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FERMIAMO LA GUERRA: DOCUMENTO FINALE DI ROMA



Fermiamo la guerra: il documento
Ecco l'intervento del coordinamento Fermiamo la guerra, letto dal palco nel
corso della manifestazione di sabato a Roma, nell'ambito della giornata
globale contro la guerra

C'è chi pensa che solo ai potenti sia dato di scrivere la storia. Oggi, in
tutto il mondo, stiamo dimostrando il contrario. In tutto il mondo, oggi,
stiamo dimostrando che gli uomini e le donne, i popoli, i cittadini possono
riprendere in mano il proprio destino e decidere insieme il proprio comune
futuro. Fermiamo la guerra. Milioni di persone, movimenti sociali,
organizzazioni grandi e piccole, in tutto il pianeta hanno risposto
all'appello promosso dal Forum sociale europeo e rilanciato nel Forum
sociale mondiale.

Dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all'Islanda, da Manila al Cairo
abbiamo marciato assieme. Insieme, palestinesi a Ramallah e israeliani a
Tel Aviv. Gli osservatori di pace di tutto il mondo a Baghdad. Oggi, siamo
parte della più grande manifestazione mondiale della storia dell'umanità.
Per dire "no" alla guerra all'Iraq. No, senza se e senza ma.

Non siamo qui a fare testimonianza. Siamo qui perché questa guerra vogliamo
fermarla. E possiamo fermarla. Sappiamo bene che il governo degli Stati
Uniti vuole questa guerra. Sappiamo che Bush e i suoi alleati sono disposti
a fare la guerra anche contro la volontà della maggioranza dei popoli del
pianeta. Ma sappiamo anche che l'opinione pubblica ha un peso. Che i
presidenti devono essere eletti. Che i governi hanno bisogno di voti. Lo
sanno anche loro.

Abbiamo un potere immenso, nelle nostre mani, se siamo capaci di
presentarci uniti. Se siamo capaci di convincere gli indecisi. Se non ci
rassegniamo. Se non torniamo a casa. Se non ci dianmo per vinti. Se nei
prossimi giorni continueremo a estendere la resistenza popolare e
permanente alla guerra. Fermiamo la guerra.

Siamo tanti, tanti e diversi. Veniamo da storie, culture, percorsi e
pratiche diversi e differenti. Oggi hanno marciato insieme i movimenti che
si battono contro la globalizzazione neoliberista, i movimenti per la pace,
i movimenti per la democrazia, partiti politici, l'associazionismo sociale,
sindacati confederali e di base, associazionismo religioso, i social forum,
le strutture dell'autorganizzazione, le aree antagoniste e della
differenza, le Ong, intellettuali, operatori della comunicazione, le
organizzazioni degli studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di
cittadini e cittadine.
Siamo orgogliosi di tanta diversità. E' la nostra forza, perché la nostra
convergenza è costruita sulla chiarezza. Senza ambiguità, senza
opportunismi, siamo tutti schierati contro questa guerra, in ogni caso,
qualsiasi istituzione la promuova o la autorizzi. Siamo qui per difendere
l'articolo 11 della nostra Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la
risoluzione delle controversie internazionali". Non erano sognatori, quelli
che scrissero la Costituzione.

Avevano visto gli orrori del nazifascismo, erano stati protagonisti della
Resistenza, avevano visto le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non si
illudevano di poter vivere in un mondo senza conflitti. A questa scelta di
civiltà, noi ci sentiamo vincolati.

Siamo qui per difendere il diritto internazionale. E il diritto
internazionale dice che nessuno può farsi giustizia da sé. La giusta
risposta al terrorismo non può essere la vendetta, né tantomeno la guerra
preventiva. Non può essere la risposta di Bush dopo le Twin Towers, e
neppure quella di Sharon. La guerra preventiva è la morte del diritto
internazionale. La guerra preventiva è l'affermazione del dominio del più
forte. Il governo degli Stati Uniti ha esplicitato fino in fondo il suo
progetto di egemonia mondiale, senza regole e senza vincoli, nel documento
sulla sicurezza nazionale nel quale si arroga il potere di muovere guerra
"a chiunque costituisca una minaccia per i propri interessi nazionali". Di
vivere in un futuro di barbarie, noi ci rifiutiamo.
Siamo qui perché siamo convinti che la guerra non sconfigge il terrorismo.
Il terrorismo non ha mai ragione, neanche quando si nasconde dietro le
ragioni dell'ingiustizia sociale. Il terrorismo uccide la partecipazione,
che è la forza dei movimenti sociali. A delegare la lotta per il
cambiamento, non ci rassegneremo mai.

Siamo qui per difendere la giustizia. Uno degli obiettivi della guerra è il
controllo del petrolio che alimenta le economie occidentali. Non è
benessere quello che si crea a costo della vita di milioni di persone in
tutto il mondo. Il mondo è pieno di armi nucleari, batteriologiche,
chimiche, di distruzione di massa. Le spese militari aumentano in tutti i
paesi del mondo, e alimentano il commercio illegale e criminale. Lo stato
più armato del pianeta vuole fare la guerra all'Iraq in nome del disarmo.
Gli Usa hanno speso quest'anno 500 miliardi di dollari per le armi. Ne
basterebbero 13 per salvare dalla morte per fame milioni di persone. A un
mondo così tremendamente ingiusto, noi ci opponiamo.

Siamo qui per difendere la pace. La guerra sarà vista, nei tanti sud del
mondo, come un'altra prova dell'arroganza e della politica di potenza
dell'Occidente. Aumenterà la spirale dell'insicurezza e della repressione,
dell'odio etnico e religioso. Produrrà altra violenza, altra guerra. A
questo circolo vizioso, noi ci impegniamo a resistere.

Siamo qui per difendere la democrazia e i diritti umani. Ci battiamo perché
la democrazia e i diritti umani siano affermati in tutto il mondo contro
ogni dittatura e tirannia. Anche in Iraq. Ma la democrazia non si può
affermare con l'arbitrio. Il popolo iracheno ha sofferto abbastanza. Il
regime di Saddam è stato sostenuto e armato per anni dagli Stati uniti.
Dodici anni di embargo hanno fatto il resto. All'orrore di tremila bombe
lanciate su un popolo stremato, noi ci rivoltiamo. Così ci rivoltiamo
all'uso delle bombe atomiche già minacciato nei piani del Pentagono, quelle
bombe che sarebbero già transitate dalle basi di Ghedi e Aviano.

Siamo qui perché la Carta dell'Onu esclude e condanna la guerra come
flagello dell'umanità. Nessun consiglio di sicurezza può legittimare questa
guerra. La Carta delle Nazioni Unite non lo permette. Autorizzare la guerra
vuol dire uccidere definitivamente l'Onu, già da anni debole, succube dei
poteri forti, tollerante di troppe ingiustizie in tutto il mondo. Basta con
le complicità, basta con le doppie misure, basta con la sudditanza dagli
Stati Uniti. All'ipocrisia della comunità internazionale, noi ci ribelliamo.

Siamo qui, infine e soprattutto, per difendere il diritto alla vita dei
nostri fratelli e sorelle irachene minacciate di morte dopo 12 anni di
stenti. Vogliamo ricordarci sempre, e vogliamo ricordare a tutti e tutte,
che saranno loro a pagare il prezzo più alto. La guerra la decidono i
potenti, ma sono i deboli che la fanno e la subiscono. Noi la guerra la
vediamo dall'alto, con le immagini dei traccianti e la scia dei missili.
Loro la vedono dal basso, ed è tutta un'altra cosa. Un razzismo
strisciante, per il quale le vite non sono tutte uguali, impedisce di
vedere la guerra con i loro occhi, di pensare ai loro volti e ai loro
sorrisi, quando parliamo di guerra.

A loro, e alle vittime mai viste in tutte le guerre, vi chiediamo di
dedicare ora un minuto di silenzio. Siamo cittadini e cittadine d'Europa.
Un'Europa che ancora può fermare questa guerra. Facciamo appello, insieme a
tutti i movimenti europei, ai paesi che hanno potere di veto nel Consiglio
di sicurezza dell'Onu perché esercitino questo potere, bloccando qualsiasi
risoluzione autorizzi l'attacco all'Iraq. Facciamo appello, come stanno
facendo i movimenti europei in tutti i loro paesi, alle forze politiche e
ai parlamentari perché in tutti i parlamenti nazionali si arrivi al voto il
prima possibile, prima che la guerra cominci.

Facciamo appello, insieme ai movimenti europei, perché partiti e
parlamentari si impegnino a votare contro la guerra, anche in caso di
autorizzazione delle Nazioni Unite, e contro l'utilizzo delle basi
militari, il sorvolo degli spazi aerei nazionali e di qualsiasi supporto
logistico diretto o indiretto alla guerra. Facciamo appello perché le porte
del negoziato siano tenute caparbiamente aperte, per arrivare a una
soluzione politica e non militare della crisi.

In molti paesi europei, come in Italia, la grandissima maggioranza della
cittadinanza è contro la guerra. Chiediamo che i parlamenti rispettino
questo orientamento e lo traducano in scelte coerenti. Chiediamo un vincolo
di coerenza alle forze politiche che hanno aderito a questa manifestazione.
Ognuno si assuma le proprie responsabilità, nella libertà che a ciascuno
compete. Ciascuno risponderà delle proprie azioni di fronte ai cittadini e
alle cittadine di questo paese. Il tempo del politicismo è finito per
tutti. E' tempo di chiarezza.

Un appello particolare ci sentiamo di fare ai parlamentari della
maggioranza che, in tanti, sono contro questa guerra per motivi politici,
religiosi, di coscienza. Rispettiamo il vostro travaglio, ma ci sentiamo di
chiedervi un atto di coraggio e di coerenza. Votate contro questa guerra.
Fate vincere in parlamento le ragioni della pace e della democrazia.
Restituite all'Italia un ruolo positivo e una dignità.

A noi, movimenti sociali, associazioni, partiti politici, organizzazioni
sindacali, esperienze religiose, strutture autorganizzate, società civile
organizzata e diffusa, cittadini e cittadine che abbiamo condiviso la
piattaforma di questa manifestazione, da questa manifestazione rilanciamo
un appello e un impegno comune. Mettiamo in campo tutte le nostre energie,
le nostre forze, le nostre intelligenze e i nostri corpi, le nostre
relazioni, la nostra fantasia e la nostra determinazione per fermare la
guerra. Costruiamo la più grande esperienza di resistenza permanente alla
guerra e alla macchina della guerra che sia mai stata messa in campo, nel
caso sciagurato che la guerra inizi.

Facciamo appello perché andiamo avanti insieme, nel rispetto delle
differenze, trovando il massimo possibile di unità e di convergenza,
coordinando laddove è possibile le nostre iniziative, comunicando,
riconoscendo le pratiche diverse in un patto di solidarietà. Ciascuno con i
propri strumenti , ciascuno con le proprie forme, ciascuno con le proprie
pratiche, costruiamo una rete gigantesca di iniziative e di azioni che
provino a fermare, a intralciare, a boicottare, a mettere ostacoli alla
guerra.

Facciamo appello perché prosegua la mobilitazione di massa, in ogni città,
in ogni quartiere, in ogni piazza del paese. Prepariamoci a rispondere
all'appello dei pacifisti statunitensi perché in caso di attacco tutti
scendano in strada. Prepariamoci a rispondere all'appello europeo per
manifestazioni di massa in ogni paese il primo sabato dopo l'attacco.

Facciamo appello agli studenti perché le scuole e le università siano
ancora una volta al centro della mobilitazione contro la guerra. Facciamo
appello alle organizzazioni dei consumatori e dei cittadini consapevoli
perché promuovano campagne che coinvolgano il maggior numero di persone in
azioni quotidiane contro la guerra.

Facciamo appello alle organizzazioni sindacali, molte delle quali sono oggi
in piazza qui e in tutto il mondo, affinché rafforzino ed estendano la
mobilitazione dei lavoratori utilizzando tutti gli strumenti possibili,
incluso lo sciopero.

Facciamo appello perché aumenti la mobilitazione capillare per coinvolgere
tutti e tutte. Riempiamo le finestre delle nostre città di bandiere della
pace. In ogni casa, in ogni scuola, nei luoghi di lavoro, nelle sedi
istituzionali, tappezziamo l'Italia di bandiere pacifiste.

Facciamo appello affinché ciascuno trovi il suo modo per non obbedire
all'ordine ingiusto di sostenere la guerra. Le pratiche della nonviolenza
attiva, della testimonianza, del digiuno, della preghiera, della
disobbedienza civile hanno grandi radici e tradizioni nel nostro paese.
Ognuno con la propria modalità di azione, ognuno seguendo le proprie
convinzioni, costruiamo intorno ai luoghi che alimentano la macchina di
guerra una fitta rete di resistenza popolare che sappia essere efficace,
allargare il consenso e la partecipazione attiva.

Facciamo appello perché aumenti la solidarietà concreta a fianco delle
vittime della guerra. A fianco della popolazione civile irachena, che si
prepara alla guerra in mezzo a mille sofferenze. A fianco del popolo
palestinese, del popolo kurdo, del popolo afghano, dei popoli che soffrono
per le guerre dimenticate. Noi non siamo quelli che da anni, nel silenzio
colpevole dei governi, vendono le armi ai dittatori. Noi siamo a fianco,
giorno dopo giorno, ai popoli del mondo che patiscono la guerra, la
povertà, l'oppressione. Rilanciamo tutte le iniziative di solidarietà
concreta, in questi giorni. E avvisiamo sin da oggi il governo che non
parteciperemo a iniziative umanitarie promosse da chi butta le bombe. I
nostri soldi li spenderemo bene.

Facciamo appello perché si rilanci l'iniziativa politica in Medio Oriente
per la fine dell'occupazione in Palestina, per due popoli e due stati, per
Gerusalemme capitale condivisa, per la pace e la democrazia in Kurdistan e
per la vita e la libertà del presidente Ocalan. Noi non usiamo due pesi e
due misure.
Facciamo appello perché si rafforzino i legami con i movimenti europei e
mondiali che con noi sono impegnati contro la guerra e perché si realizzi
la massima solidarietà e sostegno al movimento pacifista negli Stati Uniti,
che rappresenta una grande speranza di cambiamento per il proprio paese e
per tutto il mondo.

Facciamo appello perché l'impegno assunto da tanti movimenti sociali nel
Forum sociale europeo di Firenze, affinché l'articolo uno della
Costituzione europea contenga il ripudio della guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali, divenga una grande campagna
nazionale ed europea.
Possiamo dare alla storia un altro segno. Un segno di civiltà. Un mondo
senza guerra è possibile. Un mondo di pace, di giustizia, di diritti è
possibile. Un altro mondo è possibile. E oggi qui lo stiamo costruendo.

Fermiamo la guerra.