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FEDERICO CERATTI: Trent'anni di movimento



Editoriale del sito www.consumietici.it

Trent'anni

Tanti sono trascorsi da quel giorno in cui venne colpito a morte Roberto 
Franceschi. Trent'anni eppure sembrano pochi per me che, come pochi altri 
in confronto a quanti avremmo potuto essere, ho continuato a lavorare per 
la politica e per il sociale senza mai perdere la speranza in un mondo 
diverso, più giusto.

Ma trent'anni incominciano a essere sufficienti per dare valutazioni che 
vadano al di là della pura cronaca. Sono sufficienti per "leggere" gli anni 
dal 70 al 75 con occhio di storico e non con nostalgia.

Cosa ci rimane di allora? Cosa può essere utile di quell'esperienza ai 
giovani di oggi?

Ne ho parlato con i giovani volontari della nostra associazione che hanno 
osservato come la morte di Roberto sia similare a quella di Carlo Giuliani. 
In molti, in troppi pensano che non sia cambiato nulla, che il sangue e il 
dolore di quegli anni sia passato invano. Non è vero. In quegli anni la 
magistratura era meno indipendente, anche quella che oggi è accusata di 
essere di parte (politica naturalmente perché se sono dalla parte della 
popolazione sono nel giusto ovviamente). In quegli anni DC e PCI e tanti 
altri fecero blocco per oscurare la verità sulla morte di Franceschi 
arrivando addirittura a far scomparire la foto che incriminava la polizia.

La situazione (malgrado tutti i rimproveri che si possono fare alla 
magistratura genovese) è realmente cambiate. Sia nella Magistratura sia 
nelle Forze di Polizia stesse, sia nella maggioranza del Movimento dei 
Movimenti c'è più "senso dello Stato". In generale c'è una diversa visione 
(più matura) della democrazia. Non sono passati invano gli anni, non è 
stato versato invano il nostro sangue, la nostra fatica, il nostro dolore.

Ma cosa possiamo "passare" alle nuove generazione come "riflessione utile" 
dell'esperienza del movimento giovanile iniziato nel 69? Più che un 
messaggio positivo una avvertenza. E' normale che i movimenti (che sono 
tali e potenti perché indirizzati su obiettivi parziali) tendano ad un 
certo punto a fare scelte più "complessive" nel momento in cui, è 
inevitabile, diventa a tutti chiaro che la soluzione di problemi anche 
parziali dipendono dall'organizzazione generale politica della società.

Noi l'abbiamo fatto, abbiamo generato partiti e organizzazioni. Tutto 
finito in nulla.

Ai movimenti e ai partiti allora questa avvertenza: ognuno faccia la 
propria parte. I movimenti generino lotte ed elaborazioni e i partiti le 
sappiano cogliere. Dirò di più che i movimenti non si facciano inglobare 
dai giochi dei partiti o delle loro correnti, ne stiano ben fuori. Ai 
movimenti non deve interessare quale partito, quale uomo politico, quale 
leader, quali sommovimenti si presentino in un'area politica o in un'altra. 
I movimenti rimangano fedeli alla loro matrice e alla loro natura.

Come ebbe a dire il grande Wilhelm Reich "il potere è la potenza che si 
struttura" e, nel momento in cui si struttura inizia perdere se stessa (è 
in analogo la scoperta di Einstein sul rapporto energia/materia). Questa è 
la storia di sempre. E' bene che i movimenti (che sono potenza) lascino 
intatta la loro forza e i partiti (che sono potere) vengano scossi dalla 
potenza dei movimenti rimettendosi in movimento come la società stessa. E' 
nella dinamica delle cose (e quindi della società) il segreto della sua 
capacità di rinnovamento e di riequilibrio. E' nella contrapposizione 
pacifica, cosciente e responsabile fra dinamica (la libera espressione 
della forza creativa individuale e collettiva) e la "statica" (le regole 
del gioco fissate per i diritti base degli individui e per la gestione del 
potere) che costruiremo una società più giusta.

E in questo senso voglio rendere omaggio a Roberto Franceschi come 
intelligenza attuale e persona viva e presente. Non è il solito peana per 
chi non c'è più!
Con Roberto firmai la mozione per la seconda grande occupazione del liceo 
scientifico Vittorio Veneto di quegli anni, ma sempre con Roberto litigai 
duramente sull'invasione di Praga. Ed era lui ad avere ragione, che era 
ferocemente contro.
Lui più cosmopolita, nipote di perseguitati aveva chiaro che cosa era la 
libertà e il diritto civile individuale e la non violenza. Io, più 
preoccupato del bisogno di unità del movimento socialista e comunista nel 
mondo, non giudicavo con durezza l'intervento del Patto di Varsavia, anzi!

Occorre dirlo chiaramente, ha vinto la mentalità che io, in piccolo, 
rappresentavo. E il movimento ha perso la sua bellezza, la sua forza; ha 
incanalato la sua potenza creativa in piccole strutture di potere che erano 
partiti e organizzazioni politiche.

Noi, fautori di questa mentalità, che vedeva in uno Stato Socialista 
illiberale la forza di contrapposizione ad uno Stato Conservatore 
illiberale, insieme alla repressione politico/poliziesca abbiamo fatto 
morire una speranza di cambiamento della società riuscendo solo a 
"rinnovare di poco e male" il presente.

Vi invito a andare a vedere la mostra "L'emozione e la memoria" alla 
Bocconi di Milano e a seguire tutte le iniziative, a partire da quella del 
23 gennaio sera, che si terranno alla Bocconi per il trentennale di Roberto 
Franceschi.

Federico Ceratti, presidente di AceA