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La nonviolenza e' in cammino. 500
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 500 del 7 febbraio 2003
Sommario di questo numero:
1. Lo spergiuro
2. Greenpeace in azione contro la guerra
3. Tavola della pace, "l'Europa ripudia la guerra"
4. Eugen Drewermann, la prima guerra del Golfo e le ragioni della pace
5. Carlos Fuentes, ipotesi sulla guerra
6. Anna Maria Merlo, giovani donne nelle periferie degradate
7. Anna Schgraffer presenta "Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo" di
Vandana Shiva
8. Luciana Percovich presenta "Quintessence" di Mary Daly
9. Riletture: Karl Barth, Antologia
10. Riletture: Benedetta Craveri, Madame du Deffand e il suo mondo
11. Riletture: Lettere di Mademoiselle Aisse' a Madame C...
12. Riletture: Lorenzo Milani, Alla mamma. Lettere 1943-1967
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. LO SPERGIURO
Chi assume incarichi di governo del nostro paese giura, nelle mani del capo
dello Stato, fedelta' alla Costituzione della Repubblica Italiana, che
testualmente stabilisce e impone: "L'Italia ripudia la guerra come strumento
di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali".
Dovrebbe bastare.
E quel governante che non si attiene a questo obbligo di legge cui ha
giurato fedelta', e' un fuorilegge e un golpista.
E quel parlamento che non insorge in difesa della legge fondamentale del
nostro ordinamento giuridico.
E quel capo dello Stato che abdica al suo ruolo di supremo difensore e
garante della legalita' costituzionale.
E questo e' tutto quanto abbiamo da dire su cio' che e' avvenuto ieri nel
parlamento italiano.
Poi ne abbiamo anche un'altra di cosa da dire, anzi due, e sono le seguenti.
Che i golpisti che violano la Costituzione vanno perseguiti penalmente,
processati e condannati ai sensi di legge.
E che e' dovere di ogni cittadino italiano inverare quel ripudio della
guerra che e' legge dello stato, presidio di democrazia, eredita' della
lotta antifascista; e norma e voce della coscienza di ogni essere umano; e
primo dovere di ogni persona che abbia a cuore le sorti dell'umanita'
intera.
Per amore e salvezza dell'umanita' intera e' dovere morale e civile di tutti
opporsi alla guerra, impedire la guerra, che e' il crimine piu' scellerato
di tutti i piu' scellerati crimini.
2. INIZIATIVE. GREENPEACE IN AZIONE CONTRO LA GUERRA
[Dall'agenzia di stampa di Greenpeace, "Greenews" (per contatti: e-mail:
greenews@greenpeace.it; sito: www.greenpeace.it) riprendiamo e diffondiamo]
Roma, 4 febbraio 2003 - Greenpeace ha condotto oggi nuove azioni di protesta
contro la guerra in Australia, Francia e Gran Bretagna.
Alle 7,45, quattordici attivisti di Greenpeace sono entrati nel porto
militare britannico di Southampton. Sette sono stati arrestati, ma cinque
sono riusciti ad arrampicarsi sui carri armati che stavano per essere
caricati sulle navi militari destinate al Golfo, una volta entrati sono
riusciti a chiudersi all'interno. Altri due attivisti hanno dipinto la
scritta "No alla guerra" sulle fiancate e si sono incatenati ai carri
armati.
Contemporaneamente, nel porto francese di Tolone, attivisti di Greenpeace
hanno protestato per la partenza di un aereo militare per la Turchia. "Come
mai il presidente Chirac, che si oppone pubblicamente alla guerra in Iraq,
manda un caccia in Turchia?", si chiedono a Greenpeace Francia.
In Australia, la notte scorsa, attivisti dell'associazione hanno innalzato
una mongolfiera di fronte al parlamento di Camberra, chiedendo al governo di
bloccare le truppe in partenza per l'Iraq, il messaggio era: "give peace a
chance".
Parlando dal "Rainbow Warrior", a Southhampton, Blake Lee Harwood, di
Greenpeace, ha detto: "Greenpeace usera' ogni mezzo pacifico per bloccare
l'attacco all'Iraq. Il governo ha gia' tentato di rimuovere la nostra nave
dal porto militare, ma troveremo altri modi per opporci ad una guerra che
avrebbe conseguenze disastrose".
Quale giustificazione alla guerra e' il fatto che Saddam desideri procurarsi
armi di distruzione di massa? Le 5 potenze atomiche sono Gran Bretagna, Usa,
Cina, Francia e Russia. Altri stati che possiedono armi nucleari sono India,
Pakistan e Israele. Secondo gli Usa sono almeno 13 i paesi che compiono
ricerche sulle armi biologiche.
Per Greenpeace la soluzione alla minaccia delle armi di distruzione di massa
e' il controllo internazionale sugli armamenti ed il disarmo.
"Gli strumenti ci sono gia': Trattato per la non proliferazione nucleare,
Convenzione sulle armi chimiche e Convenzione sulle armi biologiche.
Anziche' essere rafforzati questi strumenti vengono continuamente
indeboliti, specialmente dagli Usa - ha detto Domitilla Senni, direttore
generale di Greenpeace -. Il principale motivo di questa guerra e' il
petrolio. Le stesse compagnie petrolifere americane, tra cui la Esso, che si
oppongono al Protocollo di Kyoto sono anche dietro a questa guerra".
3. APPELLI. TAVOLA DELLA PACE: "L'EUROPA RIPUDIA LA GUERRA"
[Dal sito della Tavola della pace (www.tavoladellapace.it) riprendiamo e
diffondiamo]
Fuori l'Europa dalla guerra. Fuori la guerra dalla storia.
Campagna della Tavola della Pace per chiedere che nell'articolo 1 della
Costituzione Europea sia scritto a chiare lettere: "L'Europa ripudia la
guerra"
Chiediamo che nell'articolo 1 della Costituzione europea sia scritto a
chiare lettere che: "L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto
fondamentale delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla
costruzione di un ordine internazionale pacifico e democratico; a tale scopo
promuove e favorisce il rafforzamento e la democratizzazione
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione
internazionale".
La nuova Europa deve ripudiare la guerra. Per sempre.
Firma anche tu. E invita i tuoi amici a firmare nel sito:
www.tavoladellapace.it
Perche' e' importante farlo ora? In questi giorni la Convenzione Europea sta
discutendo i primi 15 articoli della Costituzione Europea. E' urgente far
sentire la nostra voce ai membri della Convenzione.
Aderiscono alla campagna per l'articolo 1: Tavola della Pace, Movimento
Federalista Europeo, Rete Lilliput ed altri movimenti.
4. RIFLESSIONE. EUGEN DREWERMANN: LA PRIMA GUERRA DEL GOLFO E LE RAGIONI
DELLA PACE
[Da Elvira Zaccagnino della casa editrice La meridiana (per contatti:
media@lameridiana.it), riceviamo questo testo tratto da La fede inversa di
Eugen Drewermann, Edizioni La Meridiana, Molfetta 2033, pp. 104, euro 9, a
giorni in libreria. Il comunicato de La meridiana lo presenta cosi' (con una
certa enfasi che risente di slogan oggi di moda): "Quello che segue e' un
passo tratto dal testo a giorni in libreria di Eugen Drewermann. Il volume
e' l'intensa, appassionata autobiografia del teologo che ha introdotto
impietosamente l'analisi del profondo fin nel cuore della struttura della
chiesa. La sofferta, rigorosa testimonianza della ricerca di un'altra
dimensione della fede al cui centro non sia il dogma ma un Gesu' vivo. Un
altro Dio e' possibile. E' il Dio della nonviolenza infinita. Della
compassione verso tutte le creature. Un Dio che ama. Non un Dio che giudica.
Per saperne di piu': www.lameridiana.it, cercando tra le novita'. Per
ordinarlo: info@lameridiana.it (20% di sconto per chi lo ordina entro il 15
febbraio 2003)". Eugen Drewermann e' un illustre teologo e psicoterapeuta;
tra le sue opere segnaliamo almeno: Psicoanalisi e teologia morale; Il
vangelo di Marco; Psicologia del profonde e esegesi (due volumi); Parola che
salva, parola che guarisce; Il cammino pericoloso della redenzione; Il
messaggio delle donne, L'essenziale e' invisibile; I tempi dell'amore;
Cenerentola; Il tuo nome e' come il sapore della vita; Il cielo aperto,
Parole per una terra da scoprire; tutte presso la Queriniana, Brescia;
Guerra e cristianesimo, la spirale dell'angoscia, Raetia, Bolzano]
Dal mio punto di vista, la discussione sulle questioni di guerra e pace
raggiunse un primo culmine tra l'agosto 1990 e il marzo 1991.
Il lettore ricordera'. Non appena l'Iraq, dopo una serie di minacce
inequivocabili, ebbe occupato il Kuwait, George Bush dichiaro' che Saddam
Hussein doveva ritirarsi immediatamente dallo sceiccato petrolifero; non ci
sarebbero state trattative ne' alcuna possibilita' di salvare la faccia.
"Arrenditi, topo di fogna, se no ti schiaccio!". Non ho mai provato simpatia
per il cinismo della politica del Baath di Baghdad. Ma all'epoca non sapevo
che nel 1982 era stata la Cia a progettare l'invasione dell'Iran di
Khomeini, usando il dittatore iracheno, per cosi' dire, come un suo cane da
guardia sciolto dalla catena. Ero, pero', sicurissimo che nessun arabo si
sarebbe lasciato comandare con il tono usato dal presidente americano e che
non ci si poteva permettere di rifiutare per mesi le offerte di trattative
quando si voleva seriamente la pace.
A maggior ragione ero esterrefatto nel dover constatare come anche giornali
che fino a quel momento avevano mantenuto un atteggiamento critico,
mostrassero la massima comprensione per lo schieramento americano nel Golfo.
Ad un tratto lo shock del Vietnam e quindici anni di ricerca sulla pace
sembravano cancellati dalla memoria.
Mille ottimi consigli su come evitare la guerra: superamento dei pregiudizi
sul nemico; rinuncia agli stereotipi negativi dell'avversario; attenzione a
non assolutizzare mai il punto di vista dei propri diritti: non si tenne
conto di nulla di tutto cio'. Saddam Hussein era un dittatore, un nuovo
Hitler, un folle, il male in quanto tale. Attraverso la stampa vennero
diffuse immagini falsificate di azioni orribili compiute dai soldati
iracheni, cercando di riscaldare cosi' l'atmosfera bellica, e George Bush
dichiaro': "Questa guerra non verra' combattuta tra ebrei, cristiani e
musulmani: e' in gioco cio' che sta alla base di tutte le religioni:
l'eterna lotta tra il bene e il male; e io dico che l'esito di queste guerra
non puo' essere che la vittoria del bene".
Nei sei mesi che seguivano, avevo sempre davanti agli occhi cio' che sarebbe
accaduto. Partendo da determinate basi militari e sfruttando la superiorita'
dalla propria aeronautica militare, i bombardieri americani avrebbero
scaricato sull'Iraq tutta la gamma delle loro armi di distruzione totale:
napalm, bombe a pressione, bombe dirompenti, missili da crociera. E non
avrebbe avuto la minima importanza quante decine di migliaia di donne,
bambini, uomini arabi sarebbero morti o avrebbero riportato ferite per tutta
la vita.
Dalla meta' del mese di dicembre 1990, mi convinsi di non poter piu'
tollerare la disinvoltura con cui la guerra era nuovamente considerata un
mezzo della politica. Come si fa a invocare la pace di Dio e tollerare allo
stesso tempo che i propri alleati, gli Usa, il potere cui l'occidente
attribuisce il compito di salvaguardare l'ordine, si riservi sempre la
possibilita' di muovere guerra senza ammettere alternative, pur di mantenere
la propria egemonia? E i vescovi tedeschi, che di solito parlano tanto
volentieri, in questa situazione tacevano, ovvero esprimevano la propria
preoccupazione.
Nel gennaio 1991 assunsi la direzione dell'incontro pacifista in piazza del
Municipio a Paderborn. Due volte alla settimana vi si radunavano piu' di
mille persone cui cercavo di dire che le preoccupazioni per la propria sorte
erano un argomento assai debole a favore della pace. Comunque bisognava
smettere di interpretare la vittoria sul campo di battaglia come trionfo
della giustizia invece di scorgervi la sconfitta dell'umanita'. Sapevo che
non avremmo potuto fermare alcunche', ma volevo dire come stavano le cose.
Penavo pure di sapere che dopo la guerra del Golfo il gioco delle vittorie
belliche, il commercio d'armi, il marketing petrolifero e soprattutto
l'ampliamento dell'egemonia americana, sarebbero stati portati avanti
facendosi sempre meno scrupoli e che noi tedeschi, dopo la riunificazione
della Germania, saremmo stati trascinati in questo vortice di interessi.
Da allora, la lotta per la distribuzione dei beni combattuta tra il primo
mondo e il terzo mondo ha assunto la forma di interventi militari, e si
proseguira' su questa strada. Cominciai a considerare i successi del
movimento pacifista come delle illusioni effimere. Eppure bisogna credere
nella pace, perfino se ai nostri giorni appare impossibile vincere la guerra
contro la guerra.
Sul piano prettamente umano pare che abbia avuto ragione il re goto Teja:
bisogna rimanere fedeli a se stessi ed e' questo che conta. Anche la
certezza dell'imminente sconfitta non deve dissuaderci dal fare cio' che e'
giusto.
5. RIFLESSIONE. CARLOS FUENTES: IPOTESI SULLA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 febbraio 2003. Carlos Fuentes e' il
grandissimo scrittore messicano autore di quel capolavoro che e' La morte di
Artemio Cruz]
E se il governo di Ronald Reagan non avesse armato Saddam Hussein per
rafforzare l'Iraq contro gli ayatollah iraniani, visti in quel momento come
i nemici mortali degli Stati Uniti nella regione?
E se il governo di George Bush padre non avesse armato Osama bin Laden e i
Taleban per lottare in Afghanistan contro la presenza del nemico sovietico?
E se i successivi governi degli Stati Uniti avessero dato un ultimatum al
governo di Israele perche' restituisse i territori occupati, cessasse la
politica degli insediamenti nei territori palestinesi e obbedisse alle
risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di sicurezza dell'Onu?
E se gli Stati Uniti avessero difeso dal primo momento il diritto del popolo
palestinese ad avere un proprio Stato?
E se uno Stato palestinese normale, con frontiere sicure e autorita'
debitamente elette, si fosse convertito nella migliore garanzia per la pace
e sicurezza per lo Stato di Israele?
E se le agenzie di sicurezza nodramericane - Fbi e Cia - avessero dato peso
alle informazioni e ai tempestivi avvertimenti dei loro stessi funzionari
minori per evitare la tragedia dell'11 settembre?
E se gli Stati Uniti non avessero sviato l'attenzione mondiale dalla lotta
contro il terrorismo, sacrificando l'universale simpatia provocata dal
brutale attacco dell'11 settembre, per centrarla nei preparativi di guerra
contro l'Iraq?
E se non esistesse alcuna prova della connessione fra al Qaeda e Baghdad?
E se il vero rifugio di al Qaeda fosse in Pakistan, intoccabile grazie alla
sua alleanza opportunistica con Washington?
E se non si trovassero prove in Iraq di altre armi rispetto a quelle a suo
tempo consegnate dai governi degli Stati Uniti a Saddam Hussein e di cui
Donald Rumsfeld possiede la muniziosa contabilita'?
E se gli Stati Uniti si spazientissero con i piani imposti dalle ispezioni
di armamenti in Iraq e iniziassero la guerra contro Saddam, con o senza una
risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu?
E se il Consiglio di sicurezza avallasse l'attacco contro l'Iraq e
rinunciasse a ogni futura autorita' di fronte all'egemonia unipolare degli
Stati Uniti?
E se l'opinione pubblica occidentale contraria con maggioranze fino all'80%
all'avventura irachena di Bush, si rivoltasse contro i suoi stessi governi
che seguono docilmente la politica bellica di Washington?
E se lo "scontro di civilta'" popolarizzato da Huntington si spostasse
dall'opposizione Occidente-Islam all'opposizione Occidente europeo-Occidente
nordamericano?
E se le armi degli Stati Uniti scatenassero la guerra totale contro l'Iraq e
sconfiggessero Saddam dal cielo?
Ma, e se la resistenza irachena obbligasse i nordamericani a battersi nelle
strade di Baghdad, casa per casa, con perdite crescenti fra i soldati degli
Stati Uniti?
E se l'opinione pubblica degli Stati Uniti, come accadde nel caso del
Vietnam, togliesse la sua fiducia al presidente Bush nel caso che l'Iraq
divenisse un nuovo marasma militare?
E se nessuno potesse governare un Iraq diviso caoticamente fra sciiti,
sunniti e kurdi?
E se il popolo iracheno non tollerasse una occupazione sine die e un
proconsolato del tipo di quello esercitato dal generale MacArthur nel
Giappone vinto?
Come risponderebbe la Turchia, paese alleato della Nato, all'improvvisa
esplosione del problema kurdo alle sue frontiere con l'Iraq?
Come risponderebbero i governi della periferia islamica, dall'Algeria fino
all'Egitto e dalla Siria fino all'Arabia Saudita, all'insediamento di
un'occupazione militare in Mesopotamia?
E come risponderebbero le popolazioni islamiche della stessa regione alla
visibile subordinazione di un paese di fede islamica agli Stati Uniti?
E se le potenze nucleari minori, dall'India fino alla Corea del nord,
approfittassero della distrazione nordamericana sull'Iraq per arricchire i
loro arsenali?
E se gli Stati Uniti non fossero capaci di condurre piu' di una guerra -
quella contro l'Iraq - senza poter rispondere a quell'insigne membro
dell'"asse del male" che e' il satrapo nordcoreano Kim Jong Il?
E se l'Afghanistan, abbandonato e a mezza cottura, continuasse a
deteriorarsi?
E se la guerra nordamericana contro piu' nazioni - il famoso "asse"
Baghdad-Tehran-Pyongyang - aprisse un fronte mondiale permeabile al
terrorismo che agisce senza bandiere e senza frontiere?
E se la Russia e la Cina si sentissero minacciate nei loro interessi
nazionali dall'assedio nordamericano?
E se il mondo intero finisse per vedere nell'azione di Bush una petro-guerra
decisa per accaparrarsi fino al 75% delle riserve mondiali di oro nero?
E se la stessa cittadinanza degli Stati Uniti finisse per identificare
l'attuale amministrazione nordamericana come un semplice "petro-potere" piu'
interessato a proteggere gli interessi economici delle compagnie
rappresentate, de facto, da Bush e Cheney?
E se il governo di Bush non riuscisse a equilibrare le spese crescenti per
la difesa, le calanti entrate fiscali, la dilapidazione dei superavit
fiscali e di bilancio lasciati da Clinton?
E se entro due anni Bush perdesse le elezioni lasciandosi dietro "campi di
solitudine e poggi avvizziti"?
E se il partido democratico si armasse di coraggio politico e morale per
sfidare la catastrofica arroganza del governo di Bush e proponesse una
ridefinizione morale e strategica degli Stati Uniti fondata sull'esercizio
prudente del potere, la capacita' di dialogo con alleati e avversari e
l'assoggettamento alle norme del diritto pubblico internazionale?
E se Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa e non le usasse a
meno di essere attaccato, sapendo che se le usasse sarebbe, massicciamente,
attaccato?
E se fossimo sulla soglia della Terza - e ultima - Guerra mondiale?
E se le ragioni psicologiche dell'Apocalisse fossero la vanita' di un
bambino ricco che non ha mai combattuto in una guerra ed e' entrato
all'universita' di Yale con voti infimi e raccomandazioni massime, che dice
a suo padre: "Guarda, papino, io si' che sono stato capace di fare quello
che tu non sei riuscito a fare"?
E se anche il primo impero egemonico unipolare dai tempi di Roma non
ascoltasse, come Roma non ascolto', la voce di saggezza dell'altro, il greco
di sempre: "La tracotanza, l'orgoglio smisurato, l'insolenza lasciva perdono
gli uomini e le nazioni"?
E se, davvero, la situazione fosse "scritta in greco"?
6. FRANCIA. ANNA MARIA MERLO: GIOVANI DONNE NELLE PERIFERIE DEGRADATE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2003]
Hanno scelto un luogo altamente simbolico per avviare il tour de France che
si concludera' a Parigi l'8 marzo prossimo: un gruppo di ragazze e' partito
sabato scorso da Vitry sur Seine, la cittadina della banlieue parigina dove
il 4 ottobre scorso Sohane, una ragazzina di 17 anni, e' stata bruciata viva
in mezzo alle pattumiere perche' aveva osato dire "no" al caid del
quartiere. Le ragazze della Federation de la Maison des Potes
(organizzazione vicina a Sos racisme) con la marcia che tocchera' 28 citta'
francesi, dove verranno organizzati dibattiti ma anche non meglio precisate
"azioni clamorose", intendono sensibilizzare i francesi sulle condizioni
delle giovani donne nei quartieri di periferia.
L'anno scorso queste ragazze avevano riunito piu' di 250 persone alla
Sorbonne, per discutere della violenza di cui sono vittime le giovani donne
nei quartieri della periferia degradata. Il loro manifesto dal titolo
deciso - "Ne' puttane ne' sottomesse" - ha raccolto piu' di quindicimila
firme.
"Bisogna portare il dibattito sulla piazza pubblica", spiega Fadela Amara,
la presidente della Federation. Le donne sono le prime vittime della
violenza che pesa sulle banlieues, denuncia il movimento. La prova sono i
casi di stupro di branco in netta crescita. "La regressione dello status
della donna nei quartieri - dice Fadela Amara - si e' tradotta in una
recrudescenza delle violenze verso le ragazze, in matrimoni forzati, in
molestie da parte dei ragazzi". Fadela Amara aggiunge: "In famiglia e nei
quartieri non si parla di sesso. Non e' piu' permesso fumare. Non e' piu'
permesso mettersi una gonna. Non e' piu' possibile frequentare dei ragazzi,
se no si passa per la puttanella del quartiere. Non e' piu' permesso
partecipare a una conversazione. Ci viene detto: 'torna a casa', o
`vattene'. Le ragazze vengono ritirate dalle scuole. Il mito della beurette
(slang per ragazza di orgine araba) che studia si e' infranto".
La marcia e' appoggiata da tutti i partiti e da numerose personalita'. Ha
dato il suo sostegno anche Samira Bellil, che l'hanno scorso aveva fatto
molto discutere con la pubblicazione del libro autobiografico, dieci anni e
una lunga terapia psicanalitica dopo i fatti, Dans l'enfer des tournantes,
dove ha raccontato i tre stupri di branco di cui e' stata vittima in una
cantina di un palazzone di periferia.
Basta passeggiare in una banlieue qualsiasi per notare l'aumento
considerevole di ragazze che in Francia portano il velo islamico. Per il
movimento che ha organizzato la marcia, e' una forma di difesa che le
giovani donne scelgono per essere lasciate in pace, visto che gli spazi di
liberta' ormai non esistono piu'. Le ragazze sono obbligate a diventare
invisibili, a passare lungo i muri con la testa bassa: "se no la reputazione
di puttana arriva. La diceria diventa violenza contro le donne, strumento
del controllo sociale", afferma Horia Kebabza, una dottoranda che sta
facendo una ricerca per la delegazione interministeriale per la citta'.
Il movimento mette in causa direttamente gli imam di quartiere, che
radicalizzano i giovani, peraltro sempre piu' esclusi dalla societa'. Ma la
violenza non riguarda solo le ragazze di origine araba o africana. Anche le
cosiddette "francesi d'origine" che ancora vivono nei quartieri difficili
(malgrado il continuo esodo, che ne fa sempre piu' dei ghetti etnici) sono
ridotte a vittime della violenza dell'ambiente.
Secondo il sociologo Daniel Welzer-Lang, e' in corso un ben visibile
fenomeno di "irrigidimento virilista" tra i giovani di periferia,
disoccupati, che non riescono a uscire dal ghetto che a loro volta
trasformano in inferno per chi e' piu' debole di loro. I ragazzi, spiega il
sociologo, educati con valori tradizionali, si rivoltano contro l'assenza di
prospettive prendendosela con le donne.
"Non ce la faccio piu' a stare zitta", sostiene una partecipante alla
marcia. "Da anni - denuncia - le mie sorelle, le mie cugine, le mie amiche
subiscono questa violenza. Prima si percepiva una solidarieta', oggi noi
giovani donne ci nascondiamo, cerchiamo di passare inosservate". Delle
rappresentanti della Federation sono ormai nell'Osservatorio sulla parita',
istituito dal governo.
7. LIBRI. ANNA SCHGRAFFER PRESENTA "TERRA MADRE. SOPRAVVIVERE ALLO SVILUPPO"
DI VANDANA SHIVA
[Dalla rivista "Una citta'" n. 108 del novembre 2002 (sito:
www.unacitta.it). Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice
di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie
delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come
militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i
principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di
liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e
distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali
dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere
allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche
sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino
2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto
brevetto, Feltrinelli, Milano 2002]
Quando il pensiero non e' dominato dalla paura e dalla diffidenza, ma
ispirato dalla compassione e illuminato dalla saggezza, allora possono
nascere libri come questo.
L'edizione originale e' del 1988 e apparve in Italia nel 1990, con il titolo
Sopravvivere allo sviluppo. A quell'epoca non ebbe molta fortuna, fu
pubblicato da una casa editrice piuttosto marginale che doveva aveva qualche
problema di distribuzione. Mi ricordo l'impressione di sorprendente
contrasto fra la superba statura intellettuale dell'autrice, il brillante
livello politico del contenuto, e la pochezza della veste, combinata con la
scarsa reperibilita' dell'edizione. Ecco il mondo alla rovescia, pensai: era
come se ci avessero regalato un prezioso gioiello avvolto in carta di
giornale.
Ora, a distanza di dodici anni, questo primo, importante saggio di Vandana
Shiva viene ripubblicato con le dovute revisioni, che pero' sono poca cosa,
quasi che il tempo sia rimasto fermo, se non tornato indietro. Viene
pubblicato in veste piu' accurata da un editore tutt'altro che settoriale,
Utet, e con un titolo che gli rende finalmente giustizia: Terra madre:
sopravvivere allo sviluppo. A parte alcuni dati numerici, e' rimasto
sostanzialmente immutato, poiche' nell'arco di questi ultimi anni, di fronte
al confermarsi di quelle valutazioni, c'e' piu' che mai bisogno delle idee e
della lucida visione di cui e' testimonianza.
*
All'inizio degli anni '80, il nome di Vandana Shiva comincio' a circolare
anche in Europa associato a quello del movimento Chipko. Chipko era nato
come movimento di difesa e autodifesa collettiva di gruppi di donne indiane
abitanti delle regioni montuose himalayane e legate alle foreste da una
sorta di simbiosi, in un tipo di economia completamente diverso da quello
dominante, l'economia di sussistenza. Grazie alla quale le popolazioni delle
zone rurali e di montagna si garantivano una sopravvivenza dignitosa senza
essere opulenta, e soprattutto sostenibile per i secoli dei secoli.
Quelle donne dunque diedero vita a un movimento perche' volevano evitare che
gli alberi e le foreste, da cui traevano collettivamente sostentamento tutte
le famiglie, venissero tagliati dalle imprese multinazionali pronte a
disboscare per fare spazio a coltivazioni di eucalipti e altre essenze con
la mira di profitti a breve termine. Due economie si scontravano; di queste,
una chiedeva di essere lasciata sopravvivere in pace senza dar fastidio a
nessuno e l'altra divorava sempre piu' territori e risorse, pretendendo di
imporre se stessa come unica economia possibile. Che quest'ultima pretesa
fosse, anzi sia una forma inaccettabile di violenza, e' uno dei temi
principali che Vandana Shiva discute nella sua opera. Ma si tratta anche del
confronto fra due visioni del mondo. Percio' quelle donne, portatrici di una
visione ispirata al valore del principio femminile presente anche
nell'antica tradizione cosmologica indiana, cominciarono a legarsi agli
alberi, nell'intento di fermare le motoseghe, cioe' la distruzione delle
proprie fonti di sostentamento sostenibile e anche la distruzione dei propri
tesori di conoscenza e sapere, da noi definiti allora "alternativi".
*
Vandana Shiva e' nata in India nel 1952. Dotata di un eccezionale
intelletto, si reco' a studiare fisica nucleare negli Stati Uniti; dopo la
laurea si dedico' a un dottorato di ricerca sulle particelle subatomiche. A
quel tempo pensava, come scrisse in seguito, che avrebbe trascorso ogni
giorno della propria vita in compagnia delle particelle nucleari. Invece,
dopo aver fatto un'esperienza molto istruttiva su quel che combina
l'industria del nucleare nel mondo e soprattutto nei confronti della
popolazione, a un certo punto volto' le spalle a una brillante carriera nel
programma di energia nucleare del suo paese, poiche' si era resa conto "che
la gente era tenuta all'oscuro delle ripercussioni dei sistemi nucleari sui
sistemi viventi". Si dedico' quindi alla ricerca indipendente nell'ambito
della scienza, della tecnologia e della politica ambientale. Nel 1982 fondo'
un istituto indipendente, la Fondazione di Ricerca per la Scienza, la
Tecnologia e l'Ecologia (Rsft), per una ricerca di qualita' volta ad
affrontare le piu' importanti questioni sociali-ecologiche dei giorni
nostri. In questo campo collaborava strettamente con le comunita' locali e i
movimenti sociali, soprattutto dell'India, in cui le donne erano (e sono)
protagoniste, e infatti quando anni dopo (1993) le fu conferito il
cosiddetto premio Nobel alternativo, il Right Livelihood Award, che vuol
dire "per il retto modo di vivere" (e viene consegnato nella stessa sede del
premio Nobel, ma il giorno prima). Lei lo consegno' a sua volta alle donne
delle montagne che avevano dato vita a Chipko.
*
Il libro Terra madre e' rilevante a piu' livelli. Sul piano politico
immediato, e' un articolato intervento sulla politica economica della
cooperazione allo sviluppo, una dura denuncia nei confronti della
Rivoluzione Verde, che viene fatta passare come soluzione al problema della
fame nel mondo. L'intervento e' particolarmente significativo poiche' e' una
risposta che proviene da un'esponente dei/delle diretti/e interessati/e, una
portavoce di gruppi rurali del Sud del mondo. La sua posizione e'
argomentata in base a fatti molto concreti, per esempio l'impoverimento
reale che la popolazione rurale (nella fattispecie quella indiana) ha subito
in seguito alla Rivoluzione Verde che, al di la' delle dichiarazioni
filantropiche dei suoi promotori, per gli agricoltori e coloro che praticano
l'economia di sussistenza nelle zone forestali e' invece qualcosa da cui
occorre difendersi. Per sopravvivere, appunto, allo "sviluppo". Per questo
introduce una parola di nuovo conio, entrata a partire dagli anni Sessanta
nel lessico comune: la parola "malsviluppo", in inglese maldevelopment
(cosi' come anche in francese), un ibrido da lei usato nel senso di
"sviluppo sbagliato", pur contenendo volutamente (come scrive Marinella
Correggia, la traduttrice) un accenno alla sua natura di "sbagliato perche'
maschile" (in inglese male).
*
Un altro motivo per il quale questo libro merita attenzione e' quello della
visibilita' che esso rende al lavoro e al sapere delle donne indiane rurali
e soprattutto al loro impegno e alla loro tenacia nel difendere e sostenere
le condizioni per una sopravvivenza autonoma e dignitosa. Le persone che in
quel movimento hanno agito e agiscono, lottano e fanno poesia per difendere
le foreste e i propri stili di vita dall'assimilazione a un'economia e a una
visione del mondo con pretese di validita' universale, vengono citate per
nome e cognome, da vere protagoniste, vengono messe insomma individualmente
sul dovuto piano di importanza, e considerate altrettanto degne di
attenzione di chi, come l'autrice, ha assunto una posizione di leader. Anzi,
piu' degne: con una modestia tipica degli spiriti illuminati, Vandana Shiva
tira indietro se stessa per lasciare che lo sguardo si posi sulle singole
donne (e, se del caso, uomini) del movimento.
*
E' altresi' un contributo interessante sul piano filosofico, poiche' mette
in discussione le pretese di validita' e di superiorita' di una scienza che
in definitiva e' solo un tipo particolare di scienza: la scienza
meccanicistica e cartesiana. Una fra le tante possibili. Parallelamente,
un'economia particolare, l'economia del capitalismo industriale, pretende di
avere valore unico e universale e tenta, con le buone e con le cattive, di
imporsi come l'economia tout court; la visione scientifica particolare e
limitata del meccanicismo pretende di dominare anche screditando gli altri
tipi e modi di sapere esistenti e relega cosi' un'infinita gamma e ricchezza
di conoscenze disponibili in posizioni subordinate, marginali e reiette.
E' di importanza fondamentale (e non finisce di stupirci) il fatto che al
giorno d'oggi la scienza piu' astratta di tutte, la fisica quantistica,
quella che ha raggiunto il piu' alto grado di distacco matematico e teorico
dalla concretezza terra terra del vivere quotidiano, quella che piu' di ogni
altra ha portato alle estreme conseguenze il volo di un pensiero distaccato
dalla "vita", riduzionista (poiche' riduce la sostanza di cui siamo fatti a
nient'altro che formule e numeri), abbia finora reso giustizia in misura
massima, fra le scienze naturali, alla grandiosa complessita' della vita e
della natura, nel rispetto del nostro sentire "l'universo come dimora" (per
approfondire questo concetto si potrebbe leggere per esempio Il cosmo
intelligente di P. C. Davies, un professore di fisica che si occupa di
comprendere l'universo e anche di esporre cio' che ha compreso in modo da
trasmetterlo a persone non addette ai lavori).
Scrive Vandana Shiva nella prefazione a un altro dei suoi libri, Tomorrow's
Biodiversity, del 2000 (ed. it. Campi di battaglia: biodiversita' e
agricoltura industriale, Edizioni Ambiente, 2001): "Dal punto di vista
filosofico, posso dire che la mia formazione da fisico quantistico mi ha
aiutata molto a occuparmi di questioni cosi' complesse. Mentre la fisica
classica di Cartesio e Newton descriveva un mondo formato da entita'
atomizzate, isolate e immutabili, la teoria dei quanti ha riformulato il
mondo definendolo un insieme di sistemi interagenti, inseparabili e in
costante cambiamento, dotato di potenzialita' inestimabili piuttosto che di
proprieta' e fenomeni fissi. Sono queste caratteristiche di "inseparabilita'
e "indeterminatezza" che ispirano il mio approccio ai sistemi naturali e
all'impatto umano sull'ambiente. (...) Attraverso la lente della
biodiversita' il mondo si rivela molto differente e reclama un cambiamento
nei modelli tecnologici e di mercato dominanti. Un passo necessario verso la
sostenibilita'".
Non e' un caso ne' una bizzarria percio' se la scienziata nucleare, nelle
prime righe dell'Introduzione al suo primo libro, attacca parlando male
dell'Illuminismo e della teoria del progresso, e nel terzo capitolo, Le
donne nella natura, ci espone con attenzione e rispetto, cioe' senza
tacciarli di superstizione, alcuni fondamenti dell'antica visione
cosmologica indiana, le tradizioni popolari ed esoteriche: il sakti, il
principio femminile e creativo dell'universo, e il prakrti, la natura. In
uno dei suoi scritti successivi, senza alcun bisogno di abbandonare il
rigore del metodo scientifico, ma anzi proprio in virtu' di esso, Vandana
Shiva arrivera' a fare piazza pulita di un altro dei nostri polverosi
pregiudizi sulla mentalita' indiana, da noi considerata retrograda a causa
del rispetto per le vacche sacre. Neanche piu' la vacca sacra occidentale
del pregiudizio contro le vacche sacre ci lascia adorare!
Affrontando la questione centrale della democrazia alimentare, infatti, in
un altro dei suoi libri intitolato appunto Vacche sacre e mucche pazze: il
furto delle riserve alimentari globali (ed. DeriveApprodi), Vandana Shiva
riesce a rendere al massimo l'idea: "La mucca pazza, frutto di incroci
transpecifici, e' un 'cyborg' secondo la femminista Donna Haraway, che
aggiunge: 'Preferirei essere un cyborg che una dea'. In India, la vacca e'
Lakshmi, dea della prosperita', e il suo letame e' adorato come Lakshmi
perche' rinnova la fertilita' della terra, nutrendola in modo naturale. La
vacca e' sacra perche' e' al centro della sostenibilita' della civilta'
agricola. La vacca come dea e cosmo simboleggia la cura, la compassione, la
sostenibilita', l'equita'. Dal punto di vista sia delle persone che delle
vacche, io invece preferirei essere una vacca sacra piu' che una mucca
pazza".
*
Considerando le situazioni nell'ottica della relazione, come suggerisce la
visione di un universo interconnesso, la domanda e' sempre: come si
configurano i rapporti di potere? Partendo dalla considerazione dei rapporti
di potere, la terza linea parallela individuata dall'autrice e' quella del
patriarcato. L'instaurazione di un nesso concettuale fra scienza, economia
politica e patriarcato, e cioe' il nesso rappresentato dal tema della
volonta' di dominio unico, e' apprezzabile come uno dei risultati
fondamentali di questo libro. In altre parole: contiene una riflessione sul
rapporto sviluppo-tecnologia-donne e sul rapporto scienza-natura-genere che
riprende e approfondisce quella di Carolyn Merchant (La morte della natura,
Garzanti, 1988) e quella di Evelyn Fox Keller. Il seguito della riflessione
si puo' leggere nella raccolta di testi intitolata, con termine assai
significativo, Monocolture della mente: biodiversita', biotecnologia e
agricoltura "scientifica" (Bollati Boringhieri, 1995).
L'andamento del ragionare e' piuttosto circolare, alcuni lo trovano
ripetitivo; io invece lo definirei meditativo, poiche' torna e ritorna sullo
stesso punto pero' ogni volta da un'angolatura, secondo una sfaccettatura un
po' diversa, girando in tondo come il falco che scruta dall'alto la preda
planando in cerchi lenti sulla campagna per buttarsi infine in picchiata,
come i pensieri di Shiva che catturano fulminei il punto della questione,
illuminandolo.
*
Purtroppo, questo libro non e' stato riproposto per il suo valore storico ma
per la insuperata attualita' dei suoi temi. Oggi lo "sviluppo" incombe con
ancor piu' temibili minacce sulla gente dell'India che vive di agricoltura e
di sussistenza: lo denuncia per esempio la scrittrice Arundhati Roy (autrice
del romanzo Il dio delle piccole cose e del saggio La fine delle illusioni),
ricordando in un recente intervento che dal 1947 ad oggi, in India, secondo
stime ufficiali ci sono stati circa 56 milioni di sfollati senza
risarcimento per cause ambientali. Altro che politica dello sviluppo.
Vandana Shiva nel frattempo ha pubblicato una serie di altri saggi tutti
interessantissimi ed e' stata insignita di una considerevole quantita' di
premi e riconoscimenti in vari Paesi e a livello internazionale per
l'approfondimento del paradigma ecologico e per avere unito la ricerca
all'azione.
E' stata fra coloro che hanno promosso il Social forum mondiale di Porto
Alegre ed e' una delle voci di maggior prestigio sulle tematiche piu'
controverse della globalizzazione. Credo che nessuno comunque si azzardi a
definirla una contestatrice no-global.
8. RIFLESSIONE. LUCIANA PERCOVICH PRESENTA "QUINTESSENCE" DI MARY DALY
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento su "il viaggio metapatriarcale di rabbia e speranza di Mary
Daly"; intervento cosi' presentato dalla redazione della rivista e sito
femminista: "Mary Daly, filosofa, teologa, femminista radicale, e' stata in
Italia a dicembre per un breve ciclo di conferenze, su invito della Libera
Universita' delle Donne di Milano. Pubblichiamo qui di seguito
l'introduzione di Luciana Percovich alla giornata seminariale presso la
Libera universita' delle donne, che era stata preceduta da gruppi di lettura
di Al di la' di Dio padre, uno dei primi due libri di Mary Daly (The Church
and the Second Sex, 1968; Beyond God the Father: toward a Philosophy of
Womens Liberation, 1973), gli unici tradotti in Italia"]
Questo incontro con Mary Daly ha sicuramente qualcosa della magia delle
invocazioni/evocazioni - di cui lei parla in Quintessence, Realizing an
Archaic Future, A Radical Feminist Elemental Manifesto - e quindi con la
quinta dimensione, cioe' con quello spazio di creativita' libera che
permette alle donne che osano usare i propri poteri elementali di trovarsi
nel flusso del movimento creativo dell'essere, che inutilmente le leggi
paralizzanti e necrotizzanti del patriarcato hanno cercato di nascondere e
bloccare dentro di noi.
Infatti questo incontro e' gia' cominciato mentre leggevo Quintessence:
poiche' e' vero che i libri hanno una loro aura - che emanano una loro
propria energia. Cosi' come le parole, che "possono generare la loro propria
energia" se sono usate secondo la loro vera natura, cioe' per sprigionare
senso e creare nuove connessioni e sinapsi in menti ricettive. Mentre
leggevo mi sono sentita cosi' in sintonia con lei che ho sentito e seguito
l'impulso di scriverle per dirle semplicemente grazie di averlo scritto.
Presso l'editore, naturalmente, non avevo il suo indirizzo.
Qualche mese dopo, alzando la cornetta del telefono, ho sentito una voce
sconosciuta che diceva: "I am Mary Daly, I'm looking for Luciana...".
Superata l'emozione, abbiamo cominciato a parlare e cosi', un po' alla
volta, si e' materializzata la presenza di Mary, qui e ora, tra noi. E' un
po' come succede all'inizio di Quintessenza, quando lei si trova trasportata
nel futuro, nel 2048, da una giovane studiosa che sta per ripubblicare il
libro a cinquant'anni dalla sua prima edizione: anche se, in questo caso, la
distanza temporale che ci separava e' solo quella del fuso orario e questo
e' solo il vecchio, vecchissimo continente Europa, e non il nuovo continente
perduto e ritrovato di Quintessence.
Per molte di voi, per le piu' vecchie tra noi, Mary Daly e' un nome che ci
riconnette alle origini dei gruppi di donne, un nome che sembrava perso
insieme al clima vulcanico dei primi anni '70. Per le piu' giovani e' un
nome nuovo di zecca. Perche' di lei, che ha continuato a scrivere e
pubblicare libri negli Stati Uniti, sono stati tradotti in Italia soltanto i
primi due, che appartengono agli albori del femminismo. Poi piu' niente.
Questo e' un chiaro segno del "tempo terribile", quei tremendi anni '80 e
'90 di cui lei parla piu' volte in questo libro, segnati dal contrattacco di
tutte le istituzioni al movimento delle donne, di cui la maggior parte e'
stata dispersa e ricacciata fuoriscena, che ha visto richiudersi gli spazi
editoriali e chiudere molte librerie di donne accanto alla contemporanea
espansione dei women's studies accademici, di cui non ha una grande stima,
dato che crea apposta il gioco di parole tra Accademia = Accadementia...
Questa restrizione di spazi e' stata una realta' sperimentata in prima
persona da Mary Daly, che e' stata licenziata ben due volte dall'universita'
dove insegnava. Questo in Italia ha voluto dire che nessuna editrice ne'
editore ha piu' avuto la curiosita' e il coraggio di tradurre almeno uno dei
suoi nuovi libri, usciti con scansione regolare quasi ogni cinque anni.
Sicche', nel gruppo di lettura che abbiamo fatto alla Libera Universita'
delle Donne di Milano in preparazione di questo incontro, abbiamo dovuto
arrangiarci con le fotocopie di Al di la' di Dio padre reperito in una
biblioteca, neanche fosse un reperto archeologico sopravvissuto da un remoto
passato.
Questo testo - insieme a La Chiesa e il secondo sesso - nell'introduzione
all'edizione del 1985 e' giudicato da Mary Daly come espressione del suo
periodo "riformista". In quella stessa introduzione - in cui la qualita'
della scrittura mostra con immediata evidenza il cambiamento avvenuto in
lei - Daly parla di se', della vecchia Mary Daly, come di una
"precorritrice"; e tuttavia dice anche che questi suoi primi due libri sono
stati "opere profetiche", necessarie e che non rinnega, ma rispetto alle
quali/a partire dalle quali ha preso il volo verso un'altra dimensione dello
spirito e della parola: "Al di la' di Dio padre apre le porte alla
percezione e traccia l'inizio di una nuova strada". E da lettrici possiamo
confermare che si e' trattato di un libro che ha lasciato una traccia
indelebile in chi lo ha letto.
Per riempire questa interruzione di flusso di comunicazione che abbiamo
subito in una presentazione che vuole essere breve per non portare via il
tempo a Mary Daly e che tuttavia e' necessaria per riempire almeno in parte
questo silenzio forzato provero' a dire qualcosa del titolo che ho dato a
questo incontro, di Quintessence e della qualita' e degli effetti della sua
scrittura/pensiero/azione.
*
Abbiamo scelto come titolo per questo seminario "Il viaggio metapatriarcale
di rabbia e speranza di Mary Daly".
Il viaggio e' infatti una delle metafore metamorfiche che lei usa
ripetutamente. Con il termine "metafore metamorfiche" intende il potere
posseduto dalle parole di portarci in un tempo/spazio che e' al di la'
dell'essere statico e di trasformarlo generando uno shock cognitivo, ossia
il brusco salto di intensita' che si ottiene abbandonando lo stato che le
parole hanno ormai normalmente acquisito, quello cioe' di "metafore svanite"
e fuorvianti. Invece: "le parole elementalmente metamorfiche (tornate in
contatto con l'energia degli elementi del cosmo) ridisegnano linee di forza,
irrompono al di la' dei confini e li cambiano".
"Viaggio" sottolinea dunque l'essere in movimento, l'apertura, la ricerca, e
spesso la scoperta di essere arrivate altrove. Pero' il viaggio puo' essere
anche l'esito di una dispersione forzata a causa di una amnesia indotta sul
proprio senso dell'orientamento, che ha prodotto una vera e propria diaspora
delle donne e nelle donne, una frattura tra donne e dentro ad ogni donna.
Per cui le donne, ferme nella dimensione del patriarcato, o sono
prigioniere - quindi impedite forzatamente al movimento - o sono
sparpagliate prive di memoria, in modo da non poter mai mettere insieme le
loro potenti energie.
Il suo viaggio e' cominciato dal centro del sistema androcratico,
rappresentato dal suo simbolo piu' intimo, essenziale e metafisico, Dio, e
da li' si e' espanso a velocita' e ampiezza sempre piu' vaste, in un
vorticoso movimento a spirale. Un movimento che - come quello del dna e
delle galassie - e' continuo, vitale, si puo' percorrere nei due sensi,
contemporaneamente in avanti e indietro, in senso orario e antiorario, come
le streghe un tempo ben sapevano. Un movimento che non e' piu' l'unico
concesso dentro al sistema concettuale del patriarcato - che definisce e
ammette il movimento solo come unidirezionale, omogeneo, continuo, dal
passato al futuro, e genera la gabbia della relazione sintattica tra
soggetto e oggetto, il principio unidirezionale della causa e dell'effetto,
ecc. ecc.
In questo librarsi alta sul mondo, il viaggio le fornisce una nuova visione,
che si fa sempre piu' nitida e implacabile e fotografa - come prove da
esibire oltre la resistenza che fa la memoria - gli incessanti assalti e le
vittorie mortali del devastante sistema all'opera - chiamato appunto
patriarcato.
Questa sua "scrittura in viaggio", la sua lucidita' implacabile nella
descrizione dei meccanismi da cui siamo governate, ha l'effetto, in chi
legge, di provocare quello shock cognitivo proprio delle parole
metamorfiche, di snidare e liberare l'angoscia e il dolore e la rabbia
(rispetto ai quali ci siamo/ci hanno anestetizzate) e torniamo giustamente a
sentire dolore e rabbia, permettendoci finalmente di vedere veramente cio'
che accade intorno a noi e dentro di noi.
Questa lucidita' - nella frazione di secondo successiva - si trasforma in
determinazione, in movimento, in energia di speranza che mostra come sia
possibile (e necessario) superare, andare oltre la pura negativita' dello
stato presente paralizzante e necrotico, perche' guai a non aprire la gabbia
che ci vorrebbe per sempre ridotte nel ruolo di "cadaveri riconoscenti".
Il viaggio supera cosi' e si lascia alle spalle "Dio Padre" come un cartello
fuori uso e si infila nel cuore dell'energia creativa bloccata, esorcizzata,
vampirizzata in noi dalle regole del patriarcato.
Il viaggio ora trova il suo carburante per andare oltre proprio nella rabbia
finalmente liberata: la rabbia e' "una passione da drago, e noi siamo in
grado di cavalcare i ritmi della rabbia che corre. Come uccelli usciti di
gabbia, i suoni che emettiamo erompono e prendono il volo in cerca di
vibrazioni affini".
In questo modo la rabbia viene transustanziata: "la giusta rabbia, il
sentimento piu' adatto alla realta' presente, puo' generare energia
creativa", uscendo dal circolo vizioso delle recriminazioni e del dolore,
trasformando il circolo vizioso in spirale che si apre alla speranza. Che e'
l'improvviso sollievo di chi sente finalmente allentata la presa delle
grinfie terrificanti (le prigioni mentali, il pensiero coatto e automatico,
i sensi di colpa indotti, tutte le emozioni sciupate e stereotipate), via,
assaporando la gioia di portare con se' le altre, gli altri, "tutto quello
che si puo' salvare".
Il viaggio metapatriarcale e' un'avventura che comporta il risveglio dei
sensi.
Si manifesta come "vivere ai margini delle istituzioni patriarcali. Una che
vive ai margini puo' in apparenza continuare a svolgere lo stesso lavoro di
prima ma l'intensificarsi e l'espandersi dei suoi poteri elementali di
percezione pervadono tutte le sue attivita'. Mentre guarda e ascolta
giudiziosamente con gli occhi e le orecchie ordinari vede e sente con il
terzo occhio e il terzo orecchio interni. Il margine sul quale vive e lavora
continua quindi a trasformarsi".
Rileggere il testo scritto nel 1973 da Mary Daly nel gruppo di lettura e'
servito a ricordarci le potenti intuizioni dei primi tempi in cui iniziammo
a riunirci tra donne, ma ora e' come se le capissimo con un nuovo spessore.
Gli esiti piu' recenti del patriarcato - il rapido susseguirsi di guerre, di
stupri, di pulizie etniche, il riacutizzarsi dei fondamentalismi monoteisti,
le biotecnologie massicce proterve e sempre piu' pervasive, ecc. - che sono
accaduti giorno per giorno sotto ai nostri occhi in questi trenta anni di
movimento delle donne, con una deriva accelerata e sempre piu' sfacciata,
hanno reso al tempo stesso piu' visibile e invisibile quella che Mary Daly
definisce "la politica dello stupro", ossia l'espansione sistemica del
ginocidio in genocidio ("la violenza contro le donne e' la fonte e il
paradigma di tutte le altre violenze").
*
Quintessence svolge il paradosso temporale possibile per chi e' uscita dalla
gabbia del pensiero logico e unidirezionale, dal sistema monoculturale
imposto dal patriarcato. Lo spazio dove si svolge e' la spirale
transtemporale e transpaziale accessibile a chi ha imparato a viaggiare
nella quinta galassia, nel quinto elemento, la "Quinta Essenza".
Quintessence e' quindi una narrazione che comincia con l'incipit di un
romanzo fantastico e racconta come e' andata a finire con l'espansione
epidemica del ginocidio da un lato, e con il continuo crescere ai margini
della conoscenza delle "donne furenti" dall'altro - negli anni compresi tra
la prima (1998) e la seconda edizione del libro (2048).
Mentre sta per essere dato alle stampe, nel 1998, il suo nuovo testo che ha
intitolato Quintessence, la scrittrice si trova improvvisamente richiamata
in un altro punto del tempo, nel 2048, quando Annie, una giovane studiosa
del femminismo del '900, la evoca per affetto e desiderio di maggiore
conoscenza del periodo che sta studiando. Superata la sorpresa di entrambe,
Annie le racconta come negli anni intercorsi la Terra abbia subito una
radicale trasformazione, un'inversione dell'asse terrestre - come
probabilmente gia' altre volte nel corso della storia del pianeta - che tra
terremoti, eruzioni vulcaniche, inabissamento di terre sotto gli oceani ha
radicalmente modificato, anzi cancellato, gli squilibri rovinosi cui il
patriarcato aveva portato il mondo, a una velocita' sempre piu' folle. La
Terra insomma si era finalmente svegliata, stanca di sopportare oltre le
continue punzecchiature di parassiti e cimici impazzite, e aveva iniziato un
processo di pulizia vomitando fuori i veleni che l'avevano fatta ammalare.
Le donne dotate di coscienza e visione, e tutte le altre creature
biofiliche, emarginate e sbeffeggiate fino a quel momento come inutili
cassandre, all'inizio di questo cataclisma si erano messe in viaggio, senza
ancora sapere dove sarebbero arrivate. Per ritrovarsi poi, da quelli che
erano stati i cinque continenti, nel nuovo continente perduto e ritrovato,
dove avevano iniziato a ricostruire il mondo, assecondando e assecondate dal
vortice di pulizia ed energia degli elementi non piu' putridi e corrotti.
Le donne selvagge, le furenti, le tessitrici inarrestabili di visioni in
sintonia con le energie elementali, le viaggiatrici alimentate dalla rabbia
trasformata in speranza ora, dopo il collasso della degenerazione
necrotecnocratica planetaria, stavano finalmente incarnando e realizzando i
sogni di una ininterrotta linea di antenate. Riconnettendo finalmente
l'Essere al suo movimento fuori e dentro il tempo di danza a spirale.
Ascoltato questo racconto, Mary Daly propone a Annie di commentare dal 2048
ogni capitolo scritto nel 1998. Cosi' i cinque capitoli del libro
mostreranno all'opera il doppio taglio metamorfico del pensare rappresentato
dal simbolo dell'antica ascia cretese. Come la labrys, l'antica doppia ascia
cretese, ogni capitolo e' infatti a doppio taglio, in quanto nomina le
crescenti atrocita' perpetuate contro le donne e la natura durante il
ventesimo secolo, ma fa anche appello al coraggio e alla speranza per
trascendere tali atrocita'.
Ogni capitolo svela gli orrori del sistema ginocida e necrofilico all'opera
nei decenni conclusivi del XX secolo (dagli stupri in Bosnia alle
biotecnologie, alla pervasivita' del sistema di controllo massmediologico
all'opera per sviare ogni sforzo biofilico) e mostra il futuro possibile se
ogni gesto di coraggio e di amore per la vita, realizzato nel qui e ora del
nostro presente quotidiano, non perdera' la speranza di andare in quella
direzione, rendendo i sogni piu' forti degli incubi.
L'introduzione dell'autrice, del 1998, comincia con queste parole: "scrivere
questo libro e' stato un atto disperato compiuto in un momento di scontro
finale tra principati e poteri... nella lotta per decodificare la
disinformazione e non morire soffocata dalla cortina di distrazioni e bugie
riversate a valanga quotidianamente dai media".
Reca come sottotitolo "Un manifesto femminista radicale elementale":
radicale perche' i bisogni dell'anima sono i bisogni piu' radicali - e di
questo tratta Mary Daly in questo libro - e perche' e' necessario superare
la paura e andare alla radice di tutte le implicazioni del potere
patriarcale. Ed elementale, perche' solo riconnettendoci con l'energia
creativa degli elementi che costituiscono il cosmo si puo' spezzare il
circolo mortifero della "ragione necro-tecnica della modernita'".
*
A questo punto, dopo tante parole, mi sembra di essere riuscita a darvi dato
solo lo scheletro nudo della visione di Mary Daly.
Non ho detto nulla di molte sue invenzioni linguistiche e concettuali che,
man mano che si procede nella lettura, diventano quasi indispensabili
strumenti di lavoro forgiati dal necessario procedere a spirale per liberare
la coscienza: come quella delle figure del Forestage/Backstage (l'avanscena
su cui sembra compiersi la storia attraverso le "gloriose gesta" del
patriarcato e su cui stanno puntati i fari ma che in realta' e' solo come un
palcoscenico; il retroscena che quasi non si vede perche' volutamente
lasciato in ombra, senza parole e senza rappresentazioni e che invece e' il
luogo molto piu' vasto dove avviene veramente la vita, e le trasformazioni
che contano) e delle continue, quasi intraducibili - con la stessa economia
di parole - invenzioni linguistiche con cui procede il suo nominare nella
dimensione quintessenziale, cioe' creativa - transtemporale e transpaziale,
molto oltre Dio Padre. Della cospirazione (il respirare insieme delle donne
e degli uomini biofilici), della ginergia (l'energia femminile), della
sin-cronicity (il trovarsi/accadere insieme delle crones, le vecchie sagge),
parole che aprono la percezione, andando a toccare il punto centrale di nodi
di bisogno/desiderio profondamente incuneati e nascosti dentro di noi, e
cosi' sbloccandoli, permettendo loro finalmente di venire alla coscienza,
liberando energia femminile...
Insomma, essere/partecipare alla quintessenza vuol dire inventare la
capacita' di trasformare la diaspora dolorosa dell'amnesia di se' e del
nostro passato perduto in realizzazione qui e ora del futuro possibile, dato
che ogni gesto o pensiero del presente di ciascuna e ciascuno rende piu'
possibile uno dei tanti - e alcuni potranno essere incubi peggiori del
peggiori del presente - futuri possibili.
9. RILETTURE. KARL BARTH: ANTOLOGIA
Karl Barth, Antologia, Bompiani, Milano 1964, 1983, pp. 336. Una bella
raccolta di pagine del grande teologo.
10. RILETTURE. BENEDETTA CRAVERI: MADAME DU DEFFAND E IL SUO MONDO
Benedetta Craveri, Madame du Deffand e il suo mondo, Adelphi, Milano 1982,
2001, pp. 702, euro 16,53. Questa stupenda biografia di Madame du Deffand
(che e' anche il ritratto di un'epoca e il suggerimento di molteplici e
complessi temi di riflessione) e' un libro la cui lettura vivamente
raccomandiamo.
11. RILETTURE. LETTERE DI MADEMOISELLE AISSE' A MADAME C...
Lettere di Mademoiselle Aisse' a Madame C..., Adelphi, Milano 1984, pp. 240.
A cura di Benedetta Craveri, queste lettere - questa vita che si fa
scrittura, questa scrittura che restituisce la vita - sono un documento ed
insieme un enigma e un appello.
12. RILETTURE. LORENZO MILANI: ALLA MAMMA. LETTERE 1943-1967
Lorenzo Milani, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti, Genova 1990, pp.
XVIII + 494, lire 50.000. In edizione integrale annotata, una testimonianza
di straordinario valore.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 500 del 7 febbraio 2003