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La nonviolenza e' in cammino. 515
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 515 del 22 febbraio 2003
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, ripudia la guerra
2. Maria G. Di Rienzo, alcune risposte all'ambigua retorica di alcuni
settori "no-new-non lo so-global"
3. Comitato "Fermiamo la guerra": dopo il voto in parlamento
4. Maria Antonietta Saracino presenta "Polvere rossa" di Gilliam Slovo
5. Giulio Marcon e Tom Benetollo: solidarieta', non complicita'
6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky, "La
costruzione della lingua scritta nel bambino", 1985 - ed. or. 1979 - (parte
quarta e ultima)
7. Umberto Santino, per una politica di pace
8. Riletture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura
9. Riletture: Renate Siebert, Le donne, la mafia
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI, RIPUDIA LA GUERRA
La Costituzione italiana fa obbligo di opporsi alla guerra; essa "ripudia la
guerra": non si limita a dire di tenersene fuori, di stare a guardare:
ordina e dispone di opporsi alla guerra.
Compito quindi di quanti alla Costituzione della Repubblica Italiana hanno
giurato fedelta' nell'atto di assumere incarichi pubblici e' di fare quanto
in loro potere per impedire la guerra.
Ed invece la Costituzione e' gia' stata nuovamente violata dal governo, da
una assai ampia maggioranza del parlamento, dal capo dello Stato, con la
scelta scellerata e criminale di collocare il nostro paese (non solo con le
dichiarazioni ma anche con specifici e concreti atti, come la concessione
dell'uso a fini bellici di basi, risorse e infastrutture italiane e site in
Italia) invece che contro la guerra che si va preparando, a favore
dell'azione degli aggressori, e quindi a esplicito e inequivocabile sostegno
e promozione della guerra.
E questa condotta e' una condotta golpista, che favoreggia la guerra, le
stragi di cui la guerra consiste, il terrorismo che la guerra
intrinsecamente gia' e', cosi' come quello che essa alimenta.
Siamo dunque inequivocabilmente dinanzi al tradimento della legalita'
costituzionale da parte dei governanti del nostro paese, della maggioranza
dei componenti l'organo legislativo, del capo dello Stato.
*
E' quindi in capo al popolo italiano il compito di opporsi alla guerra e di
difendere la legalita' costituzionale, e con essa la nostra democrazia, e
con cio' operare al fine di salvare le innumerevoli vite umane innocenti che
la guerra concretamente minaccia.
E per far questo occorre agire; e per agire efficacemente occorre:
a) l'azione diretta nonviolenta che miri a paralizzare l'apparato bellico;
b) la disobbedienza civile di massa che blocchi la catena di comando dei
poteri golpisti e stragisti;
c) lo sciopero generale contro la guerra;
d) la denuncia dei golpisti e stragisti alle magistrature competenti
affinche' essi siano arrestati, processati, condannati;
e) ma soprattutto e innanzitutto occorre la scelta della nonviolenza, e la
formazione alla nonviolenza. Poiche' solo la nonviolenza puo' contrastare la
guerra, e impedirla.
2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: ALCUNE RISPOSTE ALL'AMBIGUA RETORICA DI
ALCUNI SETTORI "NO-NEW-NON LO SO-GLOBAL"
[Ringraziamo la sempre nitida Maria G. Di Rienzo (per contatti:
sheela59@libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle
principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa,
formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per
conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney
(Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput,
in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e
la nonviolenza]
1) "Senza giustizia non c'e' pace, e noi lottiamo per gli oppressi con tutti
i mezzi".
Risposta: Lo slogan "Senza giustizia non c'e' pace" e' popolare, ma
rischioso.
Senza pace, la giustizia e' infatti assai difficile da ottenere.
E fin troppa della discussione sul cambiamento sociale, sul famoso "altro
mondo possibile", e' condotta in nome e per conto altrui, da persone che
parlano dell'oppressione esercitata su altri e definiscono in quali modi
questi altri dovrebbero agire.
La buona notizia e' che la giustizia puo' essere ottenuta, la cattiva e' che
c'e' un prezzo da pagare. Questo e' l'inizio della saggezza: i capitalisti
non organizzano sindacati, i militaristi non lavorano per il disarmo, e i
violenti non sconfiggeranno il dominio, che sulla violenza si tiene. Non
c'e' giustizia, nella storia, se non quella che noi creiamo, e la sua
creazione ci richiede di accettare una larga parte del disagio e della
fatica che il conflitto e la trasformazione comportano.
*
2) "E' giusto che gli oppressori assaggino un po' della loro medicina.
Adesso gli americani capiscono cosa significa avere la guerra in casa"
(dettomi con soddisfazione da una militante "no global" all'indomani dell'11
settembre).
Risposta: La vendetta ed il cambiamento sono antitetici.
Possiamo scegliere l'una o l'altro, ma non possiamo avere entrambi, poiche'
la vendetta e' ripetizione dello schema che diciamo di voler cancellare.
Se il nostro scopo e' una profonda trasformazione sociale non ci serve
segnare il punteggio dei morti. Il successo di qualsiasi "rivoluzione" e' la
riconciliazione dopo il cambiamento (I sudafricani ci hanno dato luminose
lezioni al proposito).
Dovremmo averne abbastanza delle armi maneggiate dai nostri oppositori,
abbastanza da non desiderare di impugnarne noi stessi.
*
3) "Polizia ed eserciti sono gli agenti dell'ingiustizia. Percio' e' giusto,
quando si manifesta, insultarli e lanciare loro ortaggi o pietre".
Risposta: Se volete il cambiamento, dovete essere capaci di interagire con
la situazione quale essa e', non quale immaginate/volete/sperate che sia.
Lenin non era un attivista nonviolento, vero? Ma non incito' la sua gente a
coprire di insulti e fango le truppe zariste: incoraggio' un dialogo
politico con esse, sapendo appunto che le forze armate erano solo "agenti"
dei dominatori.
Se volete essere sicuri che dittature e regimi mantengano il loro potere
tirate pure mattoni alle loro polizie, che cosi' vi odieranno a sufficienza
per eseguire contro di voi anche gli ordini piu' efferati, quelli che
potrebbero mettere in crisi le loro coscienze.
Se invece volete che lo Zar se ne vada dovete fare quello che Lenin e i suoi
sostenitori fecero, ovvero afferrare ogni occasione per avere un dialogo: il
risultato fu che, nel momento della crisi, le forze armate si rifiutarono di
obbedire agli ordini dello Zar. La nonviolenza e' assai pragmatica, sapete.
*
4) "Voi che dite di essere amici della nonviolenza non fate che creare
divisioni nel movimento. Dobbiamo essere uniti, e non perdere tempo a
discutere su violenza e nonviolenza".
Risposta: Se Martin Luther King l'avesse pensata in questo modo, il
movimento per i diritti civili non avrebbe mai vinto. Usare metodi violenti
nella lotta avrebbe diviso la comunita' di colore (fra quelli che volevano
usarla e quelli che non volevano usarla, fra quelli "capaci" e quelli
"incapaci", fra "eroi guerrieri" e "vili", e cosi' via) e dato un forte
motivo di unione agli oppositori del movimento.
Ma l'azione diretta nonviolenta era, ed e', qualcosa che tutti potevano
fare: persino quelli cagionevoli di salute, persino i bambini. E divise gli
oppositori, e diede la sveglia ad un'intera nazione costringendola a vedere
cosa stava accadendo e a discuterne.
Agire in questo modo significa essere abbastanza astuti da non permettere
che siano i dominatori a dettare le regole del confronto, e spiazzarli:
offrendo comprensione e intelligenza dove si aspettano cieca rabbia ed odio,
persistendo nel trattarli umanamente mentre essi ci vedono come oggetti,
ecc.
Questo e' l'altro mondo possibile, e se lo volete dovete incarnarlo a
partire da qui.
*
5) "La nonviolenza non ha sconfitto Hitler e non sconfiggera' l'Impero della
globalizzazione neoliberista".
Risposta: Fu un popolo disarmato, il popolo dell'India, a sconfiggere la
forza di occupazione britannica. Fu la pratica nonviolenta a rovesciare
strutture razziste e ingiuste come quelle sfidate da Gandhi e King.
Ma persino di fronte a questi clamorosi successi, e all'infinita' di altri
che potrei citare, mi si dice: "Si', ha funzionato perche' gli Inglesi non
erano i nazisti, perche' i razzisti degli stati del Sud degli Usa non erano
nazisti. Se lo fossero stati...".
In primo luogo, non abbiamo modo di sapere se un'opposizione nonviolenta di
massa avrebbe o no sconfitto Hitler, per il semplice motivo che essa non e'
stata tentata.
Ma all'interno dell'Europa occupati dai nazisti abbiamo dei ben documentati
casi di successi nonviolenti.
Citero' ad esempio la Danimarca, dove la resistenza nonviolenta fu guidata
dal re in persona: egli comincio' con il dichiarare che se gli ebrei danesi
fossero stati forzati ad indossare la "stella di Davide" lui sarebbe stato
il primo a portarla. E quando i nazisti si mossero per arrestare e deportare
gli ebrei danesi, autorita' e popolazione del paese riuscirono a trasferirli
sani e salvi in Svezia nel giro di sole 48 ore.
In Bulgaria, la gente sedette sui binari dei treni e impedi' che essi
partissero con gli ebrei a bordo verso i campi di sterminio.
In Italia, si', proprio da noi, dei treni subirono misteriosi ritardi e
furono indirizzati sui binari "sbagliati", di modo che non arrivarono mai ai
campi.
In Norvegia, la protesta degli insegnanti fu in grado di contrastare la
nazificazione e potrei continuare.
L'altra parte della risposta concerne un mito, e cioe' che tutte le
nefandezze del nazismo siano senza paragoni. Sfortunatamente non e' cosi'.
La brutale dominazione belga del Congo ha ucciso svariati milioni di
africani. E c'era ben poco di "gentile" nella dominazione britannica
dell'India o in quello che la comunita' di colore statunitense dovette
soffrire.
L'ultima cosa che voglio mettere nella mia replica e' una verita': non tutte
le lotte si vincono. Non le vincono tutte ne' i pacifisti, ne' i terroristi,
ne' gli eserciti, ne' le corporazioni economiche.
La nonviolenza non vince sempre: e questa non e' una ragione per
abbandonarla, non piu' di quanto lo sia per i militaristi abbandonare le
armi ove esse falliscano.
La differenza e' che la nonviolenza non desidera la cancellazione e la morte
e la distruzione dei suoi avversari, ma un cambiamento radicale dell'intera
situazione. Una differenza non da poco.
*
6) "La nonviolenza e' cosa da mistici, da deboli, da pazzi...".
Risposta: Ogni persona sana di mente coinvolta in un conflitto tenta di
trovare un modo "sicuro" per risolverlo, un modo che non la danneggi.
Piu' siete vicini o coinvolti in un conflitto serio, piu' vi accorgerete che
persone gia' ferite non desiderano esserlo ancora o in modo maggiormente
profondo.
Percio' il tentativo di trovare una soluzione pacifica, nonviolenta, ci
viene di solito in mente per primo.
Ci volgiamo alla violenza quando ci diciamo e sentiamo certi che l'altro
attore del conflitto "capisca solo la violenza". Naturalmente l'altro attore
del conflitto, ricevutala, pensera' lo stesso di noi.
Chi lavora in modo nonviolento cerca di creare le condizioni in cui i propri
oppositori possano comportarsi in modo differente.
Sposta il conflitto su un terreno nuovo, crea una nuova situazione.
Quando a Montgomery, nel 1955, comincio' la cosiddetta "protesta degli
autobus", con la gente di colore che rifiutava di usarli, da principio i
razzisti risero. Ma cosa poteva fare la repressione contro gente che
camminava?
E la gente, gente comune, ne' pazzi ne' santi, cammino' per tutto l'inverno
e per tutta la primavera. Cammino' se era giovane e se era anziana, cammino'
anche se era stanca, anche se era malata. Ogni passo che facevano li portava
piu' vicini al loro scopo, e ad ogni passo che facevano sapevano di star
resistendo al dominio e all'ingiustizia.
Quando una donna bianca domando' alla sua cameriera se non fosse stanca di
arrivare al lavoro a piedi, percorrendo una grande distanza, ella rispose:
"I miei piedi sono stanchi, ma la mia anima e' perfettamente riposata".
La compagnia degli autobus ne ebbe perdite finanziarie cosi' ingenti che fu
costretta ad arrivare ad un accordo e a cancellare la propria politica
segregazionista.
Il cambiamento comincia qui, con gli oppressi che sentono di avere dignita'
e possibilita' di azione, e questo senso si comunica agli oppressori, che
prima li vedevano come esseri a stento umani, ed ora li interrogano, cercano
di capire, negoziano una soluzione.
Nessun proiettile fu sparato dalla gente di Martin Luther King per ottenere
questa trasformazione. E nondimeno non possiamo certo dire che la protesta
nonviolenta non fu forte.
3. DOCUMENTAZIONE. COMITATO "FERMIAMO LA GUERRA": DOPO IL VOTO IN PARLAMENTO
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato trasmesso dalla Tavola della Pace
(per contatti: flavio@perlapace.it)]
Il comitato organizzatore della manifestazione del 15 febbraio riunito in
unita' di crisi davanti a Montecitorio, ha stilato il seguente comunicato in
occasione del voto parlamentare sulla guerra.
Il Parlamento oggi si e' dovuto misurare con la forza civile del 15
febbraio. Ma dopo il voto il divario tra governanti e governati persiste.
Il governo non ha modificato la scelta fondamentale di partecipazione alla
guerra, la manifestazione del 15 lo ha pero' costretto ad aggrapparsi alle
decisioni del Consiglio europeo che allunga i tempi delle ispezioni Onu, ma
non esclude la guerra come "ultima ratio".
La manifestazione del 15 ha spinto le maggiori forze politiche
dell'opposizione a rivedere - almeno parzialmente - alcune posizioni su
questioni di merito. La manifestazione del 15 ha fatto convergere
parlamentari di forze politiche diverse su un voto che risponde al vincolo
di coerenza richiesto dal movimento "contro la guerra senza se e senza ma".
Le piazze del 15 febbraio avevano pero' chiesto ben altro.
Ci aspettavamo un Parlamento che scegliesse di rappresentare la maggioranza
della popolazione contraria alla guerra "senza se e senza ma".
Ci aspettavamo che il governo e la maggioranza scegliessero di modificare
radicalmente la propria posizione e di recuperare all'Italia un ruolo attivo
per la pace.
Ci aspettavamo che lo schieramento che oggi ha votato contro la guerra
preventiva riuscisse a presentarsi unito e senza ambiguita', come a piazza
San Giovanni sono riusciti a fare movimenti molto diversi che hanno trovato
una unita' piu' forte delle differenze.
Ci aspettavamo la revoca della concessione dell'uso delle basi, dello spazio
aereo e delle infrastrutture logistiche per la guerra.
Cio' non e' accaduto.
Rimangono prevalenti ancora una volta le logiche di schieramento e la
separatezza della politica dalla societa' civile.
Il quadro generale resta pericoloso, ambiguo e ambivalente. Quello di oggi
e' stato un passaggio fortunatamente non definitivo ma sicuramente delicato.
Il tempo del politicismo non e' finito, ma neppure il tempo per fermare la
guerra. Il governo si e' dovuto impegnare a tornare in Parlamento prima di
compiere nuove scelte sulla guerra.
Utilizziamo questo tempo, insieme, difendendo e rafforzando l'unita' nella
chiarezza dei contenuti che abbiamo costruito, allargando partecipazione e
consenso.
Incontreremo di nuovo i gruppi parlamentari e faremo ancora appello a tutti
i parlamentari perche' votino contro la guerra.
Chiederemo di essere ricevuti dalle ambasciate dei paesi che siedono nel
Consiglio di sicurezza dell'Onu, in vista del 14 marzo che sara' una data
decisiva.
Facciamo appello alla mobilitazione permanente contro la guerra. Facciamo
appello affinche' in tutta Italia viva la piattaforma del 15 febbraio: no
alla guerra in ogni caso, no alla guerra senza se e senza ma, no alla guerra
anche in caso di legittimazione da parte dell'Onu.
Difendiamo l'articolo 11 della Costituzione, ad esso ci sentiamo vincolati.
Il Parlamento rispetti questo vincolo.
Il comitato organizzatore "Fermiamo la guerra"
4. MARIA ANTONIETTA SARACINO PRESENTA "POLVERE ROSSA" DI GILLIAM SLOVO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 febbraio 2003]
Ci sono romanzi che prendono forma come momenti del percorso creativo -
fantastico e singolare - del loro autore, e sono la gran parte; e ce ne sono
altri che sembrano nascere dall'urgenza di dare forma narrativa a un tratto
della propria storia dal quale non ci si riesce a separare. Dal bisogno di
tenere aperta una ferita, un dolore, che non si possono dimenticare.
Operazione tanto piu' difficile se questa sofferenza, questo dolore, hanno
accompagnato un tratto lungo dell'infanzia e dell'adolescenza di chi scrive,
attraversandone al tempo stesso storia personale e familiare, storia della
comunita' e del paese in cui e' nata e vissuta.
Se poi il paese in questione e' il Sudafrica degli ultimi cinquant'anni, e
se il cognome di chi scrive e' Slovo, l'operazione diviene piu' complessa
ancora, per una serie di ragioni strettamente collegate alla biografia
dell'autrice, ragioni dalle quali in questo caso mi sembra importante
partire. Il romanzo del quale qui si parla e' Polvere rossa, di Gillian
Slovo (trad. it. di Fenisia Iacono Giannini, Baldini & Castoldi, pp. 326,
euro 14,40), cinquantenne dal cognome importante, che oggi vive in
Inghilterra ed e' autrice di thriller: Gillian e' figlia di Ruth First e Joe
Slovo, intellettuali e attivisti politici, bianchi, figure centrali nella
storia del Sudafrica contemporaneo e nella lotta contro l'apartheid.
Ruth, giornalista e studiosa di letterature africane, all'inizio degli anni
'60, subito dopo il massacro di Sharpeville, dirige a Johannesburg un
giornale clandestino di opposizione, che da' voce alla sofferenza dei neri.
Fatta oggetto di minacce, perquisizioni, la donna, all'epoca gia' madre di
due bambine, Shawn e Gillian, l'autrice di Polvere rossa, appunto, viene
all'epoca ripetutamente prelevata da casa, sotto gli occhi delle figlie
piccole, sbattuta in prigione senza processo e detenuta in isolamento, per
effetto della legge detta "dei 90 giorni", destinata a colpire i
"sovversivi". In carcere, per paura di tradire i compagni di lotta, la donna
tentera' il suicidio, cosa che le due figlie, divenute adolescenti,
scopriranno dalla lettura del diario della madre, un testo oggi famoso,
intitolato 117 Days, 117 giorni [tradotto in italiano col titolo Novanta
giorni o l'eternita', La Nuova Italia, Firenze 1971, e poi col titolo Un
mondo a parte. 117 giorni, Mondadori, Milano 1989], tanti quanti ne aveva
trascorsi in isolamento. Ma le persecuzioni delle quali e' oggetto la donna
non finiscono qui. Nel 1982, nel suo ufficio presso l'Universita' Eduardo
Mondlane di Maputo, in Mozambico, dove dirige il Centro Studi Africani, Ruth
First viene fatta uccidere da una lettera-bomba.
Quanto al padre della scrittrice, Joe Slovo, comunista, l'unico bianco a far
parte della dirigenza dell'African National Congress, presto si allontana da
casa ed entra in clandestinita', e le due figlie non lo vedranno di nuovo
che molti anni piu' tardi.
In quanto bianche, queste cresceranno nel Sudafrica del privilegio, ma al
tempo stesso, in quanto figlie di comunisti ritenuti sovversivi, verranno
sistematicamente tenute a distanza dai compagni di scuola, ignorate dai
vicini di casa, segnate a dito dai membri della comunita' di appartenenza;
interiormente divise tra l'amore per i genitori e il rancore per essere
costantemente abbandonate, per una infanzia e adolescenza vissute
all'insegna dell'incertezza, e di eventi il cui significato sarebbe divenuto
chiaro solo anni piu' tardi.
Alla luce di tutto questo non stupisce dunque che eventi forti come quelli
che ne avevano accompagnato la storia personale, chiedessero, quasi, di
venire raccontati.
E se di Ruth First rimangono gli articoli, gli studi di letteratura africana
[ma anche di storia, sociologia, economia, politica], i saggi critici; di
Joe Slovo piu' di un volume di memorie nonche' i resoconti della nascita
dell'Anc e la storia del processo di Rivonia.
Shawn, la prima delle due figlie, affidera' al linguaggio cinematografico il
racconto del tratto piu' doloroso della sua storia familiare. Molti
ricorderanno il bel film Un mondo a parte, diretto da Chris Menges, su
sceneggiatura di Shawn Slovo, che nell'88 vince la Palma d'oro a Cannes. Chi
lo ha visto ricordera' il terrore nello sguardo delle due bambine che vedono
passare davanti agli occhi una storia che non capiscono ma che pure le
riguarda; la sofferenza della madre, Ruth First, (interpretata da Barbara
Hershey) divisa tra l'impegno politico e i suoi doveri di madre. Film che
arriva fino all'assassinio della First, avvenuto solo pochi anni prima.
*
Ma la Storia continua il suo corso. Nel 1991 Mandela esce di prigione, e nel
1994 diviene il primo presidente del Sudafrica indipendente. Contro le
aspettative dei piu', uno dei primi gesti politici che compie e'
l'istituzione di una speciale commissione, la Truth and Reconciliation
Commission, Commissione per la Verita' e Riconciliazione, che, presieduta
dal vescovo Tutu, Nobel per la pace, per due anni e mezzo mettera' di
fronte - faccia a faccia - le vittime sopravvissute a cinquant'anni di
violenze atroci, e i carnefici di un tempo. Verita' contro perdono.
E proprio quest'ultimo tratto di storia, con la sofferenza che il racconto
fa rivivere, frammista allo sgomento, ma anche all'ammirazione per
un'operazione di giustizia basata su verita' e perdono, e' la cornice che fa
da sfondo a Polvere rossa. Romanzo che prende le mosse nella cittadina di
Smitsrivier - e' un nome di fantasia - nella quale sta per riunirsi la
Commissione per la Verita' e la Riconciliazione che dovra' esaminare la
domanda di amnistia di Dirk Hendricks, afrikaner, ex-poliziotto, accusato di
aver torturato Alex Mpondo per estorcergli informazioni sui depositi di armi
e sui compagni di lotta. Ma questo evento e' anche l'occasione - da parte
dei parenti di altre vittime - per conoscere dallo stesso imputato altre
verita' su persone scomparse, su corpi mai rinvenuti. Il tutto e' raccontato
attraverso lo sguardo di Sarah Barcant, 36 anni, avvocato presso la Corte
Distrettuale di New York, che dopo 14 anni di assenza, torna a Smitsrivier,
dove e' nata e cresciuta, e proprio in occasione dell'apertura dei lavori
della commissione, per difendere la vittima di un tempo, Alex Mpondo.
Sarah trova un paese intento a risanare le proprie ferite, un paese
cambiato, che attraverso lo strumento della verita' e della legge tenta di
costruire fondamenta solide per un futuro che disperatamente vuole diverso e
migliore, ma che proprio per questo non puo' cancellare il passato se non al
prezzo di una sua rielaborazione. Un paese che la donna riconosce solo in
parte, ma dal quale cominciano a riaffiorare immagini del passato che il
dolore le aveva fatto dimenticare.
La trama e' fortemente centrata sulle sedute della Commissione, sui
dibattimenti, con le testimonianze di violenze e torture alle quali fanno da
contraltare le vite dei singoli individui, a cominciare da quelle degli
aguzzini: vite apparentemente normali, semplici, vite quotidiane di famiglia
e sentimenti, difficili da accostare alla realta' delle violenze che
emergono dalle confessioni nelle successive sedute. E i diversi punti di
vista sul tema della verita', del rapporto verita'-Storia.
*
Un romanzo duro da leggere, soprattutto se si pensa che la finzione
narrativa e' dichiaratamente tratta dalla realta' storica, da atti ufficiali
(dei quali si puo' anche leggere nel testo di Marcello Flores, Verita' senza
vendetta, Manifestolibri). Ma anche rischiarato da una certezza di fondo:
dalla Storia non si sfugge, e nemmeno dalla verita'.
Lo fa capire la protagonista di Polvere rossa, che, in chiusura, lascia
intendere di aver attraversato questa verita', e aver fatto pace col
passato: "per quanto tentasse di sfuggirle, quella terra era la sua essenza.
Sarebbe stata con lei ovunque si trovasse. Il Sudafrica nella propria
unicita'... Ora, guardando da una finestra, coglieva tutte le care cose
familiari, la luce vivida, i profumi forti, secchi, le voci lontane, dalle
cadenze armoniose. La sensazione di essere a casa".
E come lei, probabilmente anche la sua autrice.
5. APPELLI. GIULIO MARCON E TOM BENETOLLO: SOLIDARIETA', NON COMPLICITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 febbraio 2003. Giulio Marcon e'
presidente dell'Ics, Tom Benetollo e' presidente dell'Arci]
Di fronte alla eventualita' della riproposizione di una operazione mediatica
governativa "stile arcobaleno" per la crisi irachena, servirebbe un'azione,
in questo caso utilmente preventiva, alternativa e concreta: l'immediata
apertura di un numero verde pacifista per la solidarieta' alle popolazioni
irachene e un numero di conto corrente, ben pubblicizzato e veicolato, dove
raccogliere i fondi da utilizzare per i progetti di quelle organizzazioni di
solidarieta' presenti in Iraq e contrarie alla guerra; un fondo che abbia
come garanti personalita' indiscutibili, ad esempio come Pietro Ingrao e
Oscar Luigi Scalfaro.
E' una conclusione alla quale e' giunto il tavolo di coordinamento delle Ong
per l'Iraq che si e' costituito nelle scorse settimane su iniziativa di "un
ponte per...", ma che potrebbe ben ampliarsi rapidamente ad altri soggetti:
i sindacati, enti locali e regioni, quotidiani e settimanali che hanno
sposato la causa pacifista, organizzazioni come Emergency e Medici senza
Frontiere, la stessa Banca Etica.
Una proposta del genere funziona ed ha successo se assume quella massa
critica che la fa diventare un punto di riferimento alternativo per
l'opinione pubblica, facendo venir meno inutili concorrenze e competizioni
tra le organizzazioni.
Sappiamo, dai tempi del Kosovo, come la copertura umanitaria delle
operazioni belliche sia ormai una costante dei governi coinvolti: e' la
speranza, in questo modo, di costruire un consenso dell'opinione pubblica
per quella che e' una delle piu' drammatiche catastrofi umanitarie ed e' la
piu' grave violazione dei diritti umani: la guerra. Ma, questa volta -
arcobaleno o non arcobaleno - l'opinione pubblica ha gia' detto la sua e non
sara' facile raggirarla: milioni di persone sono scese per le strade il 15
febbraio e per i sondaggi la stragrande maggioranza delle persone e'
contraria, senza se e senza ma.
Il movimento pacifista italiano da tempo ha saputo coniugare la
mobilitazione politica con l'azione nonviolenta e l'aiuto umanitario e di
solidarieta'. Come e' stato per tanti anni in ex Jugoslavia e in Palestina e
come e', e sara', per l'Iraq.
Abbiamo dato il nostro contributo alle straordinarie mobilitazioni pacifiste
di questi mesi - Perugia-Assisi, Firenze, Roma - e vogliamo darlo di fronte
alla ormai troppo lunga emergenza umanitaria in Iraq, stremato da guerre,
embargo e regime autoritario.
Per questo abbiamo lanciato - insieme ad Un Ponte per... - il progetto
"Costruiamo nuove basi in Iraq" che come primo obiettivo concreto ha quello
di portare a 500 bambini malnutriti e affetti da malattie gastrointestinali
di Bassora adeguata alimentazione e cure mediche (per info:
www.icsitalia.org).
Ma vogliamo rilanciare anche un impegno unitario. Allora, di fronte alla
missione arcobaleno, le nostre organizzazioni si opposero e rifiutarono i
fondi del governo; la potenza politico-mediatica di quella operazione ebbe
pero' successo nella raccolta dei fondi e nel coinvolgimento di una parte
del mondo della cooperazione internazionale.
Oggi, anche molti che vi parteciparono hanno maturato un diverso
atteggiamento e non sono piu' disponibili ad operazioni strumentali come
quelle che il governo italiano si appresterebbe a lanciare.
Nessun soldo deve andare a questo governo e ad azioni ipocritamente definite
umanitarie di fronte alla responsabilita' di un sostegno o partecipazione
alla guerra che si prepara. I soldi della societa' civile rimangano invece
alla societa' civile, a quelle organizzazioni che con il loro impegno
coerente di questi anni, con la trasparenza e l'impegno pacifista hanno
dimostrato che la solidarieta' non si deve macchiare con la guerra, nemmeno
se qualcuno si ostina a continuare a chiamarla "umanitaria".
6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO E ANA
TEBEROSKY, "LA COSTRUZIONE DELLA LINGUA SCRITTA NEL BAMBINO", 1985 - ED. OR.
1979 - (PARTE QUARTA E ULTIMA)
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia
Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in
Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del
processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo
contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da
parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo
l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione
della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Ana Teberosky,
docente in varie universita', ha collaborato con Emilia Ferreiro al volume
sopra citato, ed ha condotto numerose altre ricerche; un suo lavoro condotto
nell'ambito dell'Imipae di Barcellona e' in Emilia Ferreiro, Margarita Gomez
Palacio (a cura di), Nuevas perspectivas sobre los procesos de lectura y
escritura, Siglo veintiuno editores, Mexico 1982, 2000]
* Lettura nel bambino scolarizzato
La ricerca e' stata realizzata su un gruppo di bambini di classe bassa
durante la prima elementare per evidenziare la relazione tra le
concettualizzazione spontanee e l'intervento di insegnamento in riferimento
ai rischi di insuccesso scolastico.
Da prove di ipotesi di lettura di parole con immagini i bambini intervistati
risultavano tutti presillabici (rispettivamente: indistinzione tra testo e
disegno, etichettamento, attenzione alle proprieta' formali).
Risulta di seguito evidenziato il processo messo in atto una volta avviato
l'insegnamento sistematico della scuola.
1) separazione tra decifrato e significato
a) significato senza decifrato:
- il bambino ricorre all'immagine e non alla decifrazione, per
l'anticipazione del significato;
b) decifrato senza significato:
- decifra singole lettere, "oppure costituisce sillabe senza senso,
vagamente sostenute dal testo" (pag. 117);
- non e' in grado di ricostruire il significato di quanto ha correttamente
decifrato;
- si tratta di un prodotto esclusivo della scolarizzazione in quanto non
compare in nessun bambino prescolare;
c) tentativo di relazione tra decifrato e significato:
- il significato viene anticipato e le lettere sono utilizzate come
indicatori e strumenti di verifica;
2) conflitto tra decifrato e significato
a) preminenza del decifrato:
- anticipa il significato attraverso l'immagine;
- verifica mediante decifrazione;
- perde il significato del decifrato, in quanto si concentra sulla
correttezza della decifrazione;
- "siamo di fronte ad un altro prodotto tipicamente scolastico" (pag. 118);
b) preminenza del significato:
- rimane centrato sulla ricerca del significato: la risposta finale risulta
"dall'integrazione di elementi ottenuti tramite la decifrazione [...]:
eliminazione e/o sostituzione di elementi decifrati non integrabili in un
tutto coerente" (ibidem);
c) oscillazione tra decifrato e significato:
- comincia a decifrare ricercando il significato ma poi finisce nella
decifrazione: il testo e' tutto decifrato ma una parte e' comprensibile e
l'altra no;
- distinzione tra quello che il testo dice e quello che intende dire;
- conflitti sulla concordanza grammaticale tra articolo (decifrato) e nome
(anticipato tramite immagine);
3) coordinazione tra decifrato e significato
a) eliminazione e reintegrazione di un frammento di testo per ottenere frasi
accettabili;
b) integrazione di una parte del testo non riconosciuta durante la
decifrazione, in funzione del significato della frase;
c) correzione della lettura in funzione del giudizio di grammaticalita'.
"La conclusione di queste osservazioni e' la seguente: la classificazione
delle risposte ottenute rappresenta un ordinamento genetico delle stesse.
Con cio' non pretendiamo affermare che nell'evoluzione genetica tutti i
bambini passano per codeste fasi; vogliamo solo dire che, nel caso dei
bambini che abbiamo studiato e che sono stati sottoposti ad un insegnamento
della lettura che pone in primo piano [...] la decifrazione, il progresso -
nei casi in cui effettivamente avviene - segue la progressione di
comportamenti che abbiamo analizzato.
Il confronto tra questi dati e quelli ottenuti con bambini prescolari impone
una conclusione: la separazione tra decifrato e significato, cosi' come il
rinunciare al secondo a beneficio del primo, sono prodotti della
scolarizzazione, la conseguenza di un approccio alla lettura che obbliga il
bambino a trascurare il significato fino a quando non ha appreso il
meccanismo della decifrazione. Di per se' il bambino, in nessun modo
procederebbe verso una tale dissociazione" (pag. 122).
* Una lista di descrittori
Tale sintesi ha tenuto conto anche della personale esperienza di
insegnamento e di collaborazione con altri insegnanti che con la scrivente
hanno realizzato negli anni un percorso di approfondimento e consente di far
emergere eventuali ipotesi di ricerca.
L'elaborazione della lista di descrittori e' parte originale ed e' originale
l'individuazione di comparazioni tra i livelli di sviluppo dei diversi
ambiti tematici.
Si avverte infine che nel testo le fasi di sviluppo relative alla "lettura
di frasi senza immagini" di cui al punto 1 e 2 della lista di descrittori,
corrispondenti ai punti "E", "F" e "D" della precedente analisi, vengono
considerate appartenere ad una stessa fase di sviluppo mentre noi abbiamo
proposto un diverso ordine sequenziale.
Inoltre deriva anche dalla nostra quotidiana esperienza con i bambini e
dalle osservazioni delle molte insegnanti che con noi hanno variamente
collaborato una piu' dettagliata specificazione degli atti di scrittura e
lettura di scritture spontanee.
Il seguente schema costituisce una sorta di quadro sinottico degli aspetti
evolutivi piu' significativi. Si e' proceduto ovviamente a delle
semplificazioni che potessero consentirne un uso agevole anche come
strumento didattico. Nello schema che segue le lettere contrassegnate con un
asterisco indicano possibili modalita' diverse che corrispondono allo stesso
livello di sviluppo concettuale.
Si e' pensato di proporre una pluralita' di tabelle suddivise per temi
piuttosto che un unico strumento per semplificarne l'uso e conservare il
maggior numero di informazioni possibili. Per favorire una corretta
comparazione tra le fasi di sviluppo nei diversi ambiti sono stati
riportati, quando non del tutto evidenti, specifici rimandi tra parentesi
quadre, sia nel testo seguente, sia nell'analisi precedentemente svolta.
Tab. A - ipotesi di lettura di testo con immagini
1. distinzione disegno-scrittura;
2. etichettamento: a*) nomi; b*) frasi;
3. proprieta' del testo (lunghezza, frammenti, lettere): a*) nomi; b*)
frasi;
4. corrispondenza:
- lettura di parole: inizio-fine; sillabazione orale; salti e/o
raggruppamenti; allungamento dell'emissione sonora; corrispondenza
sillabica;
- lettura di frasi:
a*) nomi: sillabazione orale; inizio-fine; corrispondenza tra suoni
sillabici e frammenti del testo (raggruppamenti, allungamento o ripetizione
dell'emissione sonora);
b*) frasi: nome + proposizione; soggetto + predicato; soggetto + verbo +
predicato;
5. corrispondenza sillabico-alfabetica: a) conflitto dell'eccedenza; b)
salti e/o raggruppamenti e/o allungamento dell'emissione sonora; c)
suddivisione fonetica parziale e non sistematica; d) lettere e ordine;
6. corrispondenza fonetica e convenzionale.
Tab. B - ipotesi di lettura di frasi senza immagini
1. tutto e' scritto dappertutto [etichettamento];
2. a*) nomi: tanti nomi quanti frammenti; b*) frasi: tante frasi quanti
frammenti [proprieta' grafiche];
3. il verbo non e' scritto in forma autonoma [corrispondenza];
4. e' tutto scritto tranne gli articoli [dalla corrispondenza al sillabico];
5. e' tutto scritto [dal sillabico all'alfabetico].
Tab. C - produzione di scritture spontanee
1. distinzione disegno-scrittura;
2. fase presillabica:
- a*) scrittura continua; b*) grafismi singoli;
- regola della quantita' minima e della molteplicita' dei caratteri;
- corrispondenza della lunghezza della parola alle dimensioni dell'oggetto
significato;
(nella lettura di scritture spontanee
- corrispondenza inizio-fine;
- sillabazione orale;
- salti e/o raggruppamenti;
- allungamento dell'emissione sonora;)
3. fase sillabica:
- a*) eliminazione dei caratteri eccedenti; b*) previsione del numero di
caratteri;
- scrittura di parole bisillabe e falsificazione della regola della
quantita' minima dei caratteri;
4. fase sillabico - alfabetica:
a*) scrittura mista con segni di valore fonetico o sillabico; b*) possibile
non corrispondenza tra scrittura in buona parte fonetica e rilettura
prevalentemente sillabica;
5. scrittura fonetica;
6. scrittura convenzionale (puo' accompagnarsi alla precedente);
7. scoperta progressiva delle convenzionalita' ortografiche.
* Si deve o non si deve separare
Nel chiedere ai bambini di esprimersi a partire da una frase scritta senza
separazioni tra parole e' stato possibile ottenere la conferma che alcune
tipologie di risposte non sono correlate allo stimolo offerto ma alla fase
di concettualizzazione del bambino.
Infatti anche in questa situazione compare la "localizzazione dei soli
sostantivi" (pag. 164) pur a fronte della totalita' percettiva del testo
proposto. Tuttavia in questa situazione non appare "l'attribuzione di tutta
la frase ad un solo frammento, e di altre simili alle parte restanti [...];
non compaiono neanche le scansioni sillabiche, che non costituiscono in se'
un tipo particolare di procedimenti, bensi' rappresentano un modo abbastanza
generale di risolvere il problema dei frammenti 'che avanzano', qui
inesistenti, dato che non c'e' altro che un unico frammento" (pag. 164).
Abbiamo personalmente constatato che se il bambino si trova in fase
sillabica e il testo e' proposto in stampato maiuscolo la scansione
sillabica viene mantenuta. Non abbiamo verificato cosa si verifichi in caso
di bambini sicuramente sillabici e di testi con scritture in corsivo.
"Ovviamente non compare neanche l'introduzione di altri nomi, non menzionati
nella proposizione presentata. Si nota la comparsa di nuovi nomi [...] solo
in presenza di parte 'eccedenti'" (pag. 164).
"La maggioranza dei bambini non trova alcun inconveniente in una scrittura
di questo tipo e dicono che 'non importa', che va bene. Nei casi in cui il
testo presentato e' in corsivo, compare una giustificazione in piu' per non
lasciare spazi bianchi" (pag. 166).
Alla richiesta di separare i bambini intervistati propongono soluzioni
enucleabili come segue:
- "'separazioni' sopra o sotto al testo, o agli estremi, ma in nessuna
maniera all'interno del testo;
- [...] quantita' arbitraria di interruzioni che non sanno poi come
interpretare;
- [...] dividere lettera per lettera" (pag. 167);
- suddividono il testo: in due parti (una per ogni sostantivo; una per il
soggetto e una per il predicato); seguendo le separazioni convenzionali.
Va rilevato che anche bambini in grado di leggere in modo convenzionale
ritengono non necessarie le 'separazioni'.
* La lettura di una proposizione dopo aver effettuato una trasformazione
In questo ambito e' stato indagato "il risultato della commutazione di due
termini di una proposizione" (pag. 168).
Vengono evidenziate le seguenti categorie di risposte.
1) "dice la stessa cosa; lo scambio dei sostantivi non incide sul
significato [...];
2) dice la stessa cosa, ma e' necessario cambiare l'ordine di lettura [...];
3) dice e non dice la stessa cosa [si percepisce che le lettere sono le
stesse ma e' cambiato qualcosa];
4) dice un'altra cosa [cambiamento dell'intera frase, magari mantenendo lo
stesso soggetto];
5) rifiuto di fare una previsione [...];
6) scoperta della risposta corretta dopo 'non so' o 'dice la stessa cosa'
[...];
7) deduzione immediata [...]. Si collocano tutti almeno al livello della
supposizione della scrittura del verbo come elemento indipendente e la
maggior parte si situa a livello della supposizione della scrittura
dell'articolo come elemento indipendente. [...]
Arrivare a capire che la scrittura rappresenta le parole emesse, e che
l'ordine spaziale - determinato e non fluttuante - corrisponde all'ordine
dell'emissione, sono i prerequisiti indispensabili per poter risolvere il
problema proposto, con una facilita' sorprendente" (pag. 171).
* La scrittura del nome proprio
Citando Gelb [Gelb, I. J., A study of writing, University of Chicago Press,
Chicago, 1952, 1976] l'autrice rileva come i nomi propri abbiano avuto un
ruolo centrale nel passaggio dalla scrittura logografica (o lessicale) alla
sua "fonetizzazione" ("utilizzare le uguaglianze o le somiglianze sonore tra
parole per rappresentare nuove parole" pag. 258) e alla sua
convenzionalizzazione.
"Gelb dice che questo principio di 'fonetizzazione', una volta introdotto,
si sviluppa molto rapidamente, esigendo progressivamente: la
convenzionalizzazione delle forme usate, una corrispondenza stabile tra
segni e valori sillabici, l'adozione di convenzioni relative
all'orientamento ed alla direzione della scrittura e la necessita' di
adottare un ordine dei segni che corrisponda all'ordine di emissione nel
linguaggio" (pag. 258).
La rappresentazione scritta degli elementi grammaticali e' tardiva rispetto
al processo di fonetizzazione.
"[...] Anche nella genesi individuale, [...] il bambino non si aspetta, se
non molto tardi, che gli elementi propriamente grammaticali siano
rappresentati nella scrittura. [...] Il nome proprio [...] in molti casi
parrebbe avere la funzione di prima forma stabile dotata di significato"
(pag. 259).
Di fronte alla copertura di una parte del nome e alla realizzazione di
alcune trasformazioni nella scrittura del nome e' stato possibile
evidenziare cinque livelli di risposte.
1) "nella medesima scrittura possono leggersi tanto il nome come nome e
cognome completi, in modo globale, senza cercare una corrispondenza tra le
parti [...]. Da una trasformazione del nome proprio risultano i nomi di
altri membri della famiglia [...].
2) Il bambino scopre la possibilita' di una corrispondenza termine a termine
tra ognuna delle lettere ed una parte del suo nome completo. [...] La
corrispondenza si stabilisce tra le 'parti-parole' del nome proprio e le
lettere, ma non tra le 'parti-sillabe' del nome proprio e le lettere [...].
3) Uso sistematico dell'ipotesi sillabica applicata al nome proprio. [...]
a) e' possibile leggere sillabicamente l'inizio del nome, se questa e'
l'unica parte visibile di esso, ma si sbaglia quando si prova a leggere la
parte finale del nome; [...]
b) la suddivisione sillabica e' piu' sistematica, e riesce ad essere
applicata alle diverse parti visibili del nome [...].
4) Mescolare letture che derivano dall'ipotesi sillabica con quelle che
derivano da una prima fase alfabetica [...].
5) La scrittura e la lettura operano in base ai principi alfabetici [...] e
i nuovi problemi che si presentano sono di natura ortografica" (pp.
261-268).
(4. Fine)
7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PER UNA POLITICA DI PACE
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo (www.centroimpastato.it) riprendiamo questo intervento di Umberto
Santino. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo; da decenni e' uno dei
militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici, ed
e' uno dei massimi studiosi delle questioni concernenti i poteri criminali,
i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le
opere di Umberto Santino: La violenza programmata, L'impresa mafiosa, Gabbie
vuote, presso Angeli, Milano; Dietro la droga, Edizioni Gruppo Abele,
Torino; L'antimafia difficile, La borghesia mafiosa, Casa Europa, La mafia
come soggetto politico, Sicilia 102, Oltre la legalita', presso il Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo; La mafia
interpretata, La democrazia bloccata, L'alleanza e il compromesso, La cosa e
il nome, presso Rubbettino, Soveria Mannelli; Storia del movimento
antimafia, Editori Riuniti, Roma]
Il 15 febbraio a Roma eravamo piu' di tre milioni e nelle altre citta' e
negli altri Paesi in cui si e' manifestato piu' di cento milioni di persone
hanno fatto sentire la loro volonta' di pace.
Il movimento contro la globalizzazione neoliberista e per la pace e'
cresciuto a livello mondiale, e' nato un nuovo soggetto politico, forte e
articolato, eppure non riusciamo a incidere sul piano istituzionale. Bush
puo' impudentemente dichiarare che non si fara' condizionare dai pacifisti e
proseguira' sulla sua strada, con o senza l'avallo dell'Onu.
Abbiamo vissuto la fase della contestazione e della protesta, stiamo vivendo
la fase della proposta e del programma, dobbiamo ancora darci le forme
organizzative e sperimentare gli strumenti di lotta capaci di contrastare
efficacemente le decisioni di guerra e avviare una strategia di convivenza e
di pace, che non puo' non fondarsi su un'equa distribuzione delle risorse e
sulla partecipazione democratica della stragrande maggioranza della
popolazione mondiale.
E dobbiamo fare scelte chiare e inequivocabili. La solidarieta' con il
popolo iracheno, che da anni subisce un embargo disumano, dev'essere
accompagnata da una netta condanna della tirannia sanguinaria di Saddam, che
per troppo tempo ha goduto dell'appoggio americano prima di diventare la
personificazione del male.
La lotta contro il terrorismo non si fa con le guerre, che anzi l'attizzano
e lo dilatano, ma risolvendo i problemi sociali e politici da cui esso
scaturisce, a cominciare dalla questione palestinese. Il sostegno alla causa
dei palestinesi e la condanna dell'azione di Sharon non hanno nulla da
spartire con i rigurgiti di antisemitismo e non significano condividere le
scelte di violenza suicida e stragista che rendono sempre piu' difficile e
lontana, se non impossibile, una soluzione politica che porti alla creazione
di due Stati per due popoli che debbono imparare a convivere.
Dobbiamo rigettare ogni forma di violenza, si chiami guerra o terrorismo,
provenga dal cuore delle istituzioni o da gruppi che operano al di fuori e
contro di esse. Dobbiamo contrapporci a ogni forma di dittatura e di
sopruso.
Dobbiamo fare queste scelte non solo e non tanto per rispondere a chi
sostiene che siamo visceralmente "antiamericani", che sappiamo solo
manifestare contro Bush e non diciamo una parola contro Saddam e contro i
massacri in Cecenia, ma per essere fino in fondo coerenti con noi stessi,
con le motivazioni che ci fanno riempire le strade e le piazze delle nostre
citta' e ispirano la nostra azione quotidiana.
Guerra e terrorismo sono le facce della stessa medaglia (una violenza
permanente, che si avvita su se stessa e genera nuova violenza) e sono figli
dei processi di globalizzazione che approfondiscono e aggravano squilibri
territoriali e divari sociali, alimentano le mafie, offrendo loro grandi
opportunita' (dai traffici di droghe e di armi a quelli di esseri umani,
alle mille occasioni di riciclaggio prodotte dalla crescente
finanziarizzazione), spostano sul terreno dei rapporti di forza militari
problemi che vanno affrontati nelle sedi politiche, in primo luogo in quelle
internazionali che vanno riprogettate e democratizzate.
Su questa strada ognuno di noi e' chiamato a dare il suo contributo, senza
se e senza ma, come abbiamo gridato a Roma e in centinaia di altre citta'.
8. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA
Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192,
euro 14. E' un libro che qualche mese fa abbiamo raccomandato di leggere,
raccomandiamo adesso anche di rileggerlo. Assia Djebar e' una illustre
intellettuale algerina impegnata per i diritti umani, scrittrice, storica,
antropologa, docente universitaria, cineasta. Opere di Assia Djebar: cfr.
almeno Donne d'Algeri nei loro appartamenti, Giunti, Firenze 1988; Lontano
da Medina. Figlie d'Ismaele, Giunti, Firenze 1993, 2001; L'amore, la guerra,
Ibis, 1995; Vaste est la prison, Albin Michel, Paris 1995; Bianco d'Algeria,
Il Saggiatore, Milano 1998; Nel cuore della notte algerina, Giunti, Firenze
1998; Ombra sultana, Baldini & Castoldi, Milano 1999; Le notti di
Strasburgo, Il Saggiatore, Milano 2000; Figlie d'Ismaele nel vento e nella
tempesta, Giunti, Firenze 2000; La donna senza sepoltura, Il Saggiatore,
Milano 2002. Opere su Assia Djebar: cfr. il libro-intervista di Renate
Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997.
9. RILETTURE. RENATE SIEBERT: LE DONNE, LA MAFIA
Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, 1997, pp.
464, lire 18.000. Questo libro utilissimo raccomandiamo anche come strumento
di lavoro per il movimento per la pace. Renate Siebert, sociologa di origine
tedesca, nata a Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora
nell'Italia meridionale, dove insegna Sociologia del mutamento presso
l'Universita' di Calabria. Opere di Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e
la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano
1970, e ad Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con
Laura Balbo), tra le opere recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella,
Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano
1994 (poi Est, 1997); La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare
ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia
Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999;
(a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 515 del 22 febbraio 2003