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I paradossi di Telethon
FONTE: www.superabile.it
I paradossi di Telethon
Nuovo record di promesse, la raccolta fondi in favore della ricerca per
debellare le malattie genetiche supera di slancio il rischio Euro e il
momento sociale difficile, confermandosi leader in Italia come meccanismo
per reperire ingenti somme di denaro. Tutto bene dunque? Dipende dai punti
di vista.
di Franco Bomprezzi -
Per la prima volta ero al di qual del tubo catodico. Per anni sono stato
li'. In prima linea. A parlare nei ritagli di tempo, a buttare nell'etere
qualche piccolo messaggio quasi subliminale (cultura della disabilita',
diritto a una vita senza aggettivi, si' alla ricerca ma anche attenzione a
chi vive oggi le conseguenze di una malattia genetica, e cosi' via...). Per
cause di forza maggiore sono stato solo uno spettatore, come alcuni milioni
di italiani. E ho visto (a pezzettini) questa lunga maratona televisiva,
con l'occhio non neutrale di chi conosce bene i retroscena, le trattative
estenuanti fra chi organizza Telethon tutto l'anno (ossia il Comitato
Telethon, che poi di fatto utilizza e assegna i fondi raccolti,
distribuendoli, attraverso il verdetto imparziale e autorevolissimo di una
incredibile commissione scientifica internazionale, autentico vanto per il
nostro arruffone Paese, fatto di amici degli amici) e la Rai, che
nell'ultimo mese prende in mano le redini del palinsesto e impone la
propria cultura, fatta di minutaggi, e di scalette da rispettare, e di
cantanti, e di spettacoli, e di pubblicita', e di collegamenti difficili, e
di gelosie tra reti, e tra singoli programmi, e di professionalita' mandate
a volte allo sbaraglio, seguendo solo un canovaccio il cui leitmotiv e' uno
solo: battere cassa.
Ho visto dunque un meccanismo perfezionato fino alla noia. Un tormentone la
cui continuita' era assicurata dallo scorrere ossessivo di un serpentone
con il logo di Telethon (sempre piu' ingombrante e ingestibile, nato troppi
anni fa per essere attuale) dentro al quale, come se si trattasse delle
breaking news della Cnn, continuavano a essere ripetute le cento modalita'
di versamento (carta di credito, telethon card, 187, Poste, Ferrovie, Bnl,
Autogrill, Uildm, Sms...di tutto di piu'). Questo filo conduttore distraeva
alquanto dai discorsi che si avvicendavano sul piccolo schermo, reso fin
troppo piccolo proprio da questo serpentone, ma era chiaro che il fine
ultimo non erano i contenuti, ma il messaggio. Mai come in questo caso il
tubo catodico e' stato un medium, un 'servizio pubblico', ossessivo,
ritmato, scandito senza pause.
I discorsi erano condotti con voce sempre professionale e chiara da una
bravissima Milly Carlucci, quasi robotica nel suo evitare qualsiasi
cedimento alle emozioni. Una lezione assai diversa dall'occhio lustro e
dalla voce afona di uno stanchissimo Giletti (al quale eravamo abituati
fino a due anni orsono). Tutto attorno, indifferentemente, si muovevano
sponsor (tanti, troppi, e molti fra loro assai poco telegenici, tranne la
mitica e bravissima Luisa Rovida), scienziati (incapaci di sintetizzare in
due minuti un messaggio forte e chiaro, come se non fossero, in realta',
abituati a partecipare ai congressi internazionali, nei quali lo 'speech'
non supera quasi mai i dieci minuti), famiglie (stralunate e impallate
dalla telecamera - con bambini indifferenti, belli e grassottelli - ma non
in grado, quasi mai, di comunicare con efficacia come hanno vissuto il
passaggio dal dramma della malattia alla speranza della ricerca),
testimonial dello spettacolo e dello sport (disponibili, docili, ma alle
prese con problemi di vocabolario, spesso incapaci di superare i due
concetti in fila, su solidarieta', ricerca, testimonianza, controllo della
trasparenza, eccetera). Lo spettacolo, con alcuni sgangherati collegamenti
con troppe piazze intirizzite dal freddo, e' da dimenticare, come ogni
anno, nonostante la buona volonta' di tutti.
Eppure, nonostante tutto, Telethon fa centro, e supera ogni record.
Perche'? Semplice. Perche' la raccolta fondi, nel momento in cui inizia la
maratona Rai, e' gia' largamente conclusa, perche' la Bnl e gli altri
sponsor, grazie al lavoro di altissima professionalita' dei manager di
Telethon, e' praticamente gia' fatto e incassato, in mesi di certosini
contatti di marketing (fenomenale l'accordo con il gruppo Rcs, con
Autogrill, con le Ferrovie, solo per citare alcuni esempi). Alla Rai resta
il compito di cucire il tutto e di celebrare il rito della maratona,
officiandolo con solennita' e turgore, ostentando buoni sentimenti e sforzi
ginnici, svelando il miracolo finale della moltiplicazione dei pani e dei
pesci (il numeratore che sale nelle ultime ore vorticosamente, perche' in
realta' in quel momento si incassano i milioni di Euro gia' raccolti nelle
piazze e nelle banche). Ovvio che le promesse vengono mantenute dagli
italiani. L'unica variabile infatti e' rappresentata da Telecom, ossia dal
187, dalle promesse telefoniche durante il programma (anche Cartasi' e'
parzialmente un'incognita, e infatti Luisa Rovida soffre e scalpita perche'
non vuole fare brutte figure, con un sistema di offerta che sarebbe
semplicissimo, ma che cozza con l'avarizia degli italiani, altro che
generosita'...).
Telecom quest'anno ha messo in campo, dopo Omnitel (abbandonata da Telethon
dopo solo un anno di esperienza) una squadra fortissima di operatori e di
mezzi di comunicazione. Ma ha prodotto una pagina pubblicitaria che per me
e' stata un pugno nello stomaco (lo dico ora, a maratona finita, per non
creare inutili danni): non si puo', alla vigilia del 2003, giocare ancora
con il simbolo internazionale delle persone disabili, quell'omino
stilizzato in carrozzina, e azzardare uno slogan indecente come «Aiutaci a
mettere in piedi un sogno». Neppure Gesu' con Lazzaro era arrivato a tanto.
E molte persone disabili, me compreso, vivono benissimo in carrozzina, pur
augurandosi i migliori successi per la ricerca sulle malattie genetiche.
Sacrificare sull'altare della raccolta fondi - utile e necessaria,
purtroppo - anni di battaglie di comunicazione corretta sul valore delle
persone con disabilita' non e' consentito a nessuno, neppure se l'errore
avviene per fretta e in buona fede.
Il paradosso televisivo di Telethon e' dunque questo: la realta'
professionale di fund raising (ossia di raccolta fondi) di Telethon e'
eccellente, e consente alla ricerca italiana, nel vuoto dei finanziamenti
pubblici, di essere competitiva (e in ogni caso, in un Paese moderno, e'
giusto e compatibile che esistano 'charities' di tipo anglosassone, ossia
organizzazioni private che spingono i cittadini ad una solidarieta' attiva,
informata e responsabile, non basata solo sul pagamento delle tasse).
Nello stesso tempo Telethon da solo, pur essendo altamente efficiente e
corretto (vedi Oscar di Bilancio del non profit) non potrebbe conseguire il
risultato di raccolta fondi che ogni anno riesce ad ottenere se non
attraverso il meccanismo della collaborazione con la Tv (di Stato o
privata, ormai, come sappiamo, fa poca differenza). E questo perche' i
diversi attori della maratona sono motivati (piu' o meno coscientemente)
dalla gratificazione dell'apparizione mediatica, unica vera giustificazione
di un investimento cospicuo, il cui ritorno, come e' noto, in termini di
effetti della ricerca, e' dilatato nel tempo, e a volte e' perfino aleatorio.
Dunque il meccanismo di Telethon, nonostante le affermazioni del presidente
della Camera, Pierferdinando Casini, non e' la tivu' che amano gli
italiani. Anzi. E' una specie di via crucis attraverso la quale non si puo'
non transitare se si vuole ottenere quel risultato. Non esistono
alternative. Ma tutto questo ha ben poco a che vedere con l'informazione
scientifica e con l'informazione sociale.
È evidente a tutti che basterebbe un bel programma in prima serata,
condotto da Piero Angela e dalla Gabanelli, per avere contemporaneamente il
polso dei risultati della ricerca scientifica e della trasparenza della
raccolta fondi. Questo programma, ancora, non c'e', e se ne sente la
mancanza. Ma e' evidente che il meccanismo di Telethon (ultimo e clamoroso
paradosso) funziona bene solo perche' e' unico e irripetibile. Se ogni
settimana ci fosse una maratona per una buona causa civile e umanitaria, il
giocattolo si romperebbe, e la Rai non potrebbe permettersi di proseguire
lungo questa strada.
Invece cosi' la Rai (e questo e' un errore di valutazione gravissimo)
conteggia Telethon nella propria quota di informazione sociale e legata al
terzo settore, scatenando cosi', inevitabilmente, le gelosie e l'ostilita'
di tutti gli esclusi, comprese quelle associazioni di malattia genetica che
pure, apparentemente, sono i destinatari della maratona.
Ma chi ascoltera' queste osservazioni?