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Anche Chomsky e Zanotelli con PeaceLink (articolo del settimanale Carta)
Fonte: Carta 23/29 gennaio 2003
ANCHE CHOMSKY E ZANOTELLI CON PEACELINK
Tra le priorità della macchina da guerra statunitense c'è la repressione ci
associazioni pacifiste. Come PeaceLink, alla quale un consulente Nato ha
chiesto cinquantamila euro per aver pubblicato il suo nome senza consenso.
Il 18 febbraio l'udienza
--- di Marco Trotta
Peacelink è in emergenza. A fine dicembre è arrivata una citazione alla
storica associazione pacifista di Taranto nata nel '9, nella quale si
parlava di lesioni alla "professionalità, all'immagine e alla carriera" di
un consulente Nato firmatario, non consenziente, di un "Manifesto per un
forum ambientalista" pubblicato in una pagina del sito datata 10 Febbraio
2000 e preo da altre fonti. L'udienza è prevista per il 18 Febbraio
prossimo e la cifra dell'indennizzo è da capogiro: 50.000 euro. Più che
sufficienti, in caso di condanna, a far chiudere l'associazione che ha
messo in rete una sezione con tutta la documentazione sul caso e sta
chiedendo aiuto (www.peacelink.it/emergenza). E centinaia sono le email
arrivate a firmare l'appello (tra gli altri Chomsky e Zanotelli), con un
volantino da scaricare, un banner da poter inserire tra le pagine del
proprio sito, la rassegna stampa e quant'altro possa servire a mantenere
viva l'attenzione sul caso. Che non è certo l'unico.. Infatti c'è una
tendenza stabile e pericolosa a trattare i conflitti legali sul web
attraverso l'uso delle cause civili con richieste di risarcimenti record
che, quando non giungono alla condanna del sito, hanno sicuramente un
potenziale effetto intimidatorio a maggior ragione quando si tratta di
soggetti privati che fanno informazione indipendente, quasi senza budget e
con molto volontariato, pur offrendo un notevole contributo al pluralismo
informativo nel panorama deprimente del nostro paese. Il problema, in
generale, è che non esiste un quadro organico di leggi che possa assicurare
un minimo di garanzie costituzionali. Per il momento si va avanti
attraverso sentenze "che fanno giurisprudenza" con esiti anche molto
diversi. Ma che la confusione regnasse sovrana sul settore si è visto anche
dal dibattito sulla nuova legge sull'editoria (62/01), fortemente voluta da
lobbies industriali e una parte del giornalismo corporativo, che ha sancito
l'analogia assolutamente anacronistica tra carta stampata e web e che, a
quasi due anni dall'approvazione (Carta 7/01 e 9/02), è ancora oggetto di
interpretazioni contrapposte sulle modalità di applicazione rispetto alla
registrazione presso il tribunale e al responsabile iscritto all'ordine dei
giornalisti. Ma il punto è: anche se Peacelink fosse stata registrata,
avrebbe potuto evitare la citazione? No, perché se il consulente Nato
avesse voluto trattare quel sito come un giornale avrebbe potuto chiedere
una rettifica, come si fa a norma di legge, cosa che invece non risulta.
D'altra parte, quando succede che Repubblica o Economist siano citati in
giudizio ci sono "plotoni" di avvocati e tutto il budget che serve per
sostenere un processo anche se chiederlo è Silvio Berlusconi. Una
differenza da far notare alla signora Rita Guma, dell'osservatorio sulla
legalità, che ha risposto a Carlo Gubitosa, nel suo distinguo sull'adesione
all'appello, dimostrando non pochi pregiudizi (fin troppo diffusi) verso la
comunicazione in rete ed i principi costituzionali che rende davvero
effettivi (www.resistere.it). Ma rimanendo ai "legittimi sospetti": come
mai dopo tre anni questo consulente cita proprio Peacelink visto che lo
stesso appello è disponibile anche sul sito di Rifondazione Comunista e
visto che in altri casi gli è stato sufficiente chiedere la rettifica? Come
mai proprio ora, alla vigilia di una nuova guerra nel golfo, un consulente
Nato se la prende proprio con un sito storico riferimento del pacifismo
italiano? Intanto c'è qualcuno che si è preso anche la briga di scoprirne
il nome (cosa piuttosto facile - www.mantellini.it) che Peacelink,
prudentemente ha tenuto anonimo. Fino al 18/02, sperando che non sia il
solo "bombardamento" della democrazia e dei diritti che si possa evitare.
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