.


D'ONOFRIO (UDC). ....che non ha alcuna attinenza con la prima.

Da questo punto di vista ci si deve anche chiedere per quale ragione 
l'Accordo e' stato votato all'unanimita' in Commissione alla Camera, mentre 
in Aula e' stato votato dal centro-destra, con l'astensione del Gruppo 
della Margherita e con il voto contrario del Gruppo DS, e, ancora, per 
quale ragione queste preoccupazioni, che aleggiano anche al Senato, debbano 
comportare un nostro convincimento che sia necessario modificare la legge.

Sono favorevole a rimuovere le questioni di incertezza; non sono favorevole 
a modificare il provvedimento soltanto per il gusto di farlo, sapendo che 
se le ragioni di incertezza erano quelle che sono state espresse, esse 
vengono meno. Se invece si vuole comunque non approvare questa legge, il 
discorso e' diverso e noi a questo siamo contrari. (Applausi dal Gruppo 
UDC. Congratulazioni).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Viviani. Ne ha facolta'.


VIVIANI (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, 
colleghi senatori, dobbiamo oggi affrontare un provvedimento di particolare 
importanza e delicatezza. Doveva essere una normale ratifica di un'intesa a 
livello europeo relativa alla coproduzione di armi e a regole comuni nel 
loro commercio da parte di sei Paesi dell'Unione europea e della NATO, 
inserito nel processo di costruzione di una politica europea di difesa e di 
sicurezza, sulla quale era facile arrivare ad una intesa bipartisan.

Il Governo, invece, con una forzatura intollerabile - e mi meraviglia la 
capziosita' delle considerazioni teste' fatte dal senatore D'Onofrio - ha 
voluto approfittare di questa occasione per caricare sulla legge di 
ratifica dell'Accordo di Farnborough una modifica radicale della legge n. 
185 del 1990 sulla regolazione e il controllo del commercio delle armi, che 
ha scatenato una diffusa e prolungata reazione (e non solo preoccupazione) 
di gran parte del Paese.

Si poteva e si puo' ancora, usando un po' di saggezza politica, stralciare 
dall'intesa europea la parte relativa alla modifica della legge n. 185, per 
affrontarla in un secondo momento in un contesto meno carico di tensioni, 
in modo da trovare piu' facilmente un giusto equilibrio tra le diverse 
esigenze.

Finora il Governo, pero', si e' intestardito in una posizione 
intransigente, peraltro priva di motivazioni significative, dal momento che 
la gestione dell'Accordo di Farnborough non richiede affatto modifiche 
cosi' radicali e stravolgenti come quelle inserite nel provvedimento in 
discussione.

In questa materia, signor Presidente, occorre procedere invece con grande 
attenzione perche' ci troviamo in un ambito di particolare rilevanza per 
creare le condizioni della costruzione di una pace durevole nel futuro 
della nostra umanita'.

In un bel libro, edito recentemente, Tommaso Padoa Schioppa, nel delineare 
i princi'pi di una politica di pace dopo l'11 settembre 2001, afferma che 
essi consistono nel "sostituire la giustizia alla forza, il regno del 
diritto alla legge del piu' forte, porre un limite al potere assoluto di 
chicchessia, controllare insieme le armi".

L'esperienza degli ultimi decenni ha, del resto, dimostrato che esiste una 
stretta correlazione tra la nascita e l'estensione di focolai di guerra e 
lo sviluppo, piu' o meno incontrollato, del commercio delle armi.

La legge n. 185 del 1990 e' nata appunto con la finalita' di rompere questo 
rapporto attraverso rigorose regole di limitazione, controllo e trasparenza 
in tale commercio. Perche', signor Presidente, una reazione cosi' forte e 
prolungata da parte di tante istituzioni locali, di movimenti pacifisti e 
del volontariato, dei sindacati dei lavoratori e di molte altre 
associazioni di vario genere? Reazione non improntata a disinformazione o a 
superficialita' come, con una certa dose di cinismo, ha sostenuto in 
Commissione il rappresentante del Governo.

Questo avviene perche' la legge n. 185 del 1990 e' una legge di civilta', 
nata da una grande mobilitazione, culturale, sociale e politica nella 
seconda meta' degli anni '80 per nuove, coerenti e stringenti regole sul 
commercio delle armi e degli annessi processi commerciali e finanziari, che 
fino a quel momento avevano consentito uno sviluppo abnorme di tale 
commercio particolarmente nei Paesi del Terzo mondo.

A premere sul Parlamento furono allora una pluralita' di soggetti che, a 
vario titolo e da diversi punti di vista, hanno voluto cambiare una 
situazione che rappresentava un oggettivo moltiplicatore delle guerre e 
quindi una vergogna per un Paese democratico e civile quale vuole essere 
l'Italia.

Ricordo, per averle vissute direttamente nel sindacato, le numerose lotte 
dei lavoratori delle fabbriche di armi che, mettendo persino in discussione 
il proprio posto di lavoro, condussero diversi scioperi per riconvertire la 
produzione delle proprie aziende da militare in civile e ottennero alcuni 
risultati significativi.

Dietro questa legge c'e' quindi una fortissima sensibilita' civile e di 
pace, rispetto alla quale il Governo sta facendo violenza per finalita' che 
non hanno niente a che vedere con il ruolo del nostro Paese nel contesto 
europeo e internazionale. Anzi, sulla base di questa legge, l'Italia 
avrebbe potuto giocare, in un periodo nel quale i venti di guerra sono 
purtroppo tornati a farsi piu' minacciosi, un ruolo particolarmente 
innovativo, dando un contributo originale alla qualita' della politica di 
difesa e di sicurezza europea e al suo ruolo di pace nel mondo. Si e' 
preferita invece la scelta gregaria e subalterna di modificare radicalmente 
queste regole, aprendo nuovamente la strada a forme di commercio deregolato 
e non trasparente per finalita' di business che avranno effetti negativi 
sulle prospettive di pace.

Approfittare della introduzione della "licenza globale di progetto" per 
reinserire, oltre il necessario, regole semplificate di autorizzazione 
all'esportazione di armi, eliminando la necessita' dell'indicazione della 
loro destinazione finale e modificando in profondita' i controlli 
finanziari presso gli istituti di credito coinvolti, significa creare le 
condizioni, attraverso le sperimentate forme di triangolazione, per 
alimentare il commercio di armi in Paesi esterni all'Unione europea e alla 
NATO in conflitto o in procinto di esservi, con conseguenze disastrose in 
termini di distruzione di risorse da impiegare in quei Paesi per la lotta 
alla fame e per lo sviluppo.

Per salvaguardare la "riservatezza delle imprese" si sono diminuite la 
quantita' e la qualita' delle informazioni richieste, consentendo cosi' 
operazioni meno trasparenti e diminuendo in modo significativo il contenuto 
della relazione annuale che il Governo deve presentare in Parlamento, e 
quindi l'efficacia della funzione di controllo del medesimo.

Indicare che il commercio delle armi e' vietato solo nei confronti dei 
Paesi che compiono "gravi" violazioni dei diritti umani significa aprire 
pericolose possibilita' di diffusione delle armi in Paesi nei quali i 
diritti umani vengono negati o vilipesi in forme forse meno evidenti e piu' 
sofisticate, ma alla fine non meno gravi.

Per questi motivi ribadiamo la richiesta di scorporo della ratifica 
dell'accordo dalla discussione della modifica della legge n. 185 del 1990 e 
di approfondire poi le eventuali modifiche che si rendessero necessarie per 
l'applicazione dell'intesa. Sta ora al Governo e alla maggioranza, una 
parte della quale, al di la' delle considerazioni svolte dal senatore 
D'Onofrio, sappiamo essere seriamente preoccupata per lo stravolgimento, 
operato in questo disegno di legge, degli obiettivi fondamentali della 
legge n. 185, tener conto o meno dell'opportunita' di costruire un 
possibile consenso trasversale rispetto a un problema che ha notevole 
influenza sul futuro dell'Europa e sul suo ruolo di pace nel mondo.

In caso contrario esprimeremo il nostro no nel modo piu' determinato, con 
la coscienza che in tal modo non adempiremmo soltanto un doveroso ruolo di 
opposizione ma difenderemmo anche un patrimonio di civilta' e di pace 
dell'Italia. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e del senatore Peterlini).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Rigoni. Ne ha facolta'.


RIGONI (Mar-DL-U). Signor Presidente, chiedo di poter allegare agli atti il 
mio intervento.


PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.

Ha chiesto di parlare il rappresentante del Governo. Ne ha facolta'.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, 
onorevoli senatori, il provvedimento in esame approda all'Assemblea del 
Senato dopo un iter tormentato. Nella Commissione difesa della Camera non 
si manifestarono particolari divergenze tra i deputati della maggioranza e 
quelli dell'opposizione, tant'e' che il disegno di legge fu licenziato 
senza contrasti. I contrasti sono sorti in Aula, inizialmente con il 
tentativo di stralcio dei primi due articoli che si riferiscono alla 
ratifica dell'Accordo di Farnborough, per poi proseguire su altri punti - a 
partire dall'articolo 3 - che attenevano a modifiche della legge n. 185 del 
1990.

Infatti, come e' gia' stato ricordato ripetutamente da molti onorevoli 
senatori, il provvedimento si distingue in due parti diverse l'una 
dall'altra: i primi due articoli attengono la ratifica del Trattato di 
Farnborough sottoscritto dal Governo italiano nel luglio 2000; i rimanenti 
articoli attengono la modifica della legge n. 185 del 1990.

Approvato il testo dalla Camera dei deputati, esso e' approdato alle 
Commissioni riunite difesa e affari esteri del Senato, dove abbiamo 
assistito ad un legittimo ma intransigente ostruzionismo, che non ha 
consentito di completarne l'esame nelle Commissioni riunite, tant'e' che 
siamo giunti in Aula senza la relazione dei due Presidenti.

Premesso che e' legittimo esprimere dissenso anche quando forse non se ne 
hanno tutte le ragioni, come il senatore D'Onofrio ha brillantemente 
illustrato, vogliamo sgomberare il campo da alcuni pregiudizi.

Il Governo non ha alcuna intenzione di stravolgere la legge n. 185 del 
1990. Ritiene doveroso - cosi' come gli onorevoli senatori dell'opposizione 
- ratificare un Trattato che solo l'Italia non ha ancora ratificato; allo 
stesso tempo, ritiene d'intervenire su una legge del 1990 che 
obiettivamente, in alcune parti soltanto, risulta superata proprio 
dall'accordo di Farnborough.

Ci troviamo di fronte ad un provvedimento che e' stato bloccato nelle 
Commissioni riunite e contro il quale legittimamente, dal proprio punto di 
vista, l'opposizione ha avanzato molteplici critiche.

Voglio ricordare in questa sede che in Aula nell'altro ramo del Parlamento 
l'intero Gruppo della Margherita - che, come gli onorevoli senatori sanno, 
nella passata legislatura esprimeva il Ministro della difesa - si astenne 
su questo provvedimento perche' il Governo...


BEDIN (Mar-DL-U). Per poterlo migliorare qui.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. ...anche attraverso mia 
personale sollecitazione, si dimostro' oltremodo disponibile ad approvare 
alcuni emendamenti e ad accogliere degli ordini del giorno.

Ricordo che l'intero Gruppo della Margherita si e' espresso in questo 
senso. Potrei aggiungere l'UDEUR e altri esponenti dell'opposizione, ma 
voglio ricordare soprattutto che l'onorevole Mattarella, mentre appunto 
l'intero Gruppo della Margherita si astenne, voto' a favore non solo 
dell'articolo 3, ma dell'intero testo su cui questo ramo del Parlamento e' 
chiamato ad esprimersi.

È evidente che le opposizioni e anche il Gruppo della Margherita al Senato 
sono liberi di esprimersi diversamente - ci mancherebbe altro! - rispetto 
all'orientamento manifestato nell'altro ramo del Parlamento; pero' voglio 
ricordare ancora una volta, per amore di verita', che l'intero Gruppo della 
Margherita si astenne e il ministro della difesa di allora, onorevole 
Mattarella, voto' a favore.

La questione divise anche il Gruppo dei DS perche' non tutti votarono 
contro il provvedimento. Si astennero l'onorevole generale Angioni, gli 
onorevoli Benvenuto, Bova, Buglio, Cabras, Lulli...


BEDIN (Mar-DL-U). Guardi anche a tutti quelli che votarono contro!


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. ... Mancini, l'allora 
sottosegretario di Stato per la difesa onorevole Minniti, gli onorevoli 
Nigra, Quartiani, Sandi, l'allora ministro delle finanze onorevole Visco.

Questo a dimostrazione del fatto che, almeno nell'altro ramo del 
Parlamento, non ci si trovo' al muro contro muro che ci viene contestato 
dall'opposizione. Il muro contro muro non ci fu perche' vasti settori 
dell'opposizione alla Camera dei deputati non assunsero allora 
quell'atteggiamento intransigente che e' stato assunto poi in questo ramo 
del Parlamento.

È noto come il Governo di allora, presieduto dall'onorevole D'Alema, si 
fosse posto il problema della modifica della legge n. 185 del 1990, e se lo 
fosse posto prima ancora che, nel luglio del 2000, venisse sottoscritto 
l'Accordo di Farnborough, vale a dire sei mesi prima dell'accordo che oggi 
ci accingiamo a ratificare. Noi ci proponiamo di modificare la legge n. 185 
del 1990 anche per adeguarla alle novita' introdotte dall'Accordo di 
Farnborough.

Il Governo presieduto dall'onorevole D'Alema si propose dunque di 
modificare la legge n. 185 del 1990 a prescindere dall'Accordo di 
Farnborough, che sarebbe stato sottoscritto soltanto sei mesi dopo. Io 
credo sia interessante riandare alle argomentazioni addotte dal Governo di 
allora per modificare la citata legge n. 185, perche' esse possono 
tranquillamente essere condivise da tutti i componenti del Senato della 
Repubblica, maggioranza e opposizione.

Si legge nella relazione al disegno di legge governativo: "L'iniziativa di 
avviare un processo di revisione della legge 9 luglio 1990, n. 185, prese 
le mosse nel mese di giugno 1998" - quindi due anni prima - "allorquando il 
Presidente del Consiglio dei ministri" - espressione di un Governo di 
centro-sinistra - "anche su esplicita richiesta dei Ministri degli affari 
esteri e della difesa, istitui', per lo scopo, un gruppo di lavoro ad hoc. 
Tale volonta' era gia' stata anticipata, sempre dal Presidente del 
Consiglio dei ministri, nel marzo dello stesso anno nella relazione al 
Parlamento sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di 
armamento prevista dall'articolo 5 della legge stessa ed inoltre, 
successivamente, la medesima volonta' e' stata confermata nella relazione 
presentata nel corso del 1999". Quindi, l'iniziativa del Governo del 
gennaio 2000 non fu estemporanea o improvvisata, ma fu la logica 
conseguenza di un serio lavoro fatto dal Governo, che scaturi' appunto in 
quel disegno di legge.

Si legge ancora: "In questi due documenti, infatti, tra gli intendimenti 
programmatici del Governo, fu posta in evidenza la necessita' di un 
adeguamento della vigente normativa sull'interscambio di materiali di 
armamento ai nuovi scenari europei al fine di consentire al nostro Paese di 
poter partecipare attivamente al processo di integrazione di questo 
delicato settore di attivita'. Dalla data di promulgazione della legge n. 
185 del 1990 ad oggi, infatti, sono sopravvenuti, particolarmente in 
Europa, cambiamenti tali da sconvolgere l'ambiente stesso in cui la legge 
deve operare. Cambiamenti che se da una parte hanno confermato la piena 
validita' dei princi'pi informatori della legge italiana..." - e noi non li 
mettiamo in discussione - "dall'altra richiedono opportuni adeguamenti 
operativi alle procedure autorizzative per l'interscambio di questi 
materiali: cio' sia nell'interesse primario dell'Amministrazione ma anche 
in quello, non secondario," - e su questo conveniamo - "dell'industria 
nazionale che deve essere posta nelle condizioni di potersi presentare al 
meglio nel processo di integrazione strutturale europea dell'industria 
degli armamenti e di poter partecipare, su base paritetica, ai programmi di 
coproduzione intergovernativa".

Quindi, l'allora Governo D'Alema in sostanza anticipo', prima dell'Accordo 
di Farnborough, l'iniziativa di cui si e' fatto promotore l'attuale Governo.

Noi siamo convinti che la situazione sia molto chiara. È legittimo 
contrastare l'azione del Governo; meno giustificato e' assumere un 
atteggiamento contraddittorio con quello assunto da altri Gruppi del 
medesimo schieramento di centro-sinistra alla Camera dei deputati.

Debbo dare atto al senatore D'Onofrio della particolare sensibilita' 
dimostrata nel momento in cui chiese al Governo e ai Gruppi della 
maggioranza una pausa di riflessione per meglio esaminare i punti piu' 
qualificanti esposti dall'opposizione in modo critico nei confronti 
dell'iniziativa del Governo.

Lo stesso senatore D'Onofrio credo ci possa dare tranquillamente atto di 
avere nei suoi confronti e di avere avuto nei confronti di tutti i Gruppi 
dell'opposizione la massima disponibilita'. La differenza e' che il 
senatore D'Onofrio ha accolto la nostra disponibilita' contribuendo a 
risolvere alcune questioni e a sciogliere alcuni nodi che meritavano un 
approfondimento; debbo dire che dai Gruppi dell'opposizione non c'e' stata 
la medesima disponibilita' ad esaminare con noi gli stessi punti che sono 
stati chiariti, al di la' di ogni possibile dubbio, con il senatore D'Onofrio.

Non intendo ripetere quello che ha brillantemente detto il presidente 
D'Onofrio; voglio soltanto fare una precisazione sul richiamato intervento 
dell'onorevole Mattarella con riferimento all'articolo 3.

L'onorevole Mattarella mise in evidenza come il testo della legge n. 185 
del 1990, rispetto al testo di questo disegno di legge governativo, fosse 
vago, di difficile applicazione e di ardua esecuzione; infatti, esso 
prevede che l'esportazione e il transito di materiale di armamento sono 
altresi' vietati "verso i Paesi i cui governi sono responsabili di 
accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti 
dell'uomo", ma il punto qualificante e' quello ricordato dal presidente 
D'Onofrio: al di la' del fatto che le violazioni fossero piu' o meno gravi, 
mancava il soggetto che accertasse l'esistenza di queste violazioni.

Il Governo e' corso ai ripari e ha introdotto, nella legge n. 185 del 1990, 
una modifica nel senso di prevedere il divieto delle esportazioni "verso i 
Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni 
internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi 
delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa". Cioe', quello che 
prima era lasciato all'assoluta incertezza, oggi viene disciplinato, 
codificato, precisato nella gravita' dei comportamenti esportativi da parte 
di organi predisposti all'accertamento.

Noi riteniamo, per concludere, che tutte le osservazioni fatte sul disegno 
di legge abbiano, a nostro avviso, un punto debole, siano cioe' ispirate ad 
un preconcetto, ad una sfiducia nei confronti del Governo, quasi che il 
Governo stesso si fosse fatto e si facesse promotore di una legge per 
favorire l'esportazione di armi.

Non e' assolutamente cosi': noi siamo intervenuti laddove l'Accordo di 
Farnborough imponeva un intervento; siamo intervenuti in linea con 
l'iniziativa governativa del presidente D'Alema; siamo stati e siamo 
disponibili a qualsiasi confronto, non soltanto parlamentare ma anche con 
tutte le associazioni che hanno avanzato critiche e osservazioni a 
quest'iniziativa, nella certezza di aver reso un buon servizio all'Italia e 
di aver contribuito ad eliminare una concorrenza inaccettabile da parte di 
altri Paesi dell'Unione Europea nei confronti anche dell'industria italiana 
della difesa.

Come i partiti e le organizzazioni sindacali giustamente si sono 
mobilitati, quando e' scoppiata la crisi della FIAT, per tutelare 
doverosamente quei livelli occupazionali, cosi' noi non possiamo trascurare 
l'industria italiana della difesa, che da' lavoro a decine di migliaia di 
addetti che hanno i medesimi diritti di tutti gli altri lavoratori 
italiani. I lavoratori dell'industria della difesa italiana non sono e non 
possono essere considerati lavoratori di serie B: hanno gli stessi diritti 
degli altri lavoratori italiani.

Noi non abbiamo promosso un'iniziativa per liberalizzare le esportazioni. 
Non vogliamo favorire i mercanti di armi, ma vogliamo mantenere in essere 
la legge n. 185 del 1990 nei suoi pilastri fondamentali, adeguandola pero' 
- perche' e' una legge che ha tredici anni di vita - alle nuove realta', 
soprattutto europee; vogliamo adeguarla alla nuova realta' che scaturisce 
dall'Accordo di Farnborough che ci accingiamo a ratificare.

Per queste ragioni il Governo auspica una pronta approvazione del disegno 
di legge in esame.


PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Berselli e lamento che non tutti i 
senatori lo hanno ascoltato mentre esprimeva i suoi giudizi e le sue 
motivazioni sugli argomenti in esame.

Riprendiamo la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Bonfietti. Ne ha facolta'.


BONFIETTI (DS-U). Signor Presidente, purtroppo per cause indipendenti dalla 
nostra volonta', questa mattina, io e altre colleghe siamo arrivate un po' 
in ritardo in Aula; pertanto, vorrei chiederle di autorizzarmi a consegnare 
l'intervento scritto per la pubblicazione in allegato al Resoconto della 
seduta odierna.

Abbiamo ascoltato quanto stava riferendo il sottosegretario Berselli. 
Tuttavia, ritengo non si possa non rilevare che nel disegno di legge 
governativo per la ratifica del Trattato internazionale di Farnborough, 
recante misure per facilitare la ristrutturazione e le attivita' 
dell'industria europea per la difesa, si sono volute inserire in modo 
subdolo numerose norme che vanno ad intaccare punti qualificanti della 
legge n. 185 del 1990.

Si e' voluta cioe' utilizzare - a mio avviso indebitamente - tale ratifica 
per apportare modifiche ad una legge che riguarda la commercializzazione 
dei materiali di armamento e non attiene alla ristrutturazione e 
all'attivita' delle industrie del sistema bellico, tema, invece, 
dell'Accordo di Farnborough.

Poteva essere l'occasione, fermandosi alle disposizioni recanti 
l'autorizzazione alla ratifica, per discutere approfonditamente sui temi 
della difesa europea, per discutere del ruolo della NATO all'interno del 
contesto geopolitico sicuramente mutato dopo il 1989. Ce n'era e ce n'e' 
bisogno nel momento in cui ci sono nuovi venti di guerra.

Si poteva discutere piu' approfonditamente della necessita' o meno di una 
reale autonomia difensiva europea per contribuire ad un effettivo 
riequilibrio degli assetti geopolitici mondiali.

Io credo fermamente ad un ruolo sempre piu' importante, nello scenario 
mondiale, dell'Unione europea al servizio di politiche internazionali di 
sicurezza, di pace e di prevenzione dei conflitti. Mai come oggi, se 
prevalesse la saggezza europea sul rifiuto di guerre preventive non 
giustificabili da alcun punto di vista, si paleserebbe il ruolo 
determinante della vecchia Europa.

Avviandomi a concludere, sono anch'io d'accordo con Norman Mailer, che la 
scorsa settimana, al Los Angeles Institute for the Humanities, ha 
denunciato come il tentativo politico di Bush di far riemergere l'America 
dal suo declino attraverso una sempre piu' forte presenza militare potrebbe 
portarla si' alla testa dell'impero, ma - teme Norman Mailer - anche alla 
perdita, per gli americani, della loro democrazia.

So che la politica di sicurezza e di difesa comune deve poggiarsi su una 
propria industria militare, capace di ricerca, di innovazione e di 
autonomia ed e' per questo che credo sia importante ratificare il trattato 
di Farnborough. Cio' potrebbe avvenire immediatamente, oggi stesso, 
approvando i primi due articoli e stralciando le ulteriori norme che 
prevedono la modifica della legge n. 185 del 1990.

Come ha ripetutamente sostenuto anche il sottosegretario Berselli, qualcuno 
nel centro-sinistra aveva gia' proposto tale modifica nella scorsa 
legislatura, ma cio' non vuol dire che non si possano tranquillamente e 
seriamente riconsiderare nelle Commissioni di merito gli articoli dal 3 al 
12 del disegno di legge governativo. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-U e 
Mar-DL-U).


PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Donati. Ne ha facolta'.


DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, la ringrazio per la gentilezza che ci 
ha voluto accordare.

Onorevoli colleghi e colleghe, signori rappresentanti del Governo, nel 1990 
il nostro Paese, approvando la legge n. 185, si doto' di uno strumento 
avanzatissimo per il controllo sull'esportazione delle armi, subordinando 
tale attivita' alla politica estera italiana, alla nostra Costituzione e ad 
una serie di princi'pi previsti dalle norme internazionali.

In questo senso, la citata legge n. 185 ha anticipato il cosiddetto Codice 
di condotta europeo, attraverso la previsione di trasparenza nei passaggi e 
di controlli rigorosi. Va detto anche che nel 1993 la legge, anche per 
adeguamenti a direttive comunitarie, fu gia' in parte svuotata, perche' ne 
fu ristretta l'applicazione ad armamenti di esclusivo uso militare.

Ora, con il provvedimento alla nostra attenzione, di ratifica dell'Accordo 
di Farnborough, si stravolge ancora di piu' una legge rigorosa per il 
controllo della produzione ed esportazione di armamenti; anzi, la ratifica 
dell'Accordo non implica affatto la modifica e il peggioramento della 
citata legge n. 185: l'Accordo non lo richiede e non lo impone e sarebbe 
corretto separare questa discussione stralciando dal testo gli articoli 
successivi al 2. Basti pensare che ben 10 articoli su 14 recano modifiche 
peggiorative, che allentano i controlli e deregolamentano la produzione e 
l'esportazione di armi.

Non siamo contrari alla razionalizzazione dell'industria europea della 
difesa, perche' essa e' certamente parte di un futuro sistema di difesa 
europeo, anche se e' evidente che le politiche di sicurezza non possono 
basarsi sull'industria degli armamenti, ma su un complesso di azioni 
politiche ed istituzionali a sostegno della pace e della cooperazione tra i 
popoli; tuttavia, non vogliamo che l'applicazione dell'Accordo significhi 
fare passi indietro rispetto ad una conquista di civilta' e le nostre 
preoccupazioni sono condivise da migliaia di cittadini e da associazioni 
cattoliche, pacifiste e sindacali che si sono mobilitate fuori di 
quest'Aula contro il disegno di legge.

Le modifiche peggiorative riguardano essenzialmente la previsione di 
semplificazione dell'azione di vigilanza e delle procedure di controllo 
attraverso la cosiddetta licenza globale di progetto: addirittura essa 
viene estesa anche ai Paesi europei che non hanno firmato l'Accordo e 
soprattutto ai restanti paesi NATO.

Va ricordato che molte legislazioni europee e dei Paesi NATO sono molto 
piu' permissive della nostra e cio' significa rilasciare, attraverso una 
licenza globale di progetto, una delega in bianco al Paese con cui si 
coproduce, rispetto alla scelta delle destinazioni finali, senza controllo 
da parte del nostro Governo e del Parlamento.

Inoltre, come prevede questo provvedimento, la licenza si applica non solo 
alle coproduzioni governative, ma anche a quelle tra industrie private, con 
una evidente riduzione dei controlli e delle garanzie: basti ricordare, 
sempre per fare un confronto, che l'Accordo di Farnborough prevedeva tutto 
questo esclusivamente per le coproduzioni governative.

Si riducono e si allentano, dunque, i controlli, eludendo le norme relative 
- ad esempio - alle attivita' bancarie, che non verranno piu' notificate al 
Ministero del tesoro e da questo autorizzate.

Questo aspetto e' di per se' assai grave, perche' - lo voglio ricordare - 
la legge n. 185 del 1990 nacque proprio a seguito dello scandalo 
BNL-Atlanta: le accertate triangolazioni di commercio di armi in cui fu 
coinvolto il nostro Paese diedero vita ad una campagna sociale di numerose 
associazioni cattoliche e non violente "Contro i mercanti di morte", che 
richiesero ed ottennero dal nostro Paese una normativa assai stringente ed 
avanzata.

L'attuale normativa prevede il divieto di esportazioni di armi a Paesi in 
conflitto armato, la cui politica contrasti con l'articolo 11 della 
Costituzione, Paesi a cui sia stato dichiarato l'embargo totale o che siano 
responsabili di accertate violazioni dei diritti umani.

La norma alla nostra attenzione introduce il concetto di gravi violazioni, 
distinguendo in modo inaccettabile, e anche difficilmente controllabile, i 
livelli di gravita' nelle violazioni dei diritti umani. Inoltre, l'accordo 
siglato da sei Paesi europei e' esteso, oltre che a tutti i Paesi 
dell'Unione Europea, anche ai Paesi della NATO, contrastando in questo modo 
lo stesso senso dell'Accordo sottoposto alla nostra ratifica, che doveva 
appunto costituire il nucleo per una razionalizzazione ed una politica di 
sicurezza europea.

È quindi in contrasto con lo stesso Accordo quadro l'estensione a tutti i 
Paesi NATO degli stessi criteri di allentamento e di deregolamentazione 
nella produzione e industria degli armamenti e costituisce di per se' un 
tradimento del concetto europeo dell'Accordo che stiamo ratificando.

Va ricordato ancora che il Codice di condotta europeo, approvato nel 1998, 
e' stato il primo passo importante verso l'approccio comune e responsabile 
sull'export di armi da parte degli Stati membri dell'Unione Europea. 
Sappiamo anche che il Codice di condotta ha al momento una forte debolezza 
attuativa, tanto che il 5 ottobre 2000 il Parlamento europeo ha chiesto di 
rendere piu' stringente e vincolante questo strumento di controllo comune. 
Ma il testo dell'Accordo in discussione va esattamente nella direzione 
opposta, deregolamentando, semplificando, allentando controlli, eliminando 
verifiche bancarie e specifiche autorizzazioni nella produzione ed 
esportazione di armamenti.

Ricordiamo e riproponiamo quindi la necessita' che vengano stralciati da 
questo provvedimento di ratifica articoli estranei, gravi e sbagliati. 
Cioe' ancora piu' indispensabile oggi che soffiano venti di guerra e che il 
terrorismo e' una realta' concreta e drammaticamente pericolosa. 
Altrimenti, il nostro Paese si rendera' complice di guerre e violenze, 
invece di lavorare concretamente per la pace e il rispetto dei diritti 
umani. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U e del senatore 
Peterlini. Congratulazioni).


PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Zulueta. Ne ha facolta'.


DE ZULUETA (DS-U). Signor Presidente, io sono tra coloro che, contro ogni 
evidenza, continuano a coltivare la speranza che la guerra annunciata 
contro l'Iraq non avra' luogo e lo faccio perche' ritengo che una grande 
democrazia, come quella degli Stati Uniti, non possa andare in guerra 
contro il volere della stragrande maggioranza dei Governi e dei popoli del 
mondo, che cosi' si sono espressi nella discussione presso l'Assemblea 
generale dell'ONU.

Cio' nonostante, devo notare che la guerra e' drammaticamente vicina e 
percio' e' singolare la decisione del Governo di portare in votazione 
proprio in questi giorni - lo ritengo un caso di pessimo tempismo politico 
- un disegno di legge che mira ad allentare i controlli sulle vendite di 
armi all'estero e, di conseguenza, a ridurre uno degli strumenti principali 
per evitare l'estensione dei conflitti. Tanto piu', signori colleghi, se si 
considera che la legge n. 185 del 1990, quella che noi, ratificando 
l'Accordo in esame, ci accingiamo a modificare, nacque proprio in seguito a 
scandali venuti alla luce per un improprio armamento dell'Iraq. La legge fu 
votata nel 1990, a seguito di numerosi scandali che riguardavano canali 
leciti e meno leciti di riarmo e armamento dell'Iraq.

Puo' sembrare ingeneroso insistere proprio in questo momento sul contributo 
italiano all'armamento di Saddam Hussein, visto che in Inghilterra sono 
state diffuse notizie relative a ingentissimi contributi britannici, e 
conosciamo tutti quelli specifici di molte industrie americane. Il 
contributo italiano pero' ebbe una sua peculiarita' e fu il risultato 
diretto dell'assenza di una legge organica e, soprattutto, di ampie zone di 
discrezionalita' amministrativa nella scelta di concedere o meno 
l'autorizzazione all'esportazione.

Queste zone di discrezionalita' riemergono con le modifiche proposte dal 
Governo con la legge di ratifica alla nostra attenzione. Faccio notare che 
l'Italia in quegli anni contribui' agli armamenti di Saddam Hussein 
fornendo non solo tecnologia per la fabbricazione dei gas nervini, ma 
soprattutto una piattaforma finanziaria attraverso la quale - se ricordate 
- la Banca Nazionale del Lavoro, attraverso la sua filiale di Atlanta, 
negli Stati Uniti, si trasformo' in una specie di piazza finanziaria per le 
transazioni relative all'esportazione di armi all'Iraq di tutta l'Europa e 
degli stessi Stati Uniti.

Ci fu inoltre il pasticcio della vendita di una costosissima flotta navale, 
che costo' all'Italia una brutta figura e, soprattutto ai contribuenti, un 
salatissimo conto, perche' l'Italia dovette addirittura indennizzare l'Iraq 
per la mancata consegna.

Infine, l'Italia contribui' all'industria nucleare di Saddam Hussein 
facilitando lo sviluppo di una sua arma atomica e fu una decisione 
dell'allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter a bloccare un 
contratto di vendita ad una nostra societa' colpevole di fornire tecnologia 
nucleare all'Iraq.

Cito questi precedenti per ricordare che, ancora una volta, il Governo 
utilizza lo strumento di una ratifica internazionale per tentare di 
allentare impropriamente i controlli nel nostro Paese. È un meccanismo che 
ho visto adoperare, ad esempio, con una legge relativa alle centrali 
elettriche nucleari, che non solo non rispetta le normative europee ma ne 
prescinde.

Ci troviamo adesso di fronte ad una legge di ratifica che dovrebbe 
tranquillamente accogliere - e caso mai adeguare - un accordo europeo agli 
alti standard vigenti nel nostro Paese e che invece utilizza questa 
scorciatoia per allentare i controlli.

Ritengo che la prova di questa volonta' stia nel fatto che non sono 
richiesti dall'Accordo i numerosi adempimenti che il Governo ci propone. 
Non e' richiesta, ad esempio, l'abolizione dell'autorizzazione alle 
transazioni bancarie; l'allentamento dei controlli finanziari e' infatti lo 
strumento principe per facilitare le notorie triangolazioni. Con il sistema 
tuttora vigente in Italia possiamo evitare queste triangolazioni e 
soprattutto mantenere la tracciabilita' delle transazioni e delle vendite, 
che non solo e' un dovere di trasparenza verso il Parlamento e gli 
elettori, ma e' soprattutto uno strumento utile in epoca di lotta al 
terrorismo.

In conclusione, questa ratifica - che doveva passare tranquillamente tra le 
technicalities del Governo - e' stata giustamente riportata all'attenzione 
del Paese dalla mobilitazione della societa' civile come passaggio di grave 
significato politico.

Credo che l'attenzione con cui e' stato seguito il dibattito sia una prova 
davvero incoraggiante della vigilanza democratica e della sua efficacia. 
Grazie ad Internet i cittadini ci seguono, ci ascoltano e valutano quello 
che stiamo facendo.

Signor Sottosegretario, coloro che hanno seguito il dibattito con puntuale 
attenzione ritengono che voi stiate compiendo un passo indietro e percio' 
credo che condanneranno vivamente quello che state tentando di fare. 
(Applausi dal Gruppo DS-U).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Moro. Ne ha facolta'.


MORO (LP). Signor Presidente, sostituisco il senatore Peruzzotti, oggi 
impossibilitato a venire a Roma, il quale mi ha pregato di esporre quanto 
egli stesso intendeva dire nella discussione generale, avendo seguito 
questo provvedimento nel suo iter presso le Commissioni riunite.

Due degli aspetti piu' importanti della politica di difesa concernono 
l'acquisizione dei materiali di armamento e la politica nei confronti 
dell'industria addetta alla loro produzione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, e' un indirizzo che si va 
consolidando da tempo quello di centralizzare a livello europeo il processo 
di acquisizione degli armamenti, nell'intento di evitare quella 
parcellizzazione delle commesse militari che e' considerata uno dei piu' 
gravi svantaggi competitivi dell'industria europea per la difesa in 
rapporto a quella statunitense. L'obiettivo principale di questa politica 
di centralizzazione e di europeizzazione e' quello di pervenire ad un 
abbattimento dei costi e ad un parallelo rafforzamento delle principali 
imprese europee del settore, in realta' grandi multinazionali continentali 
o transatlantiche.

In relazione al secondo aspetto, riguardante la politica industriale della 
difesa, deve essere invece sottolineato come sia avvertito da anni il 
bisogno di pervenire ad una uniforme disciplina europea dell'esportazione 
dei materiali di armamento. L'export dei materiali, infatti, e' importante 
perche' permette di ampliare i volumi prodotti e riduce quindi i costi 
unitari di produzione, attivando un circolo virtuoso di cui beneficiano sia 
le imprese del settore che le Forze armate acquirenti.

E' utile sottolineare, pertanto, che l'industria italiana di armamenti 
soffriva di una legislazione nazionale punitiva e, quindi, la richiesta di 
una maggiore uniformita' normativa e' quanto mai lecita.

L'adozione di rigide normative su scala continentale e' stata pero' 
caldeggiata anche dai pacifisti. La circostanza non deve stupire; la 
contraddizione e' infatti solo apparente. Se per le industrie il problema 
e' quello di eliminare la differenza di rigorosita' tra la durissima 
normativa italiana e quella in vigore nei principali Paesi partner e 
competitori in Europa, i pacifisti auspicano l'estensione delle rigide 
regole italiane in questo campo per ridurre complessivamente l'export 
europeo dei materiali di armamento.

Il provvedimento sembra pertanto capace di soddisfare l'insieme di queste 
esigenze prevedendo norme per il coordinamento e l'armonizzazione del 
processo di acquisizione dell'armamento militare europeo e stabilendo 
princi'pi comuni in materia di esportazioni di materiali di armamento che 
dovrebbero, al tempo stesso, ripristinare la competitivita' delle imprese 
italiane e colpire in qualche modo l'export dei nostri partner piu' 
agguerriti. La base risiede comunque in un codice di condotta europeo 
approvato a suo tempo.

Il provvedimento consta di 14 articoli e autorizza la ratifica e 
l'esecuzione di un accordo internazionale che ne contiene ben 60. Per 
quanto riguarda il disegno di legge, gli articoli 1 e 2 autorizzano 
rispettivamente la ratifica e l'esecuzione dell'accordo in questione, 
mentre gli articoli da 3 a 12 intervengono sulla legge n. 185 del 1990 che 
racchiude la disciplina italiana dell'esportazione di materiali di armamento.

Con riferimento al testo dell'accordo in questione, si fa notare che esso 
consta di nove parti: la prima fissa le nozioni terminologiche rilevanti ai 
fini del resto del testo e delinea l'organizzazione generale preposta alla 
gestione dell'accordo, istituendo in particolare il comitato esecutivo; la 
seconda parte si occupa della sicurezza degli approvvigionamenti; la terza 
riguarda il trasferimento all'esportazione dei materiali di armamento 
risultanti da un programma di armamento in cooperazione (ed e' quella che 
ha imposto la modifica della legge n. 185 del 1990) e introduce le licenze 
globali di progetto, che soppiantano le vecchie procedure nazionali per 
l'autorizzazione dell'export e del transito dei materiali d'armamento.

La quarta parte concerne la sicurezza delle informazioni classificate e fa 
riferimento alle normative nazionali; la quinta parte riguarda le attivita' 
di ricerca e sviluppo nel campo della difesa, prevedendo una maggiore 
cooperazione tra gli Stati contraenti sotto forma di scambi di informazioni 
che dovranno coprire anche le strategie elaborate dai singoli Governi. Sono 
previste misure di garanzia e di incentivazione senza pero' compromettere 
il carattere competitivo del settore industriale. Si e' apparentemente 
cercato un compromesso tra la soluzione americana e quella piu' 
interventista e protezionista di stampo francese.

La sesta parte disciplina il trattamento delle informazioni tecniche; la 
settima si occupa della delicata materia dell'armonizzazione dei requisiti 
militari, uno scoglio sul quale si sono arenati molti importanti programmi 
europei tra i quali quelli delle fregate trinazionali Horizon ora prodotte 
a due da Italia e Francia. Il processo delineato per superare gli ostacoli 
sembra macchinoso, lento e complesso, ma dovrebbe eliminare a monte le 
difficolta' che sorgono attualmente in fase esecutiva.

L'ottava parte dispone misure di tutela per il trattamento delle 
informazioni sensibili a livello commerciale, mentre la nona contiene le 
misure fiscali.

Per concludere, l'Italia resta pienamente coinvolta nel discorso della 
europeizzazione del processo di acquisizione dell'armamento militare anche 
dopo la decisione, presa nel dicembre 2001, di non partecipare al programma 
AM400.

Alle forze politiche che rappresentano il pacifismo piu' radicale andrebbe, 
invece, ricordato come il provvedimento non elimini affatto il controllo 
politico sull'esportazione dei materiali di armamento, tanto piu' che i 
beni, frutto dei programmi multinazionali oggetto dell'accordo, vengono 
venduti con commesse di elevati importi economici, che sono sempre il 
frutto di scelte politiche assunte ai piu' alti livelli.

Per queste considerazioni, anticipo anche che il voto sul provvedimento nel 
suo complesso da parte della Lega sara' favorevole. (Applausi dal Gruppo LP).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Andreotti. Ne ha facolta'.


ANDREOTTI (Aut). Signor Presidente, svolgero' alcune brevi considerazioni 
alle quali vorrei premettere un'osservazione che abbiamo fatto molte volte, 
ma che non ha trovato mai risposta.

Spesso vengono fissati i tempi del dibattito, poi pero' si autorizzano 
alcuni oratori a depositare il testo del discorso non letto perche' venga 
pubblicato in allegato. Vorrei che si riflettesse un poco su questo, 
perche' il giorno dopo sullo stenografico si possono leggere delle cose 
tremende a cui nessuno ha potuto rispondere. Questo c'entra solo "di 
striscio" con l'argomento, pero' vorrei fosse tenuto in considerazione, 
anche perche' a volte gli stenografici vengono riletti dopo vari anni da 
qualche studioso e allora i conti potrebbero non tornare.

Sul disegno di legge vorrei fare una proposta. Siamo in una situazione di 
disagio sia di metodo, sia di contenuto. Di metodo, perche' una ratifica 
non dovrebbe essere l'occasione per modificare leggi di carattere piu' 
generale. Quando l'anno scorso arrivo' questo provvedimento, siccome c'era 
una sollecitazione da parte del Ministro che doveva partecipare ad una 
riunione all'estero sull'argomento, proponemmo di approvare intanto la 
ratifica, dicendo non c'era niente di male se il disegno di legge fosse 
tornato alla Camera dei deputati. Prescindo dalle considerazioni che qui ho 
ascoltato; mi importa fino ad un certo punto sapere se alla Camera la 
Margherita ha votato oppure no.

La procedura ammessa, di discutere il provvedimento senza relatori, e' 
straordinaria e anomalo e' stato l'intervento del rappresentante del 
Governo - che ha fatto alcune considerazioni importanti - nel corso della 
discussione generale.

Mi spiace che non sia presente il senatore Contestabile, uno dei colleghi 
piu' colti che abbiamo, che sa tutto sugli ittiti e sui caldei; e' 
difficile anche contestarlo, perche' molti di noi non sono addentro a 
queste tematiche. Nel caso specifico, egli ha formulato due osservazioni. 
In primo luogo, ha citato, in modo dialettico, una precedente proposta 
dell'onorevole D'Alema che pero' egli stesso ha affermato non essere ne' 
uguale, ne' simile, ne' analoga; vorrei capire, allora, perche' e' stata 
citata. In secondo luogo, ha risposto ai dubbi di metodo circa una modifica 
della legge n. 185 del 1990 affermando che i tempi nuovi richiedono 
modificazioni. Quali tempi nuovi?

Dobbiamo pero' evitare di protrarre all'infinito la discussione. Certamente 
il fatto che ci sia stata una serie di prese di posizione da parte di 
organizzazioni dei piu' vari tipi non e' irrilevante, perche' sarebbe 
strano che fossero del tutto infondate. Comunque, essendoci state, a mio 
avviso, dobbiamo darvi una risposta.

Come affermato dal collega Contestabile, dovrebbe essere presentato un 
ordine del giorno della maggioranza, eventualita' a cui anche il 
Sottosegretario ha fatto riferimento. Premetto che ho ascoltato con molto 
interesse sia quello che ha detto il Sottosegretario, sia quello che ha 
detto il nostro collega D'Onofrio; il fine dell'ordine del giorno sarebbe 
quello di dare un'interpretazione autentica: di questo si tratta.

Sappiamo benissimo che nella nostra storia parlamentare gli ordini del 
giorno e le raccomandazioni hanno sempre avuto un valore piuttosto di 
documentazione a futura memoria, non certo operativo. In questo caso, 
invece, si tratterebbe di un ordine del giorno dal valore interpretativo. 
Tuttavia, e' anche un po' difficile capire come una norma possa essere poi 
di fatto applicata. Si prevede, infatti che, per dare l'Italia 
l'autorizzazione all'esportazione di determinati materiali, occorre che il 
contraente si impegni a non trasferire poi quei materiali a Paesi terzi, ma 
le misure e gli strumenti volti al rispetto di una tale norma proprio non 
li vedo.

Mi auguro che, in assenza di relatori su questo provvedimento, il Governo e 
la maggioranza possano fare un passo avanti, trasferendo quanto richiesto 
nell'eventuale ordine del giorno in uno specifico emendamento, introducendo 
cosi' questa interpretazione autentica nel testo stesso della legge.

Certo, in questo caso il provvedimento dovrebbe tornare alla Camera, ma 
abbiamo aspettato quasi un anno e quindi attendere altri dieci giorni non 
penso comporterebbe alcun inconveniente. Ritengo che in questo modo si 
potrebbe evitare la non applicazione di un istituto positivo di 
cooperazione europea su cui - anche da quello che ho sentito dire da molti 
colleghi - non mi sembra vi siano obiezioni di principio.

Un'iniziativa in tal senso potrebbe prenderla il rappresentante del 
Governo; oppure, l'onorevole D'Onofrio, che sarebbe tra i firmatari 
dell'eventuale ordine del giorno: trasformarlo, ove formalizzato, in un 
emendamento di interpretazione autentica da inserire nel testo stesso del 
disegno di legge. Non mi pare che sia un'anomalia; in ogni caso, si 
eliminerebbe una parte notevole delle preoccupazioni che tutti noi 
nutriamo. (Applausi dai Gruppi Aut, Mar-DL-U, Verdi-U e DS-U).


PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Andreotti. La Presidenza prende nota 
della sua osservazione riguardo a dichiarazioni o interventi non conclusi 
che vengono messi agli atti. La questione sara' portata a conoscenza dei 
Capigruppo per una loro valutazione.

Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facolta' di parlare il rappresentante del Governo.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, non 
credo di dover aggiungere altro agli interventi svolti, eccezion fatta per 
quello del presidente Andreotti, che ha sollevato una questione nuova e 
diversa. Nuova per la discussione che stiamo facendo; non nuova in 
assoluto, perche' il presidente Andreotti aveva gia' anticipato in sede di 
Commissioni riunite il suo intendimento volto a distinguere, anche dal 
punto di vista normativo, i primi due articoli dagli altri, stralciando 
cioe' gli articoli 3 e successivi e limitando la nostra discussione e 
votazione ai primi due. Cio' significa, in sostanza, limitare il 
provvedimento alla ratifica dell'Accordo di Farnborough.

La medesima questione fu sollevata in Aula nell'altro ramo del Parlamento 
ed e' stata, oltre che dal presidente Andreotti, sollevata anche da altri 
onorevoli senatori in sede di Commissioni riunite. Su questa richiesta la 
maggioranza ed il Governo non si sono dichiarati disponibili, ritenendo 
necessario intervenire anche sulla legge n. 185 del 1990 non solo per le 
motivazioni addotte dal Governo di allora nella relazione al disegno di 
legge del gennaio 2000, ma anche per adeguare la citata legge n. 185 alla 
novita' introdotta dall'Accordo di Farnborough.

La questione posta dall'eventuale presentazione di un ordine del giorno da 
parte dei Presidenti dei Gruppi di maggioranza e' indubbiamente seria. Il 
Governo non ha proposto la presentazione di un ordine del giorno, ne' 
presentato emendamenti: si e' limitato a esaminare una bozza di ordine del 
giorno e io posso, a nome del Governo, anticipare in questa sede quello che 
sarebbe l'orientamento in riferimento al medesimo.

Mi sembra si tratti di un documento che rispecchia la situazione normativa 
attuale, sia per quanto riguarda la legge n. 185 del 1990, sia per quanto 
riguarda alcune preoccupazioni legate alle modifiche al nostro esame. È 
chiaro che non spetta al Governo modificare un ordine del giorno: sono 
liberi i Presidenti dei Gruppi di maggioranza, eventualmente, di 
modificarlo, se lo ritengono. Da parte mia posso rimarcare un aspetto che 
mi sembra abbastanza evidente: si tratta di un documento in cui si chiede 
un'interpretazione autentica della legge n. 185 del 1990. Cioe', in 
sostanza, a fronte delle preoccupazioni emerse, legittimamente, in vasti 
settori della societa' civile, attentamente valutate non soltanto dai 
Gruppi dell'opposizione ma anche dai Gruppi della maggioranza, si ritiene, 
da parte dei Presidenti dei Gruppi della maggioranza, di fornire un 
chiarimento, in modo da superare le perplessita' avanzate dai Gruppi di 
opposizione.

Mi sembra di capire che il presidente Andreotti condivida il contenuto 
dell'eventuale ordine del giorno: condividerebbe il merito, ma non il 
metodo. In sostanza, condividerebbe quanto in esso richiesto ritenendo 
tuttavia piu' opportuno, anziche' lo strumento dell'ordine del giorno, 
quello dell'emendamento. Mi sembra, presidente Andreotti, che intanto - lei 
ce ne dara' atto - sia stato fatto un passo avanti, perche' sull'argomento 
le obiezioni di merito erano prevalenti rispetto a quelle di metodo; 
infatti, nelle Commissioni riunite affari esteri e difesa i punti che 
l'eventuale ordine del giorno tenderebbe a chiarire erano stati oggetto di 
una decisa e forte contestazione nei confronti del Governo, che aveva 
presentato il disegno di legge: quindi un passo avanti indubbiamente e' 
stato fatto se oggi ci troviamo a discutere soltanto del metodo.

Per quanto riguarda il metodo, sono liberi ovviamente i Presidenti dei 
Gruppi della maggioranza di presentare eventualmente un emendamento, pero' 
il Governo ritiene che un ordine del giorno sarebbe piu' che sufficiente, 
proprio perche' opererebbe un chiarimento in ordine alle perplessita' 
avanzate dall'opposizione. Penso che un emendamento non porterebbe nessun 
elemento ulteriore, perche' un ordine del giorno in tal senso sarebbe 
chiarissimo. Anticipo che il Governo lo accoglierebbe non come 
raccomandazione, ma in pieno, per cui credo che le perplessita' avanzate da 
vasti settori dell'opposizione potrebbero rientrare, quanto meno attraverso 
un'astensione, se non proprio con una condivisione del nostro disegno di legge.

Per queste ragioni, onorevole Presidente, ritengo, a nome del Governo, in 
assenza di un emendamento da parte dei Presidenti dei Gruppi della 
maggioranza, che si possa tranquillamente approvare un eventuale ordine del 
giorno, ove si ritenesse opportuno porlo in votazione.


BEDIN (Mar-DL-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, poiche' non ho tempo a disposizione, 
le chiedo di poter depositare agli atti il testo scritto delle motivazioni 
per cui chiedo, ai sensi dell'articolo 96 del Regolamento, il non passaggio 
all'esame degli articoli.


PRESIDENTE. Il senatore Bedin, a norma dell'articolo 96 del Regolamento, 
chiede il non passaggio all'esame degli articoli.

Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sulla proposta in esame.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, mi 
sembra di capire che il senatore Bedin chieda il non passaggio all'esame 
degli articoli, vale a dire che non si passi neanche all'esame degli 
articoli 1 e 2. Mi sembra stupefacente - lo dico a nome del Governo - che 
l'opposizione, che fino a poco fa aveva sostenuto la necessita' di 
ratificare l'Accordo di Farnborough, consacrato nei primi due articoli, 
oggi chieda di non passare all'esame degli articoli e quindi di non 
ratificare neanche tale Accordo.


BEDIN (Mar-DL-U). È colpa del Governo e della sua maggioranza.


GIARETTA (Mar-DL-U). Separate i due provvedimenti.


BAIO DOSSI (Mar-DL-U). C'e' modo e modo di chiedere le cose.


PRESIDENTE. Passiamo dunque alla votazione della richiesta di non passaggio 
all'esame degli articoli.


MALAN (FI). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


MALAN (FI). Chiedo la verifica del numero legale sulla proposta avanzata 
dal senatore Bedin, invitando i senatori di Forza Italia di appoggiare la 
nostra richiesta. (Commenti del senatore Garraffa).


BEDIN (Mar-DL-U). La maggioranza fa ostruzionismo.


GIARETTA (Mar-DL-U). Questa maggioranza e' stupefacente.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, 
ovviamente non entro nel merito della richiesta, ma siccome quando ho preso 
la parola poc'anzi ho sentito commenti dai banchi dell'opposizione, vorrei 
meglio sviluppare il mio concetto...


CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, non puo' parlare; e' stata chiesta 
la verifica del numero legale.


PAGANO (DS-U). È stata chiesta la verifica del numero legale: che cosa 
vuole sviluppare? Siamo in votazione!


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Io credo che il Governo 
possa prendere la parola. (Vivaci commenti dai banchi dell'opposizione). 
Signor Presidente, credo sia diritto del Governo intervenire quando ritiene 
opportuno farlo.


PAGANO (DS-U). Siamo in votazione, non puo' intervenire.


PRESIDENTE. Onorevole Berselli, le devo far notare che c'e' stata una 
richiesta di verifica del numero legale e quindi, a norma di Regolamento, 
dobbiamo procedere in tal senso.


Verifica del numero legale


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta 
risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento 
elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante 
procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


Il Senato non e' in numero legale.

Sospendo la seduta per venti minuti.


(La seduta, sospesa alle ore 11,52, e' ripresa alle ore 12,17).



Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1547

PRESIDENTE. Passiamo nuovamente alla votazione della richiesta di non 
passaggio all'esame degli articoli, avanzata dal senatore Bedin.


Verifica del numero legale


BOCO (Verdi-U). Aspettavo che intervenisse il collega Malan, ma poiche' non 
lo fa e vorrei aiutarlo, chiedo io la verifica del numero legale.


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta 
risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento 
elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante 
procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


Il Senato non e' in numero legale.

Apprezzate le circostanze, tolgo la seduta e rinvio il seguito della 
discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.