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La nonviolenza e' in cammino. 447
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 447 del 16 dicembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Franca Bimbi, cinque domande contro la guerra (un contributo alla
riflessione proposta da Giancarla Codrignani)
2. Antonio Vigilante, un contributo alla riflessione proposta da Giancarla
Codrignani
3. Una lettera aperta al presidente della Commissione Europea
4. Laura Genga, l'Europa neutrale delle donne
5. Giannozzo Pucci ricorda Ivan Illich
6. Yosano Akiko, senza paura del buio
7. Riccardo Orioles ricorda Antonino Caponnetto
8. Madame de Sevigne': addio alle foglie
9. Riletture: Sergio Albesano, Storia dell'obiezione di coscienza in Italia
10. Riletture: Murray Bookchin, Democrazia diretta
11. Riletture: Barry Commoner, Virginio Bettini, Ecologia e lotte sociali
12. Riletture: Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi
dell'esperienza religiosa contemporanea
13. Riletture: Gianfranca Pochettino (a cura di), I senza fissa dimora
14. Riletture: Maria Teresa Tavassi La Greca, Cosa leggere
sull'emarginazione sociale
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. FRANCA BIMBI: CINQUE DOMANDE CONTRO LA GUERRA (UN CONTRIBUTO
ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI)
[Ringraziamo Franca Bimbi (per contatti: e-mail: franca.bimbi@unipd.it;
sito: www.francabimbi.net) per averci inviato questo suo densissimo
intervento del 1992 (pubblicato allora nella rivista della Commissione pari
opportunita' del Veneto, di cui l'autrice era all'epoca presidente) come
contributo al dibattito proposto da Giancarla Codrignani con la sua "lettera
ai pacifisti dimezzati" apparsa come editoriale del n. 437 di questo
notiziario. Franca Bimbi e' docente universitaria e parlamentare, tra le sue
pubblicazioni recenti: (a cura di, con Alisa Del Re), Genere e democrazia.
La cittadinanza delle donne a cinquant'anni dal voto, Rosenberg & Sellier,
Torino 1997; (a cura di, con M. Carmen Belloni, presentazione di Massimo
Cacciari), Microfisica della cittadinanza. Citta', genere, politiche dei
tempi, Angeli, Milano 1997; (a cura di, con Rita D'Amico), Sguardi
differenti. Prospettive psicologiche e sociologiche della soggettivita'
femminile, Angeli, Milano 1998; "L'Italie. Concertation sans representation"
(con Vincent Della Sala), in Jane Jenson, Mariette Sineau (sous la direction
de), Qui doit garder le jeune enfant? Modes d'accueil et travail des meres
dans l'Europe en crise, L. G. D. J., Paris 1998; "Measurement, Quality, and
Social Change in Reproduction Time. The Twofold Presence of Women and the
Gift Economy", in Olwen Hufton, Yota Kravaritou (eds.), Gender and the Use
of Time / Gender and Emploi du Temps, European University Institute, Centre
for Advanced Studies, Firenze, Kluwer Law International, 1999; "The Family
paradigm in the Italian Welfare State", in Gonzalez Maria Jose', Jurado
Teresa, Naldini Manuela (eds.), Gender Inequalities in Southern Europe.
Women, Work and Welfare in the 1990s, South European Society & Politics,
4/2, Autumn 1999; (a cura di) Madri sole. Metafore della famiglia ed
esclusione sociale, Carocci, Roma 2000; (a cura di, con Cristina Adami,
Alberta Basaglia, Vittoria Tola), Liberta' femminile e violenza sulle donne,
Angeli, Milano 2000; (a cura di, con Ruspini Elisabetta) "Poverta' delle
donne e trasformazione dei rapporti di genere", in Inchiesta, 128,
aprile-giugno 2000; (a cura di), Sex Worker. Reti sociali, progetti e
servizi per uscire dalla prostituzione, Aesse, Roma 2000; "Prostituzione,
migrazioni e relazioni di genere", in Polis, 1, 2001; "Violenza di genere,
spazio pubblico, pratiche sociali", in C. Adami, A. Basaglia, V. Tola (a
cura di), Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi, Angeli,
Milano 2002]
Volendo muoversi nella direzione di gesti disarmati di solidarieta' verso le
donne e le popolazioni che subiscono la morsa della guerra, ci sembra
necessario fondare la nostra azione su una specifica riflessione al
femminile, con la pretesa di offrire al dibattito piu' i nostri dubbi che un
bagaglio di sicurezze acquisite.
Mi sono posta cinque domande: quelle che, probabilmente, agitano ciascuna di
noi.
*
1. La guerra e' un'attivita' sociale sessuata?
Anche nel dibattito pacifista c'e' un silenzio.
Tra le tante riflessioni che sostengono il "folle" buon senso delle
politiche di pace, contro le tante e diverse "razionali" logiche delle
politiche della guerra, manca una osservazione empirica fondamentale. La
guerra e', ancor oggi, un'azione sociale quasi del tutto maschile.
Istituzionalizzata al maschile. Inoltre, piu' in generale i ruoli
tradizionali femminili e maschili riemergono nella guerra.
Le donne e gli uomini nati nel secondo dopoguerra costituiscono forse la
prima generazione di persone per le quali il sacrificio femminile nella
maternita' e quello maschile per la patria non hanno rappresentato ideali
pubblici indiscutibili. Tuttavia la televisione ci mostra ossessivamente
ogni giorno come la polarizzazione dello stile del genere maschile attorno
all'aggressivita' e di quello femminile attorno alla sofferenza subita non
siano per nulla scomparsi dall'orizzonte della civilizzazione. Il "caso
estremo" della guerra, o meglio delle guerre, ci appare ormai come motivo
della vita quotidiana.
Nel quotidiano della guerra le donne sembrano riemergere esclusivamente come
madri, immagini della cura e della salvaguardia della vita; gli uomini come
guerrieri e immagini delle strategie di distruzione. Come se l'identita' di
genere si fosse cristallizzata attorno a queste due sole possibili figure.
Dal dopoguerra, soprattutto l'Olocausto e la Bomba sembravano aver
definitivamente cancellato un modello di civilizzazione fondato sull'uso
della forza fisica e della guerra, in passato intesi come principi positivi
di regolazione dei conflitti privati e pubblici e come contesti di esercizio
delle virtu' legate alla figura sociale dell'eroe. Oggi possiamo osservare
come il soldato-cittadino, modellato sui valori della fraternita' e della
estrema legittima difesa, appaia altrettanto capace di ferocia dei suoi
predecessori, gli eroi della morte.
Sembra riattualizzarsi l'osservazione di Claude Levi-Strauss: "Quando
consideriamo attivita' meno fondamentali dell'allevamento dei bambini e
della guerra, diventa sempre piu' difficile discernere fra le norme che
governano la divisione del lavoro tra i sessi" (in Razza e storia e altri
studi di antropologia, Einaudi, Torino 1967, p. 165).
Nel dibattito pacifista di oggi manca una interrogazione sull'identita'
maschile. Nel senso che anche per uomini civilizzati resta aperto il
problema del rapporto tra la costruzione sociale dell'identita' e
l'istituzionalizzazione dell'aggressivita'.
Allora nel dibattito sulla guerra e' implicito che le donne siano pacifiste
"per natura"?
*
2. Le donne sono pacifiste per "natura"?
Nell'immaginario collettivo codificato la madre tradizionale sopporta anche
l'estrema sconfitta (la morte) facendosi simbolo sociale dell'espressione
del lutto. Inoltre per le donne la morte e' stata tradizionalmente inserita
nella banalita' del quotidiano ed ha assunto rilevanza in base al legame
affettivo-parentale (indipendentemente dal "valore" di chi muore). Per di
piu' la morte, nel senso del dare la vita per l'altro, e' stata un contenuto
per lungo tempo consueto dell'esperienza femminile del mettere alla luce un
figlio, sia come rischio che come possibilita', senza bisogno che il morire
dovesse assumere un significato trascendente: la nascita, esito "banale" del
parto, compensava socialmente la morte della madre.
Al contrario, nel modello eroico maschile la morte ha valore a due
condizioni: che sia straordinaria, cioe' non legata al flusso quotidiano del
riprodursi della vita e che non implichi la sconfitta del singolo, ma anzi
ne segni la possibile glorificazione. Il dare la vita e' rappresentato al di
fuori della banalita' quotidiana, puo' esser positivo solo in quanto
rappresenta la trascendenza della propria vita concreta. Per il resto
uccidere ed annullare l'avversario risultano valori strumentali supremi;
questi sono i segni della supremazia collettiva, contro il male
rappresentato per definizione dall'alterita' del nemico.
Nella figura dell'eroe vita e morte appaiono due valori inconciliabili ed
opposti, cio' che non e' in quella della madre.
Tuttavia il rapporto delle donne con la protezione della specie e la
salvaguardia della vita puo' essere inteso in molti modi.
Si puo' pensare che le donne "normali" siano "biologicamente" esentate
dall'aggressivita' nelle sue forme piu' estreme, a causa della loro funzione
materna. Questa prospettiva pare oggi poco sostenuta. Ma forse e' ancora
largamente implicita nei nostri modelli culturali.
Dobbiamo ammettere che la figura della madre nelle guerre agisce normalmente
come difesa disarmata verso l'esterno (il nemico), e come complice interna
(verso il soldato).
Proviamo ad immaginare un altro possibile scenario. Le donne serbe o croate
o bosniache che si incamminano con i bambini verso i villaggi nemici
attaccati portando pane e coperte. Proviamo a pensare a uomini validi e
vecchi guerrafondai che non trovano pronta la cena. A una madre, una sorella
o un'amante che non crede all'innocenza del "suo" guerriero. In realta' la
figura della madre non comprende che raramente scenari di questo tipo.
Hannah Arendt spiega come la logica della "banalita'" del male spezzi anche
le piu' forti tradizioni di solidarieta', di pieta' e di compassione
reciproca. Tuttavia la figura tradizionale della madre di per se'
rappresenta piu' la sofferenza e la permanenza della cura che un'opposizione
alla guerra.
Un'altra ipotesi e' che l'istituzionalizzazione tradizionale delle donne
nella protezione della specie e nel lavoro di cura le renda ancor oggi, nei
conflitti, sia piu' capaci che piu' sensibili rispetto alla elaborazione
della cooperazione sociale, piuttosto che a quella dell'aggressivita' e
delle spinte competitive.
Credo che su questo possa esserci un largo accordo, sia tra le donne che nel
dibattito culturale contemporaneo.
Tuttavia bisogna osservare come queste capacita', nella guerra, nella vita
quotidiana, nella famiglia e nella vita politica, sono utilizzate
soprattutto per sostenere il lavoro massiccio delle donne nella riproduzione
dell'esistenza, mentre le mantengono ancora fuori dalle aree di decisione.
Se davvero ci fosse riconoscimento sociale di maggiori capacita' femminili
nel mediare i conflitti, vedremmo sedere piu' donne nei luoghi della
negoziazione diplomatica e nelle commissioni sui crimini di guerra; avremmo
piu' spazio per la leadership femminile anche nei movimenti pacifisti.
Il che non e'.
Per ora sembra trattarsi di un riconoscimento piuttosto ambiguo di virtu'
socialmente deboli, per quanto ritenute necessarie. A tal punto che alcune
donne hanno cominciato a pretendere pari opportunita' rispetto al servizio
militare ed alla guerra.
*
3. Il soldato-donna o la donna-soldato: le pari opportunita' nel fare la
guerra?
Su questo versante si sono osservati processi di cambiamento, per quanto
controversi. Nella guerra del Golfo, dalla parte dei piu' forti, abbiamo
visto come l'estrema traduzione del corpo umano in protesi pensante della
macchina bellica abbia reso possibile una neutralita' delle differenze di
genere, rivendicata nel senso delle pari opportunita' dalle donne-soldato
Usa. Al contrario, nella vita quotidiana delle soldatesse erano presenti i
simboli della femminilita' tradizionale, legata ad un corpo stilizzato
attraverso la fragilita', la dolcezza e la seduzione (i pelouches, gli
oggetti di trucco, le rose apparse nelle foto d'agenzia).
Melissa fatta prigioniera ci e' apparsa come un corpo di donna in mezzo alla
guerra: per scelta. Personalmente l'ho sentita piu' lontana di qualsiasi
soldato, perche' essa (e non "loro", i maschi) mi ha strappato alla mia
estraneita'. Mi sono chiesta allora se, prigioniera, avrebbe ritrovato le
ragioni di una estraneita', che aveva perduto e fatto perdere a tutte noi.
Ma le rivendicazioni di pari opportunita' nella guerra espresse
esplicitamente dalle soldatesse americane e gia' in parte riconosciute
quest'anno ci hanno tolto ogni illusione in merito.
Nel caso della guerra del Golfo c'e' stata anche l'ironia della sorte, per
la quale partite da guerriere con un test di gravidanza negativo, e
abilitate percio' al lavoro di collaborare ad uccidere, infine, in molte si
sono trovate incinte. Se si e' trattato di gravidanze "involontarie", quale
astuzia del corpo e quali profondi messaggi della mente! Se ci sono state
scelte calcolate, dalla soldatessa emerge allora un misto di saggezza e di
pena per se stessa: per la guerriera che e' partita da lontano, e, nel
Golfo, in mezzo ad un tipo di estraneita' mai sperimentata prima, ha
ritrovato, nel bene o nel male, una parte sommersa di se'.
Ma le Melissa sono anche cittadine di un paese dove la democrazia, il
pacifismo, l'attenzione alla differenza sessuale si possono dichiarare a
voce alta; dove e' possibile essere cittadine ed assieme dichiararsi
estranee alle macchine per la guerra.
Le donne Marines che rivendicano le pari opportunita' nell'uccidere e nel
fare carriera nell'esercito e le donne Usa che sono finite in carcere come
obiettrici di coscienza hanno cambiato il nostro rapporto col maschile che
va sempre alla guerra: perche' non e' piu' cosi' solo.
L'estraneita', nella quale Virginia Woolf ci ha ammaestrate, non appare piu'
pensabile allo stesso modo.
L'obiezione di coscienza riporta ad un possibile diritto all'estraneita'. Se
dovessi spendere una ghinea, dunque, la spenderei per questa scelta. Poter
scegliere tra due diritti rende piu' facile capire anche il diritto
femminile a fare la guerra.
Esiste anche la figura di Antigone, che ci offre la possibilita' di pensare
in altro modo ad altre regole di giustizia, al di la' delle leggi scritte,
della tradizione materna e delle possibili pari opportunita'.
Creonte sostiene che la guerra puo' sospendere tutte le regole, tranne la
sua legge (del vincitore), mentre Antigone sostiene che ci sono leggi che,
esse si', possono sospendere la guerra e la legge del vincitore. La pieta'
e' una legge superiore che anche il vincitore deve riconoscere. Questo tema,
della presenza attiva dell'etica anche nella guerra, avvicina il pensiero
femminista e quello pacifista.
Sara' un caso che Antigone sia pensata donna e sorella?
*
4. Le donne: popolo, nazione, patria e stato. Quali ambiti di
riconoscimento?
Le guerre di popolo fanno differenza? Sino a che punto si puo' parlare, qui,
di legittima difesa?
Non trovo risposte facili, perche' non so che scelta farei all'occorrenza.
Vorrei pero' affrontare queste domande dal punto di vista delle donne.
All'origine del totalitarismo troviamo la sovrapposizione tra popolo,
nazione, patria e stato, fondata sulla rilevanza degli aspetti etnici
dell'identita' rispetto a tutti gli altri fattori di identificazione sociale
e politica (e' l'esperienza del nazionalsocialismo). Ma ci sono anche regimi
totalitari che si fondano sulla negazione dell'identita' dei popoli, per
l'affermazione violenta di una sintesi statale sovranazionale (e' lo
stalinismo).
La prima sovrapposizione era gia' stata designata come "processo di
balcanizzazione"; la seconda come "politica imperiale di annientamento". A
quanto pare continuiamo ad oscillare tra questi due poli.
Il federalismo sembra riaffacciarsi come possibilita' di mantenere assieme
l'eguaglianza tra nazioni sovrane, contenuta nell'idea di uno stato
federale, e la differenza delle identita', richiesta dall'idea di popolo.
L'identita' linguistica e delle tradizioni culturali e' fondante del
concetto di popolo. Da questo punto di vista non puo' essere indifferente la
comune connotazione della lingua di appartenenza come lingua materna.
L'identita' di popolo sembra allora avere a che fare con la storia al
femminile.
Tuttavia, anche all'interno dello stesso popolo, le donne sposandosi perdono
il nome familiare e percio' una parte importante della loro identita'
risulta normalmente negata. Percio' per esse ogni matrimonio potrebbe essere
considerato un matrimonio misto, in cui parte della identita' femminile
costitutiva si perde, grazie soprattutto al fatto che si mettono al mondo
figli, i quali prendono nome da una famiglia diversa da quella che segna le
origini materne.
Un popolo puo' essere anche disperso in molte nazioni. Anche l'appartenza ad
una nazione e ad una patria, in senso territoriale, contraddice l'esperienza
femminile della mobilita' matrimoniale: normalmente sono le donne a perdere
il loro territorio col matrimonio. Dal punto di vista del territorio le
donne fanno spesso matrimoni misti.
Per quel che riguarda lo stato, la contraddizione con la storia delle donne
e' ancora piu' radicale: sposandosi esse perdono spesso la cittadinanza, non
sempre la possono trasmettere ai figli, spesso restano straniere nella casa
del marito.
Tuttavia potremmo osservare che i matrimoni misti sono la base sociale della
pacificazione tra i popoli. Per quanto il nome, o la lingua, o il territorio
o la cittadinanza materna vengano tacitati o negati, le popolazioni si
alleano socialmente attraverso matrimoni misti. E nonostante le donne si
vedano spesso socialmente discriminate nello scambio matrimoniale, tuttavia
esse, piu' degli uomini, difendono i matrimoni misti, in nome della
maternita', o meglio in nome della nuova societa' multiculturale che i figli
rappresentano.
Levi Strauss ce lo ricorda: "l'umanita' si rese conto molto presto che, per
potersi liberare da una selvaggia lotta per l'esistenza, doveva scegliere
molto semplicemente fra lo sposarsi fuori o morire fuori" (Ibidem, p. 169);
"i sistemi di parentela e le regole matrimoniali... applicazioni di quel
gioco che consiste, per gruppi consanguinei di uomini, nello scambiarsi le
donne, cioe' nel costruire nuove famiglie con pezzetti di quelle precedenti,
che dovranno percio' essere frantumate" (Ibidem, p. 175).
Guardando alla guerra vicino a noi possiamo allora osservare come i
matrimoni misti costituiscano un segno di alleanza, per quanto ambiguo, e
come la loro negazione corrisponda al primo passo di pulizia etnica,
cancellando le donne due volte: perche' si disconosce il loro farsi tramite
di scambi sociali vitali; perche' le si considera nemiche ai loro stessi
figli.
*
5. Lo stupro come politica demografica di genocidio: ad Ovest siamo davvero
innocenti?
Le guerre a noi vicine mostrano lontana la pacificazione sociale
dell'aggressivita', ma anche indicano come essa divida fortemente donne e
uomini.
Nella guerra dell'ex-Jugoslavia ritorna soprattutto e duramente il rituale
piu' antico: quello dello stupro della donna del nemico.
Nello stupro l'immagine del corpo maschile, come "macchina" per aggredire il
nemico, e di quello femminile, come macchina per accudire la specie, si
scontrano vergognosamente e dolorosamente.
Di nuovo ritornano le domande tacitate sull'identita' maschile e sulla
"facilita'" con cui essa prevede la violenza sessuale. Si tratta, a ben
pensare, di uomini che negano la loro stessa definizione di virilita'
fecondante. Lo stupro e' una delle situazioni emblematiche che svela la
paternita' come fatto prevalentemente giuridico-giurisdizionale, mostrando
l'identita' maschile divisa dall'esperienza del proprio corpo e della
generativita'. Il messaggio che ne risulta sembra affermare: "la madre dei
miei figli e' la donna che io sposo o posso sposare, ma non la donna a cui
mi accoppio per scelta (sia pure violenta per lei)".
Tuttavia la politica dello stupro, nella sua malvagia banalita', nasconde
molte ragioni, oltre a quelle tradizionali della maggiore irresponsabilita'
maschile verso la propria sessualita' e la propria capacita' di dare la
vita.
Sappiamo come la violenza sessuale non sia mai un fatto privato; e come, in
questo caso piu' che mai, si tratti di una strategia pubblica e politica
contro il genere femminile. Condanniamo, in questo caso, l'emergere di un
crimine pianificato da uomini, che utilizza il corpo delle donne e delle
ragazzine, e la vita dei loro figli, per colpire altri uomini (i "nemici")
nella loro malintesa identita' di popolo.
Ma nel contesto delle Repubbliche dell'ex-Jugoslavia lo stupro sistematico
appare anche come un aspetto della politica demografica di genocidio, di
popolazioni piu' ricche e meno prolifiche nei confronti dei poveri che fanno
piu' figli.
E' indubbio che si tratti di "pulizia etnica", nel senso di stupri rivolti
contro la "purezza razziale" dei nemici: in tal caso emerge la
sovrapposizione tra popolo, nazione-territorio e stato gia' citata.
Ma e' altrettanto indubbio che si tratti prevalentemente di atti criminali
rivolti verso l'"eccessiva" prolificita' delle donne musulmane, interpretata
come un pericolo per l'espansione degli altri popoli.
Va da se' che ne' l'allora Repubblica Jugoslavia ne' le popolazioni
musulmane (per motivi diversi, ma convergenti in un'ottica patriarcale) si
sono preoccupate in passato di sviluppare adeguatamente la principale
politica di implementazione delle capacita' delle donne di autoregolare la
propria fertilita' in base ai propri desideri: una politica di istruzione
generalizzata e non discriminata rivolta alle ragazze.
Vorrei pero' riflettere sul fatto che tutta l'Europa agita l'immagine dello
scontro di interessi tra popolazioni "troppo poco" prolifiche e popolazioni
"troppo" capaci di riprodursi.
Il "troppo" ed il "troppo poco" non sono argomentati con riferimento alle
scelte delle donne e delle famiglie, ne' sono intesi come problemi da
affrontare, nel confronto tra modelli diversi di civilizzazione, con tutti i
loro difficili conflitti; quanto piuttosto servono a richiamare una parte
delle donne al loro dovere di procreare e ad esorcizzare la solidarieta'
verso altri possibili bambini, di etnie, colori, popoli differenti.
Le guerre attorno al territorio, la pulizia etnica, lo stupro, mandano
all'Europa ricca il messaggio che essa stessa coltiva: "loro sono troppi.
Dobbiamo difenderci ad ogni costo dalla minaccia del numero".
Questo ragionamento appare piu' spesso di quel che non si creda sui nostri
giornali. E' un messaggio diffuso per tutta l'Europa.
In Italia serve a lanciare messaggi pro-natalisti contro le donne autoctone,
giudicate sbrigativamente pigre e consumiste; in Bosnia a giustificare lo
stupro come risposta alla supposta aggressione demografica da parte di chi
e' piu' povero e piu' prolifico.
Il senso di questi messaggi ci riporta assieme alla negazione delle donne ed
alla nefasta sovrapposizione tra identita' culturale, territorio nazionale e
stato.
2. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA
DA GIANCARLA CODRIGNANI
[Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: naciketas@jumpy.it) per questo
intervento. Antonio Vigilante e' un autorevole studioso ed amico della
nonviolenza]
Si puo' cominciare con il riflettere su un passo di Lanza del Vasto: "Se
domandiamo -dice- quali siano le imprese piu' importanti nelle quali si sono
distinti Abramo, Isacco e Giacobbe, dovremo rispondere non senza qualche
stupore: hanno generato. E i nostri inni di gloria celebrano ancora 'la loro
stirpe nei secoli'". (Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano
1989, p. 135).
L'osservazione fa parte di una riflessione sulla sessualita'. Per Lanza del
Vasto la sessualita' fine a se stessa e' un male (parla di "peccato contro
la natura"). Otttimo rimedio e' la castita' - ed in cio' segue il suo
maestro Gandhi -, ma e' accettabile anche la sessualita' legata alla
procreazione, all'interno del matrimonio. Una procreazione che dev'essere
abbondante, per la gloria dell'uomo.
E' una mentalita' arcaica, patriarcale, misogina. La sua concezione
veterotestamentaria della sessualita' poco si accorda con una visione
sociale rispettosa dell'emancipazione femminile.
*
Il vero problema mi sembra essere quello della concezione della sessualita'
all'interno del pensiero nonviolento. Un pensiero che non e' riuscito ad
attingere la consapevolezza che una sessualita' sana, adulta, libera dalla
colpa puo' essere strumento di liberazione dalla violenza.
In Gandhi prevale ancora, in questo, la visione ascetica tipica della
spiritualita' indiana. In Lanza del Vasto c'e' una visione patriarcale. In
Capitini c'e' un candore che poco si concilia con la presa in considerazione
di certe tematiche. E si potrebbe continuare.
Anche all'interno del pensiero nonviolento puo' annidarsi qualche forma di
violenza.
E' bene prenderne atto.
In questo caso, il rifiuto della sessualita' puo' comportare una violenza
interiorizzata, mentre la sua affermazione veterotestamentaria comporta una
certa violenza contro le donne.
E' qui evidente anche la tentazione premoderna di parte del pensiero
nonviolento. E' il caso di ricordare che Gandhi, se da un lato riconosce il
ruolo delle donne nel satyagraha, dall'altro deplora in "Hind Swaraj" il
fatto che in Inghilterra le industrie impiegano donne, il cui ruolo naturale
e' di essere "regine della casa".
Inoltre si trova spesso nei maestri della nonviolenza la preoccupazione di
affermarne il carattere attivo. In qualche caso si giunge a sostenere che il
nonviolento, o amico della nonviolenza, ha tutte le qualita' del soldato -
coraggio, sprezzo del pericolo, senso del sacrificio -, eccezione fatta per
il ricorso alla violenza. E questa preoccupazione d sottolineare il
carattere virile della nonviolenza non ha favorito certo l'incontro con la
riflessione femminista.
*
Bisogna riconoscere anche, d'altra parte, che nelle grandi rappresentanti
del pensiero al femminile e' ugualmente mancato una adeguato apprezzamento
della nonviolenza, della sua novita' ed importanza.
L'opera di Simone Weil, ad esempio, e' fondamentale per la fenomenologia
della violenza, e tuttavia non va al di la' della "esigenza" della
nonviolenza, per usare l'espressione di Muller.
Mentre la Arendt fa suo il vecchio, superficiale giudizio sull'indipendenza
indiana che non sarebbe mai stata raggiunta se Gandhi si fosse trovato a
combattere dei nemici privi di scrupoli, invece degli Inglesi.
*
Un'ultima considerazione. Credo che ricondurre la nonviolenza a una
polarita' sessuale significhi disconoscerne la natura. Nonviolenza e' teoria
e prassi dell'incontro. Sta tra le polarita', nasce dal loro reciproco
implicarsi. Sta tra Oriente ed Occidente, tra Nord e Sud, tra fede e
laicita', tra spiritualita' e impegno. Tra uomo e donna.
In Palpitare di nessi Danilo Dolci parla della "equazione intima" dell'amore
tra un uomo e una donna, ed afferma che e' l'equazione elementare, risolta
la quale e' possibile passare alle altre, difficili equazioni sociali,
politiche, economiche.
Forse e' proprio in questa equazione, piu' che nella maternita' benevola ed
accogliente o nella generosa paternita' dei profeti biblici, l'inizio della
nonviolenza.
3. DOCUMENTI. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
[La seguente lettera aperta e' stata diffusa dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo il 13 dicembre]
Signor Presidente, egregio dottor Romano Prodi,
le scriviamo per sottoporre alla sua attenzione una questione che molto ci
angoscia, e per formularle una richiesta di urgente, personale intervento.
* Lei conosce
Lei conosce la condizione fatta dalla legislazione e dall'amministrazione
pubblica italiane alle persone che nel nostro paese cercano di venire
fuggendo da luoghi in cui imperano le dittature, le persecuzioni, la guerra,
la miseria, la fame.
La Costituzione italiana stabilisce esplicitamente che le persone che nel
loro paese non godono dei diritti democratici che essa Costituzione
riconosce e garantisce ai cittadini italiani, per questo stesso fatto hanno
diritto di ricevere asilo nel nostro paese; ma purtroppo altre leggi in
vigore nel nostro paese - e palesemente in contrasto con il dettato
costituzionale - questo diritto di asilo scandalosamente denegano, con esiti
terribili.
E purtroppo coerentemente con queste scandalose leggi dagli esiti terribili,
ed in effettuale violazione della Costituzione, i poteri pubblici attuano
una politica di persecuzione anziche' di accoglienza nei confronti delle
persone che nel nostro paese cercano e sperano di trovare rifugio.
Lei sa gia' quali siano le conseguenze di questa situazione:
- centinaia, e forse migliaia, di esseri umani hanno trovato la morte in
mare nel disperato tentativo di raggiungere il nostro paese; ed ogni giorno
nuove vittime possono aggiungersi a questa mostruosa strage degli innocenti;
- centinaia di migliaia di persone vivono nel nostro paese in condizioni di
clandestinita', ovvero di paura e assenza di diritti, esposte ad ogni
pericolo e soprattutto alle vessazioni dei poteri criminali contro cui nella
maggioranza dei casi non possono chiedere soccorso ai pubblici poteri
poiche' temono una duplice persecuzione per se' e per i loro cari;
- il trasporto in Italia di persone che per dettato costituzionale hanno
diritto di asilo nel nostro paese e' colpevolmente affidato in monopolio ai
poteri criminali piu' brutali, che lucrano immensi guadagni proprio in
ragione della scelta delle istituzioni italiane di non rispettare la
Costituzione e quindi di non consentire l'ingresso legale in condizioni di
sicurezza e trasparenza;
- tutto cio' aumenta l'insicurezza di tutti e provoca altresi' ingentissimi
sperperi di risorse pubbliche, con risultati peggio che inani, addirittura
criminali e criminogeni.
Lei sa anche che questa inammissibile situazione e' avallata e in una certa
misura addirittura surdeterminata dai cosiddetti "accordi di Schengen" che
palesemente confliggono con quanto disposto dalla Costituzione della
Repubblica Italiana e che quindi nessuna autorita' pubblica italiana avrebbe
avuto il diritto di sottoscrivere perche' illegali in radice per il nostro
ordinamento giuridico in quanto incostituzionali.
* Lei puo'
Lei, egregio dottor Prodi, in quanto Presidente della Commissione Europea,
ha un ruolo rilevantissimo nell'articolazione del sistema istituzionale e
dei poteri dell'Unione Europea.
Questo implica una ineludibile responsabilita'.
Lei puo' assumere un'iniziativa. Un'iniziativa di civilta', un'iniziativa
che qualificherebbe straordinariamente il suo mandato, il suo operato;
un'iniziativa di valore storico.
1. Assuma l'iniziativa di proporre la rinegoziazione degli accordi di
Schengen, anche alla luce del fatto che essi sono nulli in radice per quanto
concerne l'Italia poiche' effettualmente confliggono con l'art. 10 comma
terzo della Costituzione della Repubblica Italiana e quindi erano e sono
irricevibili nel nostro ordinamento.
2. Assuma l'iniziativa di evidenziare la primazia del diritto di asilo, e di
proporre quindi conseguenti misure concrete in difesa ed a promozione del
diritto di asilo, questo principio di civilta' giuridica senza il
riconoscimento e l'inveramento del quale la stessa Dichiarazione universale
dei diritti umani e' resa carta straccia, e soltanto trionfa l'egoismo piu'
feroce e solipsistico, e si condannano innumerevoli esseri umani alla
disperazione e alla morte.
Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della
ragionevole proposta che consente di salvare la vita di innumerevoli esseri
umani.
Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della
ragionevole proposta che consente l'ingresso nella legalita' di centinaia di
migliaia di persone attualmente costrette a vite di terrore in territorio
europeo.
Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della
ragionevole proposta che infligge il colpo piu' duro ai poteri criminali
transnazionali che oggi lucrano immensi profitti sul traffico di esseri
umani disperati e sulla condizione di clandestinita' e di soggezione fino
alla schiavitu' di centinaia di migliaia di sorelle e fratelli in territorio
europeo.
Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della
ragionevole proposta che non solo invera il dettato della Costituzione della
Repubblica Italiana e restituisce vigenza alla legge fondamentale del nostro
ordinamento giuridico nazionale, ma invera parte sostanziale e decisiva
della stessa Dichiarazione universale dei diritti umani.
Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della
ragionevole proposta che consente finalmente l'ingresso legale almeno in
Italia a quanti ne hanno pieno diritto ed assoluta urgente necessita'.
Lei puo' decisivamente contribuire a salvare molte vite umane.
Lei puo' decisivamente contribuire a far trionfare la legalita' sul crimine.
Lei puo' dare un contributo storico alla costruzione di un'Europa della
civilta' giuridica e dei diritti umani.
La preghiamo di dare ascolto a questo appello, di accogliere questa
ragionevole proposta, di adoperarsi per essa, di farla propria e di farne
oggetto di una sua iniziativa politica ed istituzionale.
Lei ne ha il potere. E naturalmente ha anche il potere di non farlo. Ma non
vogliamo credere che preferirebbe una condotta omissiva dinanzi ad una
richiesta di aiuto cosi' drammatica come quella che ci proviene dal dolore e
dalle stragi di tanti innocenti.
* Lei deve
Lei puo'; e ci sia consentito di esprimere una franca opinione: lei deve.
Voglia gradire distinti saluti ed auguri di buon lavoro.
4. INCONTRI. LAURA GENGA: L'EUROPA NEUTRALE DELLE DONNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 dicembre 2002 riprendiamo questo
articolo]
Con l'appello "Fuori la guerra dalla storia, fuori l'Europa dalla guerra" la
Convenzione permanente di donne contro le guerre ha presentato ieri a Roma
una campagna per l'uscita dell'Europa dalla guerra "senza se e senza ma", e
per una politica di disarmo del vecchio continente.
Il lancio della campagna coincide con l'apertura della quinta assemblea
della Convenzione permanente, soggetto politico dalla composizione
eterogenea, nata tre anni fa per rendere visibile il movimento delle donne
contro le guerre in un momento in cui la "guerra umanitaria" del '99 contro
la Serbia spaccava la sinistra.
"La campagna - sottolineano le portavoce del movimento - e' lanciata in
occasione dei nuovi preparativi di aggressione verso il popolo iracheno,
gia' provato da dieci anni di embargo e in presenza del tentativo, gia' in
atto, di rendere la guerra permanente".
La Convenzione ha tra i suoi obiettivi quello di mantenere sempre alta
l'attenzione sui possibili conflitti, in opposizione alle mobilitazioni
dettate dall'emergenza di turno, ed e' uno degli elementi che caratterizzano
maggiormante le donne contro la guerra rispetto agli altri movimenti
pacifisti. Tra le principali finalita', c'e' la creazione di una cultura
politica che escluda la guerra e il terrorismo dalle possibili modalita' di
relazione.
La campagna "Fuori la guerra dalla storia, fuori l'Europa dalla guerra" si
e' aperta con un appello, firmato finora da Lidia Menapace, Imma Barbarossa
(forum delle donne di Rifondazione), Giusi Di Rienzo, Nella Ginatempo
(Bastaguerra), Monica Lanfranco (rivista "Marea"), Elettra Deiana
(Rifondazione), che chiede ai governi e alle istituzioni europee di opporsi
con decisione alla guerra preventiva di Bush in Iraq e di promuovere una
politica attiva di pace appoggiando tutte le iniziative per sottrarsi alla
guerra, "compresa la propaganda alla diserzione".
Il passo successivo, delineato da Elettra Deiana, e' "l'opposizione al
meccanismo di costruzione della legittimazione alla guerra in Iraq",
meccanismo in cui, continua la parlamentare di Rifondazione, "la stampa e'
complice".
Se l'obiettivo immediato e' "rendere impossibile la partecipazione
dell'Italia e dell'Europa alla guerra", a lungo termine le donne contro le
guerre vogliono un'Europa neutrale e smilitarizzata. Dal punto di vista
giuridico, infatti, la neutralita' e' l'unica forma di alternativa alla
guerra. Il nuovo status, inoltre, aprirebbe la strada anche per una
ridefinizione dell'economia e dei rapporti del vecchio continente con le
Nazioni Unite.
"E proprio in vista di un'Europa neutrale - racconta Lidia Menapace - la
Convenzione permanente attivera' una serie di contatti con i parlamentari
dell'Unione Europea e lavorera' affinche' la Costituzione europea, che
verra' scritta entro il 2003, abbia, come quella italiana, un articolo che
tuteli esplicitamente il diritto universale alla pace".
Ma "essere neutrali - ha sottolineato Imma Barbarossa - non significa ne'
essere neutri ne' essere equidistanti tra oppressi ed aggressori". Una
posizione va sempre presa. Per questo le donne della convenzione contro le
guerre collegano il disarmo alla necessita' che l'Europa realizzi una
politica di maggiore apetura alla cittadinanza sociale: il vecchio
continente infatti, dicono le donne, non puo' promuovere la pace e poi
"chiudersi come una cittadella ai migranti".
5. AMICIZIA. GIANNOZZO PUCCI RICORDA IVAN ILLICH
[Da sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questo
ricordo di Ivan Illich scritto da Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza e
del grande pensatore scomparso]
Ivan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e
cattolico, proprietario di terre che appartenevano da secoli alla famiglia
nell'isola dalmata di Brazza, e da madre ebrea sefardita. Nel 1941 con la
madre e i fratelli dovette lasciare l'Austria a causa delle leggi razziali e
venne a Firenze.
Qui fini' le scuole secondarie al liceo scientifico Leonardo Da Vinci e
inizio' l'universita' con studi di istologia, cristallografia, e per proprio
conto psicologia e storia dell'arte; qui maturo' la scelta del sacerdozio.
Nel 1943 comincio' a Roma i corsi all'Universita' Gregoriana, risiedendo al
Collegio Capranica. Ordinato sacerdote nel 1951 chiese di essere assegnato
alla diocesi di New York e fu nominato viceparroco in una parrocchia dove
stava iniziando l'arrivo di molti immigrati portoricani a cui si dedico' con
grande passione. In questo periodo collaboro' con Jacques Maritain,
sostituendolo quando era impossibilitato per malattia a tenere le lezioni a
Princeton su S. Tommaso d'Aquino. Nel 1956 si trasferi', come prorettore,
all'Universita' Cattolica di Portorico. Nel 1959, a 33 anni, divenne uno dei
piu' giovani monsignori del tempo, ma nel 1960 lascio' l'isola anche per la
sua opposizione a un modello di chiesa locale "yankee" in una societa'
latinoamericana che lo aveva portato allo scontro con la gerarchia cattolica
del luogo e in particolare col vescovo di Ponce, James McManus, che aveva
preso posizione in occasione delle elezioni locali. Tornato a New York
divenne delegato per il settore ricerche del presidente della Fordham
University e nel 1961 mise in piedi, in Messico a Cuernavaca, il Centro
Interculturale di Documentazione (Cidoc) per preparare i preti alle missioni
in America latina, specialmente dopo un esplicito invito del papa a che
almeno uno su dieci dei religiosi nordamericani si mettessero al servizio
della parte sud del continente. Illich ne rimando' a casa la meta'
giudicandoli inadatti all'impegno missionario, perche' incapaci di liberarsi
dai postulati del benessere consumista e della societa' industriale
nordamericana.
Ciononostante il Centro esercito' una grande attrazione sui giovani
sacerdoti prima, e successivamente su tutta la generazione degli anni '60 e
'70 diventando uno dei punti piu' avanzati nel mondo sullo studio della
modernita' e dei problemi chiave della societa' occidentale. Partendo da
un'ispirazione assolutamente non marxista ma cristiana, divento' molto
efficace nel combattere la politica colonialista del modello
americano/occidentale di societa'. In un episodio mai completamente chiarito
s'insinuo' nei rapporti fra Stati Uniti e Chiesa per salvare persone, fra
cui dei preti, sottoposte alla tortura in regimi dittatoriali del
sudamerica. Sfuggi' a piu' di un attentato e, dopo la morte del cardinale di
New York Spellmann che aveva sempre nutrito una grande fiducia nella sua
devozione e impegno, nel 1968 fu chiamato a Roma davanti al Sant'Uffizio per
un processo da cui usci' prosciolto, ma a causa delle sue critiche
all'organizzazione istituzionale della Chiesa sulla rivista americana dei
gesuiti gli furono tolti i finanziamenti, dopo di che Illich recise ogni
legame fra il Cidoc e la Chiesa.
Nel gennaio 1969 il Sant'Uffizio vieto' ai preti di seguire i corsi del
Cidoc. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal "New York Times",
Illich rinuncio' unilateralmente a tutti i suoi titoli, benefici e servizi
ecclesiastici, smise di dire messa, conservando l'impegno alla preghiera
quotidiana del breviario. Non chiese mai la riduzione allo stato laico, non
fu mai sospeso, ma e' rimasto fino alla fine nell'elenco dei sacerdoti
incardinati nella diocesi di New York.
La sua divento' quindi da allora una missione "in partibus infidelium",
cioe' in una zona di frontiera della chiesa.
Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda
appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della societa' moderna (The
Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato Celebration of Awareness (Celebrazione
della consapevolezza: un appello alla rivoluzione istituzionale), e' contro
le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono
insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce Descolarizzare la societa', che e' stato al centro del
dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la
paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare
meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema
educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei
dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati,
le lauree, insieme all'istituzionalizzazione dell'imparare. Affermava che un
adulto sarebbe in grado di apprendere i contenuti di dodici anni di scuola
in uno o due anni.
Del 1973 e' La Convivialita', il testo fondamentale dell'ecologia politica,
in cui si dimostra che l'origine di ogni inquinamento industriale sta nei
divieti e ostacoli alle culture solidaristiche e comunitarie di uso della
natura che contengono la chiave per un percorso di liberazione.
Energia ed Equita' esce l'anno dopo concentrandosi sull'analisi del sistema
dei trasporti e vi si dimostra come elevate quantita' di energia degradino
le relazioni umane con la stessa ineluttabilita' con cui inquinano la
natura.
Nemesi Medica, del 1976, esamina i danni alla salute prodotti dalla crescita
dell'organizzazione sanitaria, uno degli aspetti della nocivita' dello
sviluppo industriale. Il sistema medico della societa' moderna non e' solo
produttore di danni alla salute con terapie spesso menomanti, ma anche con
la medicalizzazione della vita come sostituzione dei necessari provvedimenti
politici per rendere l'ambiente salubre.
Per una storia dei bisogni e' del 1978 e descrive la modernizzazione della
miseria, cioe' l'organizzazione dell'impotenza del cittadino ad agire
autonomamente per la crescente dipendenza da merci e servizi industriali la
cui necessita' e' imposta da una casta di esperti.
Ancora del 1978 e' Il diritto a una disoccupazione creativa in cui si
dimostrano le ambiguita' storiche su cui si fonda la moderna identificazione
del lavoro col lavoro salariato. Solo distruggendo questo tabu' si potranno
creare le condizioni per una piena occupazione.
Lavoro Ombra, del 1981, sviluppa ancora il tema della formazione della
scarsita' attraverso la distruzione delle comunanze, su cui, nel loro
aspetto di lavoro domestico femminile, si riposa il lavoro salariato,
trasformandole appunto nella propria ombra sfruttata.
In Genere e Sesso, del 1982, la scomparsa del genere maschile e femminile e
l'invasione dei rapporti fra uomo e donna da parte del sesso e' dimostrata
come la decisiva condizione dell'ascesa di un modo di vivere dipendente da
merci prodotte industrialmente.
Del 1984 e' H2O e le acque dell'oblio, dove si dimostra storicamente come
l'acqua, da sostanza inesauribile che alimentava il corpo insieme allo
spirito e all'immaginazione, e' divenuta una formula inquinata di chimica
industriale, dalla cui depurazione dipende la sopravvivenza umana.
Nel 1992 escono altri due libri importanti: Nello specchio del passato, che
svela le radici storiche dei luoghi comuni della modernita' dimostrando la
loro inconsistenza; e Conversazioni con Ivan Illich a cura di D. Cayley, in
cui tutto il suo itinerario si svela con accenti nuovi.
Infine, nel 1993 esce l'ultimo libro, Nella vigna del testo, che sara'
particolarmente ricordato anche dai medioevalisti come uno straordinario
commento al Didascalicon di Ugone di S. Vittore sul passaggio dalla lettura
monastica a quella scolastica.
Non si contano gli articoli, i seminari, gli incarichi in numerose
universita' americane ed europee, i corsi e le conferenze.
Nell'ultima lettera mi scrive:
"Il tanto lavoro per l'edizione completa dei miei scritti e per il volume
che raccoglie quelli degli ultimi dieci anni procede lentamente. In parte
per la fatica a cui non sono abituato, ma piu' ancora per tre ragioni:
1. io stesso in relazione a molti paragrafi direi le cose altrimenti nel
2002;
2. concentrandomi su questo lavoro mi rendo conto con che velocita' cambiano
le 'certezze' assiomatiche in questo decennio e
3. invecchiare, nella mia generazione, credo che sia qualcosa senza
precedenti: per le epoche distinte che abbiamo traversato".
Nel terzo punto si sente l'eco di quello straniamento dal proprio popolo,
dalla propria terra e cultura che Illich ha sofferto e vissuto in modo
speciale ma che rappresenta anche le sofferenze dei milioni che negli ultimi
decenni sono stati colonizzati dalla civilta' dei consumi.
Non avremo la gioia della sua compagnia a Firenze questo Natale, come
accadeva oramai quasi regolarmente da diversi anni, qui avrebbe voluto
morire ed essere sepolto, ma le circostanze hanno deciso altrimenti.
Non e' morto del cancro alla faccia che gli ha tormentato il trigemino per
quasi vent'anni ma in pochi secondi, probabilmente di un arresto cardiaco,
con accanto le carte del lavoro che stava ultimando.
6. POESIA E VERITA': YOSANO AKIKO: SENZA PAURA DEL BUIO
[Da AA. VV., Il muschio e la rugiada. Antologia di poesia giapponese,
Rizzoli, Milano 1996, p. 171. Yosano Akiko (1878-1942) e' poetessa di grande
finezza, e lottando "con le armi della poesia" di intenso impegno morale e
civile]
Se qui adesso
ripenso al percorso
della mia passione -
somigliavo a un cieco
senza paura del buio.
7. MAESTRI. RICCARDO ORIOLES RICORDA ANTONINO CAPONNETTO
[Dal n. 156 del 9 dicembre 2002 di "Tanto per abbaiare", la rivista diffusa
solo per e-mail redatta da Riccardo Orioles (che e' Karl Kraus, l'eredita'
della Resistenza e il movimento antimafia messi insieme - ce ne era gia'
stato un altro cosi', si chiamava Pippo Fava, che di Riccardo Orioles e'
stato compagno e maestro), riprendiamo il testo che segue. Tutti possono
gratuitamente abbonarsi a "Tanto per abbaiare" (basta mandare una e-mail di
richiesta a: ricc@libero.it), e chi lo fa vince in premio una sorsata di
verita' e coraggio in forma di parole]
Persone. Qualche mese fa un gruppo di fiorentini - di Controradio, mi
sembra - aveva avuto l'idea di proporre a Ciampi di far senatore a vita
Caponnetto; non se n'e' fatto niente, e per fortuna, perche' poche
isituzioni sono cosi' screditate in questo paese come il senatorato a vita.
Che e' stato gioiosamente assegnato a un parassita fighetto come l'Avvocato
e a un capo del Kgb italiano come Cossiga, e quindi non poteva finire sulle
spalle di un italiano perbene come Caponnetto, servitore della Nazione e del
popolo italiano.
Incongruamente, si mescolano nella memoria l'immagine del vecchio Presidente
buono che riporta a casa il corpo di Berlinguer e quella di Caponnetto a
Palermo ai funerali di Falcone. Caponnetto, in realta', e' stato il nostro
Pertini. Uomini di Resistenza, tutt'e due; e tutt'e due fortunati. Vivere a
lungo, servendo il proprio Paese, insegnando il coraggio ai giovani e la
dignita' a tutti quanti, e sempre sorridendo mitemente e non indietreggiando
mai: commemorarli? Invidiarli, piuttosto.
8. MAESTRE. MADAME DE SEVIGNE': ADDIO ALLE FOGLIE
[Da Madame de Sevigne', Lettres, Garnier Flammarion, Paris 1976, 1993, p.
230 (e' una lettera al conte di Bussy-Rabutin, del 3 novembre 1677). Madame
de Sevigne', Marie de Rabutin-Chantal (1626-1696) e' una delle grandi
intellettuali francesi del Seicento. Ci duole l'inadeguatezza della nostra
traduzione]
Sono venuta qui a trascorrere giorni felici, e a dire addio alle foglie.
Esse sono ancora tutte sugli alberi; non hanno fatto altro che trasmutar di
colore: invece di essere verdi esse sono dei colori delle aurore, ed in
tante e tali varieta' di aurora, da comporre un broccato d'oro ricco e
magnificente, che ci piace trovare piu' bello del verde, nel suo
trascolorar.
9. RILETTURE. SERGIO ALBESANO: STORIA DELL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN ITALIA
Sergio Albesano, Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi
Quaranta, Treviso 1993, pp. 200, lire 22.000. Un'ottima monografia
storico-giuridica di uno dei piu' autorevoli studiosi ed amici della
nonviolenza.
10. RILETTURE. MURRAY BOOKCHIN: DEMOCRAZIA DIRETTA
Murray Bookchin, Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993, pp. 96, lire
10.000. Le "idee per un municipalismo libertario" del grande studioso
anarchico americano.
11. RILETTURE. BARRY COMMONER: ECOLOGIA E LOTTE SOCIALI
Barry Commoner, Virginio Bettini, Ecologia e lotte sociali, Feltrinelli,
Milano 1976, pp. 232. Un libro che resta di grande utilita'.
12. RILETTURE. FONDAZIONE "CENTRO STUDI ALDO CAPITINI": ELEMENTI
DELL'ESPERIENZA RELIGIOSA CONTEMPORANEA
Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa
contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991, pp. VIII + 96. Una
raccolta di interventi basata sugli atti del convegno perugino del 14-15
ottobre 1988. Contributi di Claudio Cesa, Mario Miegge, Sergio Moravia,
Filippo Gentiloni, Sergio Quinzio, Giulio Girardi, M. Cristina Laurenzi.
13. RILETTURE. GIANFRANCA POCHETTINO (A CURA DI): I SENZA FISSA DIMORA
Gianfranca Pochettino (a cura di), I senza fissa dimora, Piemme, Casale
Monferrato (Al) 1995, pp. 118, lire 15.000. Uno dei volumi dell'utile
collana "Biblioteca della solidarieta'" a cura della Caritas.
14. RILETTURE. MARIA TERESA TAVASSI LA GRECA: COSA LEGGERE
SULL'EMARGINAZIONE SOCIALE
Maria Teresa Tavassi La Greca, Cosa leggere sull'emarginazione sociale,
Bibliografica, Milano 1977, pp. 252. Una bibliografia ragionata, che e'
sempre un utile strumento di lavoro.
15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 447 del 16 dicembre 2002