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emergenza PeaceLink: oltre 1700 gesti di solidarietà in un mese



Ciao a tutti!
allego l'editoriale CRISI DI CIVILTA', uscito prima pagina come editoriale 
sul quotidiano PAESE NUOVO di domenica 19 gennaio 2003 (allegato pugliese 
dell'Unita).
In esso è riportato - nel ragionamento - il problema della citazione in 
giudizio di PEACELINK.

Segnalo che in un mese di raccolta firme (21/12/02 - 21/1/03) su 
http://www.peacelink.it/emergenza
i risultati sono:
1598 adesioni individuali
114 adesioni di enti e associazioni
Inoltre vi sono varie telefonate ricevute e invio di firme per posta che 
devono essere ancora quantificate.

Come molti sapranno un consulente Nato ci ha chiesto 50 mila euro per via 
di una pagina web pubblicata tre anni fa. Tutte le informazioni sono su 
http://www.peacelink.it
Ricordiamo che il c/c postale per sostenerci è il numero 13403746 ed è 
intestato ad Associazione PeaceLink, via Galuppi 15, Statte (TA), le cui 
coordinate bancarie sono
abi  07601
cab 15800
n.conto 13403746
cin L

Per causale scrivere "emergenza spese legali". Se vinceremo la causa quei 
soldi daranno devoluti ad un progetto per il Terzo Mondo.

Alessandro Marescotti
presidente di PeaceLink

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CRISI DI CIVILTA'
di Giuseppe Goffredo
editoriale di Paese Nuovo (allegato dell'Unità per la Puglia)
domenica 19 gennaio 2003

Chi ha lanciato negli anni Novanta, del secolo scorso, il falso mito dello 
scontro di civiltà non si è reso conto che esso semplicemente costituiva la 
patina superficiale di una sofferenza abissale del mondo, che non aveva la 
sua ragione in uno scontro di civiltà, bensì in una crisi di civiltà: forse 
come non mai conosciuta prima dalla storia. Tale crisi, segnala che, il 
modello di civiltà nato tre secoli fa: dall’inizio dell’era industriale 
fino all’11 settembre del 2001, non è più in grado di reggere e governare 
le sorti del mondo. Non più. Quello che, invece, occorre subito è una 
poderosa riflessione sui mezzi e sui fini che l’umanità si deve dare, per 
continuare la sua avventura sul pianeta.
Purtroppo, a due anni dell’attentato di New York, da parte della piccola 
oligarchia trasversale che governa il mondo sono venute solo reazioni 
rozze, inadeguati, infelici, una sopra a tutte che denuncia tale 
primitività: - la guerra. Così, anziché interrogarsi sulle ragioni profonde 
della crisi, si preferisce trattare il terrorismo come causa e non sintomo 
del grande male:  da una parte si  rafforzano i poteri discrezionali 
dell’uomo più potente del mondo, - il presidente degli Stati Uniti George 
Bush, - dall’altro si limitano le libertà e i diritti dei cittadini; da una 
parte si sospendono le norme internazionali che regolano i rapporti fra gli 
Stati, dall’altra si rifiuta l’adesione a qualsiasi organismo di giustizia 
che possa porre un freno ai comportamenti criminali in caso di conflitti 
(ovviamente mi riferisco al rifiuto opposto dagli Stati Uniti di aderire al 
tribunale per i crimini di guerra dell’Aia, lo stesso che sta processando 
Slobodan Miloseviæ); da una parte si teorizza il permesso di “colpire per 
primi” e dall’altra si accentua il potere dei servizi segreti, dando agli 
007 la licenza di uccidere. Ma non solo, il presidente degli Stati Uniti, 
George W. Bush, se grida alla scoperta di alcune testate missilistiche 
vuote a Baghdad, dichiara in maniera unilaterale che sono sospesi gli 
accordi per la non proliferazione di armi nucleari; mentre rifiuta di 
firmare la convenzione di Kyoto sull’ambiente, dà il via alla ricerca di 
nuovi giacimenti petroliferi in Alaska; e ancora, mentre parla di “human 
rights” (diritti umani), non permette a paesi come il Sud Africa di 
fabbricare medicinali a basso costo capaci di fronteggiare l’epidemia di 
AIDS, schierandosi a tutela dei brevetti delle multinazionali 
farmaceutiche. Nel frattempo in nome della libertà e della democrazia emana 
la sua teoria di predominio totale che diffida qualsiasi paese della terra 
ad avvicinarsi, sia pure alla lontana, agli standard di vita degli Stati 
Uniti; richiedendo al tempo stesso per l’economia americana “libertà di 
mercato” e di “libero scambio” in ogni territorio del mondo.
Così il vero scontro di civiltà in questo momento è fra chi vuole ragionare 
sulle questioni planetarie e trovare delle soluzioni alternative e chi 
invece vuole usare la guerra come maschera di ferro per oscurare i propri 
interessi, errori e fallimenti. Ovviamente, ai più avvertiti e consapevoli, 
non sfugge lo scarto, fra quello che è la realtà effettiva e le decisioni 
messi in piedi sul ponte di comando: rispondere al terrorismo con il 
terrorismo, alle armi con le armi, alla follia con la follia.
Cosi il grido di chi dice No! alla guerra, si sta estendendo in ogni parte 
del mondo, dagli scienziati dell’ambiente agli economisti (anche loro!); 
dal Papa ai movimenti pacifisti. Nuove voci, tante manifestazioni si 
producono ogni giorno: ieri sera, per esempio, a Taranto si è svolta un 
affollato sit in per la pace cui hanno partecipato tutte le associazioni 
impegnate del territorio: Pax Christi, Movimento difesa del cittadino, 
Attac, Rifondazione Comunista, Cooperativa Owen, comitati di Quartiere 
Paolo VI, Salinella e Città Vecchia, Associazione Libera, Emergency, 
Peacelink e molti altre. Ma questo non basta, non può bastare, poiché 
occorre passare dalle manifestazioni a organismi di pensiero permanenti. 
Per questo saluto come una speranza il Centro per la pace che il sindaco 
Paolo Rubino sta insediando a Palagianello, e che ha come obiettivo quello 
di agire in maniera sistematica per aggregare le associazioni per la pace 
del Mezzogiorno, di più per diffondere la pedagogia della pace sul territorio.
E a proposito di Peacelink, il sito di Taranto che da più di un decennio, 
costituisce in Italia un punto di riferimento importante per le 
informazioni sulla pace, spero finisca al più presto la vergognosa e 
strumentale aggressione nei suoi confronti. Tutti, credo, sanno, che 
qualcuno, facendo leva su una banale svista che riguarda l’inserimento di 
un nome in calce a un appello per la pace, chiede al sito un risarcimento 
di oltre cinquantamila Euro, cosa che farebbe chiudere il sito. Tale 
vicenda segnala in maniera evidente, la lotta furibonda che in questo 
momento è in atto fra le centinaia di migliaia di persone che a mani nude 
dicono no alla guerra e chi dall’altra parte muove poteri finanziari, 
militari ed economici, enormi.
Ma la sproporzione non è solo nei mezzi ma anche nei fini: chi persegue in 
maniera criminale i propri interessi, non credo si ponga molti 
interrogativi su quello che sta facendo e come. Semplicemente investe, 
calcola, manipola. Esso impiega, appunto, mezzi, ma non fini. Pensa che a 
lui tocca il guadagno agli altri tocca il costo - umano, economico, 
ambientale. Pensa che i suoi figli devono vivere bene, difesi e al sicuro 
mentre i figli degli altri devono soggiacere nel malessere, nella 
precarietà, nelle malattie. La globalizzazione la intendono come 
distribuzione di dolore ai molti e capitalizzazione dei privilegi in favore 
dei pochi. Non capiscono che, come diceva un vecchio adagio - che 
riattualizzo: un battito di ali a Baghdad muove le cose a Reykjavik.
Ma questo, lungi dall’essere casuale, fa parte di una percezione e di un 
modo di pensare che sta avanzando, oggi, nella parte occidentale del mondo. 
La percezione è quella che il pianeta in questo momento è tagliato in due 
parti: l’una, a Nord Nord-Ovest, è quella che in un certo modo deve 
sopravvivere nel suo benessere e nei suoi privilegi, l’altra, quella a Sud, 
deve servire, con il suo sangue e le sue risorse, a nutrire la parte Nord. 
Mi rendo conto che è brutale quello che dico. Ma credo non ci sia persona, 
oggi, che dentro di sé non abbia del mondo questa inconfessabile 
percezione. D’altronde non lo dicono anche le cifre? Le statistiche? Non lo 
conferma anche la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale? Tale 
percezione deriva, soprattutto, dal modello con il quale il mondo 
capitalistico e conquistadores ha impostato le cose negli ultimi cinque 
secoli: da una parte i selvaggi, dall’altra la civiltà, da una parte chi 
muore bombardato e dall’altra chi mangia le merendine; da una parte chi 
crepa per un appendicite e dall’altra chi riesce a curare il cancro con gli 
ultimi ritrovati della ricerca medica.
Già! A questo proposito: qualcuno pensa che bisogna avere pudore, 
trattenersi, procedere per lunghi e intrigati ragionamenti. Girarci 
intorno. Dire e non dire come stanno le cose. Arrivare alla sacra 
conclusione che se stanno meglio l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone, 
questo se lo sono guadagnato a botta di fatica e di sudore. Ovviamente ciò 
costituisce una parte di verità. O sarebbe totalmente vero, se non ci 
fossero stati conquiste, predomini, occupazioni, razzie, eccidi, 
sfruttamento, schiavitù in questi cinquecento anni di storia alle nostre 
spalle.
E qui interviene il nuovo modo di pensare che si sta diffondendo a Nord 
Nord-Ovest sotto la potente spinta di attivi centri di propaganda 
“ideologica”. Ecco: basta con i sensi di colpa post-coloniali: ai paesi 
dell’Asia e dell’Africa a metà del secolo scorso è stata restituita la 
libertà. La libertà! E allora perché non si sono dati da fare. Lavorato. 
Progredito. Commerciato. Prodotto. Gli è stata data un’occasione di 
sviluppo, gli sono stati elargiti decine di miliardi di prestiti e che 
hanno fatto? Hanno comprato armi. Si sono ammazzati fra loro. Anziché 
andare verso la democrazia hanno lasciato il potere a dei dittatori. 
Ovviamente, tali ragionamenti non rivelano i pesi economici, le spinte e 
controspinte messe in atto, affinché il guinzaglio, al quale quei paesi 
erano tenuti e sono tenuti, rimanesse sempre corto e comunque in relazione 
agli interessi degli ex colonizzatori. Non dicono quei rapporti che, anche 
negli ultimi quarant’anni del XX secolo, in quei paesi, l’Occidente ha 
continuato a produrre colpi di stato, allevare regimi compiacenti, drenare 
oro, diamanti, petrolio, e negli ultimi anni anche pezzi di fegato, 
polmoni, reni, per aggiustare i nostri corpi sazi e malfunzionanti.
Così, la vecchia retorica colonialista si ricollega alla nuova; gli 
ideologi post-post-colonialisti passano al contrattacco, accusano i 
pidocchi del Terzo-Quarto mondo di essere non solo incapaci di risolvere i 
problemi delle loro società, ma di esportare violenza, fondamentalismo, 
terrorismo. “Gli eventi dell’11 settembre  2001 ci hanno insegnato  dicono 
- che gli stati deboli come l’Afghanistan possono causare un grave pericolo 
ai  nostri interessi nazionali non meno degli stati potenti. La povertà non 
può trasformare i poveri in terroristi e assassini. Tuttavia la povertà, le 
istituzioni deboli e la corruzione possono rendere gli stati deboli 
vulnerabili rispetto alle reti terroristiche”. Per questo, allora, i poveri 
oltre che miserabili sono anche colpevoli. Colpevoli di essere affamati e 
terroristi, “deboli” e fondamentalisti.
Per questo, si dice: è finito il tempo dei sensi di colpa, delle 
responsabilità storiche e di altre sciocchezze: occorre “colpire per primi” 
i nostri nemici. Passare di nuovo dal controllo economico a quello 
militare. Occupare, ri-occupare con le armi i loro paesi, impadronirsi 
direttamente delle loro risorse, allo scopo dichiarato, di nutrire le 
“nostre” industrie, alimentare le “nostre” automobili, permettere per i 
prossimi anni i “nostri” week-end: “La strategia nazionale degli Stati 
Uniti sarà improntata  dichiarano  a un internazionalismo marcatamente 
americano che rispecchia l’unità dei nostri valori e dei nostri interessi 
nazionali”.
Sembra uno scherzo questo discorso. Sembrano le elucubrazioni di un 
massimalista radicale, invece basta leggersi le 30 pagine del “La Strategia 
della Sicurezza Nazionale” sottotitolo “I nuovi indirizzi di politica 
internazionale dell’amministrazione Bush”, da cui abbiamo tratto le due 
citazione precedenti, per capire che è tutto vero. E’ tutto scritto. 
Codificato. Preventivato. La nuova politica per il mondo, quella che 
dovrebbe rispondere nelle intenzione di Bush al disastro del settembre 
2001, si può riassumere nel banale detto latino: mors tua vita mea. Il che 
significa che per i prossimi cento anni il resto del mondo si deve 
sacrificare per salvaguardare lo stile di vita degli Stati Uniti. Detto in 
maniera più brutale: nel mondo  non c’è trippa per tutti. E quella rimasta 
ancora in giro è appannaggio degli “interessi” americani, come nel caso del 
petrolio iracheno.  E se a qualcuno venisse in mente di chiedere con quale 
diritto si affermi tutto questo; la risposta sarebbe: “una forza militare 
senza precedenti” (Bush), che tradotto significa: il diritto di chi è 
meglio armato; il diritto di chi comanda; mentre gli altri devono ubbidire, 
piegare la testa, sacrificarsi. Dopo di ché, a chi fa il buono, a chi è più 
simpatico, sarà accordata qualche briciola.
Questa è la morale “post-ethical” dei prossimi anni per gente come George 
W. Bush, Condoleeza Rice, Dick Cheney, e i loro amici Tony Blair, Silvio 
Berlusconi, etc. E’ questa “l’ideologia della guerra” che deve filtrare 
attraverso i giornali, la televisione, insegnata nell’università, imposta 
negli ambienti che contano.
E se qualcuno si ribella a questo stato di cose, saranno guai. Guai ai 
poveri del Terzo e Quarto mondo. Guai ai poveri del “primo” mondo. E non si 
facessero illusioni gli emigrati che riusciranno a varcare il cancello del 
paradiso post-orwlliano, poiché non ce l’avranno fatta. Anche qui, come nei 
loro paesi non saranno detentori di diritti e di libertà, vivranno una vita 
marginale, da disperati, alla mercè del buon cuore degli indigeni: bianchi, 
ricchi, potenti; saranno loro che a seconda della giornata, gli molleranno 
un osso o li prenderanno a calci.