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La nonviolenza e' in cammino. 438



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 438 del 7 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. La scomparsa di Antonino Caponnetto
2. Lidia Menapace, sottoscrivo a due mani
3. Maria G. Di Rienzo, per la critica dell'ideologia patriarcale
4. Francesco Comina ricorda Ivan Illich
5. Peppe Sini, una lettera aperta ai signori legislatori a sostegno della
ragionevole proposta di applicare in Italia l'articolo 10 comma terzo della
Costituzione della Repubblica Italiana
6. Benito D'Ippolito, ai cari amici della Rete Lilliput
7. Luisa Morgantini, capodanno in Palestina e Israele
8. Riletture: Ruth Benedict, Modelli di cultura
9. Riletture: Lucy Mair, Introduzione all'antropologia sociale
10. Riletture: Corrado Mangione (a cura di), Scienza e filosofia. Saggi in
onore di Ludovico Geymonat
11. Riletture: Margaret Mead, Sesso e temperamento in tre societa' primitive
12. Riletture: Gianfranco Ravasi, Qohelet
13. Riletture: Sivia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. LUTTI. LA SCOMPARSA DI ANTONINO CAPONNETTO
E' un dolore cosi' grande, era un uomo cosi' buono, vi chiedo scusa, in
questo momento non riesco a scrivere nulla.

2. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: SOTTOSCRIVO A DUE MANI
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per questo
intervento, che sviluppa le considerazioni svolte da Giancarla Codrignani
nell'editoriale del notiziario di ieri. Lidia Menapace e' nata a Novara nel
1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel sociale e nella
politica, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto", e' tra le voci piu' significative della cultura e dei movimenti
delle donne, della pace, della promozione della dignita' umana. Opere di
Lidia Menapace: (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Sottoscrivo a due mani piedi testa pancia e cuore quel che scrive Giancarla
Codrignani.
E voglio riprendere un pezzo del suo intervento, dopo aver detto che io pure
feci inutili tentativi di convincere i prodi obiettori di coscienza che
dovevano coinvolgere anche le ragazze nell'obiezione.
Invano: ritenevano che fosse "cosa da uomini" (nel femminismo un po'
beffardo che mi piace tanto cominciammo a dire "cosaloro", intendendo che
era una specie di mafia patriarcale buona).
Il risultato del non aver considerato la forza e l'importanza e la verita'
del raddoppio che sarebbe stato portato dal coinvolgimento in prima persona
delle ragazze e' che il patriarcato ha segnato una delle sue piu' recenti
"vittorie" nel riuscire ad avere donne nell'esercito.
Bel colpo! Adesso - fermo restando che tutte si sono convinte che una delle
forme storicamente piu' tremende, atroci, negative e abiette di patriarcato
si chiama militarismo - resta invece ancora un patriarcato "glorioso" al
quale si inchinano alcune aree del femminismo: il patriarcato di sinistra.
Io pure ho sentito a Firenze stridente il modo della presenza femminile,
anche se ho scritto in appoggio di alcune cose, data la miserevole
situazione nel nostro paese, che fa si' che - da buona casalinga che non
butta via niente - sia incline ad accettare anche le briciole.
A Firenze prestigiose sedi femministe hanno fatto una bellissima cosa
nostalgica, a mio parere un po' fuori del contesto, che era l'Europa.
Vi e' stata la frequentatissima iniziativa della Marcia mondiale delle
Donne; infine  il seminario della Convenzione permanente di Donne contro le
guerre, aperto ovviamente anche a uomini interessati e che ha voluro essere
una proposta femmnista sulla politica militare in Europa, indicando nella
neutralita' del continente la nostra maniera di avviare il discorso.
Queste sono state le iniziative piu' visibili, accompagnate da molti stands,
workshops, ecc.
Comunque il nostro motto finale e' "La politica militare d'Europa si chiama
neutralita'". Ha suscitato interesse soprattutto in Lilliput e Attac, che
hanno chiesto di avviare consultazioni e accordi possibili per i prossimi
appuntamenti europei: piu' difficile il rapporto con i Social Forum, anche
se dal Bologna Social Forum sono stata invitata il 10 dicembre per le
iniziative di quel giorno.
Alla affollatissima riunione della Marcia l'analisi era anche che il
femminismo rompe il proletariato, ecc. Ho scritto sul "Paese delle Donne"
che mi pareva che la risposta in merito l'avesse gia' data da tempo Engels,
quando scrisse che "nella famiglia l'uomo rappresenta la borghesia, la donna
e' il proletariato". Qualunque uomo dunque, in quanto patriarca, rappresenta
i modelli culturali della borghesia, e qualunque donna, anche quella che ha
i privilegi della sua appartenenza alla borghesia, e' di fatto soggetta alla
cultura patriarcale. Piu' chiaro di cosi'! Se c'e' qualcosa che rompe e'
davvero il patriarcato, che - essendo dominante culturalmente - riesce a
convincere anche donne.
Sarebbe dunque corretta  una versione rigida, dogmatica e sterile del
marxismo che fa del proletariato con una analisi niente affatto aggiornata
una specie di assoluto, fuori dalla storia, un idolo monoteista? invece a
mio parere noi donne potremmo a buon diritto dire che e' il proletariato in
questa versione essenzialista e metafisica che rompe il femminismo, o ci
prova anche con risultati.
Che miseria! pero' andiamo avanti anche con le illuminanti analisi di
Giarcarla e cercando di lottare contro tutti gli idoli, soprattutto quelli
"mono" che sono i peggiori e i piu' esposti ai fondamentalismi. Il primo
segno e' che si ritengono legittimati a sostituire chiunque: rappresentano
anche le donne, si sostituiscono agli operai Fiat con la tendenza a prendere
la testa dei cortei, le presidenze, i posti di direzione, il discorso
"generale", gli schermi televisivi e via discorrendo". Alla fine ci sono i
Taleban.

3. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: PER LA CRITICA DELL'IDEOLOGIA
PATRIARCALE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo@tvol.it) per averci
messo a disposizione questa sintesi di una sua conferenza in cui sviluppava
anche alcuni dei temi proposti da Giancarla Codrignani nell'editoriale del
notiziario di ieri, e propone anche una visione storica (e fin una rilettura
dell'appercezione, interpretazione e simbolizzazione dei processi
cosmogonici) radicalmente alternativa a quella lungamente - e tuttora -
dominante; e' evidente che su alcuni punti specifici di questa ampia
ricostruzione si possono avere punti di vista anche fortemente
differenziati, e' il dono prezioso del riflettere e discutere insieme. Maria
G. Di Rienzo, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di storia economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Dire che viviamo in una societa' "ineguale" e' una grossolana
approssimazione. La struttura della civilta' occidentale e' una vera e
propria gerarchia piramidale.
Man mano che si scende di livello, un sempre maggior numero di persone ha
minor accesso alle risorse necessarie per la sopravvivenza. Il controllo dei
mezzi che permettono di vivere e' strettamente legato alla minoranza
dominante e le leggi "democratiche" che dovrebbero assicurarci la liberta'
di accedervi sono pensate per l'esatto contrario.
L'assunzione di base che permette il formarsi delle leggi, in altre parole
il pensare che esse assicurino "liberta', giustizia ed eguaglianza" e'
contraddetta dalla gerarchia formata da coloro che "hanno" e coloro che "non
hanno"; la non equita' di tale sistema si sta "globalizzando" grazie alle
corporazioni internazionali, dirette da elite ristrette che hanno il compito
di dettare regole e leggi che assicurino la sopravvivenza della "piramide".
In generale, chi si situa in cima a quest'ultima e' un gruppo di maschi
bianchi di discendenza europea. Il loro numero include una quota
insignificante di donne e di persone non bianche, la cui presenza in cima
alla piramide ha l'effetto di rinforzare le regole della gerarchia: il fatto
che siano la', suggerisce che chiunque puo' arrivare in cima, purche' le
regole del successo vengano rispettate; in altre parole, si ha successo se
si pensa e si agisce come un maschio bianco di discendenza europea. Se non
ci riesci, non puoi o non vuoi, il messaggio che arriva e': e' colpa tua.
Il risultato e' che, nella nostra societa' occidentale, la maggioranza della
popolazione nutre un forte risentimento verso chi la governa, ma si sente
allo stesso tempo colpevole e vergognosa e soffre di un grosso carico di
oppressione interiorizzata. Tali sentimenti sono spesso evidentissimi nelle
donne, il 51% della popolazione mondiale, e tuttavia cittadine di seconda
classe.
Questa diseguaglianza "fondamentale" fra uomini e donne, su cui tutte le
altre si modellano, non ha alcun motivo "naturale": uomini e donne,
ovviamente, sono stati insieme dall'alba della storia umana.
Nelle scuole si insegna a tutt'oggi che il progresso della societa' umana e'
legato allo sviluppo di poteri accentrati di minoranze, che impongono alle
maggioranze lavori forzati e risparmio coatto con la violenza delle armi:
questi sono i miti dell'ideologia patriarcale. Un'ideologia che presenta il
patriarcato come origine della comunita' umana, uno stato di cose immanente
e naturale, e che presenta guerre, armi, violenze come inevitabili e
naturali.
E se fosse vero il contrario?
"Se invece il progresso della societa' umana fosse avanzato zoppicando,
malgrado gli assetti militari, grazie al permanere di culture sconfitte e
sommerse ma non cancellate, grazie alla maggioranza di donne e di uomini
asservita ma tenacemente vitale, che con pazienza ed intelligenza non ha mai
cessato di produrre i beni necessari ai nostri bisogni, non ha mai cessato
di ritessere i fili della vita lacerati dai traumi delle guerre e delle
servitu', assicurando a tutte e tutti la continuita' della sopravvivenza e
della convivenza..." (Joyce Lussu).
Oggi sappiamo, anche grazie alle nuove scoperte archeologiche e genetiche ed
alla loro sistematizzazione, che e' andata proprio cosi': sappiamo che per
un tempo lunghissimo, piu' di 900.000 anni, l'umanita' ha vissuto in un
clima di equita' fra i sessi, raggiungendo un alto livello di sviluppo che
avra' il suo culmine nel periodo neolitico; ma i miti che siano la violenza
ed il dominio i motori del progresso, nonche' che essi siano in qualche modo
"intrinseci" al nostro essere umani sono duri a morire.
E' un luogo comune chiamare "primitive" e "selvagge" le comunita' umane che
tentarono scelte storiche differenti da quelle poi considerate "vincenti"
grazie alla loro superiore efficienza nell'uccidere, scelte diverse dal
patriarcato e dall'organizzazione militare.
A queste societa' cosiddette primitive si attribuisce un'incapacita' di
ordine sociale e di sviluppo tecnico, sebbene da oltre quaranta anni tutte
le ricerche archeologiche e storiche smentiscano con la loro evidenza questa
visione. Il loro alto livello di sviluppo non riguarda solo la produzione di
beni primari ed i rapporti sociali, ma anche la sistemazione scientifica
delle sperimentazioni via via accumulate e spontaneamente condivise, ed il
gusto della creazione artistica, dell'oggetto "bello" anche se non
direttamente utile.
Le civilta' originarie da cui noi proveniamo, insomma, non erano basate su
un'economia di guerra, e non vi e' traccia in esse di divisione in classi o
di marginalizzazione di gruppi; erano societa' che si basavano sulla
condivisione fra i sessi del mondo e del lavoro del mondo.
Le donne dividevano con gli uomini anche il preservare la memoria
collettiva, che modella il passato in forma di tradizione culturale: nel
permanere della tradizione orale nei miti, nella poesia, nell'arte e nel
folklore possiamo trovare tracce di questa eredita'.
Ora noi sappiamo per certo che donne ed uomini, nel passato, hanno condiviso
in maniera egualitaria le funzioni e le relazioni sociali, ma ci troviamo a
vivere in una societa' sperequata, una societa' di dominio, sostenuta da
teorie grandemente volgarizzate sulla bonta', necessita' e
incontrovertibilita' della superiorita' maschile.
La piu' antica di queste teorie afferma che le donne non hanno mai prodotto
avanzamenti rilevanti nella storia del pensiero umano perche' la loro
preoccupazione principale, biologicamente predeterminata, verte sul
nutrimento e sulle emozioni: e cio' le renderebbe essenzialmente "inferiori"
nella capacita' di formulare pensieri astratti.
Quest'ipotesi si focalizza sul potenziale riproduttivo delle donne ed
argomenta che l'umanita' non avrebbe potuto sopravvivere se le donne non
avessero dedicato la maggior parte delle loro vite adulte ad essere incinte
ed allattare i figli. Tuttavia, noi sappiamo che le donne della preistoria
trovavano il tempo di dipingere ed affrescare, di costruire case, templi,
oggetti di culto, di selezionare sementi e addomesticare animali, assieme
agli uomini.
Il corollario della tesi e' che la forza fisica superiore dei maschi li
avrebbe resi naturalmente guerrieri, cacciatori e protettori delle piu'
deboli donne: di conseguenza, e' solo "naturale" che essi si trovino in
posizione dominante nella societa'. Ma in realta', la nostra dieta ha
compreso la carne derivante dalla caccia molto tardi; la lancia per cacciare
e' uno degli "ultimi" strumenti inventati dalle civilta' preistoriche.
E quindi, che facevano gli uomini e le donne prima del patriarcato?
Approssimativamente per il 99% della trascorsa esistenza umana (ovvero
990.000 anni) la gente ha vissuto un'esistenza molto piu' "umana" delle
nostra. Fra i gruppi di raccoglitori - agricoltori (e poi raccoglitori -
agricoltori - cacciatori) il carico di lavoro legato alla sopravvivenza e',
sorprendentemente, piu' leggero se confrontato al nostro; e lascia piu'
tempo per la bellezza, la musica, la danza, la creazione.
I reperti ci parlano di societa' libere da coercizioni e ineguaglianze, in
cui le relazioni umane e quelle con la natura erano significative e sacre. A
queste civilta' possiamo dare simbolicamente un nome che racchiude la loro
filosofia di base: erano le civilta' della Dea.
L'universo era vissuto dai nostri progenitori e dalle nostre progenitrici
come un corpo vivente di sesso femminile: la vita intera, come femmina e
come maschio, come animale o come pianta, e' la Dea. La prima forma che essa
prende per l'umanita', la prima con cui la troviamo raffigurata nei dipinti
e nelle sepolture, e' quella della "materia oscura".
Voi probabilmente conoscete la tesi che tutti gli oggetti celesti visibili
conosciuti rappresentano soltanto il 10% della massa totale dell'universo.
Il resto, cioe' la "massa mancante", conosciuta anche come "materia oscura",
probabilmente e' invisibile perche' non emette o non riflette luce visibile
o altre forme di radiazione elettromagnetica. Oppure la sua luminosita' e'
talmente debole da non essere rilevabile con gli attuali strumenti
astronomici. La materia oscura puo' essere comunque rilevata indirettamente
attraverso i suoi effetti gravitazionali sui vicini oggetti visibili.
Questo fatto implica che le galassie a spirale sono circondate da aloni di
materia che non riusciamo a vedere. La temperatura della materia oscura
nell'universo primordiale deve aver determinato anche le sue prime fasi
evolutive. Non molto dopo il Big Bang (si suppone fra i 12 e 15 miliardi di
anni orsono) e prima della formazione delle galassie, la materia comincio'
ad aggregarsi sotto l'influenza della gravita'. La materia oscura ha fornito
i "semi", un background eterogeneo nel quale la materia originaria ha potuto
aggregarsi per formare stelle e galassie. Ora, pensate: nell'antico folklore
dell'India, l'inizio dell'universo o del cosmo fu immaginato come l'apparire
di mulinelli in un mare di latte. Probabilmente non sapremo mai come le
popolazioni dell'antichita' giunsero a comprendere che le prime forme a
creare se stesse furono effettivamente delle spirali bianche roteanti.
Comunque loro ci fossero arrivati, noi oggi sappiamo cosa erano realmente
questi mulinelli: abbiamo dato ad essi il nome di "protogalassie", ovvero di
prime galassie. E sappiamo anche che tutte le protogalassie danzavano nello
spazio in bianche spirali molto prima che i pianeti prendessero forma e
molto, molto prima che le creature si evolvessero come parte dei pianeti.
Gli esseri umani, nei loro diversi gruppi, sono originari dell'Africa - la
nostra culla appare essere stata la cosiddetta "Rift Valley" che tocca parti
dell'Etiopia, del Kenya, della Tanzania e del Congo. Millenni prima del
sorgere del patriarcato, la religione di queste genti era focalizzata su una
divinita' femminile, una divinita' africana e nera: la Madre Nera, la Mater
(materia viene da madre) Oscura.
Le ricerche piu' recenti, si parla di pochi anni fa, hanno dimostrato che
molti dei passaggi evolutivi che noi abbiamo dati per lungo tempo come
scontati sono falsi: per esempio, non vi e' traccia nella nostra specie di
Dna neanderthaliano. La prima madre della specie Homo Sapiens passo' il Dna
del mitocondrio ai suoi piccoli e le sue figlie lo passarono ai loro e cosi'
via, per genealogia femminile. Cio' di cui stiamo parlando e' la "sala
macchine" delle cellule, l'organismo che sta al centro dell'attivita' degli
enzimi e produce il "magazzino" dell'energia chimica, la molecola Atp,
ovvero il potere vitale di cui la cellula ha bisogno per vivere. Questo
viene trasmesso solo per via femminile. Non vi e' corrispondente materiale
genetico che passi da padre a figlio. Questa vitale energia cellulare, per
tutti e tutte coloro che vivono oggi al mondo, viene dalla prima madre Homo
Sapiens: la Madre Oscura delle origini da cui si generarono tutte le
differenti specie umane che conosciamo. Lei ci tiene tutti insieme!
"Mitocondrio" viene da mitos che significa filo. Questo "filo" si relaziona
alle "superstringhe" della moderna teoria astrofisica, la quale asserisce
che i fenomeni subatomici sono manifestazioni delle vibrazioni di una
"stringa" fondamentale, unidimensionale. Come emanazioni di coscienza, gli
esseri umani sono connessi alla loro fonte originaria attraverso i "fili"
delle cellule. Proprio come la materia oscura modella le galassie e le tiene
insieme, noi prendiamo forma e siamo tenuti insieme dalla Madre Oscura
africana, che ci ha trasmesso la forza della vita.
La memoria della Madre Oscura preistorica ed i suoi valori (giustizia con
compassione, equanimita', trasformazione) appaiono resistere in modo
vibrante nelle culture "subordinate" - e forse nella memoria sommersa di
ciascuno di noi. I primi segni della Madre Oscura sono dipinti in ocra rossa
che si trovano nelle caverne del Sudafrica e che risalgono al 900.000 a. C.,
e la sua venerazione accompagno' le migrazioni africane che cominciarono
dopo il 60.000 a. C., prima nell'ovest dell'Asia e poi nel resto del mondo.
L'evidenza delle prime migrazioni africane puo' essere rintracciata nel piu'
antico santuario del mondo, Har Karkom, che fu creato nel 40.000 a. C. sulla
penisola del Sinai, poi conosciuta come Monte Sinai. Questo luogo,
conosciuto come l'origine geografica dell'Ebraismo, del Cristianesimo e
dell'Islam, era sacro ben prima dell'emergere di tali religioni. Nel
Paleolitico, Har Karkom era una sorta di "museo all'aria aperta" e di tempio
megalitico; vi sono ancora gli altari, i megaliti allineati e i graffiti
nelle rocce. La Dea fu incisa sulle pareti delle caverne del Paleolitico,
dipinta nei santuari delle prime citta' nell'altopiano anatolico; per lei si
eressero i grandi cerchi di pietre nelle isole britanniche, i dolmen ed i
"cromlech" delle piu' tarde civilta' celtiche e fu per il suo passaggio che
le tombe irlandesi vennero scavate. In suo onore, i danzatori sacri
saltavano sui tori a Creta ed in suo onore si componevano liriche ed inni
nelle scuole sacre delle isole del Mediterraneo. I suoi misteri furono
celebrati ad Eleusi ed i suoi iniziati compresero alcune delle menti piu'
acute dell'antica Grecia. Le sue sacerdotesse scoprirono ed usarono le erbe
guaritrici ed appresero i segreti della mente e del corpo umano per
alleviare i dolori del parto, curare le ferite e le malattie, esplorare i
regni del sogno e dell'inconscio. La conoscenza della natura permise loro di
addomesticare pecore e bovini, di selezionare le sementi del grano e del
granoturco, di forgiare ceramiche dal fango e di estrarre il metallo dalla
roccia; di tracciare i movimenti della Luna, del Sole e delle stelle.
Gli antichi credevano che il mondo e le creature viventi fossero
manifestazioni delle sacre e segrete forze della vita. Il potere della vita
permeava tutto, poiche' si trovava sia nelle cose animate che in quelle
inanimate. Il potere della vita, creando incessantemente, e' la sorgente
dell'universo e dell'umana esistenza. La gente riveriva ed onorava questa
forza vitale e le sue manifestazioni nella natura. Essi credevano che solo
una relazione rispettosa con il mondo e la natura li avrebbe aiutati a
sopravvivere ed avrebbe rivelato loro la bellezza della vita. La vita del
mondo, in questo contesto, non e' solo un fenomeno biologico. E' anche un
potere sacro, che diventa il fondamento della relazione e dell'unione fra la
natura, la divinita' e la gente. I nostri progenitori non credevano di poter
conoscere una divinita' situata "fuori" da loro stessi, ma la incarnavano
nei corpi ed attraverso i corpi, cioe' attraverso i sensi che li mettevano
in relazione con altre creature e oggetti: laghi e boschi sacri, alberi,
megaliti, il pane sacro, l'altare della casa, sono tutte manifestazioni di
questo pensiero.
Le opposizioni binarie concettuali a cui noi siamo abituati - fuoco/acqua,
luce/buio, uomo/donna - accoppiando ad esse la metafora bene/male, non
avevano posto nel pensiero dei nostri progenitori: la cooperazione e la
relazione erano le condizioni materiali che li mantenevano in vita. Le
coppie di opposti non potevano "solidificarsi", poiche' interagivano e
cambiavano costantemente. Il bene, le cose buone, lo stare bene, nascevano
dall'interazione di forze differenti, un movimento a cui la gente
partecipava attivamente con le proprie azioni, creando e sostenendo
l'armonia. Il "male" e' il fallimento dell'armonia, l'assenza di
bilanciamento o l'incapacita' di ristabilire lo stesso.
I reperti delle civilta' della Dea mostrano un sistema simbolico del tutto
differente dall'attuale, in cui il tempo e' ciclico e non lineare: ruota
attorno al concetto di vita-morte-rigenerazione. Nell'arte si manifesta con
segni dinamici (spirali, cerchi, corna, crescenti lunari, semi germinanti e
germogli, serpenti attorcigliati: il serpente e' un'entita' benevola,
simbolo di energia vitale). Persino i colori avevano un significato diverso:
il nero e' per esempio un colore positivo, vitale, significante della terra
umida, del suolo fertile, della grotta e del grembo della Dea dove la vita
ha inizio. I primordi della scrittura schematizzata nascono in questo
contesto, ben prima dell'alfabeto cuneiforme sumero. E' una scrittura sacra,
direttamente collegata al culto della Dea. I graffiti praticati su vari
supporti litici, ossei, ceramici, ecc., evolvono verso scritture
pittografiche e geroglifiche, con moltissimi segni. Il pensiero articolato
in un linguaggio inizia ad essere materializzato con questi segni. Notandone
le ripetizioni noi abbiamo potuto individuare vari volti della Dea: fra
questi la Dea Serpente, la trasformatrice, la Dea Uccello, la distruttrice e
rigeneratrice, e le raffigurazioni  di quelli che sono i tre momenti
fondamentali del ciclo lunare: la fase calante, quella piena e quella
crescente, che si sistematizzeranno negli archetipi della Vecchia, della
Madre e della Fanciulla, archetipi presenti, in forme piu' o meno
accentuate, anche nelle culture e nelle religioni successive. Come Luna
Nuova o Crescente, la Dea e' la Fanciulla, la Vergine (non la "casta", ma
colei che appartiene solo a se stessa e non e' di proprieta' di alcun uomo).
Lei e' la Bambina Selvaggia, la Signora dei Boschi, la libera ed indomata:
Artemide, Kore, Aradia, Nimue. Come Luna Piena, lei e' la Donna Adulta, la
Madre e la Nutrice, la Datrice di vita, fertilita', messi e gioia: Tana,
Demetra, Cerere. Come Luna Calante od Oscura, lei e' la Donna Anziana, la
"vecchia" che miete il raccolto di saggezza, che e' maestra dei segreti,
della profezia, dell'ispirazione: Ecate, Cerridwen, Anna. La Dea e' anche
Madre Terra, colei che da'; sostentamento a tutto cio' che cresce e vive, il
corpo, le nostre ossa, le nostre cellule.
La cultura della Dea, sedentaria e pacifica, prospera e si evolve in tutta
Europa per migliaia e migliaia di anni ed abbiamo di essa un'incredibile
quantita' di straordinari reperti: statuine, oggetti di culto, ornamenti,
vasellame e, soprattutto, intere cittadelle databili dal 7.000 al 3.500 a.
C., quindi nel periodo neolitico. La societa' e' di tipo matrilineare, in
cui maschi e femmine, entrambi manifestazioni del potere della Dea, sono
trattati in modo equanime. Il calendario che si sviluppa, basato sulla
concezione ciclica del tempo, e' lunare. Le cittadelle della civilta' della
Dea mostrano una grande tradizione architettonica (le case hanno pavimenti,
fori di aerazione, forni), un'agricoltura altamente sviluppata (praticano la
selezione delle sementi: i reperti di scavo hanno evidenziato la presenza di
semi di grano e di orzo a Jarmo in Iraq gia' nel 6.750 a. C., di miglio e
riso in Cina, di mais, fagioli, pepe, cioccolato nel Messico attorno al
5.000 a. C.) e l'avvenuta domesticazione delle pecore (l'ariete, assieme ad
altri animali maschi e femmine, diviene una delle epifanie della Dea). Il
pane e' gia' presente nel neolitico: la scoperta del processo della
fermentazione serve anche a produrre vino e birra (fin dal 6.000 a. C.).
Per questa civilta' l'arma e l'uccidere sono concetti sconosciuti; essa
conosce la metallurgia del rame e del bronzo, ma usa il metallo a scopi
ornamentali o per fabbricare utensili. Sono le invasioni successive (dal
4.300 al 2.800 a. C.) di gruppi nomadi indo-europei ("Kurgan") provenienti
dall'est a porre fine allo sviluppo di tale cultura. Essi portano con se'
alcuni dei tratti che la storiografia definisce segni di "modernita'": la
domesticazione del cavallo, la patrilinearita', ma soprattutto la produzione
di armi (archi e frecce, spade) ed il mero "consumo" ed "uso" della natura e
delle risorse (tant'e' che durante gli assalti alle cittadelle, essi si
limiteranno a distruggere un gran numero di oggetti potenzialmente utili -
attrezzi, vasellame - non riconoscendoli come tali); l'immenso shock
culturale nel contatto fra i due gruppi sta proprio nell'incapacita' per la
civilta' della Dea, di "capire" ed accettare la guerra.
La civilta' cretese e' la piu' importante eredita' di questo tipo di
cultura. Il primo insediamento umano a Creta e'  datato attorno al 6.000 a.
C.: si tratta di un gruppo che proviene dall'Anatolia, e porta con se' il
culto della Dea ed una raffinata tecnologia agricola. Gli scavi portano alla
luce quattro tipi differenti di scrittura, evoluzione delle varie epoche,
fra cui una scrittura a spirale non ancora tradotta; portano alla luce
immagini della Dea e delle sue sacerdotesse che benedicono tutto il popolo:
le processioni sono composte di donne, uomini ed animali. Le figure umane,
maschili o femminili, sono ritratte in maniera gioiosa e seducente; entrambe
sottolineano la propria "differenza sessuale" con abiti scollati ed
ornamenti che mettono in risalto i genitali. Il corpo, a Creta, e' ancora
"buono e bello", e' vita: "La paura della morte, disse Platon, un archeologo
che aveva lavorato a Creta per 50 anni - era cancellata dall'onnipresente
gioia di vivere".
Il tenore di vita a Creta e' alto per tutti; le case del popolo sono appena
meno curate dei templi o delle reggie e tutte indistintamente hanno un
sistema di fognature. La citta' e' fornita di viadotti, fontane, serbatoi,
strade pavimentate; le abitazioni sono costruite in modo da permettere a chi
le abita di godere un giardino. I Cretesi cominciano a costruire armi quando
vengono minacciati, ma la guerra non diventera' mai per loro nulla piu' di
una necessita' difensiva; l'arte non idealizza il guerriero e l'unica arma
che troviamo raffigurata non lo e' in senso proprio: si tratta della labrys,
o ascia bifronte, attributo del potere della Dea; la sua forma e' quella
della zappa usata per dissodare la terra. Da nessuna parte troviamo
riportato il nome di un autore o di un'autrice su un'opera, da nessuna parte
si registrano le imprese dei sovrani: l'ambizione appare assente ed il tipo
di potere esercitato assomiglia molto ad una "responsabilita' materna". La
condizione delle donne, paritetica a quella degli uomini, permane attraverso
i secoli anche quando Creta entra in contatto con altre civilta'. Questa
situazione, forse l'ultima sino ad ora nella storia in cui maschi e femmine
vivono in armonia, svanisce nel 3.200 a. C. per colpa di una terribile
combinazione di fatalita': un maremoto ed un terremoto distruggono in gran
parte il territorio, e gli invasori dalla Grecia hanno buon gioco a
conquistare cio' che resta.
Gradatamente, le religioni che si formarono in seguito tentarono di
"combinare" la venerazione della Dea con quella delle divinita' maschili,
producendo una varieta' di culti (che oggi chiamiamo "pagani") fra i Greci,
i Romani, i Celti, ecc. Il principio femminile e' riconosciuto, ma quasi
sempre in subordinazione a quello maschile: il pantheon greco antico, ad
esempio, e' una chiarissima struttura gerarchica piramidale. I monoteismi
diedero per cosi' dire il "colpo finale" a questo mutamento di prospettiva,
espellendo il principio femminile dalla sacralita' e riducendo le donne ad
un livello inferiore rispetto agli uomini.
Il potere della Dea, sebbene frammentato, abusato e distorto concerne
comunque ancora la fertilita'; per molto tempo: dee vengono onorate e
adorate ancora lungamente dopo che le donne reali sono state rese
subordinate agli uomini. La caduta della Dea multiforme, il suo rimpiazzo
con un dio maschio dominante, causa la nascita e la stabilizzazione di regni
dallo stampo imperialista.
La sessualita' femminile non associata alla procreazione scade al rango di
peccato. Nello stabilire le regole che legheranno la comunita' alla
divinita', ovvero il cosiddetto "contratto" fra dio e l'umanita' si assume
come voluta per legge divina la posizione subordinata delle donne. La
svalutazione delle donne in relazione al sacro diventa una delle metafore
fondanti della civilta' occidentale; l'altra metafora fondante e' fornita
dalla filosofia aristotelica, che da' per scontato come le donne siano
esseri umani incompleti, malformati: e' da questi due assunti principali,
che percorrono il sistema simbolico della civilta' occidentale, che la
subordinazione delle donne puo' essere descritta come "naturale", sino a
diventare usuale e non piu' percepibile come abuso.
E' questo che da' una struttura di stabilita' all'ideologia patriarcale. La
subordinazione sessuale delle donne e' stata istituzionalizzata sin dai
primi codici di leggi esistenti, di modo che il potere dello stato la
rinforzasse; la collaborazione delle donne a questo sistema si e' assicurata
in vari modi: la dipendenza economica dal capo della famiglia, i privilegi
concessi a donne obbedienti delle classi superiori, la divisione artificiale
delle donne fra "rispettabili" (connesse per status maritale o altro ad un
uomo) e "non rispettabili" (non connesse ad alcun uomo, o di libero utilizzo
per qualsiasi uomo).
L'appropriazione, il marchio di possesso apposto dagli uomini sulle
capacita' sessuali e riproduttive delle donne precede la formazione del
concetto di proprieta' privata e della societa' divisa in classi: essa si
pone, in effetti, come fondativa di entrambi.
Gli uomini si sono addestrati alla dominazione ed alla gerarchizzazione di
altre persone o di interi popoli tramite la dominazione delle donne del
proprio gruppo. I primi schiavi, storicamente, sono delle schiave: sono le
donne dei gruppi conquistati.
Ancora oggi noi non sappiamo con certezza come e dove l'idea patriarcale
sorse, quello che sappiamo e' che essa e' strettamente legata al concetto di
"proprieta' privata", al dominio di un gruppo su un altro ed alla scuola di
pensiero che vede gli uomini come esclusivi protettori e procacciatori di
cibo tramite grandi caccie, anziche' come partner delle donne nel lavoro
correlato alla sopravvivenza. Le grandi caccie non provvidero che
occasionalmente, e tardi, alla dieta dei popoli preistorici; vi
contribuivano di piu' le piccole caccie cui partecipavano donne e bambini,
ma anche qui per una percentuale irrisoria rispetto alla raccolta ed alla
coltivazione.
Le donne sono considerate piu' vicine alla natura, in modo svalutante:
poiche' lo stabilizzarsi delle civilta' patriarcali dipendeva grandemente
dal controllo della natura, vissuta come antagonista rispetto alla
sopravvivenza umana, gli uomini assegnarono alla natura ed alle sue
principali affiliate, le donne, un ruolo inferiore.
Prima del sorgere di questo tipo di "civilta'", tuttavia, gli esseri umani
hanno rispettato la natura e vissuto in stretta correlazione con essa,
onorando le donne in modo speciale per la loro capacita' di dare la vita.
Noi oggi sappiamo che molto probabilmente furono le donne ad inventare
l'agricoltura; eppure, l'idea di "controllare" questa risorsa, per
controllare la societa', non sorge nelle loro menti. Cio' che inventano e
scoprono, entrambi i sessi, e' per lungo tempo spontaneamente condiviso. Non
vi e' stata, quindi, una "naturale" evoluzione da societa' di condivisione a
societa' di dominio, non si e' trattato di un "progresso": dopo la
distruzione delle cittadelle del neolitico, la cultura successiva possedeva
meno conoscenze di quella precedente.
Chi pensa, erroneamente, che il patriarcato sia "naturale" (ovvero basato
sul determinismo biologico) accusa chi lo combatte di voler "cambiare la
natura". Ebbene, cambiare la natura e' stato esattamente quanto il
patriarcato ha fatto e continua a tentare di fare: cio' che questo sistema
di pensiero ha chiamato "progresso" e' l'assoggettamento ed il dominio di
natura e risorse. E' societa' di dominio, economia di guerra. I risultati li
abbiamo sotto gli occhi.
Ma il patriarcato e' una costruzione storica: ha avuto un inizio, circa
5.000 anni orsono, e percio' puo' essere destrutturato e cancellato da
processi storici.

4. MEMORIA. FRANCESCO COMINA RICORDA IVAN ILLICH
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina@ilmattinobz.it) per
questo ricordo. Francesco Comina, giornalista e saggista, e' impegnato nel
movimento di Pax Christi e in tante iniziative di pace e di nonviolenza; e'
nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar,
collabora a varie riviste. Tra le sue opere: Non giuro a Hitler, Edizioni
San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; ha partecipato alla redazione del
libro di AA. VV., Le periferie della memoria; e a AA.VV., Giubileo
purificato. Ivan Illich, una delle figure piu' belle della nonviolenza in
cammino, e' deceduto pochi giorni fa]
Ho avuto la gioia di conoscere Ivan Illich alcuni mesi fa. E cosi' ho
sfiorato, in punto di morte, un altro maestro e un altro profeta.
Era arrivato da Firenze a Citta' di Castello senza preavviso il 15 settembre
per partecipare ad un convegno de "L'altrapagina", una rivista alternativa
locale messa in piedi da uno straordinario prete di frontiera, don Achille
Rossi (prossimo "nonviolento dell'anno 2003").
Appena si diffuse la voce della sua presenza in sala, scoppio' un improvviso
applauso e tutto intorno inizio' un passaparola generale per ricordare i
tratti caratteristici del suo pensiero e della sua figura. Si ricordavano i
libri di rottura (Descolarizzare la societa'; Rovesciare le istituzioni;
Nemesi medica; Il genere e il sesso; Disoccupazione creativa; Le professioni
mutilanti), il coraggio civile della sua testimonianza di sacerdote e di
uomo, le sue "stravaganze" intellettuali e la sua radicalita' di pensiero,
che arrivava fino a sfidare il cancro pur di non cedere al ricatto della
medicina tecnologica e delle sue logiche di mercato.
E faceva una certa impressione vedere la protuberenza tumorale espandersi
dal collo e lui resistere alle improvvise contrazioni del male che cercava
di attutire attraverso intermittenti pipate a base di oppio.
A Citta' di Castello era voluto venire spontaneamente per conoscere la
realta' di don Achille, di cui aveva sentito parlare da anni. Gli
interessava il fatto che li' sopravviveva ancora l'esperienza di don Lorenzo
Milani, che Achille Rossi continua a trasmettere attraverso un doposcuola
per i ragazzi piu' svantaggiati della zona. E poi voleva acquisire il
materiale degli studi panikkariani, dato che Rossi e' pure il tramite, in
Italia, del pensiero del grande filosofo indiano-ispanico, amico e maestro
di Ivan per tutto quello che riguarda il dialogo interculturale e
intra-religioso.
Prima di allora io non avevo mai visto Illich. Avevo sentito parlare di lui
come di una sorta di guru dei movimenti alternativi, avevo letto del suo
travaglio di sacerdote e delle sue dispute col Sant'Uffizio, che pero' non
era mai riuscito a tacciarlo di eresia (anzi, era stato costretto a
riconoscere la sua liberta' nella fedelta'), avevo raccolto gli echi della
sua testimonianza dai racconti di Alex Langer ed alcuni amici che
ripercorrevano spesso il memorabile incontro che egli tenne a Bolzano nel
1985.
Mi ha impressionato il fatto che quando lo vidi entrare in sala pareva che
lo conoscessi da sempre. Pur non avendolo mai visto, avevo di Illich
esattamente l'immagine dell'uomo che mi appariva per la prima volta in
quell'occasione. Magro, filiforme, i suoi occhi brillavano nonostante gli
attacchi di dolore che lo irrigidivano, aveva un sorriso immediato e una
passione per il suo interlocutore che mi ricordavano i volti pieni di vita
degli indios discendenti degli incas o dei maya. Sembrava che ogni incontro
per lui fosse uno sprofondamento nel "qui ed ora" e che tutto il resto
intorno si fermasse quasi istantaneamente. Non so quanto impiego' per
camminare lungo il corridoio di accesso alla sala delle conferenze, ma
davanti ad ogni persona che incontrava si fermava per chiacchierare e
chiedere nomi, luoghi, destinazioni.
Poi intervenne, al fianco di Raniero La Valle (tema del convegno: "Il
ritorno della guerra") per improvvisare una meditazione sul "male", origine
e fine di ogni "disavventura bellica": "La guerra contemporanea, questa
collaborazione tecnologica all'Apocalisse - disse in avvio - e'
profondamente implicata nell'idea che il male possa essere estirpato". Le
prove gli vengono dalla scienza: "Mi ha sempre affascinato - prosegui' -
quello che trovo scritto nei libri di biologia a proposito dei batteri. Se
essi si trovano in un liquido nutritivo nel quale c'e' carenza di ossigeno,
appena arriva una fonte di ossigeno si fanno reciprocamente la guerra per
appropriarsi di questa scarsa risorsa. Ecco un bell'esempio di come si possa
trasferire sul mondo dei batteri l'immagine di uomo fondata sulla scarsita',
che e' un concetto del XIX secolo. L'ossigeno e' un valore al quale io
aspiro perche' tu lo desideri. Attribuire l'invidia ai batteri mi pare
proprio un espediente fantastico".
Si arriva cosi' all'idea che l'uomo e' un essere che ha dei bisogni. Ma i
bisogni hanno una caratteristica - continuava -, sono qualcosa di
quantitativo che si puo' misurare: "Posso andare dal dottore e chiedergli:
mi diagnostichi cio' di cui ho bisogno. O dirgli: sono stanco, mi dia
qualcosa per superare la stanchezza. Oppure: mi faccia una diagnosi perche'
possa percepirmi, non come io mi sento, ma come lei mi vede. Il bisogno in
senso stretto, come noi lo utilizziamo, e' di questo tipo. In un mondo di
sussistenza i bisogni si eliminano; la scarsita' basata sulla santificazione
dell'invidia dovrebbe poter essere eliminata".
Dopo la critica all'antropologia dei bisogni la disamina di Illich ha
affrontato criticamente il concetto di valore: "Come si potrebbe tradurre in
latino la parola 'valori'? Non esiste nessuna corrispondenza ne' nel latino
classico ne' in quello medioevale. Gli antichi non conoscevano il valore, ma
solo il bene, che e' basato sulla verita' della cosa. Il valore invece e'
una realta' misurabile; la societa' fondata sui valori reprime il senso
comune che riconosce il bene e giudica quello che va e quello che non va in
determinate circostanze. La sostituzione del bene con il valore non e' stata
avvertita in tutta la sua portata".
Il discorso di Illich si appassionava quando cominciava a parlare del
silenzio della chiesa nei confronti della guerra. Un silenzio insuperabile,
a parere dello studioso, perche' la chiesa si e' adattata al pensiero
dominante nella secolarita' occidentale. "Le encicliche del XIX secolo sono
discorsi in favore dei 'valori cristiani'. Io vorrei essere invece imitatore
dei primi martiri, che venivano condannati 'ad leones' dai giudici romani
come 'viri irreligiosi'. Oggi sono uomini irreligiosi coloro che non si
fanno dirigere dai valori ne' dirigono la propria azione orientandosi ad
essi. Il valore ha un piu' e un meno, si puo' quantificare e rappresentare
graficamente. Ve l'immaginate un grafico sulla crescita dell'amore in Santa
Teresa di Lisieux o una curva che descriva l'amore o il bene? Siamo di
fronte a una corruzione fondamentale".
"Quello che mi rattrista di piu' - proseguiva - e' l'assunzione all'interno
del discorso ecclesiale dei concetti di valore, di giustizia fondata sui
valori, sulla produttivita' dell'essere umano. Percio' io intendo leggere la
storia della modernita' come storia della chiesa. Sono arrivato alla
convinzione che anche gli errori piu' profondi della modernita' nascono dai
semi gettati dalla chiesa. 'Corruptio optimi pessima'. La cosa peggiore e'
la corruzione di cio' che e' ottimo".
Come esempio di tale corruzione Illich ha citato la nozione di servizio.
"Quando ero rettore di universita', mi sono reso conto dell'esistenza di un
settore dell'economia chiamato dei servizi. Oggi sappiamo che la maggior
parte dei valori prodotti sono dei servizi. La parabola evangelica del
samaritano ci presenta l'esempio di un uomo che si lascia commuovere fin
nelle viscere dal poveraccio aggredito e intavola con questo "escluso" una
relazione fraterna. Ma un'istituzione che si comporti come il samaritano
minaccerebbe la trasmissione di una rivelazione della possibilita'
dell'amore. L'aveva gia' intuito S. Giovanni Crisostomo nel IV secolo, che
invitava i vescovi a non fare le case per i forestieri, altrimenti i
cristiani avrebbero perduto l'abitudine a trattare ogni uomo come fratello.
La chiesa, invece, ha dato l'esempio dell'istituzionalizzazione dell'amore.
Piu' tardi ha istituzionalizzato anche le cose sacre ed e' passata dalla
comunicazione del Mistero nella liturgia alla creazione del catechismo".
Insomma, Illich fa la storia della modernita' come storia della corruzione
della chiesa e ribadisce: "Solamente dove esistono servizi possono esistere
bisogni in termini di domande, esigenze, diritti a dei prodotti del nostro
mondo di scarsita'". E si chiede se il "mysterium iniquitatis" della
modernita' non prenda le mosse proprio dalla trasformazione in imprese
sociali di vocazioni profondamente personali, votate alla fraternita' e alla
sequela di Gesu'.
Dopo la conferenza siamo andati a cena assieme. Gli ho detto che venivo da
Bolzano e lui subito e' partito col parlarmi di Alex Langer. Poi ha fatto
silenzio. Il male ha ripreso le sue fitte e Illich si e' ritirato nella sua
stanza. Fumando la pipa come gli aveva insegnato un maestro persiano. Dicono
che abbia fatto l'ultimo "tiro" pochi minuti prima di morire, nel silenzio,
fedele al suo pensiero, alla sua etica e alla sua testimonianza.

5. PROPOSTE. PEPPE SINI: UNA LETTERA APERTA AI SIGNORI LEGISLATORI A
SOSTEGNO DELLA RAGIONEVOLE PROPOSTA DI APPLICARE IN ITALIA L'ARTICOLO 10
COMMA TERZO DELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
[La seguente lettera aperta e' stata inviata il 6 dicembre a senatori e
deputati della Repubblica Italiana, e per opportuna conoscenza al capo dello
Stato]
Egregi signori legislatori,
il comma terzo dell'articolo 10 della legge su cui si fonda lo Stato
italiano in quanto ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica
Italiana, testualmente recita: "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo
paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni stabilite dalla legge".
Non si potrebbe essere piu' chiari.
Non applicare le leggi da parte di pubblici ufficiali costituirebbe un venir
meno ai propri doveri.
Disprezzare e disattendere le leggi da parte di chi ha il compito di fare le
leggi, costituirebbe una flagrante contraddizione.
Violare la Costituzione da parte di persone che ad essa hanno giurato
fedelta' costituirebbe un gravissimo reato.
Oggi, purtroppo, questa norma e' largamente disattesa, disapplicata, tradita
ed irrisa.
Con tragiche, orribili conseguenze.
Tragiche, orribili conseguenze: come le frequenti stragi nel mar
Mediterraneo di esseri umani disperati che dai loro paesi cercano di venire
in Italia proprio per sfuggire alla fame, alle guerre, alle persecuzioni e
alla morte, e che la nostra Costituzione ci impone di aiutare ed accogliere;
queste stragi devono cessare.
Tragiche, orribili conseguenze: come l'arricchimento dei poteri mafiosi che
lucrano profitti enormi gestendo il traffico clandestino di esseri umani che
sono di essi poteri criminali le prime vitime, esseri umani che avrebbero
pieno diritto ad entrare nel nostro paese in tutta legalita'; questo
arricchimento dei poteri mafiosi deve cessare.
Tragiche, orribili conseguenze: come la presenza in Italia di molte persone
in condizioni di clandestinita' e quindi espone ad essere vittima di ogni
pericolo, e la loro mancanza di sicurezza implica altresi' una crescita
dell'insicurezza per tutti; c'e' un solo modo per far trionfare la legalita'
e garantire sicurezza a tutti: togliere tutti dalla clandestinita', a tutti
riconoscere diritti e doveri.
C'e' un modo semplice, limpido, ragionevole, pratico, per applicare il
dettato costituzionale, per salvare innumerevoli vite umane, per far cessare
le stragi di migranti nel mare, per smetterla di far arricchire i
trafficanti mafiosi, per garantire a tutti dignita', diritti e sicurezza: ed
il modo e' il seguente: permettere a tuti coloro che vogliono entrare nel
nostro paese di farlo in modo legale; garantire a tutti coloro che, in fuga
dalla fame e dalla morte, vogliono entrare nel nostro paese, un servizio di
trasporto pubblico e gratuito.
Questa ragionevole proposta sottoponiamo ancora una volta alla vostra
attenzione: lo facemmo anni addietro, senza esito. Vorremmo confidare in una
maggior attenzione oggi.
*
Sappiamo quali sono le principali obiezioni, e ad esse sappiamo rispondere:
- che altri paesi europei avrebbero da obiettare: ebbene, si rinegozino gli
accordi europei;
- che questa proposta contraddice la vigente legge sull'immigrazione: ma
quella legge e' attualmente all'attenzione della Corte Costituzionale (su
opportuna e doverosa iniziativa del Tribunale di Viterbo) proprio per i suoi
evidenti profili di flagrante incostituzionalita': che il parlamento la
abrogasse ancor prima dell'inevitabile pronunciamento abrogativo della Corte
Costituzionale sarebbe un atto di mera ragionevolezza.
- che vi sarebbero notevoli problemi organizzativi per applicare la
ragionevole proposta che formuliamo: e' una buona ragione per cominciare a
studiarli subito.
- che vi sarebbero dei costi consistenti: e' vero il contrario. In verita'
oggi si sperperano risorse umane, logistiche, materiali e finanziarie enormi
per ottenere esiti peggio che miserevoli, criminogeni e sciagurati: oggi
persone che non hanno commesso alcun reato vengono ingiustamente detenute;
oggi centinaia di migliaia di esseri umani innocenti sono costretti a una
vita clandestina di paura e solitudine ed esposti alle violenze della
criminalita' organizzata; oggi vi e' una insicurezza generalizzata; oggi vi
e' l'arricchimento delle mafie italiane ed estere; oggi tantissimi esseri
umani perdono la vita nel tentativo di approdare in un paese la cui legge
fondamentale riconosce il loro diritto a vivere con noi. Se consideriamo
questa, che e' la situazione attuale, e quante risorse pubbliche si sprecano
per ottenere questi scandalosi risultati, crediamo sia evidentissimo a tutti
che la nostra proposta e' di gran lunga vantaggiosa anche sotto il profilo
economico, sociale e della pubblica amministrazione.
- che si rischierebbe una "invasione incontrollabile": in verita'
l'immigrazione incontrollata vi e' oggi attraverso il sistema del traffico
clandestino gestito dai poteri criminali. Creare modalita' di ingresso
legale, un servizio pubblico di trasporto, un rapporto con i migranti basato
sui diritti e sui doveri, sul rispetto reciproco, sul principio di
legalita', sara' sempre di gran lunga preferibile alla situazione attuale in
cui di fatto a gestire la mobilita' umana dal sud verso l'Italia e' la
criminalita' organizzata piu' feroce. Certo, anche l'Italia ha una
"capacita' di carico" limitata, ma questo sara' piuttosto un incentivo a
politiche di cooperazione internazionale adeguate a migliorare le condizioni
di vita nel sud del mondo, e non un alibi per rifiutare soccorso ad esseri
umani che a quel soccorso hanno diritto non solo per ovvi motivi morali, ma
per cogente disposizione di legge, della legge fondamentale del nostro
Stato.
*
Un'ultima considerazione: vogliate tener a mente che cio' di cui si sta
parlando sono le vite di innumerevoli persone. Proseguire nella politica
attuale significa condannare molte di loro alla morte; applicare la norma
costituzionale e sperimentare la ragionevole proposta di garantire
l'ingresso in forma legale in Italia a tutti gli aventi dirittto ed
approntare a tal fine un servizio di trasporto pubblico e gratuito significa
salvare quelle vite, soccorrere quelle persone, adempiere a quel principio
che tutte le grandi tradizioni culturali dell'umanita' indicano come dovere
fondamentale di ogni essere umano, massime di chi e' investito di funzioni
pubbliche e legislative: non uccidere.
Ringraziandovi fin d'ora per l'attenzione, auspicando un positivo riscontro
alla presente, vogliate gradire distinti saluti.

6. BENITO D'IPPOLITO: AI CARI AMICI DELLA RETE LILLIPUT RIUNITI IN QUESTI
GIORNI A VICO EQUENSE
[Si svolge dal 6 all'8 dicembre a Vico Equense l'assemblea programmatica
della Rete di Lilliput, ai partecipanti il nostro collaboratore Benito
D'Ippolito (nell'incomprensibile lessico suo e con le sue non meno
incomprensibili alchimie ritmiche e metriche, ma sapete come e' fatto) ha
inviato il seguente messaggio di saluto]

Abbiate pace, abbiate forza e gioia.

Ci attendono, amici, tempi assai duri
di tutta la vostra bonta', di tutto l'ingegno
di ognuno di voi, avremo bisogno.

Tenaci e pazienti, rendere gli oscuri
eventi infine chiari, e' il primo impegno
e rendere realta' quel che ora e' sogno.

La guerra che gli spirti mali e furi
van preparando, trovi nel convegno
vostro la resistenza che io agogno.

La resistenza di saldi e sicuri
amici della nonviolenza, segno
di verita' e di speme, fabbisogno

forte di cuori puri,
e venga infine il regno
di libere e di liberi ed eguali, antico sogno,

quell'utopia concreta che e' in cammino
coi vostri passi, tenero ed audace
il vostro essere e fare un mondo nuovo.
Che molto approvo, e vi sono vicino
e ancora abbiate gioia, forza, pace.

7. INIZIATIVE. LUISA MORGANTINI: CAPODANNO IN PALESTINA E ISRAELE
[Riportiamo la notizia di questa importante iniziativa, che riprendiamo dal
sito www.womenews.net. Luisa Morgantini (per contatti:
lmorgantini@europarl.eu.int), parlamentare europea, e' una delle figure piu'
prestigiose dell'impegno per la pace e di solidarieta']
Partenza il 26 dicembre 2002: da Roma Fiumicino alle ore 8,00; da Milano
Malpensa alle ore 10,00. Arrivo previsto a Tel Aviv alle ore 16,15. Rientro
in Italia il 3 gennaio 2003, da Tel Aviv, aereoporto Ben Gurion, alle ore
5,35. Arrivo previsto a Milano alle ore 8,50; a Roma alle ore 11,05. Costo
complessivo preventivato 1000 euro.
Parteciperemo alla grande manifestazione del 27 dicembre a Tel Aviv
organizzata dalla Coalition of Women for Peace.
Andremo al Kibbutz Metzer ad incontrare quegli israeliani che da sempre
vivono e lavorano in armonia con i palestinesi-israeliani del vicino
villaggio di Meisar.
Andremo ad Haifa per nuovi incontri con donne e associazioni pacifiste.
Andremo a Jenin, Jerusalem, Ramallah, Nablus, Betlehem... E come sempre
incontreremo tante donne e intrecceremo fili di solidarieta' e tenerezza.
Per adesioni via e-mail: scrivere a lmorgantini@europarl.eu.int; per
adesioni via fax: al n. 0669950200.

8. RILETTURE. RUTH BENEDICT: MODELLI DI CULTURA
Ruth Benedict, Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano 1960, 1979, pp. 280.
Un classico dell'antropologia.

9. RILETTURE. LUCY MAIR: INTRODUZIONE ALL'ANTROPOLOGIA SOCIALE
Lucy Mair, Introduzione all'antropologia sociale, Feltrinelli, Milano 1970,
1980, pp. 312. Un utile manuale.

10. RILETTURE. CORRADO MANGIONE (A CURA DI): SCIENZA E FILOSOFIA. SAGGI IN
ONORE DI LUDOVICO GEYMONAT
Corrado Mangione (a cura di), Scienza e filosofia. Saggi in onore di
Ludovico Geymonat, Garzanti, Milano 1985, pp. 864. Alcuni contributi sono di
grandissima rilevanza.

11. RILETTURE. MARGARET MEAD: SESSO E TEMPERAMENTO IN TRE SOCIETA' PRIMITIVE
Margaret Mead, Sesso e temperamento in tre societa' primitive, Il
Saggiatore, Milano 1967, Garzanti, Milano 1979, pp. 352. Ancora un classico
dell'antropologia.

12. RILETTURE. GIANFRANCO RAVASI: QOHELET
Gianfranco Ravasi, Qohelet, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988,
Mondadori, Milano 1997, pp. 480, lire 15.000. Un bel commento di un libro
fondamentale.

13. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI: STORIA DELLA PSICOANALISI
Sivia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986,
1990, pp. XIV + 454. Una lettura, e rilettura, che vivamente raccomandiamo.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 438 del 7 dicembre 2002