14.02.03
Ciao a tutti!
Qui tutto ok. Ieri con tutti i
problemi di linea internet che avevamo qui mi sa che ho mandato il file con il
vecchio comunicato stampa…
CHI SONO I
TERRORISTI?
La nostra presenza continua in mezzo
alla gente di Qararah, villaggio a nord di Khan Younis, a sud della Striscia di
Gaza. La situazione è strana, diversa da tutte quelle in cui mi sono trovato.
Cerco di descrivervi prima il territorio: la Striscia di Gaza è un territorio
palestinese limitato a nordovest dal mare, a sudovest dall’Egitto, a nordest e
sudest da Israele. L’esercito israeliano controlla tutti i suoi confini. E per
controlla intendo dire che:
lungo la Green Line, che divide la
striscia da Israele lungo quello che era il confine prima della guerra del 1967,
ha posto una rete di recinzione elettrica con sensori di localizzazione, che
appena qualcuno la tocca arriva segnalazione alla torretta di controllo più
vicina che spara subito;
lungo il confine con l’Egitto c’è un
muro controllato anche quello da torrette israeliane;
il confine naturale del mare non è
neanch’esso libero: si può beneficiare solo di sette miglia di acque dalla
costa, dopodiché unità navali dell’esercito israeliano sparano a vista. Secondo
gli accordi del processo di pace dovevano essere 20 le miglia liberi, mentre le
poche miglia ora concesse non consentono neanche di pescare.
La striscia nel punto più lungo
misura 40km, e in larghezza da 8 a 15km. All’interno di questa ci sono alcuni
insediamenti israeliani, e con il termine insediamenti si intende dire che
l’esercito israeliano ha occupato militarmente alcune zone della striscia, circa
il 42% del territorio, dove ora vivono non più di 5000 israeliani, protetti da
circa 10.000 militari, mentre nel restante 58% del territorio vivono circa
1.300.000 palestinesi. Dall’inizio dell’Intifada una sola strada porta alla
Striscia di Gaza provenendo da nord, ed è quella che passa dal check-point di
Eretz, in quanto tutti gli altri accessi ora sono riservati ai coloni e
all’esercito.
Arrivati a Gaza, per andare verso
sud nelle città di Khan Younis e Rafah, si deve percorrere la strada sulla
costa, in quanto quella principale che passa nell’interno è chiusa perché
attraversa un piccolo insediamento israeliano. Arrivati però in prossimità di
Deir El-Balah si deve cambiare di nuovo strada e riprendere quella interna,
poiché quella sul mare sfocia diritta nell’insediamento più grande, Gush Katif,
che occupa una fascia costiera di circa 15km x 4km arrivando fino all’Egitto, e
che, come gli altri, è protetto da muri e torrette di controllo, ed è collegato
con il resto di Israele da una strada, “la strada dei coloni”, recintata è
chiaramente in attraversabile dai palestinesi. Nel punto in cui incrocia la
strada interna che percorriamo noi per andare da Gaza verso sud, c’è un
check-point, il check-point di Abu Holi, che può essere chiuso dall’esercito
israeliano a sua discrezione per “motivi di sicurezza”. Oltrepassato
quest’ultimo si giunge a Qararah, villaggio a nord di Khan Younis, dove viviamo
da alcuni mesi, e poi andando ancora a sud si arriva a Rafah e al confine con
l’Egitto.
La Striscia di Gaza dunque è come
un’immensa prigione a cielo aperto: la popolazione si può spostare all’interno
del territorio, senza poter uscire e con molti ostacoli anche all’interno. Circa
8.000 palestinesi abitano ancora in zone ormai inglobate dagli insediamenti
(regione di al-Mawasi) in condizioni critiche, costantemente controllati,
schedati e con enormi difficoltà di spostamento. Se per motivi di salute o
lavoro sono costretti ad uscirne sanno di per certo che avranno dei problemi a
ritornare nelle loro case. La politica del governo israeliano è di incoraggiare
un esodo spontaneo, per liberare gli insediamenti dalla presenza palestinese.
Gli uomini tra i 15 e 35 anni che tentano di rientrare ad al-Mawasi sono
sistematicamente respinti indietro al check point . “Tornate a Khan Younis” gli
viene gridato dai megafoni del check-point di Tufah, al confine tra Khan Younis
e l’insediamento di Gush Katif, dove abbiamo conosciuto un uomo che da 50 giorni
provava ad entrare, un ragazzo da 20 giorni, e tutti i giorni venivano respinti.
Tempo fa, una donna che aveva lasciato il suo bambino di 9 mesi nella casa
dentro all’area di Mawasi, non riusciva più ad entrare, respinta per 5 giorni al
check-point: i ragazzi dell’Operazione Colomba l’hanno accompagnata il quinto
giorno e dopo un’animata discussione con i militari, sfruttando il loro essere
“internazionali” , sono riusciti a far passare quella mamma. Forse quel giorno
sarebbe passata lo stesso, anche altra gente quel giorno è passata, o forse no.
Un bambino di 10 anni è stato ucciso in strada una sera da proiettili vaganti
dopo una scarica di mitra da un insediamento, o di un altro bambino rimasto
ucciso da colpi di mitragliatrice di carro armato (che bucano fino a 2 pareti di
una casa), proprio mentre era in casa a giocare… ridere… guardare i
genitori…
E ancora, un bambino guidava un
carretto carico di verdura tirato da un asino su una strada vicino al muro
dell’insediamento: i militari israeliani hanno sparato, ucciso l’asino e ferito
il bambino, impedendo poi, sparando a chiunque, di avvicinarsi al carretto.
Anche in questa occasione, i ragazzi dell’Operazione Colomba sono riusciti a
recuperare il carretto solo in quanto internazionali. Nel mentre l’esercito
israeliano fa piazza pulita intorno alla Green Line, intorno a tutti i confini
degli insediamenti, e pure intorno alla strada dei coloni: rade al suolo tutte
le case nel raggio di 200 metri da quei confini, 35 case a Rafah nell’ultima
settimana di gennaio, 8 case nella notte del 7 febbraio a Tufah, dove nella
demolizione di una di esse è rimasto ucciso un palestinese al suo interno.
Neppure gli alberi sono risparmiati, si parla già di 5000 alberi tagliati;
abbiamo visto un campo di parecchi ettari di olivi situato vicino alla Green
Line completamente raso al suolo dai bulldozer dell’esercito israeliano pochi
giorni fa, e mentre uscivamo dal campo dopo una visita durata nel totale una
mezz’oretta, abbiamo sentito arrivare 2 carri armati israeliani che in pochi
minuti erano sui campi rasi al suolo… forse solo per un
controllo…
Tra l’altro alberi e colture in
genere qui sono preziosi, in quanto l’acqua non abbonda. O meglio: non abbonda
nel territorio lasciato ai palestinesi. Basta osservare la cartina con i pozzi
di acqua potabile nella Striscia di Gaza per poter indovinare e disegnare i
confini degli insediamenti… Neanche un pozzo è lasciato fuori da
essi…
Alcuni palestinesi che cercano di
risolvere la questione con la violenza si trovano subito però a scontrarsi con i
mezzi a loro disposizione: praticamente nulli. I palestinesi che cercano di
conquistarsi il paradiso morendo per la libertà usano l’unica arma difficile da
scoprire: il proprio corpo. E così ci troviamo davanti a episodi [inizio con
questo episodio, primo in ordine cronologico accaduto da quando sono qui in
Quarara, continuazione di una catena infinità di altri episodi] come quello
avvenuto domenica mattina: alle 11 un’auto che attraversava il check-point di
Abu Holi ha imboccato velocemente la stradina che al suo interno porta al campo
dei militari israeliani, ne è nata una sparatoria e l’autobomba è esplosa prima
ancora di arrivare in luogo strategico o affollato di militari. Nell’auto 3
ragazzi dai 15 ai 20 anni, gesto di disperazione, peraltro senza logica in
quanto impossibile nella sua riuscita (solamente un israeliano ferito), ma con
un peso morale enorme, indicatore della disperazione a cui alcuni si
abbandonano.
Di conseguenza il check-point è
stato chiuso per 24 ore. Tra l’altro noi domenica siamo andati presto a Gaza,
dove abbiamo dovuto trascorrere la notte nell’impossibilità di far ritorno a
casa.
La sera stessa un uomo ha buttato
una bomba nell’insediamento, è stato inseguito, ma dalle jeep non riuscivano ad
ammazzarlo poiché questo stava sdraiato ed era difficile da localizzare: quindi
si sono alzati in volo 2 elicotteri Apache che hanno mitragliato per una
mezz’oretta prima di avere la meglio… Quella sera eravamo a dormire a casa di
A., il giorno dopo martedì 11 febbraio sarebbe stata la festa religiosa più
importante per i musulmani, in cui ricordano il sacrificio di Abramo sgozzando
un animale (mucca, capretto o pecora) e facendone tre parti, una per la propria
famiglia, una per i parenti e una per le famiglie che non hanno i soldi per
possedere un animale. La festa è così organizzata: alle 7.30 si sgozza
l’animale, poi si macella, si cuoce alla brace e alle 10 si mangia. Poi ci si
lava e ci si mette il vestito della festa, si va alla moschea a ringraziare e
poi si va a salutare tutti i parenti, visite che durano 3 giorni. In mezzo a
tutto questo movimento, il check-point è stato chiuso d alle 13 alle 19, senza
motivo dichiarato se non “motivi di sicurezza”.
Il giorno dopo due palestinesi
mentre cercavano di penetrare nell’insediamento di Netzarim sono stati scoperti,
uno è stato ucciso, l’altro ferito.
Questa è la vita quotidiana nella
Striscia di Gaza.
Davanti a tutto questo mi chiedo:
chi sono i terroristi?
Guido
La presenza dell’Operazione Colomba
continua a fianco di chi lotta per la pace con metodi nonviolenti: associazioni
e famiglie palestinesi che non si abbandonano all’uso delle armi, e associazioni
e famiglie israeliane che rifiutano la violenza, condannando il terrorismo da
entrambe le parti.
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