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I loro figli di puttana e i nostri
I loro figli di puttana e i nostri [Ça iraq. Quattro]
lanfranco caminiti [www.lanfranco.org]
Franklin Delano Roosevelt, ponendo fine nel 1939 al protettorato diretto
degli Stati Uniti sul Nicaragua, disse: "E' probabile che Somoza sia un
figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana." Più o meno la
stessa stringata considerazione dell'altro Roosevelt presidente,
Theodore, a proposito di un qualche dittatorello sudamericano, quando,
saputo di alcune porcherie di quello, se n'era uscito bofonchiando: "E'
una canaglia, d'accordo. Ma è la nostra canaglia."
Il sostegno a personaggi squallidi e a volte orribili, umanamente,
moralmente, politicamente, è stato il lato oscuro della politica estera
americana, basato sui rovesciamenti di governi democraticamente eletti o
sulla guerra sporca contro agguerrite opposizioni, troppo minacciosi gli
uni e le altre, per eccesso di nazionalismo o per schieramento nei
blocchi, degli interessi degli Stati uniti.
Colonnelli, massacratori di varia risma, generali fantoccio, squadroni
della morte, profeti apocalittici, gangster, partitelli "democratici"
inventati a tavolino, tutti e ovunque hanno trovato soldi, armi, appoggi
nel delirio anticomunista: non sto dicendo niente che non sia ormai
patrimonio comune della opinione civile americana e internazionale e
anche incartamenti di atti consultabili di organizzazioni quali il
Dipartimento di Stato, la Cia e via discorrendo. Forse è banalmente così
che si governa un impero.
C'è stato un momento in cui i "loro" figli di puttana divennero
inaffidabili e gli si rivoltarono contro: credo che a cominciare sia
stato Noriega o i "contras" o qualcuno a Haiti, chi se lo ricorda più, o
quelle testedicazzo dentro l'emigrazione cubana.
Non era solo il fatto che fossero ormai impresentabili, ma in qualche
modo queste facce d'ananas cercavano un margine di manovra, di
arricchimento personale ancora maggiore, di allargamento dei propri
deliri, insomma si erano presi troppo sul serio. A volte il loro
populismo diventava fastidioso e nocivo di interessi congrui. Lavoravano
in proprio, traffico d'armi, narcotraffico e cose così, capaci
addirittura loro, i figli di puttana, di tirarsi dalla propria parte
anche ufficiali, senatori e vita pubblica americana: Pablo Escobar, per
esempio, con il suo cartello di Calì, era una figura spuria ma
apparteneva di diritto a questa categoria. Facevano affari e politica
"in proprio", insomma. Il modo in cui fu risolto il caso del piccolo
Elian, divenuto icona dell'emigrazione cubana in Florida, non lascia
spazio a dubbi sulla determinazione a mettere ordine in quel puttanaio.
Le cose così non funzionavano più tanto bene.
C'è un elemento collaterale e suppletivo in questo passaggio: il
rafforzarsi dell'"intuizione" dell'uso della fede, del fondamentalismo
religioso, del fanatismo religioso come alimento irriducibile della
lotta politica. Anche di controllo sociale: i rapporti fra le varie
sette americane di fondamentalismo cristiano televisivo o della Nazione
dell'Islam di Farrakan e l'Fbi sono qualcosa più di semplici illazioni,
così come quelli fra strutture del tipo della chiesa del reverendo Moon
o del Falun gong e la Cia. Strumento di controllo all'interno e per
opposizioni e guerriglie da utilizzare in vari modi, questa "intuizione"
divenne sicuramente uno dei perni dei traffici di politica
internazionale degli Stati uniti. Poteva funzionare, ha funzionato
contro l'impero sovietico, ma anche - quale fosse la fede poco importa -
contro la Lega araba e ogni velleità di politica autonoma di questo o
quello Stato e in ogni caso come elemento destabilizzante in aree
cruciali per strategie militari o economiche.
Lo stesso Karol Woytila [e Solidarnosc e Walesa] deve molto, moltissimo
per la sua Polonia a questa "intuizione" americana. Non ci vedo nulla di
scandaloso in questo: forse è così che si rovescia un impero. A esempio,
all'opposto, l'impero ottomano si sgretolò proprio facendo leva sulla
laicità. Il fondamentalismo religioso poteva essere [lo è stato] un'arma
potente contro il comunismo, quindi svolto in forma politica; caduto il
comunismo poteva essere comunque un'arma di pressione o di
destabilizzazione di regimi e aree o di loro "stabilità passiva". Non
c'è stato, insomma, uno sviluppo del tutto "spontaneo" di questo
fenomeno planetario [a partire dalla crescita d'influenza della destra
cristiana all'interno degli Stati uniti e della destra ortodossa in
Israele e nei territori dei coloni]. O comunque la strumentalità della
"intuizione" americana ne ha accentuato l'ingovernabilità.
Sembra che in tempi relativamente rapidi, una volta conclusa la loro
"missione", questa nuova genia di figli di puttana gli si rivolta
contro, come riappropriandosi - in un soprassalto - di quella frase del
vecchio dittatore messicano Porfirio Diaz "troppo vicini agli Stati
Uniti, troppo lontani da Dio." Molti indizi confortano l'impressione che
in questa categoria si possa iscrivere un personaggio come bin Laden.
Quei figli di puttana non sono più "loro". Di nuovo. Anche all'interno,
dico: quello che accadde a Waco, con decine di fanatici seguaci di David
Koresh bruciati vivi nell'assedio dei poliziotti pazzi furiosi del
ministro Janet Reno, forse non è del tutto casuale.
Poi, le cose si complicano e non sono mai lineari: un dittatore laico
come Saddam c'azzeccherebbe poco se non fosse che lui stesso fa leva sul
fondamentalismo "esterno" per espandere le ragioni del mondo arabo
contro l'impero americano; la dinastia saudita andrebbe rasa al suolo,
su un criterio di tasso fondamentalista, ma ha svolto sempre - e sinora
- un ruolo di "contenimento" del fondamentalismo, di riconduzione solo e
esclusivamente alla religiosità o alla predicazione profetica, formale e
innocua. Poi, le cose si complicano e non sono mai lineari: il nemico
pubblico internazionale numero uno, Gheddafi, è diventato un fiero
sostenitore delle soluzioni americane: un figlio di puttana in proprio è
diventato un figlio di puttana a libro paga.
In questo scenario demenziale, la cui unica alternativa verrebbe da dire
sarebbe un ritorno degli Stati uniti ai propri confini - un'alternativa
impraticabile, lo può capire chiunque, e i cui risultati non è detto che
non potrebbero essere anche peggiori del quadro che abbiamo sotto gli
occhi - le situazioni di instabilità globale sviluppano appetiti e nuove
aree di influenza: se la Spagna ricostruisce un rapporto privilegiato
con buona parte dell'area dell'America latina e limita lì - e con forti
paletti, lì è il cortile di casa americano - le proprie possibili
aspirazioni internazionali, la Germania che aveva immaginato una sua
espansione nell'area dei Balcani e nell'est europeo si accorge che in
realtà le cose non stanno proprio così e non certo per il persistere
dell'influenza sovietica, mentre la Francia non riesce a andar oltre un
ruolo di guardia mercenaria a interessi in alcune zone - e non proprio
principali - dell'Africa. La crisi del mondo arabo e del mondo islamico
- crisi che dovrà trovare soluzioni differenti da un'avanzata
fondamentalista, con nuove classi dirigenti, economie, scambi - è una
occasione straordinaria. Serviranno altri figli di puttana, i Djindjic e
i Kostunica, i Karzai, i leader dell'Iraqi National Congress, in queste
cose bisogna investire, pazientare, foraggiare, allevare, selezionare,
prender tempo. Non c'è una classe politica internazionale paragonabile a
quella dei tempi di Nasser e Nyerere e a quella del Terzo mondo con Tito
e Nehru. E ai "piani alti" dell'impero la vedrebbero come fumo negli
occhi, gente così.
La nuova strategia si basa su forme di protettorato e l'instaurazione di
regimi formalmente autonomi e regolati da una vita pubblica a
"democrazia simulata", praticamente quello che è accaduto in Serbia e in
buona parte dei Balcani e adesso in Afghanistan. I dittatorelli non
bastano più al controllo delle risorse energetiche, delle materie prime
e delle aree militarmente strategiche. Da questo punto di vista
l'insistenza della motivazione americana all'abbattimento delle
dittature e all'esportazione della "democrazia" non è solo [lo è anche]
"mera propaganda". Come non lo è la "enduring freedom". Dove è
necessario mantenere l'ordine, si interviene in armi: nelle Filippine,
in questo momento, ci sono già 1.500 soldati di truppe scelte americane
alla caccia dei terroristi di Abu Sayaff, e altri "consiglieri" sono qui
e là nel mondo: se ci si pensa è assolutamente scandaloso. Se ci si
pensa è anche il modello dell'impero britannico nel punto della sua
massima espansione. Qui è aggiornato su scala planetaria. [Ma adesso
dico anche: è da lì che venne Gandhi]. L'affluenza naturale dei mercati
non è sufficiente a permeare e modificare queste società: occorre la
rivoluzione della politica perché questo accada, e la rivoluzione della
politica, imposta dall'esterno, è la guerra. La "guerra permanente" non
è solo uno slogan. Il terrorismo diventa altrettanto strategico.
Chirac e Schroeder sono oggi gioco forza gli unici leader mondiali in
grado di tirare il più possibile la corda verso la messa in sordina
dell'espansionismo militare-politico americano diretto e la ricerca di
soluzioni alternative. La Cina sta assestando e pianificando per i
prossimi trent'anni la sua potenza, spingendo l'acceleratore
sull'aspetto della produzione, ma per quel tanto che la preoccupa un
qualsiasi mutamento nell'area asiatica gioca un ruolo di freno, e Putin
ha troppo da fare ancora al proprio interno. Non trascurabilmente, per
Francia e Germania, gioca anche la presenza di colonie interne
islamiche. Sono loro, Chirac e Schroeder, i "nostri" figli di puttana?
Ce ne sono altri, a livello nazionale: forse non vale la pena neppure
snocciolarne i nomi. Di nuovo, non ci trovo nulla di scandaloso in
questo. Forse è così che si fa banalmente politica. Un movimento enorme
come quello che abbiamo sotto gli occhi, una vera mutazione genetica
delle istanze di trasformazione sociale e di conquista dei diritti non
può non incontrare sulla propria strada dei figli di puttana.
Però, c'è una qualche trappola da una qualche parte. Il lancio di una
sorta di europeismo continentale "pacifico" - quello militare è proprio
molto di là da venire e forse questo ne è un suo surrogato di fatto -
capace di manovrare autonomamente dentro le instabilità internazionali e
la crisi dell'Alleanza atlantica [o la sua ingovernabilità quanto più si
allarga] sarebbe un sogno piccolo. Soprattutto, rimetterebbe in sella
come protagonisti di un processo quelle burocrazie politiche nazionali e
europee che sopravvivevano o andavano estinguendosi in una pessima prova
di sé. La coagulazione delle istanze e delle ragioni di questo movimento
nella individuazione dell'"imperialismo americano" come proprio nemico
planetario a me sembrerebbe un passo indietro. Anche pericoloso.
Roma, 27 febbraio 2003