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La nonviolenza e' in cammino. 461
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 461 del 30 dicembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Arianna Marullo, un contributo alla riflessione proposta da Giancarla
Codrignani
2. Enrico Peyretti, quasi un sillogismo
3. Benito D'Ippolito, cantata per Danilo
4. Luisa Muraro, i giochi del potere
5. Maria Luigia Casieri, cio' che sanno i bambini e le bambine
6. Pasquale Pugliese, la biciclettata nonviolenta a Reggio Emilia
7. Emanuel Anselmi, un libro di Vandana Shiva
8. Stefania Giorgi, un libro di Maria Rosa Cutrufelli
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. ARIANNA MARULLO: UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA
GIANCARLA CODRIGNANI
[Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo@tiscali.it) e' una delle piu'
autorevoli collaboratrici del Centro di ricerca per la pace di Viterbo;
dottoressa in beni culturali, lungo un decennio e' stata fondamentale
animatrice della forse piu' rilevante, appassionante ed innovativa
esperienza di solidarieta' concreta, di convivenza delle differenze, e di
promozione della dignita' umana che ci sia stata a Viterbo negli ultimi
decenni]
E' difficile esprimere in modo nuovo, forte, un concetto apparentemente
assodato quale quello secondo cui chi lotta contro la violenza non puo' a
sua volta esserne complice o esecutore; che il rispetto per la diversita', a
partire da quella di genere, e' il fondamento e l'arricchimento di questa
lotta.
Eppure che il movimento delle donne sia sottovalutato, visto in competizione
con lotte "piu' urgenti", "piu' importanti", "piu' universali", continua ad
essere una realta'.
Ammetto di aver pensato anch'io di restarmene zitta zitta ad ascoltare le
riflessioni generosamente offerteci sulle pagine del notiziario, un po'
perche' carente di preparazione specifica (forse ho contato un po' troppo
sul fatto di essere donna, e cosi' non ho letto alcuni dei testi-base
consigliati ai pacifisti uomini), un po' perche' non credo di aver nulla da
aggiungere a quanto gia' espresso cosi' bene da Giancarla Codrignani e Lidia
Menapace, nonche' da Giulio Vittorangeli.
Dal 1993 ho partecipato all'esperienza del centro sociale occupato
autogestito "Valle Faul" di Viterbo, centro sociale che ha maturato la
scelta della nonviolenza come forma di lotta.
A questa scelta credo abbia contribuito in modo determinante la presenza
forte di donne nel gruppo di gestione, ma che siano stati altrettanto
importanti il costante dialogo con il Centro di ricerca per la pace di
Viterbo, la partecipazione alle attivita' quotidiane del centro sociale di
una persona anziana e di una bambina, e gli attentati intimidatori diretti
contro il centro sociale.
La presenza femminile poneva un problema di metodo, la scelta di una forma
di lotta che fosse accessibile e congeniale a tutti, anche se piu' difficile
da praticare; cosi' abbiamo deciso di provare ad "attraversare i conflitti",
di cercare di costruire attraverso l'autogestione reali alternative al
modello sociale e politico dominante.
Tutto e' bene quel che finisce bene, dunque? Non proprio.
Prima di giungere a questa convinzione abbiamo visto il riproporsi di
culture e di forme di lotta che attingevano direttamente all'immaginario del
potere maschile "guerrigliero", proposto pero' non solo da uomini, ma anche
e con piu' forza da donne (il famoso "patriarcato di sinistra").
La scelta della nonviolenza inoltre per essere strumento di reale
cambiamento deve essere radicale, intima; forse il dominio della cultura
maschilista rimasto intoccato e' proprio l'intimo di ciascuno, nella piccola
violenza "domestica e amorosa" cosi' ben tratteggiata da Giancarla
Codrignani, ma che puo' e sa essere molto piu' sfumata.
E' senza dubbio vero che il cosiddetto "movimento dei movimenti" e'
completamente estraneo alle problematiche suscitate dalla relazione di
potere tra uomini e donne come sembra confermato dall'emergere di culture e
pratiche autoritarie e viriloidi al suo interno (e qui accolgo l'appello di
Giobbe Santabarbara di mandare in anno sabbatico i rappresentanti maschili),
come e' vero che anche i movimenti nonviolenti hanno poco esplorato le
tematiche di genere.
Credo sia ineludibile, oggi piu' che mai, per ogni movimento che voglia
impegnarsi per la giustizia e la pace accogliere e studiare le analisi
economiche, politiche, sociali e culturali fatte dal movimento delle donne
intorno alla globalizzazione, ma anche sui temi fondamentali della violenza
e della guerra (come diceva Gandhi).
2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: QUASI UN SILLOGISMO
[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa
attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in
questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente]
Chi ordina la guerra e' un assassino.
Chi l'approva, approva l'assassinio.
Chi la ripudia salva l'umanita'.
3. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA PER DANILO
[Ricorre oggi l'anniversario della scomparsa di Danilo Dolci, lo ricordiamo
con questa cantata scritta dal nostro collaboratore Benito D'Ippolito. Su
Danilo riproponiamo qui di seguito una relativamente sintetica ma accurata
scheda biografica scritta dal suo autorevole studioso - e suo e nostro amico
assai caro - Giuseppe Barone (e' il breve profilo comparso col titolo
"Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo,
Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002):
"Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel
1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini,
si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una
delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso
anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino
morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le
autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti,
come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza
Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e
mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono
anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono
incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con
centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a
riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per
la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena
occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per
consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della
Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e
di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico,
fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo
piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro
Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi,
Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si
moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero
(da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da
Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti
avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare,
sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario
e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina
verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare,
fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal
coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea
di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze
locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui
ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e
ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una
parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna,
rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E'
proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende
corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un
futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia,
che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno
strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di
acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo:
saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi
digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne
sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia
di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora
coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di
numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento
economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del
lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il
Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione
artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene
approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della
struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col
contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro
Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di
ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso:
muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e
dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre
societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di
ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso
la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della
"scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico,
propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei
rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul
"reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli
esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi
fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura
maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare,
legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina
del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un
infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie
residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della
sua vita"]
Giunse Danilo da molto lontano
in questo paese senza speranza
ma la speranza c'era, solo mancava
Danilo per trovarcela nel cuore.
Giunse Danilo armato di niente
per vincere i signori potentissimi
ma non cosi' potenti erano poi,
solo occorreva che venisse Danilo.
Giunse Danilo e volle essere uno
di noi, come noi, senza apparecchi
ma ci voleva di essere Danilo
per averne la tenacia, che rompe la pietra.
Giunse Danilo e le conobbe tutte
le nostre sventure, la fame e la galera.
Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse
e resuscito' in noi la nostra forza.
Giunse Danilo inventando cose nuove
che erano quelle che sempre erano nostre:
il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio
e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.
Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'.
Quando mori' resto' con noi per sempre.
4. MAESTRE. LUISA MURARO: I GIOCHI DEL POTERE
[Da Luisa Muraro, Oltre l'uguaglianza, in Diotima, Oltre l'uguaglianza. Le
radici femminili dell'autorita', Liguori, Napoli 1995, p. 112. Luisa Muraro
insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica
femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo"
riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici
figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore
(Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia
all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini,
ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto.
Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel
dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997"]
Qualunque sia la spiegazione che ci diamo, e' certo che i giochi del potere
che tanto assorbono gli uomini, esclusa una minoranza, alle donne, esclusa
una minoranza, risultano difficili e noiosi.
5. RIFLESSIONE. MARIA LUIGIA CASIERI: CIO' CHE SANNO I BAMBINI E LE BAMBINE
[Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac@tin.it) e' tra le principali
collaboratrici di questo foglio; insegna nella scuola dell'infanzia, ha
avuto esperienze come assistente sociale nell'emigrazione in Germania ed in
varie iniziative di solidarieta' e di volontariato; tra le promotrici del
Tribunale dei diritti del malato a Viterbo, e' stata per anni operatrice in
una casa-famiglia]
Penso che gli adulti abbiano perso molto della pregnanza dialogica del
corpo.
Perdere il proprio corpo e smarrirsi, smarrire il senso del se' e
dell'altro, significa infine, perdita di senso. Sottrarsi alle mani
dell'altro, sottrarsi alla carezza, perdere la nostalgia del corpo
dell'altro come desiderio di adesione e' perdita di senso.
Quel senso che e' costituirsi in identita' autonome e altre perche' in
relazione, e capaci di dialogo, di incontro, capaci di conoscere e
riconoscersi, di ascolto e di offerta, di se' e della propria storia.
Non c'e' pace senza corpo, perche' non c'e' relazione senza corpo.
Il corpo interpella, provoca, vibra d'emozione, comunica, accetta, rifiuta,
ignora, aggredisce, rassicura, risponde.
Come sanno bene le bambine e i bambini piu' piccoli il cui corpo e'
all'unisono con il sentire e il capire, con l'organizzare il pensiero e
agire i fantasmi piu' profondi.
Chi ha visto, come me, una bambina balzare in piedi e saltare di ripetuta
gioia per il salvarsi della principessa, chi ha visto i bambini e le bambine
colpire col pugno chiuso l'immagine del lupo sul libro di Cappuccetto Rosso,
chi ha visto un bambino avvinghiarsi all'amico e aderire a lui disteso sul
pavimento con tutta la pelle e fin con la lingua che continuava a leccarne
il volto, chi ha visto bambini diventare lupo o addomesticare il lupo o
ucciderlo, chi li ha visti muoversi alla musica come se fossero loro la
musica. Chi ha visto questo puo' capire come il bambino e la bambina
interpellino l'adulto in un rapporto autentico mediato nel contatto
corporeo.
Il corpo comunica il non detto, smentisce il mentire.
6. ESPERIENZE. PASQUALE PUGLIESE: LA BICICLETTATA NONVIOLENTA A REGGIO
EMILIA
[Ringraziamo Pasquale Pugliese (puglipas@intefree.it) per questo intervento.
Pasquale Pugliese e' impegnato nella Rete di Lilliput e nel Movimento
Nonviolento]
Premessa
Il Gruppo di azione nonviolenta (Gan) di Reggio Emilia si coaugula intorno
ad un campo di azione - stabilito dallo stesso Gan in una tappa del proprio
percorso formativo - legato alla violenza strutturale, diretta e culturale
del sistema di trasporti fondato sull'automobile. Violenza che si esplica
sia a livello micro, con le morti in citta' e provincia per incidenti
stradali e con le malattie per cause legate all'inquinamento atmosferico,
sia a livello macro, con la crisi ambientale e sociale del modello di
sviluppo, del quale l'automobile e' uno dei perni materiali e simbolici, e
con le guerre per il petrolio.
Obiettivo del Gan e' quello di costruire una campagna locale, finalizzata
alla trasformazione del sistema di trasporto privato in senso sostenibile e
nonviolento, da svolgere con metodo e tecniche della nonviolenza attiva.
Dopo aver svolto un'azione dimostrativa di tipo teatrale a giugno scorso -
necessaria soprattutto al gruppo per "provarsi" al termine del percorso
formativo - a settembre il Gan comincia a lavorare parallelamente sulla
costruzione della campagna, attraverso la fase dell'inchiesta preliminare,
e sull'affinamento del metodo di azione.
I venti di guerra che, dopo l'Afghanistan, soffiano sull'Iraq per ragioni
chiaramente legate all'appropriazione dei pozzi petroliferi, inducono il
gruppo a concentrarsi, sul piano dell'azione, proprio su questo tema.
*
Preparazione
Nella giornata di autoformazione condotta da Caterina Lusuardi e Fabiana
Bruschi, reduci dal campo di formazione per formatori di Pruno di Stazzema,
si decide il tipo di azione da svolgere: una biciclettata per le vie della
citta', con cadenza periodica, che espliciti il nesso tra l'uso privato
dell'automobile e le guerre per il petrolio, e si delineano le prime
caratteristiche dell'azione che verranno poi definite via via, negli
incontri successivi, in maniera piu' dettagliata.
Si tratta di un'azione nonviolenta di sensibilizzazione, che ha come
destinatari principali i cittadini contrari alla guerra che usano
abitualmente l'automobile - il cui obiettivo e' quello di esplicitare il
legame diretto tra il bisogno di petrolio delle societa' occidentali ed il
ciclo di guerre imperiali attuali - al fine di indurre alcune modifiche
nell'uso abituale dell'auto, proponendo l'alternativa della bicicletta.
Si decide che si avra' un punto base informativo dal quale si partira',
attraversando in fila indiana le vie principali del centro storico e quelle
a grande scorrimento, ed al quale si fara' ritorno; che la periodicita'
sara' quindicinale; che le bici saranno imbandierate e progressivamente
elaborate creativamente; che il messaggio esplicitamente ripetuto sara':
"Contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili".
Si decide di proporre la "biciclettata nonviolenta" sia ad altre realta'
reggiane, come l'associazione ciclo-ecologista Tuttinbici, sia ai Gruppi di
azione nonviolenta, ai nodi Lilliput ed ai movimenti nonviolenti del resto
d'Italia.
Si decide, infine, di creare degli "indicatori d'efficacia" che ci aiutino a
valutare in progress la riuscita della "progett/azione In bici contro la
guerra" rispetto agli obiettivi espliciti condivisi.
Negli incontri successivi si stila un "piano d'azione organizzativo", che
mette insieme le cose da fare con i nomi di coloro che le faranno, nel quale
si dettagliano ancora di piu' le azioni da compiere per arrivare pronti alla
data che viene stabilita per il 14 dicembre.
C'e' chi si assume il compito di stendere il documento del progetto e chi si
occupa dell'organizzazione dei ruoli e dello studio del percorso; chi tiene
i contatti con altri gruppi e associazioni e chi fa le ricerche della
documentazione da proporre ai cittadini (libri e dossier autoprodotti in
forma sintetica e approfondita); chi si occupa delle autorizzazioni e chi di
elaborare gli indicatori d'efficacia; chi, infine, dei mezzi di
comunicazione e dei volantini, e chi della messa a punto di biciclette,
bandiere e striscioni.
*
Azione
I ruoli da tenere durante la biciclettata sono liberamente scelti: due
persone staranno al tavolo a parlare con la gente, a distribuire i dossier
ed a vendere i libri; una ciclista aprira' la fila con lo striscione "Contro
le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili", ed uno chiudera'
con uno striscione uguale; un altro si muovera' al di fuori della fila, per
essere libero di osservare la situazione generale, verificare che tutto
proceda regolarmente, tenere i contatti tra la testa e la coda; atri
osserveranno le reazioni dei pedoni e degli automobilisti.
Finalmente, alle ore 9 del 14 dicembre, in una fredda e nitida giornata di
sole dopo settimane di pioggia e nevischio, i membri del Gan, circa dieci
persone, si trovano al luogo convenuto, piazza della Vittoria, decidono il
posto dove sistemare il banchetto e, per prima cosa, issano la bandiera
della nonviolenza - le mani che spezzano il fucile su campo arcobaleno -
sull'asta che regge il cartello che denomina la piazza.
Si sistemano sul tavolo i libri, i dossier, i volantini ed altro materiale
informativo, si recupera l'ultimo permesso all'ufficio del Comune, si
srotolano gli striscioni: il piu' grande avvolgera' il tavolo, gli altri
saranno fissati sulle due biciclette, alle quali e' stato applicato un
telaio in verticale, che apriranno e chiuderanno la fila.
Man mano che altri ciclisti arrivano, si sistemano le bandiere sulle bici ed
alla fine quasi ogni bicicletta avra' la sua bandiera della pace o della
nonviolenza issata su una lunga asta, una verde canna di bambu'.
Ai partecipanti esterni al Gan si distribuiscono le "istruzioni per la
biciclettata" dove sono indicate le dieci regole che tutti dovranno
rispettare.
Alle ore 10,30 si parte. Venticinque biciclette in fila indiana si muovono
lentamente e tutte le bandiere cominciano a sventolare: e' un serpentone
colorato di circa duecento metri che sguscia ordinatamente prima tra i tanti
pedoni del centro, poi nel traffico del sabato mattina, poi attraversa
l'incrocio principale della citta', quindi ritorna in centro, va a
circondare in segno di amicizia la manifestazione degli studenti che si
svolge in una piazza vicina ed infine torna al punto di partenza.
Tutto fila liscio ed e' molto bella e di grande effetto la teoria di
bandiere arcobaleno, baciate dal sole e agitate dal vento, che sventolano
incuneandosi silenziosamente nel traffico cittadino, non solo
automobilistico, prenatalizio.
La curiosita' suscitata tra passanti, automobilisti ed altri ciclisti e in
qualche caso l'apprezzamento esplicito ci inducono a ripetere il percorso
una seconda volta.
*
Valutazione
Nell'incontro di valutazione svolto dopo qualche giorno, oltre alla
soddisfazione generale per lo svolgimento complessivo dell'azione, si
evidenziano i punti deboli - hanno partecipato meno persone di quelle che i
segnali dei giorni precedenti lasciavano supporre, la stampa non si e' vista
o quasi, l'associazione Tuttinbici che pure aveva formalmente aderito era
praticamente assente, la piazza del punto base non e' molto frequentata al
mattino, gli striscioni erano poco leggibili, soprattutto quelli in
movimento - e si propongono le opportune modifiche, alcune gia' operative
dalla prossima volta.
Poiche' la guerra all'Iraq, da quello che e' dato sapere, sara' purtroppo
lunga, ci sara' tempo per mettere a punto l'organizzazione e facilitare il
passaggio del messaggio proposto. E l'efficacia complessiva della
progett/azione sara' valutabile solo su tempi lunghi ed in seguito alla
ripetizione del messaggio. A cominciare dai prossimi appuntamenti, 28
dicembre e 11 e 25 gennaio.
Infine, man mano che altre citta' dovessero decidere di avviare biciclettate
nonviolente (ed i primi segnali sono incoraggianti) non e' escluso che,
oltre a migliori rapporti con i mezzi d'informazione locale, si possa
cercare di accedere insieme ai mass-media nazionali.
7. SEGNALAZIONI. EMANUEL ANSELMI: UN LIBRO DI VANDANA SHIVA
[Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie@libero.it) e' un collaboratore del
Centro di ricerca per la pace di Viterbo, dottore in economia, gia'
obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi,
Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002]
Vandana Shiva e' una filosofa e scienziata indiana impegnata in campo
ecologico e sociale, per l'affermazione del diritto dei popoli a praticare
in modo autodeterminato un'economia che sia sostenibile e rispettosa delle
tradizioni locali e della dignita' dei popoli.
Uno dei suoi lavori piu' importanti e' Monocolture della mente (Bollati
Boringhieri, Torino 1995; traduzione di Monocultures of the Mind.
Perspectives on Biodiversity and Biotechnology, Zed Books, London 1993), nel
quale affronta il problema ambientale della perdita di diversita'
biologica - o, piu' brevemente, biodiversita' - che riguarda soprattutto il
Terzo Mondo, analizzando con lucida chiarezza le ragioni cui il fenomeno si
deve e criticando sistematicamente gli interventi che sono stati approntati
dagli organismi internazionali nel tentativo di limitarne le conseguenze
negative.
Per biodiversita' si intende la compresenza, all'interno di un certo
sistema, di una determinata varieta' di specie animali e vegetali, le quali
costituiscono, insieme con il proprio habitat, un ecosistema, ed e' il
carattere distintivo della natura e il fondamento della stabilita'
ecologica.
Il testo e' una raccolta di cinque saggi che sono stati scritti per
sostenere l'importanza fondamentale della diversita' biologica per la
sopravvivenza della specie umana, e per evidenziare come la perdita di
diversita' in natura possa assurgere a metafora della incapacita' di pensare
democraticamente da parte di chi detiene il potere di stabilire quali siano
le regole da seguire in ambito economico internazionale: quello che
l'autrice definisce "l'abitudine a pensare in termini di monocolture" (da
cui il titolo dell'opera) e' l'atteggiamento mentale tipico dei
rappresentanti della cultura tecnocratica occidentale, tendente ad
escludere, in termini di validita', qualsiasi modalita' di pensiero diversa
dal paradigma industrial-scientifico dominante nei paesi capitalisticamente
avanzati.
Shiva sostiene che la diversita' in ambito ecologico e' paragonabile alla
diversita' in campo intellettuale, che sarebbe rappresentata dalla capacita'
di ampliare gli orizzonti scientifici occidentali cosi' permettendo la
ricerca di alternative, che pur esistono ma di cui si percepisce invece la
assenza, data l'attitudine a misconoscere o sottovalutare i saperi diversi
dalla "cultura" dei paesi sviluppati.
*
Il primo saggio e' quello che da' il titolo al libro e l'autrice tenta di
dimostrare come le monocolture dapprima si insediano nel pensiero, mentre
successivamente invadono la pratica. L'intento di applicare i metodi,
ritenuti scientifici in Occidente data la loro capacita' di servire il
mercato, a realta' del tutto diverse da quelle in cui hanno avuto origine -
e cioe' il tentativo di globalizzare una tradizione locale, che e' nata in
un contesto capitalistico, diffondendola attraverso la colonizzazione
intellettuale - e' ritenuto distruttivo per gli equilibri ecologici e
sociali delle comunita' locali, che subiscono questo tipo di politica
portata avanti dai governi del Nord del mondo, in accordo con le grandi
imprese multinazionali e le agenzie internazionali per lo sviluppo.
In un tale contesto, l'insieme delle procedure e dei valori tradizionali
delle culture locali delle popolazioni investite dai miopi programmi di
sviluppo occidentali - precetti spesso cristallizzati in atteggiamenti
ritualistici o in tabu', ma che derivano da una profonda conoscenza del
proprio ambiente -, scompare di colpo, annullato dalla cultura dominante - a
sua volta espressione di una classe e di un genere dominante - che viene
trasferita sic et simpliciter ed applicata in un ambiente totalmente diverso
da quello in cui e' maturata, e incapace di condividerne i presupposti.
La "cultura" tecnocratica e industrialista di stampo capitalistico,
sviluppata in Occidente, tende da un lato a conferire alle esigenze
dell'economia reale il primato rispetto alle istanze di tipo politico, e
dall'altro pone la scienza al servizio dell'industria, cio' manifestandosi,
nel campo della biodiversita', nel tentativo di modellare la diversita'
della vita in base alle esigenze della catena di montaggio.
L'autrice porta ad esempio il caso dell'India e della cosiddetta
"Rivoluzione verde", espressione con la quale si e' inteso indicare il
tentativo da parte della Banca Mondiale di dare un impulso all'economia
indiana applicando precetti capitalistici a colture che, prima
dell'intervento, presentavano un elevato gradiente di sostenibilita' dato
appunto dalla presenza di diversita' biologica: questa pero' e' stata
perduta in seguito all'introduzione di colture intensive che utilizzano dei
semi miracolo, colture che hanno sostituito la diversita' con monocolture
adatte a servire il mercato internazionale, accompagnate dalla separazione
dell'agricoltura dalla silvicoltura.
Con questo sistema quindi l'integrazione multidimensionale che derivava
dalla coesione dei due apparati colturali - perfezionatasi durante centinaia
di anni ad opera di chi quelle regioni abita e lavora in assoluta armonia
con le regole dell'ecologia del posto, coscienti del delicato equilibrio di
ogni ecosistema - e' stata sostituita dall'integrazione tra le risorse
locali e i mercati non locali: l'approccio riduzionista della silvicoltura e
dell'agricoltura capitalista riduce la diversita' e la democrazia della vita
nei campi e nelle foreste al valore commerciale del "prodotto morto",
ricavato dallo sfruttamento antiecologico di quelle terre e vendibile sul
mercato internazionale.
La biomassa che un tempo poteva essere ricavata dall'applicazione dei
sistemi colturali tradizionali aveva molteplici scopi, come quello di
fornire - oltre al legname - cibo, foraggio e fertilizzante naturale per i
bisogni del luogo, rappresentando la base della vita economica ed associata
delle popolazioni locali, il cui primario obiettivo era il mantenimento
delle condizioni di rinnovabilita' del sistema, un sistema che e' ecologico,
ed economico nel senso pieno del termine; mentre con l'applicazione della
silvicoltura scientifica, elaborata in punta di matita dai tecnocrati
occidentali, cio' che la biomassa incarna come valore e' il solo legname che
puo' essere commercializzato, in un'ottica di massimizzazione del profitto
(questo si', realmente miracoloso) che, se da un lato riempie le tasche
delle multinazionali impegnate in questo commercio, dall'altro impoverisce
progressivamente le popolazioni del luogo, che si vedono sottrarre le basi
stesse della propria sopravvivenza.
L'errore di separare, per esigenze di mercato, cio' che in natura risulta
radicalmente unito ed autosostenibile nasce - oltre che dalla necessita' di
soddisfare una domanda anonima che mira ad ottenere, a prezzi vantaggiosi e
in maniera selettiva, cio' di cui ha necessita' (concetto del tutto
opinabile, ma che qui si da' per buono) - anche dall'ossessione economicista
di pretendere l'esatta quantificazione di tutto, sulla scorta del principio
positivista secondo cui "science is misurement", cioe' che la validita' di
una scienza dipende dalla sua capacita' di misurare gli elementi su cui basa
le proprie analisi ed i risultati conseguenti.
L'economia e' una disciplina che fa parte delle scienze sociali, non delle
scienze esatte, e, in virtu' di questo assunto, l'utilizzo della matematica
da' senz'altro un contributo notevole allo studio della materia, ma e' pur
sempre uno strumento; l'approccio teorico neoclassico, al quale si devono le
ricette neoliberiste applicate alle realta' eco-sociali tradizionali,
presenta la tendenza a rivestirsi di formulazioni matematiche eleganti che
per un verso - in modo piu' o meno involontario - rendono la materia
accessibile solamente a chi la vive in modo totalizzante, per l'altro hanno
il difetto di perdere contatto con la realta' e trascurare volutamente cio'
che non e' quantificabile perche' a carattere esclusivamente qualitativo.
Nel caso portato dalla Shiva, i vantaggi che derivano dalla reciprocita' in
un contesto di diversita' biologica, e cioe' l'ecologicita' dei sistemi
colturali tradizionali, non vengono nemmeno presi in considerazione in
quanto, non avendo un mercato - che e' per eccellenza il luogo deputato,
secondo il paradigma economico tradizionale, a tradurre numericamente
qualsiasi categoria -, non sono misurabili.
Tutto cio' in primo luogo. In secondo luogo, quando una misurazione risulta
pur possibile, il confronto tra colture avviene palesando una evidente
scorrettezza metodologica da parte delle autorita' che hanno voluto il
cambiamento di paradigma agricolo: la resa di una coltura omogenea ed
uniforme, diffusa nella realta' locale seguendo il nuovo criterio, viene
confrontata con quella della stessa singola varieta' che cresceva insieme
alle altre colture, in un contesto di diversita' biologica, e chiaramente
risultera' piu' alta la prima rispetto alla resa della stessa varieta' nel
secondo caso, dato il carattere estensivo dell'agricoltura scientifica.
Questa scelta metodologica e' evidentemente fallace: e' chiaro che la resa
di un campo coltivato interamente a grano e' maggiore di quella di un campo
diversificato, cioe' che oltre al grano presenta altre varieta' agricole, ma
cosi' non si tiene conto della resa delle altre colture - che vengono
considerate alla stregua di erbacce - le quali hanno un valore estremamente
importante per l'equilibrio ecologico e sociale del luogo.
*
La Shiva tiene a sottolineare che effettivamente cio' che di vantaggioso
c'e' in questo approccio teorico-pratico e' la possibilita' del controllo
della produzione e dell'esecuzione delle mansioni: non si tratta dunque
soltanto di massimizzazione del profitto legato al collegamento che viene ad
istaurarsi tra le risorse locali ed i mercati internazionali, ma anche del
potere che puo' essere esercitato dalle imprese impegnate
nell'agri-business.
La violenza ed il controllo erano gli strumenti privilegiati attraverso i
quali si e' proceduto al trasferimento, ai tempi coloniali, delle risorse
biologiche dalla periferia ai centri del potere imperiale (bioimperialismo,
secondo la definizione dell'autrice), e gran parte della ricchezza
dell'Europa si basa sulla sostituzione della biodiversita' con le
monocolture delle materie prime per l'industria del Vecchio Continente.
Oggi la violenza fisica non e' piu' praticabile come un tempo, ma il
controllo della biodiversita' del Terzo Mondo e' ancora la logica prevalente
dei rapporti tra Nord e Sud (cfr. il secondo capitolo: Biodiversita': un
punto di vista del Terzo Mondo), e cio' si estrinseca attraverso il
colonialismo intellettuale che impone l'ideologia di uno sviluppo informato
a criteri di efficienza industrial-capitalistica.
*
In questo scenario va anche considerato il rapporto che sussiste tra l'imple
mentazione delle biotecnologie e l'ambiente, argomento che viene sviscerato
nel terzo saggio presente nel libro.
Il potere tecnologico di questa relativamente nuova pratica ha il potenziale
di una pervasivita' superiore a quella di qualsiasi altra tecnologia del
passato, poiche' il suo potere supera la capacita' di usarne in condizioni
di sicurezza, dal momento che "ne' la flessibilita' della natura ne' quella
delle istituzioni sociali sono protezione sufficiente contro l'impatto
imprevisto dell'ingegneria genetica" (p. 93).
Attraverso il sistema dei brevetti pensato per il Nord, quest'ultimo e' in
grado di imporre il pagamento di tariffe per l'utilizzo delle nuove
tecnologie elaborate grazie all'espropriazione del materiale genetico
primitivamente posseduto dal Sud, il quale mai si e' visto indennizzare del
brutale processo di sfruttamento a carattere colonialistico subito per
secoli che ha portato ineguagliabili vantaggi in termini economici e
scientifici all'Occidente predatore.
La richiesta di definire esattamente i diritti di proprieta' intellettuale
ed il ricordato sistema di brevetti sulle biotecnologie, reclamati a gran
voce dall'industria statunitense e dal coro di economisti asserviti ad essa,
si diffonde puntualmente solamente dopo la piratesca spoliazione di materie
prime e di quanto e' stato possibile rapinare in tempi in cui nessuno si e'
mai fatto avanti cercando di proteggere i diritti di proprieta' delle
popolazioni che fornivano gratuitamente biodiversita' e cultura ecologica.
Il capitalismo del ventunesimo secolo vede le transnazionali del settore
procedere verso l'ottenimento della proprieta' privata di tutte le forme di
vita del pianeta.
Altro argomento prepotentemente messo in discussione dall'autrice e' il
luogo comune secondo il quale i brevetti stimolano l'innovazione: in
effetti, una conseguenza dell'imposizione dei diritti di proprieta' sui
sistemi viventi e' il mantenimento del segreto sulla crescita delle piante e
sulla ricerca genetica, e la limitazione degli scambi di materiale genetico;
tutto cio' e' in evidente contraddizione con la possibilita' di realizzare
scambi scientifici nella genetica delle piante, principio che e' alla base
della ricerca e quindi dell'innovazione; inoltre "la brevettazione della
materia vivente focalizza l'attenzione sui prodotti che favoriscono il
massimo di protezione da brevetto, non il massimo di benessere pubblico" (p.
119).
*
Nel quarto saggio l'attenzione della scienziata si concentra sull'esigenza
di puntare gli sforzi della comunita' scientifica internazionale sulle
possibilita' di dare vita a tecnologie rispettose dell'ambiente in generale
e della biodiversita' in particolare, la cui conservazione e' stata finora
considerata indipendente rispetto alle stesse tecnologie produttive.
I punti estremi dei processi tecnologici sono da un lato, al loro inizio, le
risorse naturali - che, insieme alla forza-lavoro, rappresentano i vincoli e
le fondamenta alle attivita' produttive dell'uomo, e percio' il limite di
cui sarebbe necessario avere coscienza in qualunque speculazione teorica - e
dall'altro, alla loro conclusione, i bisogni umani, la soddisfazione dei
quali costituisce il fine delle stesse attivita' dell'uomo; ma la mancanza
di conoscenza teorica di quegli elementi - o la loro cosciente epurazione in
vista della difesa degli interessi particolari o di classe - ha condotto
alla nascita di tecnologie assolutamente inadeguate in termini di
sostenibilita', ma del tutto adatte alla marginalizzazione di un numero
sempre crescente di persone ed alla concentrazione del potere e del
controllo sulle risorse.
Questo scenario determina il paradosso secondo cui i semi che si
autoriproducono - cioe' gli input agricoli interni, quelli che si ottengono
con i metodi colturali tradizionali ed ecocompatibili - vengono considerati
primitivi, mentre i semi inerti, prodotti in laboratorio dai tecnocrati
occidentali, che non sono in grado di riprodursi, venduti quali input
esterni rispetto ai processi agricoli, sarebbero prodotti finiti, entita'
giustamente mercificate in base alla logica del mercato capitalistico.
Si assiste allo "spostamento dal processo ecologico di riproduzione al
processo tecnologico di produzione, che provoca sia l'espropriazione dei
coltivatori sia l'erosione genetica" (p. 135).
Citando Gandhi, la Shiva insiste sulla necessita' di tecnologie appropriate
sia ai sistemi ecologici che ai bisogni delle persone.
*
L'ultimo saggio dell'opera e' una valutazione dal Terzo Mondo della
Convenzione sulla diversita' biologica (in appendice al testo), ideata a
Nairobi nel maggio 1992 e firmata al vertice della Terra di Rio de Janeiro
nel giugno dello stesso anno: essa rappresenta un tentativo di riconoscere
l'importanza del problema a livello internazionale, ma la sua stesura
ovviamente risente dei dettami della cultura e degli interessi occidentali.
Diversi sono i limiti che la Shiva individua nel testo.
Il primo e' che questo affronta adeguatamente il tema dei brevetti ma non fa
altrettanto per quello che concerne i diritti alla proprieta' ecologica ed
intellettuale delle popolazioni indigene e delle comunita' locali.
In secondo luogo, la Convenzione ritiene che la biotecnologia sia essenziale
per la conservazione della diversita' ed il suo uso sostenibile, ignorando
che le diverse specie esistono indipendentemente dalla tecnologia, ed e'
anzi quest'ultima che contribuisce alla rovina della biodiversita'.
Terzo limite e' quello di consentire il sistema di brevetti sulle risorse
viventi, occupandosi - come, e' stato detto, accade normalmente in un mondo
che si fa paladino del garantismo solamente dopo essere stato predatore -
solo dell'accesso alle risorse genetiche da raccogliere in futuro,
escludendo di fatto tutto il materiale genetico gia' rapinato.
Un altro limite e' di carattere terminologico e riguarda la particolare
attitudine di alcune parole - definite all'ultimo momento - ad essere
interpretate in modo favorevole agli interessi del Nord ("paese d'origine",
"condizioni in situ", "ecosistemi", etc.).
*
L'ordito teorico di Vandana Shiva rappresenta il punto di vista del Sud del
mondo e lo fa mostrando chiaramente una prospettiva ecologica che e' il
risultato di una inevitabile presa di posizione particolarista, che cioe'
guarda alla specificita' di ogni singolo contesto ambientale: non e'
pensabile poter sviluppare un'economia senza tenere conto degli equilibri
socio-ecologici dell'ambiente di riferimento.
La scienza economica, come altrove gia' auspicato, deve necessariamente
essere ripensata, liberandola dal sostrato ideologico che la ha sempre
caratterizzata quale scienza del principe, cioe' strumento del controllo e
di giustificazione dell'esistente; e va ripensata anche in vista della
inopportunita' e dell'anacronismo del credo che esige un sapere
parcellizzato, ossia frammentato in una miriade di discipline, per ciascuna
delle quali ogni "addetto ai lavori" finisce per essere una monade, che
tenta vanamente di interpretare il mondo insistendo a non guardare oltre il
proprio naso.
8. SEGNALAZIONI. STEFANIA GIORGI: UN LIBRO DI MARIA ROSA CUTRUFELLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 dicembre 2002. Maria Rosa Cutrufelli
e' una prestigiosa intellettuale, docente e saggista]
Si potrebbe descrivere Giorni d'acqua corrente (Pratiche editrice, pp. 187,
euro 13) come un libro di viaggi in sei capitoli, ma sarebbe una definizione
vera solo a meta'. L'altra meta', quella piu' profonda e significativa, e'
racchiusa nel sottotitolo: "Quando la vita delle donne diventa racconto".
Quello che ci propone Maria Rosa Cutrufelli, infatti, e' il diario di una
esplorazione inesausta di altri mondi attraverso la magia degli incontri.
Un'attitudine che forse le deriva dal quel primo, iniziatico viaggio che la
porto', bambina, a staccarsi dalla sua isola natale, la Sicilia. In
compagnia di tante donne e tanti uomini "costretti all'avventura, per viaggi
involontari che non avevano una durata certa e nemmeno, a volte, la certezza
dell'itinerario". Un'esperienza che si chiama emigrazione e che oggi ci vede
ancora protagonisti, ma a ruoli invertiti.
I giorni di acqua corrente, cantati da Federico Garcia Lorca, sono i giorni
del cammino che non si ferma, non dimentica e sogna. Andare. Tornare con il
dono del ricordo. Seguendo la rotta dell'ascolto e del dialogo, scegliendo
altre donne come compagne di viaggio e di esplorazione.
Perche' "le donne sono guide straordinarie, perche' i loro itinerari
permettono l'accesso alla quotidianita', ma anche alle faglie sotterranee
che spostano con movimenti impercettibili o con rovinosi terremoti l'asse
sociale". Donne che hanno affrontato vicissitudini lontane dalla nostra
esperienza e che si fanno traduttrici della propria cultura. Alla lettera la
traducono: la conducono oltre, ne forzano i limiti.
Sono voci e paesaggi che appartengono al passato - un arco temporale che si
dispiega dal 1981 al 1994 - ma che regalano inaspettati bagliori di luce sul
presente.
Il Nicaragua della rivoluzione sandinista, la Manila di Cory Aquino, la
Somalia delle donne in lotta contro l'infibulazione che si interrogano sul
destino di un'Africa spazzata dal vento impetuoso dell'islamizzazione.
Sono viaggi organizzati per presentarsi puntuale ad appuntamenti ufficiali,
come i primi incontri femministi dell'America latina e del Caribe, ma sono
anche partenze dettate da moventi segreti, non dichiarati. Come il "viaggio
sentimentale" insieme all'amica amatissima Gabriella per accompagnarla e
sostenerla nell'incontro con la madre dell'uomo conosciuto e amato
nell'esilio romano. Nel cuore umido di Bogota', attraverso lo skyline
mozzafiato della Cordigliera, fino a Medellin, la citta' dal clima piu'
dolce del mondo, la capitale delle orchidee che il narcotraffico ha
trasformato in un inferno.
Sono incontri con l'imprevisto che regala doni e soprese che hanno volti e
voci di donne. Quello di Giulia, piombata da una parrocchia delle campagne
venete nel cuore antico del Peru' per lavorare con gli indios. Di Rosa
Morales, segretaria della Confederazione dei pobladores, i contadini che,
negli anni della riforma agraria, occuparono le grandi proprieta' terriere,
maestosa nella coloratissima Ruana da India. Di Daabo Farah Hassam, preside
della facolta' di lingue di Mogadiscio che racconta il suo viaggio, alla
ricerca delle tracce di un'altra storia, a scoprire sul suolo arido della
Somalia le orme delle donne che l'hanno preceduta. Quelle che un tempo, in
ogni accampamento nomade, "sceglievano un grande albero e lo chiamavano
l'albero di Eva e Faduma (le sorelle di Maometto) o delle sitaad, l'albero
delle 'signore'. Alla sua ombra, ogni settimana, si ritrovavano per parlare
e denunciare attraverso il canto i torti e le ingiustizie di cui erano
vittime". Una voce ancora udibile nella parola che continua a esprimere la
necessita' di un aiuto fra donne: xaawalay, quelle dalla parte di Eva.
Sono ritratti nitidi e folgoranti che si susseguono. Di Jane, tra le sedici
prostitute filippine fondatrici dell'associazione che si batte per i diritti
delle sex workers nei locali per turisti e che si chiama Sinang, parola che
in lingua tagalog significa luce. O di Nelia Sancho, magnifica ex reginetta
di bellezza che si occupa di diritti umani e ha conosciuto la galera sotto
il regime di Marcos, impegnata in un'organizzazione di donne che porta il
nome di un'eroina dell'800 che combatte' la guerra di resistenza contro gli
spagnoli, "Gabriela". O di Fatima, presenza protettiva contro le ombre
minacciose dell'integralismo di un'Algeri sospesa nel coprifuoco e poi
compagna di viaggio fino al cuore del Sahara, in quella striscia di deserto
concessa ai profughi sahrawi. Dove Sinnia, unica donna nella direzione
nazionale del Polisario, confessa la sua piu' grande preoccupazione: "La
guerra ha obbligato gli uomini a chiedere la nostra partecipazione. Ma non
vogliamo che si ripeta la storia di sempre: in prima linea durante la lotta
di liberazione, e dopo...".
L'acqua corrente e' dunque la vita di tutte queste donne - e, a fine
lettura, resta il desiderio di sapere dove sono, cosa fanno, come continuano
a costruire, tessendo reti, incontri -, un corpo a corpo indomito con le
regole di un mondo che le vorrebbe piegare, plasmare. Senza riuscirci.
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 461 del 30 dicembre 2002