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La nonviolenza e' in cammino. 483



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 483 del 21 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Donne in nero di Reggio Emilia, diciamo no alla guerra e mobilitiamoci
per la pace
2. Enrico Peyretti, una sintesi dell'intervento di Oscar Luigi Scalfaro
sull'articolo 11 della Costituzione
3. Lidia Menapace, il femminismo ha sempre pratricato le forme dell'azione
nonviolenta
4. Giulio Vittorangeli, dalla guerra del Golfo al Nuovo modello di difesa
5. Ornella De Zordo, qualcosa di nuovo
6. Vincenzo Passerini, 34 consiglieri regionali del Trentino Alto
Adige/Sudtirol chiedono al parlamento di non liberalizzare l'export di armi
7. Norma Bertullacelli, da Genova per la pace
8. Stefano Ciccone: donne, uomini, conflitto
9. Hannah Arendt, la perdita
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. APPELLI. DONNE IN NERO DI REGGIO EMILIA: DICIAMO  NO ALLA GUERRA E
MOBILITIAMOCI PER LA PACE
[Da Letizia Valli (per contatti: letizia.valli@libero.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo questo documento delle "Donne in nero" di Reggio
Emilia]
In un altalenare di deboli speranze che ancora questa guerra contro l'Iraq
possa essere evitata e la cruda disillusione che essa sia gia' completamente
scritta e addirittura in corso, si moltiplicano in questi giorni comunicati,
iniziative, prese di posizione di gruppi e movimenti a favore della pace.
Anche l'Europa, timidamente, comincia ad esprimere perplessita' e suggerisce
almeno l'attesa.
Ma il governo americano continua a inviare truppe, navi ed aerei, e a
parlare di guerra inevitabile.
Noi crediamo che tutte le guerre siano evitabili e lo diciamo da anni tutti
i sabati pomeriggio in Piazza Prampolini.
I nostri abiti neri, i nostri cartelli muti dicono che noi la guerra non la
vogliamo, che non c'e' guerra giusta ne' tantomeno umanitaria, che il
terrorismo non si vince con la guerra, che la dottrina della "guerra
preventiva" e' folle oltre che ingiusta.
Sappiamo che il nostro essere li', in piazza, non smuovera' i potenti del
mondo; a volte ci sembra che non riesca a smuovere nemmeno le coscienze di
molti passanti. Eppure torniamo li', ogni sabato, e ci piacerebbe essere in
tante, tante di piu'.
E' vero che le nostre possibilita' di fermare la guerra sono minime, ma
proprio per questo bisogna da subito fare di piu'.
Se la guerra ci sara', se le guerre continueranno ad essere considerate
normali nonostante siano volute solo da una minoranza di potenti del mondo,
allora vorra' dire che noi, che la gran parte dei cittadini ha rinunciato
alle proprie responsabilita' e ha lasciato che le cose accadessero.
La guerra ci riguarda tutte/tutti direttamente, dipende anche dalla nostra
indifferenza; allora smettiamo di pensare di essere impotenti, smettiamo di
pensare che non possiamo farci niente e costruiamo insieme una campagna di
azioni nonviolente in difesa della pace e della vita.
Costringiamo tutte/tutti, anche a rischio di creare disagi quotidiani, di
irritare qualcuno e disturbare la "pace" della vita di tutti i giorni, a
rendersi conto che cio' che sta accadendo non ha precedenti, che e'
minacciato il nostro presente, il nostro futuro prossimo e quello dei nostri
figli.
*
Il 15 febbraio sono gia' state indette manifestazioni nelle citta' europee
(a Roma per l'Italia).
Benissimo, ma non basta. Prepariamo queste manifestazioni con tanti altri
piccoli e grandi gesti:
- Lanciamo una campagna per la neutralita' attiva dello Stato italiano
(astenersi da ogni guerra, non firmare trattati militari, non consentire
passaggi di truppe, praticare il disarmo vietando la costruzione e la
vendita di armi).
- Moltiplichiamo il numero delle bandiere colorate della pace che gia' si
cominciano a vedere alle finestre, ai balconi delle case, delle chiese,
delle scuole, degli uffici, dei negozi, e il numero degli stracci bianchi
annodati al braccio, alla borsetta, allo zaino, alla bicicletta, al
passeggino.
- Trasformiamo l'appuntamento del sabato pomeriggio in piazza Prampolini
dalle 17 alle 18 in un incontro di tutte le donne reggiane che vogliono dire
il loro no alle guerre.
- Aderiamo alla raccolta di firme sul disegno di legge di iniziativa
popolare per l'attuazione dell'articolo 11 della Costituzione.
- Costruiamo una campagna per inserire il ripudio della guerra nella
Costituzione Europea.
- Prepariamo e promuoviamo in caso di guerra una campagna di disubbidienza
civile e lo sciopero generale ad oltranza (15/20 minuti al giorno?) contro
questa decisione.
- Scriviamo ai giornali, inventiamoci tante altre iniziative con tutta la
nostra fantasia e creativita'.
*
Alle donne impegnate nelle istituzioni, nei partiti, nelle associazioni
laiche e religiose chiediamo un impegno particolare perche' si assumano in
prima persona la responsabilita' di promuovere queste ed altre iniziative.
Dichiariamo con orgoglio che siamo imbelli perche' disadatte alla guerra per
decisione etica e politica e che ci consideriamo coraggiose per avere scelto
la pratica della neutralita'.
Alla guerra preventiva rispondiamo con l'alternativa della prevenzione della
guerra, alla legittimazione della guerra come strumento normale di politica
estera opponiamo che la guerra e' un crimine contro l'umanita' e deve
diventare una pratica vietata nel genere umano.
Le armi e la violenza sono sempre strumento di dominio, sofferenza,
ingiustizia. L'unica politica possibile e' costruire e preparare la pace.

2. TESTIMONIANZE. ENRICO PEYRETTI: UNA SINTESI DELL'INTERVENTO DI OSCAR
LUIGI SCALFARO SULL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per aver
redatto questa sintesi dell'intervento di Oscar Luigi Scalfaro sull'articolo
11 della Costituzione pronunciato a Roma, in Palazzo Marini, il 15 gennaio
2003. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere",
Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998;
La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe
Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo
recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca
bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate  e nonviolente. Oscar Luigi Scalfaro e' stato magistrato,
costituente, parlamentare e presidente della Repubblica]
L'altro intervento, di Pietro Ingrao, e' stato pubblicato intero su
"l'Unita'" del 16 gennaio. Un resoconto dell'intervento di Scalfaro a cura
di Ida Dominijanni e' stato pubblicato su "Il manifesto" del 16 gennaio.
[Entrambi questi testi sono stati riprodotti anche su questo notiziario -
ndr -].
Il testo che segue e' tratto dai miei appunti, che sono una sintesi diretta
nell'ascolto, quasi stenografici. Ho tralasciato due o tre punti su cui
avevo il dubbio di non aver capito bene, percio' garantisco, per quanto
possibile a chi puo' sbagliare, la fedelta' e la sostanziale completezza di
tutto il resto, anche delle frasi piu' vivaci.
Prima del dibattito ho chiesto e avuto sia da Scalfaro che da Ingrao
l'autografo sulla mia copia della Costituzione.
*
Un saluto a tutti, a Ingrao "il mio presidente". Splendido il suo
intervento. Mi associo all'invito che ha rivolto ai parlamentari (che
portino la domanda di questa sala nelle altre sale piu' grandi e solenni di
questo Parlamento).
E' strano che nel 2003 ci si ponga questo interrogativo: guerra o non
guerra?
Le vere domande da porsi sono: cosa pensiamo noi della guerra? Cosa ne
pensano quelli che devono decidere? Siamo convinti che e' un male assoluto,
senza eccezioni?
La guerra e' contro la persona umana, e' per la distruzione, anzitutto dei
piu' indifesi. Il raziocinio qualifica l'uomo. Dunque: dialogo, trattare,
discutere, convincere. Rinunciare al raziocinio in favore dei muscoli e' un
degrado.
Le alleanze sono un movimento naturale per persone e popoli, nel desiderio
di unione per essere piu' forti in tutti i campi, anche nella sicurezza, ma
a condizione che siamo su posizioni di parita'. Se vi e' uno in posizione di
dominio, questa non e' un'alleanza. E se qualcuno accetta il dominio senza
discutere, in sudditanza imposta e accettata, questa non e' alleanza. A
volte, la sudditanza scelta come prova di fedelta' e amicizia e' il massimo
degrado.
Abbiamo il dovere, come alleati, di far sentire la nostra voce. Anche se una
imbecillita' non nuova, dice: "Allora, tu non sei amico degli Stati Uniti!".
Cerchiamo adesioni al nostro no alla guerra. Anche se il Presidente della
Repubblica francese ha intenzioni non identiche al Cancelliere tedesco.
Con forza adolescenziale z" stato detto: "Io sono amico di Bush!". In
Senato, usando sei degli otto minuti che mi erano concessi, dissi:
"Constatata la realta' dei fatti, dico a Lei, Presidente del Consiglio e
Ministro degli Esteri, che e' suo compito far vivere insieme pace e
alleanze". Feci anche gli auguri, perche' gli interessi della Patria
superano le parti politiche. Ci fu un gesto dal banco del governo non
benevolo, non educato.
L'Italia ebbe una volonta' politica di pace subito dopo la seconda guerra
mondiale, guerra atroce, nella quale per la prima volta i morti civili
furono piu' numerosi dei morti militari. Dimenticare questo e' un problema
di competenza del ministero della sanita'! De Gasperi scelse la pace
internazionale, l'Europa, la Nato, cosi' come diede la preferenza alla
collaborazione democratica interna. I profeti dell'Europa avevano questa
fede: solo un'Europa politica sconfiggera' la guerra.
Il popolo statunitense giovane, democratico, puo' sbagliare. La nostra
alleanza con gli Stati Uniti e' un punto fermo, ma non e' una delega alla
politica dominante. Occorre parita' di dignita'. L'alleanza non puo'
macchiare la dignita' del nostro paese.
*
L'articolo 11 della Costituzione: io l'ho votato.
La discussione fu breve, il 24 marzo 1947. Tutti eravamo usciti dalla
tragedia della guerra. Nessuno fu contrario a quel no alla guerra. "Ripudia"
e' un termine scultoreo, non ammette incertezze. E' un articolo profetico.
Il no e' alla guerra di aggressione, naturalmente, e anche alla guerra come
mezzo per la risoluzione delle controversie. La guerra non risolve.
L'Italia "consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace
e la giustizia fra le Nazioni". Le organizzazioni internazionali sono solo
per la pace. L'Onu e' nata solo per la pace.
Una valutazione giuridica: l'art. 11 consente solo una guerra di legittima
difesa, unica ipotesi di guerra legittima. La legittima difesa e' un
istituto giuridico che non puo' essere inventato dal politico. Occorre che
l'offesa sia in atto e che ci sia proporzione tra offesa e difesa.
Ci sono casi di intervento obbligatorio: la difesa di un debole. Se un
popolo rischia di perdere i suoi diritti, lo Stato deve darsi da fare. La
pace e' un diritto. E' legittima la difesa da un'aggressione non solo a me,
le alleanze mi impegnano a difendere i miei alleati.
Ho fatto dibattiti a Napoli, a Bologna, a Reggio Emilia e in altre citta'.
Mi sono state fatte alcune obiezioni.
Gli accordi firmati superano l'art. 11. Ma quali accordi? Semmai dobbiamo
avvertire gli alleati che tale accordo non puo' superare l'art. 11. Da quale
cranio puo' mai venire questa obiezione?
Altra obiezione: l'art. 11 e' andato in desuetudine. Allora, anche l'art. 21
(la liberta' di manifestare il proprio pensiero) puo' andare in desuetudine?
Certo, chi non ha pensiero non se ne accorgerebbe.
Ingrao ha fatto appello ai parlamentari. Oggi c'e' in Parlamento un
irrefrenabile desiderio di riforme. Che si parli invece di questi problemi
davvero gravi!
L'aggressione dell'Iraq al Kuwait, nel 1990, fu un classico caso. I casi
della Jugoslavia erano gia' piu' discutibili. Ma oggi si tratta di una
ostinazione del Presidente Bush. Di Bush padre ebbi la sensazione di un
grande manager dello Stato. Questo figlio e' nato faticosamente...
La forza dell'uomo e' dentro l'uomo. Quando ha bisogno di un supporto
esterno, allora e' debole.
Blair (la Gran Bretagna dice si' agli Stati Uniti prima che si pronuncino)
un mese fa ha detto a Bush: "Fai la guerra in ottobre". Ma se posso spostare
la guerra non sono l'aggredito. Solo chi attacca decide il tempo. Infatti,
tale e' la guerra preventiva.
*
L'art. 11 e' vivo e vitale, e guai a chi lo calpesta. Lo spazio per la
guerra preventiva non c'e'. La guerra preventiva e' in ogni modo identica
alla guerra di aggressione.
Il nostro preciso dovere e' applicare l'art. 11. La "legittima difesa
preventiva" e' impensabile.
Si dice ancora: ma se decide il Consiglio di Sicurezza... Ho una intensa
speranza che non diano mai l'approvazione alla guerra preventiva. Ma se la
dessero, noi dobbiamo essere fermi sul no, per il dovere di rispettare
l'art. 11.
Questo articolo ci ha consentito di mandare soldati per azioni umanitarie,
abbiamo avuto anche degli eroi. Ci consente azioni di solidarieta' con
rischio certo. Mandiamo alpini in Afghanistan: ma sono incerto su quelle
battaglie.
*
Dopo l'11 settembre abbiamo dato una solidarieta' immediata agli Stati
Uniti. Ma Bush ha annunziato la volonta' di fare la guerra. Un altro fatto:
il nostro Presidente del Consiglio prese delle posizioni che davano la
sensazione di privatizzare e personalizzare la politica estera: questo e'
inaccettabile! Diciamo il nostro no fermo e la decisa richiesta di parita'.
Si dice: saremo isolati! E' uno spauracchio inutile. Quando si lotta per dei
principi ci vuole coraggio.
No totale alla guerra!
Impegno a non calpestare la Costituzione!

3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: IL FEMMINISMO HA SEMPRE PRATICATO LE FORME
DELL'AZIONE NONVIOLENTA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per questo
intervento.
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, ha preso parte alla Resistenza, e'
tra le voci pių significative e autorevoli della cultura e del movimento
delle donne, dei movimenti di pace, solidarieta' e liberazione, della vita
civile italiana degli ultimi decenni. Opere di Lidia Menapace: la maggior
parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in
quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001.
Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica
all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e'
uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli
amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e
sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con
Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle
spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due
opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con
mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore,
Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997.
Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899, antifascista e
perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative
per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia il 19 ottobre 1968. E'
stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia.
Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di
Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977; recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le
tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di
scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano
1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso
la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta@sis.it) sono
disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini
non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte; sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di Scritti
filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle
singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le
pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino
1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di
Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco
Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo
Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La
realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. E ancora:
Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa
contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; utile anche Clara
Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra,
Perugia 1988]
Vorrei dire qualcosa prendendo spunto dalla riflessione di Tonino Drago
apparsa su "La nonviolenza e' in cammino" di ieri.
Nessuno potrebbe non dichiarare il proprio debito verso Capitini senza
essere richiamato.
Tuttavia sono convinta che anche nei confronti di Capitini sia giusto
procedere come verso qualsiasi altra persona, senza trasformarlo in una
sorta di riferimento rigido e immutabile, in un oggetto di culto.
Ad esempio, nemmeno Capitini ha mai preso in considerazione il femminismo,
anche se era molto attento alla presenza di donne, ma non come movimento
fondato sulla relazione e autore di teoria politica (il pensiero della
differenza) e di pratiche  diffuse. Questo disturba sempre un po' perche'
spiazza tutte le gerarchie sociali e mette fuori gioco e sotto giudizio
tutti i patriarchi anche quelli buoni e comprensivi.
A me pare che riconoscere che il femminismo ha sempre praticato le forme
dell'azione nonviolenta consenta di allargare gli orizzonti e vedere che
anche il movimento operaio e sindacale (non i partiti che hanno sempre
cercato di egemonizzarlo e portargli la  coscienza magari nazionale e
patriottica e via lenineggiando) ha dall'inizio imboccato la stessa strada.
E' bene veder di piu'.
Questo non deve farci creduloni verso chiunque affermi di essere
"nonviolento, ma non di principio" come dicono risibilmente aree del "no
global".
Ma prendere atto che nessuno si sente di sostenere piu' apertamento l'uso
della violenza come strumento di lotta politica -tranne Forza Nuova- e' un
passo importante.
Almeno io la penso cosi'. Vorrei argomentare anche piu' ampiamente dato che
talora tra i nonviolenti storici avverto una punta "aristocratica" che mi
spiace.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DALLA GUERRA DEL GOLFO AL NUOVO MODELLO
DI DIFESA
[Giulio Vittorangeli (giulio.vittorangeli@tin.it) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, e una delle figure piu' nitide e prestigiose
dell'impegno di pace e di solidarieta' internazionale]
Nell'agosto 1990 le forze armate irachene occupano il Kuwait. Il 28 agosto
il piccolo emirato viene annesso da Saddam Hussein come diciannovesima
provincia irachena.
Il 17 gennaio 1991, Gorge Bush senior ordina l'attacco contro Baghdad.
Le principali reti televisive del mondo, quasi all'unisono, trasmettono la
notizia dei bombardamenti britannici e statunitensi sull'Iraq. In
particolare, assurge a primo attore il bombardiere americano F-117
"Stealth': una strana e spigolosa figura di aereo che, grazie alla
particolare sagoma della fusoliera e alle vernici usate, e' in grado di
assorbire le onde elettromagnetiche dei radar iracheni, risultando cosi'
invisibile per il nemico.
Il 28 febbraio, appena quattro giorni dopo l'inizio delle operazioni di
terra, la resistenza degli iracheni e' domata. Il governo di Baghdad accetta
tutte le risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite.
*
Da allora l'Iraq vive un isolamento internazionale che ha messo in ginocchio
la sua economia. L'embargo, imposto dai paesi occidentali, ha provocato
enormi disagi, soprattutto alla popolazione civile. Gli iracheni sono allo
stremo: i bambini muoiono per mancanza di antibiotici, anche un semplice
intervento chirurgico e' un problema perche' non c'e' filo da sutura e i
generi di prima necessita' sono diventati un lusso.
Se Saddam Hussein, riferendosi alla cifra di mezzo milione di bambini morti
citata dall'Unicef, avesse detto in televisione "noi pensiamo che valga la
pena di pagare questo prezzo", i nostri governi l'avrebbero definito un
mostro. La Albright l'ha fatto, ma l'Occidente ha continuato a tacere.
Un embargo economico che, non a caso, e' stato definito crudele come un
assedio medievale. Il termine "genocidio" e' stato usato da esperti di
diritto internazionale e da altre voci moderate.
Pensiamo a Denis Halliday, ex assistente del segretario generale delle
Nazioni Unite, che si e' dimesso dalla sua carica principale responsabile
dell'Onu in Iraq; o Hans Sponeck, il suo successore, che ha gia' rassegnato
le dimissioni per protesta. Entrambi lavoravano per le Nazioni Unite da 34
anni e godono di grandissima stima nel loro settore. Le loro dimissioni,
insieme a quelle del direttore del World Food Program a Baghdad (febbraio
2001), sono un gesto senza precedenti.
*
Quello delle sanzioni non e' che uno dei tre scandali intrecciati fra loro
che stanno causando sofferenze e morti in quantita' impressionante.
La verita' sull'uranio impoverito contenuto nei proiettili usati nella
Guerra del Golfo del 1991 (e nell'attacco Nato sulla Jugoslavia del 1999:
sei i militari italiani morti di leucemia che avevano prestato servizio in
Kossovo) e' che statunitensi e britannici hanno condotto una specie di
guerra nucleare contro le popolazioni civili, ignorando volutamente la
salute e la sicurezza dei loro stessi soldati.
Intanto l'incidenza dei tumori nell'Iraq meridionale e' aumentata di sette
volte.
Infine, l'uccisione di civili iracheni da parte di aerei della Raf e
dell'aviazione militare statunitense nelle "no fly zone"; vere violazioni
del diritto internazionale.
*
Su questo paese allo stremo, e sull'innocente popolo iracheno di cui non si
preoccupa nessuno, primo o poi si abbattera' una nuova criminale guerra.
Perche' si vuole passare dal dopoguerra infinito, con embargo e genocidio,
allo stabile insediamento americano in quella zona del mondo nevralgica per
il petrolio.
Quello che e' certo, e' che la guerra del Golfo del 1991 ha scardinato sia i
rapporti internazionali sia, in molte situazioni, gli equilibri interni: il
passaggio di secolo ne e' risultato sconvolto sul piano continentale e
mondiale.
*
Se guardiamo all'Italia, vale la pena ricordare come il "Nuovo modello di
difesa" nasce proprio nel 1991, quando (governo Andreotti) la Repubblica
italiana combatte la sua prima guerra (in spregio all'art. 11 della nostra
Costituzione, che sancisce ripudio della guerra quale mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali), partecipando all'operazione "Tempesta
del deserto" lanciata dagli Usa nel Golfo Persico.
E' l'inizio della mutazione genetica delle forze armate: il loro compito non
e' piu' la difesa della patria, ma la "tutela degli interessi nazionali
ovunque sia necessario".
Viene cosi' enunciata, a livello istituzionale, una nuova politica militare
e contestualmente una nuova politica estera; senza, pero' che il "Nuovo
modello di difesa" (passa di mano in mano, da un governo all'altro) venga
discusso in quanto tale in Parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i
vertici delle forze armate, ai quali i governi lasciano piena liberta'
decisionale, pur trattandosi di materia di basilare importanza per la
Repubblica italiana.
Cosi' siamo giunti alla partenza dei "nostri" alpini per l'Afghanistan, dove
andranno sotto controllo Usa e a fianco dei "signori della guerra".

5. RIFLESSIONE. ORNELLA DE ZORDO: QUALCOSA DI NUOVO
[Dal sito del "Paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento tenuto da Ornella De Zordo (del Laboratorio per la democrazia)
all'incontro "Politica e movimenti: costruiamo insieme un futuro diverso"
del 10 gennaio 2003 al Palasport di Firenze]
Se dovessi in estrema sintesi dire che cosa ha tentato di fare nel corso di
questo ultimo anno il Laboratorio per la democrazia, che non e' che uno dei
tanti gruppi, comitati, associazioni che sono nati nel corso del 2002
nell'ambito della societa' civile, direi che ha tentato di fare due cose:
innanzi tutto manifestare in difesa dei diritti e della democrazia nelle
molte situazioni in cui questo governo ha nei fatti negato principi
fondamentali della vita democratica. Per questo in tanti siamo scesi nelle
piazze e ci siamo ritrovati nelle case del popolo di questa citta',
mobilitandoci per il pluralismo dellíinformazione, per l'autonomia della
magistratura o contro inaccettabili provvedimenti legislativi.
Il secondo piano su cui il Laboratorio si e' impegnato e' stato quello della
crescita del livello della democrazia esistente, perche' di giustizia si
parlasse anche nel senso di affermazione dei diritti e delle garanzie
individuali. Abbiamo affrontato, anche nel lavoro dei gruppi, i temi
dell'estensione della cittadinanza, di una maggiore giustizia sociale, della
realizzazione di una ancora lontana democrazia di genere.
E, su questo piano, sempre maggior rilievo ha preso per noi il discorso,
ancora tutto da concretizzare, della democrazia partecipativa, un cammino
non privo di difficolta', che implica mutamenti essenziali nel rapporto tra
governo locale e societa' civile: una maggiore trasparenza, una piu' ampia
partecipazione dei cittadini nella gestione della vita pubblica, la
condivisione delle priorita' e delle scelte da parte delle molte espressioni
sociali della citta'.
Su questi due piani intendiamo continuare a impegnarci con la passione e con
l'ostinazione che ci ha sorretti fino ad ora.
*
Ma accanto a tutto questo, oggi, si puo' aprire qualcosa di nuovo.
Qualcosa che certo non si sostituisce ai nostri obiettivi originari, ma vi
si aggiunge.
Nel corso dell'ultimo anno (cioe' da quando siamo nati) ci siamo sentiti
chiedere: "Ma in che modo il movimento puo' influire sulla politica?", la
politica che conta, quella con la p maiuscola, quella che si fa dentro il
palazzo?
Perche' il nostro motto e' sempre stato: "Dentro la politica, fuori dai
partiti", consapevoli che una gran parte della nostra forza propositiva
stava proprio nell'essere e nel funzionare diversamente dalla macchina dei
partiti, anche se, come abbiamo ripetuto molte volte, non abbiamo mai messo
in discussione la forma del partito.
E allora, in che modo si puo' evitare il rischio di essere inefficaci, senza
diventare qualche altra cosa da quello che siamo? Cioe' autonomi,
autorganizzati, non professionisti della politica?
Come si puo' rimanere all'esterno ma non sprecare tutte le energie
appassionate che quest'anno abbiamo visto crescere e mobilitarsi, visto il
prevalere nei luoghi del potere politico dei personalismi, delle logiche
interne, delle lotte per i primati?
Da queste e altre riflessioni su quale tipo di contributo noi possiamo dare
alla "costruzione di un futuro diverso", nasce la ragione della nostra
presenza in un'iniziativa come questa; un'iniziativa, e' bene dirlo subito,
con la quale non rinunciamo alla nostra identita' di movimento, ne' ci
proponiamo di ritagliare lo spazio per un nuovo soggetto ricavandolo tra i
molti che popolano il panorama gia' folto della sinistra.
E' chiarissimo nella nostra mente quanto pericolosa sia la frammentazione e
la divisione e, al contrario, pensiamo semmai che qualcosa si possa fare
andando nella direzione opposta, cioe' quella della coesione e dell'unita'.
Non si propone la nascita di un soggetto nuovo, dicevo, ma piuttosto una
rete di soggetti gia' esistenti e diversi tra loro; non si sta insomma qui
fondando un nuovo partito, ma si vuole dar vita a qualcosa che sappia
connettere, in un lavoro condiviso e alla pari, esperienze politiche
difformi per natura e tipologia (e questa non omogeneita' e' un punto non
secondario della proposta): le varie espressioni della societa' civile come
i girotondi, le associazioni delle donne, dell'area del volontariato, del
mondo ambientalista, del pacifismo, la grande realta' del sindacato, quelle
associazioni anche trasversali che sono di recente nate alla base dei
partiti della sinistra, e tutti i gruppi che siano interessati a lavorare
con noi tra i molti soggetti dell'ampia galassia del Social Forum, il
movimento da cui molto sentiamo di poter imparare quanto a pluralismo e
capacita' di stare insieme nelle differenze.
*
Una rete che puo' cominciare questa sera e che e' aperta non solo ai
presenti ma anche al contributo di altri che qui non sono, e voglio solo
citare tra i tanti soggetti vitali che potrebbero arricchirla, quelli
dell'opposizione sociale, dei centri sociali o dei sindacati di sinistra
non-confederali, e altri ancora.
Si tratta evidentemente di un soggetto plurale, nel quale, come ben dice il
concetto di rete, o di costellazione, non c'e' un vertice e una base, dove
ciascuno mantiene la propria identita' e autonomia, e dove non tutti devono
pensare la stessa cosa su tutto, perche' sappiamo gia' in partenza che non
e' cosi'.
Noi vogliamo lavorare sui punti che ci uniscono e questo e' possibile solo
se partiamo dalle nostre differenze, che devono essere viste come una
risorsa e non come una minaccia. Dunque, nessuna preclusione a priori verso
nessuno.
*
Ma, una rete, per fare cosa? Per costruire un progetto alternativo, di cui
io posso qui solo avanzare (e' chiaramente una proposta, la mia) alcuni
punti.
Saro' necessariamente schematica:
1. Un'opposizione intransigente alle politiche del governo, un'opposizione
che si colleghi a un'adeguata analisi storico-politica della natura del
progetto berlusconiano e del suo modello di creazione del consenso; e questo
non per una sterile passione per le definizioni, ma perche' piu' complessiva
risulti la critica.
2. Il rinnovamento autentico e non presunto delle forme della politica. Lo
abbiamo detto molte volte: no al verticismo, al leaderismo,
all'autoreferenzialita', si' alla partecipazione e allo scambio, e vorrei
aggiungere, a un ripensamento forte sull'equilibrio, o meglio sul
disequilibrio tra i generi, perche' i termini democrazia e partecipazione
non devono essere pensati solo in riferimento all'asse che in verticale
unisce base e vertice ma, cosa forse ancor piu' difficile, in senso
orizzontale, tra i due generi; certo e' un progetto difficile in una cultura
in cui la politica viene ancora declinata al maschile, eppure dovra' essere
uno dei punti cardine di una nuova progettualita' di sinistra, conquista non
solo delle donne, ma passaggio obbligato per un reale avanzamento
democratico di tutti, donne e uomini.
3. La messa a fuoco e l'approfondimento dei temi concreti, stabilendo le
priorita' di un'azione politica, dalla giustizia, all'informazione, al
problema del lavoro e dei diritti.
4. Una riflessione coerente sul modello di sviluppo, e un impegno per
un'economia solidale che metta al centro le persone e non il profitto (che
avvicini e non separi ancora di piu' il nord e il sud del mondo), con
un'attenzione reale a temi importanti che oggi non vediamo al centro
dell'agenda politica dei partiti della sinistra, dai consumi critici,
all'utilizzo equo e responsabile delle risorse, alla sostenibilita'
ambientale.
Infine, molto semplicemente:
5. Un no senza condizioni alla guerra.
Noi non vogliamo dividere la sinistra, e tanto meno il movimento, e questa
iniziativa in cui compaiono tante presenze, e alla quale, come ho detto,
altre speriamo si aggiungano, ne e' la prova.
E' una sfida, ne siamo consapevoli, una sfida che vuole coniugare le
esigenze e i problemi reali della gente a qualcosa che non dovrebbe mancare
a chi crede davvero che un futuro diverso sia possibile, e cioe' la speranza
e la volonta' del cambiamento.

6. APPELLI. VINCENZO PASSERINI: 34 CONSIGLIERI REGIONALI DEL TRENTINO-ALTO
ADIGE/SUDTIROL CHIEDONO AL PARLAMENTO DI NON LIBERALIZZARE L'EXPORT DI ARMI
[Da Vincenzo Passerini, consigliere regionale e presidente del Forum
trentino per la pace (per contatti: forum.pace@consiglio.provincia.tn.it)
riceviamo e diffondiamo]
Dal 28 gennaio prossimo andra' al dibattito del Senato il disegno di legge
che modifica la legge 185 che disciplina l'export degli armamenti.
Le modifiche tendono a liberalizzare l'export di armi riducendo i rigidi
criteri della legge 185 che, come si ricordera', era nata dopo l'acceso
dibattito della seconda meta' degli anni '80 sullo scandalo delle armi
italiane che finivano a regimi dittatoriali o ad alimentare le guerre.
Tra i protagonisti di quel dibattito che porto' poi alla legge 185 ci fu
padre Alex Zanotelli e con lui molti movimenti cattolici e della societa'
civile.
Oggi, di fronte alle pericolose modifiche alla legge che presto saranno
discusse al Senato (dopo l'approvazione della Camera) c'e' una nuova
mobilitazione di movimenti cattolici e della societa' civile impegnata sul
fronte della pace e della solidarieta' internazionale.
Rispondendo all'appello di questi movimenti, in particolare della Rete di
Lilliput, 34 consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige/Sudtirol hanno
sottoscritto una lettera (primo firmatario Vincenzo Passerini, consigliere
regionale e presidente del Forum trentino per la Pace), inviata ai
capigruppo del Senato e della Camera in cui si chiede di non smantellare i
rigorosi criteri della legge 185 che disciplinano l'export di armi.
Tra i firmatari, il presidente della Regione Andreotti, il presidente della
Provincia di Trento Dellai, il presidente del Consiglio regionale Franz
Pahl, la presidente del Consiglio provinciale di Bolzano Alessandra Zendron,
il capogruppo della Svp Herbert Denicolo', numerosi capigruppo del
centrosinistra e di altro schieramento, tra cui il consigliere Perego di
Forza Italia.
Si tratta di una iniziativa concreta di pace in un momento in cui si
annuncia una nuova grave guerra.

7. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: DA GENOVA PER LA PACE
[Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b@libero.it) per
questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, e' impegnata nella "Rete
controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova]
Gli alpini (e le alpine) italiani si apprestano a raggiungere la propria
destinazione tra le montagne afgane.
Si tratta di una vera e propria missione di guerra, vietata dalla
Costituzione che "ripudia la guerra, come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali".
Contribuiranno a "dare la caccia a Bin Laden": esiste ancora qualcuno
disposto a credere che sia questo il vero obiettivo della presenza di forze
armate internazionali in Afghanistan?
Nel frattempo le minacce di guerra contro l'Iraq divengono ogni giorno piu'
concrete, nonostante la crescente opposizione in tutto il mondo; ma se anche
l'Iraq verra' attaccato, non sara' in nostro nome.
Dalla settimana successiva all'attentato di New York i pacifisti genovesi si
danno appuntamento in piazza De Ferrari, sui gradini del palazzo ducale, per
un'ora in silenzio per la pace, dalle 18 alle 19.
L'iniziativa si svolgera' anche il prossimo mercoledi', 22 gennaio.
Esprimeremo il nostro lutto e la nostra indignazione per le vittime di tutte
le guerre, certamente: ma in modo particolare per le vittime dei mercanti
d'armi italiani (ai quali il nostro parlamento si appresta a regalare una
revisione della legge 185 che limitava fino ad ora il traffico "legale" di
armi) e delle forze armate italiane, impiegate in missioni di guerra
presenti e future esplicitamente vietate dalla nostra carta fondamentale.
Senza dimenticare che la precedente guerra del Golfo non e' mai terminata, e
prosegue quasi quotidianamente con i raid angloamericani sulla "no fly zone"
arbitrariamente proclamata da questi due paesi, ci auguriamo che,
all'eventuale scoppio di un nuovo conflitto con la partecipazione del nostro
paese, tutte le organizzazioni politiche e sindacali vogliano proclamare uno
sciopero generalizzato ed immediato, chiamando non solo i lavoratori
occupati, ma tutti i cittadini e le cittadine a dichiarare con questo atto
il proprio rifiuto ad avallare una nuova imperdonabile violazione della
Costituzione e del diritto internazionale.

8. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: DONNE, UOMINI, CONFLITTO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo intervento di Stefano Ciccone (da sempre impegnato per la
pace e i diritti umani, e in una riflessione individuale e collettiva sulla
propria identita' sessuata e una verifica critica di modelli e culture del
maschile), che sviluppa alcuni temi della riflessione svolta in occasione di
uno dei dibattiti del Forum sociale europeo di Firenze]
Mi chiamo Stefano Ciccone e faccio parte di un gruppo (e di una fragile rete
nazionale) di uomini che tentano di riflettere sulla propria identita'
sessuata e sottoporre a critica modelli e culture del maschile.
Laura Colombo mi ha segnalato questo spazio di confronto e mi ha proposto di
intervenire, cosa che faccio volentieri anche perche' mi/ci farebbe piacere
trovare canali di comunicazione anche con la vostra esperienza che e'
ovviamente uno dei punti di riferimento con cui ci interessa
misurarci/interloquire/ confliggere/ascoltare.
L'incontro promosso nell'ambito del Social forum di Firenze proponeva nel
titolo un'interlocuzione tra donne e uomini a partire dal reciproco
riconoscimento di parzialita' anziche' solo dalla condivisione di obiettivi
politici comuni. In effetti la discussione che c'e' stata ha lasciato anche
me un po' perplesso e forse preoccupato.
Il tema posto era "donne e uomini: un conflitto necessario per un futuro
comune" ed intervenendo ho cercato di domandarmi come potevo collocarmi in
questo "conflitto necessario".
Se questo conflitto si gioca sulla differenza salariale o sugli spazi nella
politica (come molti interventi hanno riproposto) cio' che possiamo fare
come uomini impegnati politicamente su obiettivi di giustizia, equita' e
solidarieta', e' appunto "solidarizzare" con giuste rivendicazioni di spazi
e diritti delle donne come di altri "soggetti deboli" o discriminati.
E' una prospettiva per me ormai sterile e che non corrisponde piu' al mondo
che conosco, ai miei desideri, alle relazioni con le donne che ho costruito.
Non solo perche' sento come riduttiva la rappresentazione delle donne come
"soggetto debole" a favore del quale rivendicare un riequilibrio ma perche'
mi propone un terreno "troppo facile" che mi chiede (e mi offre) solo una
disponibilita' a "cedere" spazi e rinunciare a privilegi.
Non si tratta, ovviamente di non riconoscere le disparita' che ancora
segnano l'organizzazione sociale, l'accesso al potere, ai saperi, alla
cittadinanza, ma di andare oltre.
Criticando alla radice le forme del potere, dei saperi, della cittadinanza.
*
Il "conflitto necessario" tra donne e uomini e' per me non occasione di
rinuncia volontaristica a quelli che sono stati definiti i dividendi del
patriarcato e di cui ho certamente goduto nella mia esperienza, ma occasione
per una ricerca di liberta' e di una diversa ricchezza della mia vita che
proprio l'accesso a quei dividendi sento aver impoverito come un'eredita' in
parte inservibile e in parte avvelenata.
Ho partecipato a quell'incontro perche' non era scontato proporre quel tema
in un movimento in cui, a fronte di molte dichiarazioni di radicalita' e
disobbedienza, si ripropongono forme e linguaggi subalterni ad una cultura
segnata da un immaginario virile e bellicista.
Abbiamo gia' tentato di aprire un dibattito e un conflitto nel movimento dei
movimenti dalla manifestazione di Genova in poi partendo dall'immagine della
specularita' degli schieramenti, dei linguaggi, (degli scudi) che in piazza
riproducevano emblematicamente un deficit di alterita'. Ma credo sia
importante riprendere anche qui questa riflessione.
Se e' vero infatti che un ordine si e' rotto e che appare inservibile per
conferire senso alla mia vita e a quella di tanti uomini, e' anche vero che
questo stesso universo simbolico patriarcale oggi dimostra una sua grande
vitalita' (se volete regressiva), una rinascente capacita' di seduzione
sugli uomini di ogni latitudine geografica e culturale.
Si insidia ovunque, anche nelle culture e nelle forme politiche che si
vogliono antagoniste e radicali. Offre opportunita' di identita' e di senso
di fronte alla crisi degli stati nazionali, le lotte di uscita dal
colonialismo, la crisi della politica.
Ma, appunto, anche chi si pone come "anti-sistema" sembra subire la
seduzione di modelli identitari non riducibili al maschile ma che la lettura
critica della maschilita' mi fa vedere in modo piu' chiaro, direi piu'
stridente.
E forse in questo ha pesato una insufficiente capacita' di comunicazione che
emerse gia' in occasione di Genova. Ci sembra significativo che proprio
Luisa Muraro, dopo avere riaffermato la forza di una "politica prima"
costruita nelle relazioni quotidiane, abbia scelto, a proposito di quanto
avvenuto a Genova, di aggiungere queste parole: "Molto di quello che ho
scritto qui, io e altre meglio di me, lo sapevamo da prima. Anche la mossa
dell'avversario era prevedibile da prima, almeno da parte di chi ha una
storia come la mia, che comincia negli anni Sessanta e si e' sviluppata nei
movimenti non organizzati. Ma non abbiamo parlato, non siamo intervenute.
Saremmo state ascoltate? Non lo so, ma valeva la pena esporsi a questa prova
e, forse, si doveva".
Ho scelto, con altri, di pormi "lontano dai militari e da chi li imita"
seguendo percorsi paralleli di critica della politica e delle sue forme, dei
rischi di subalternita' alle culture dominanti ed ai modelli gerarchici che
anche movimenti antagonisti rischiano di riprodurre anziche' di sovvertirne
le regole.
Ma il fatto per me nuovo e' stato di farlo in quanto uomo, ed affermando la
valenza politica di questa collocazione. Si tratta non di una scelta
"moderata" ma al contrario che ricerca ed esprime al massimo la
conflittualita', che non la riduce allo schieramento tra fronti ma ne legge
le potenzialita' nelle relazioni, nei linguaggi, nella quotidianita'. Non un
di meno ma un di piu' di critica dell'esistente.
*
Il nodo credo sia proprio in quel nesso tra radicalita' e memoria che oggi
il movimento dei movimenti ha davanti a se'.
Negli interventi che si sono succeduti credo sia emersa una contraddizione:
una domanda di radicalita' che non trova parole per dirsi e non riesce a
riconoscersi nelle parole prodotte dalle culture critiche, e al tempo stesso
la diffidenza verso la politica delle donne vista come rischio di deriva
intellettualistica o accademica che porta a rifugiarsi in certezze (penso
alle giovani ragazze inglesi e tedesche o del nordeuropa che reiteravano la
loro collocazione radicale, antagonista, antiliberista, anticapitalistica)
che fungano da antidoto a questa "fuoriuscita dal conflitto".
Il dibattito tra le italiane presenti e' stato certamente quello piu'
avanzato ma al tempo stesso poco capace di comunicare ad altre esperienze e,
credo, troppo segnato dalla valutazione del passato e dalla collocazione
rispetto ad esso.
I femminismi sono stati e sono anche un'esperienza diffusa, radicata e
concreta di critica della politica. Oggi che la politica torna nelle piazze
e torna ad acquisire una dimensione "di massa" mi pare abbia bisogno di
questa radicalita'.

9. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PERDITA
[Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani 1964, 1994, p. 240. Hannah Arendt
e' nata ad Hannover nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers;
l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in
Francia, poi esule in America. E' tra le massime pensatrici politiche del
Novecento. Docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di
attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei
diritti umani. Mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi
lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati,
per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione
italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del
totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958),
Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La
banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano;
Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso
La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi
di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto
interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e
politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La
corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo
1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1.
1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e'
la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, DTV, Muenchen 2000]
Se paragoniamo il mondo moderno con quello del passato, balza agli occhi in
tutta la sua evidenza la perdita di esperienza umana comportata da questo
sviluppo.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per con
tatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 483 del 21 gennaio 2003