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La nonviolenza e' in cammino. 435



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 435 del 4 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Donne e cambiamento in America Latina, un incontro a Roma
2. Un profilo di Mao Valpiana
3. Cinzia Gubbini, un Mediterraneo mortale
4. Peppe Sini, una ragionevole proposta per far cessare le stragi di
immigrati in mare: ingressi legali e trasporto pubblico e gratuito per tutti
5. Giulio Vittorangeli, Panama, l'invasione dimenticata
6. Emanuel Anselmi, Fromm e la psicoanalisi della societa' contemporanea
7. Il "COS in rete" di dicembre
8. Riletture: AA. VV., Femminismo
9. Riletture: Maria Antonietta Calabro', In prima linea
10. Riletture: Franca D'Agostini, Analitici e continentali
11. Riletture: Paul Froelich, Rosa Luxemburg
12. Riletture: Lia Levi, Una bambina e basta
13. Riletture: Antonella Lorenzi, Cristina Morrocchi, Mirella Pezzini, Anna
Savoja, Obiettivo: coscienza civile
14. Le desolazioni di Ciccio Parolaio: per farla finita con le cicalate su
"impero" e "moltitudini"
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. DONNE E CAMBIAMENTO IN AMERICA LATINA, UN INCONTRO A ROMA
[Dal nodo di Roma della Rete di Lilliput (per contatti:
stampa_lilliput_roma@yahoo.it) riceviamo e diffondiamo]
Venerdi' 6 dicembre, alle ore 18, a Roma, Rialto S. Ambrogio, Via S.
Ambrogio 4, si terra' un incontro su "Le donne nel processo di cambiamento
in America Latina".
La venezuelana Nora Castaneda e la colombiana Gloria Cuartas racconteranno
alcune esperienze significative dei processi di cambiamento in  America
Latina. Prima del dibattito verra' proiettato un film-documentario sulla
situazione venezuelana.
*Nora Castaneda e' presidentessa del Banco de la Mujer (Banca della Donna),
nominata l'otto marzo del 2002 dal presidente venezuelano Ugo Chavez:
obiettivo di tale banca e' di concedere alle donne venezuelane circa mille
microcrediti al mese. E' dirigente del movimento delle donne e professoressa
di economia all'Universita' Centrale del Venezuela.
Gloria Cuartas, gia' sindaco della citta' di Apartado nella regione di
Uraba' in Colombia, una delle zone di maggior conflitto in Colombia per lo
scontro tra esercito, paramilitari e formazioni guerrigliere. Per il suo
coraggio si e' conquistata un posto di grande rilievo nel movimento delle
donne per la pace in Colombia ricevendo il premio Unesco per la pace nel
1998.
L'incontro e' stato organizzato da Banca Etica - coordinamento soci del
Lazio, Win (Women International Network), Emergency and Solidarity, Club
colombianos en el exterior, Rete Lilliput - nodo di Roma, Attac Roma.
Per informazioni: Andrea Baranes 3396312613.

2. MAESTRI E COMPAGNI. UN PROFILO DI MAO VALPIANA
[Sono assai grato a Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" e
carissimo tra gli amici piu' cari (per contatti: azionenonviolenta@sis.it),
per questa lettera e per l'autorizzazione a riprodurla sul nostro
notiziario. Da tempo sollecito alcuni amici della nonviolenza ad inviarmi
qualche notizia e riflessione autobiografica, incontrando sovente resistenze
fortissime - e comprensibilissime e degne di elogio, va da se' - e dovendo
molto insistere. Se mi permetto di farlo non e' per violare la riservatezza,
che rispetto ed ammiro, di molte persone al mio cuore carissime, ma perche'
credo che sia utile che i nostri lettori possano conoscere la nonviolenza
per quello che essa realmente e': ovvero donne e uomini di volonta' buona in
lotta contro la violenza. Donne e uomini concreti, con la propria fatica e
la propria tenacia, con i propri tragitti e le scelte fatte all'incrocio tra
le occasioni e gli appelli che nel corso della vita e' loro capitato di
incontrare e di percepire, e dinanzi a cui, come capito' ad Antigone, ad una
scelta si sono sentite e sentiti chiamati. Come rispondeva Paolo Borsellino
a chi gli chiedeva chi glielo faceva fare di combattere contro la mafia: per
una questione morale, di dignita', perche' c'era gente che stava morendo e
tu non puoi far finta di niente. E mentre chiedo perdono a Mao (e con lui
alle altre e altri che gia' in passato hanno positivamente risposto alle mie
richieste o lo faranno in futuro) di averlo sollecitato a questa lettera che
di seguito si pubblica, nuovamente lo ringrazio del dono prezioso, prezioso
per me e credo per tutte le lettrici e tutti i lettori del notiziario (Peppe
Sini)]
Caro Peppe,
proprio non mi riesce di scrivere i cenni autobiografici che mi hai chiesto.
Gia' tre volto ho iniziato e poi ho cancellato tutto. Uno degli aspetti
prevalenti del mio carattere e' la riservatezza. Per di piu' penso che agli
altri possa interessare poco di me. Inoltre non credo di  aver fatto cose
cosi' speciali da meritare di essere raccontate.
Pero' mi spiace non esaudire una tua richiesta, perche' sei una persona che
tengo in grande considerazione. Cosi' mi e' venuta un'idea: ti faccio
qualche confidenza personale, come si usa tra vecchi amici. Poi tu
utilizzerai questa lettera come meglio credi: pubblicandola tutta o in
parte, o tenendola solo per te.
*
Incontri. Il primo incontro significativo non ha mai potuto realizzarsi. E'
quello con mio nonno materno, Gracco Spaziani, morto a Mauthausen nel
febbraio del 1945. Io sono nato dieci anni dopo, ma fin da piccolo mia madre
me l'ha fatto amare e immaginare, raccontandomi di quanto era buono e amante
della liberta'.
Avvocato, socialista, antimilitarista, e' stato imprigionato molte volte per
non aver mai nascosto la sua avversita' al regime fascista. L'ultima volta
venne arrestato nel novembre del 1944, di notte, in casa, dalle brigate
nere: torturato e poi deportato a Bolzano e infine nel lager. Fini' i suoi
giorni terreni nella camera a gas.
Un bel libro che ne ripercorre la storia e' quello di mia zia Ortensia
Spaziani (Mio padre, mia madre e i fascisti, Editrice Mazziana); un breve
ricordo l'ho scritto anch'io e si trova in Periferie della memoria (Edizioni
del Movimento Nonviolento).
La figura di questo nonno, martire per la liberta', e il pensiero che mia
mamma a soli 22 anni e' rimasta orfana per la coerenza ideale di suo padre,
mi ha sempre colpito.
Come mi colpi' moltissimo, da giovane adolescente, scoprire che in una delle
tante perquisizioni subite in casa, i fascisti sequestrarono una volta un
libro del nonno ritenuto "sovversivo": era il testo "Come ruinare
l'autorita'" di Lev Tolstoj. Appena ho potuto, forse tredicenne, sono andato
nella Biblioteca Comunale di Verona a cercare questo libretto. Ho trovato un
vecchio esemplare (Edizioni "L'Avanti") e l'ho trascritto (le fotocopie
ancora non si usavano). Quel testo (una straordinaria illustrazione della
disobbedienza civile) divenne poi il primo "ciclostilato in proprio" diffuso
dal Gruppo Nonviolento di Verona nel 1974.
*
Altro incontro determinante, naturalmente, e' stato quello con mamma Nelda e
papa' Italo. Oltre ad una buona educazione, culturale, civica e religiosa,
ai buoni sentimenti, ci hanno (mi riferisco anche alle mie due sorelle
maggiori, Tiziana e Silvana, cui sono legatissimo e che ringrazio perche' mi
hanno parto la strada) sempre abituati ad interessarci alle cose del mondo,
a fare opere di carita', a seguire e partecipare alla cosa pubblica, ad
avere la passione politica e un gran senso della liberta'. La nostra casa e'
sempre stata aperta. Il loro esempio (seppur molto diverso l'uno dall'altra)
ancor oggi mi commuove.
La mamma era sempre in prima fila ogni qual volta c'era da difendere una
causa dei piu' deboli. Ricordando tutte le umiliazioni patite con il
fascismo, quando ci fu il colpo di stato di Pinochet in Cile, apri' subito
le porte e ospito' a casa per mesi un'esule (cedendole la mia camera...).
Ancora bambino mi porto' in pellegrinaggio a Mauthausen. E fu orgogliosa
quando capi' che mi stavo avviando sulla strada dell'obiezione di coscienza.
E' morta troppo presto...
Il papa', che se ne e' andato da poco, l'ho ricordato agli amici con alcune
righe che fra l'altro dicono:
"... Noi ci credevamo rivoluzionari, e lui era stato giovanissimo
partigiano.
Noi ci credevamo naturisti, e lui da trent'anni si faceva lo yogurt in casa.
Noi ci credevamo alternativi, e lui ci trasmetteva il senso dello Stato.
Noi ci credevamo intellettuali, e lui ripassava la Divina Commedia.
Noi ci credevamo obiettori, e lui viveva quei valori negli Alpini.
Noi ci credevamo ecologisti, e lui andava solo a piedi.
Diceva di essere all'antica, ma ha accettato di aprire le porte alle persone
piu' strane e diverse che abbiamo portato in casa: bonzi, esuli,
clandestini. Un bel modo di insegnarci l'accoglienza e la tolleranza...".
*
Un'altra esperienza formativa importante per me e' stato lo scoutismo.
L'amore per la natura e gli animali, diventato poi ecologismo, l'ho imparato
li'. Cosi' anche il senso del gruppo e dell'impegno.
C'e' stato anche un incontro giovanile di cui solo anni dopo anni capii
l'importanza. E' stato quello con Enzo Melegari, primo obiettore di
coscienza cattolico veronese, scomparso prematuramente qualche mese fa.
Enzo era piu' grande di me. Abitavamo vicini, ed era un compagno di giochi
delle mie sorelle. Un giorno (io avro' avuto circa 15 anni) venni a sapere
che Enzo era stato incarcerato perche' aveva rifiutato di fare il militare
in coerenza con il suo essere cristiano. Questo fatto mi colpi' moltissimo.
Fu cosi' che arrivo' in casa, portata da una delle mie sorelle, una copia di
un giornalino che si chiamava "Azione nonviolenta". Lo lessi tutto d'un
fiato.
*
Poi c'e' stata la parrocchia. Un incontro particolare e' stato quello con
don Giuseppe, il curato degli adolescenti. Erano i primi anni '70 e negli
incontri di catechismo ci parlava di un certo don Lorenzo Milani. Leggemmo
insieme la Lettera a una professoressa. Quando ci fu il golpe cileno,
facemmo insieme un volantino di denuncia che distribuimmo la domenica
all'uscita dalle messe. Fu uno scandalo. Tanti fedeli non gradirono e
andarono a lamentarsi dal vescovo. Poco dopo don Giuseppe venne allontanato.
Fini' in una sperduta parrocchia di campagna, ma alcuni di noi continuarono
a frequentarlo e con lui diventammo una piccola comunita' di base. Si
leggevano i Vangeli e si discuteva molto di nonviolenza. In quel periodo mi
conquisto' la lettura di Antiche come le montagne (Edizioni di Comunita') di
Gandhi, e de Il Vangelo della nonviolenza di Jean Marie Muller (Editrice
Lanterna).
*
Avevo trovato da qualche parte un bel libretto, La coscienza dice no,
Edizioni Gribaudi, nel quale mi aveva particolarmente colpito uno scritto di
Pietro Pinna.
In me ormai era maturata l'idea di fare obiezione di coscienza. Era l'inizio
del 1972 ed ancora non c'era il riconoscimento giuridico. Avevo 17 anni e
decisi che alla chiamata militare dei 18 avrei detto "no" anche affrontando
il carcere.
Un testo che mi confermo' nella decisione fu Signorno' (Edizioni Guaraldi)
di Franco Gesualdi.
Fu cosi' che presi i primi contatti con il Movimento Nonviolento, scrivendo
che mi sarebbe piaciuto farne parte. Mi rispose proprio il Pinna (conservo
ancora gelosamente quella sua bellissima lettera) consigliandomi prima di
leggere insieme con alcuni amici l'opuscolo di Aldo Capitini, Teoria della
nonviolenza (Quaderni di Azione nonviolenta, n. 6) e di commentarlo insieme.
Cosi' facemmo. Successivamente invitammo il Pinna ad un incontro del gruppo.
Venne e l'incontro si tenne a casa mia. Da li' il gruppo si formalizzo' ed
iniziammo anche a fare qualche attivita' pubblica. Era il 1974. Con Pietro
Pinna e' nata una grande amicizia, che prosegue ancora oggi. Dietro una dura
scorza si nasconde una persona straordinaria. E' uno dei miei maestri di
vita. Fra le tante cose che mi ha insegnato, c'e' la cura dei dettagli e il
pretendere sempre prima da se stessi quello che si vorrebbe facessero gli
altri. Ancora non mi capacito della fiducia che Pietro ha avuto in me,
affidandomi la direzione di "Azione nonviolenta" (a lui cara "come una
creatura") e tutta l'eredita' del centro di Perugia.
*
Nel frattempo la Legge 772 era stata approvata e venne il mio momento di
scegliere per il servizio civile. Dopo un Corso di formazione autogestito al
Don Calabria di Verona, con il mio inseparabile amico Sergio Salzano svolsi
il servizio di 20 mesi (piu' quattro come volontari) al Centro Mazziano.
Furono anni per me straordinari. Mi impegnai anima e copro nel servizio e
nell'attivita' del Movimento Nonviolento. Organizzammo i primi convegni
nazionali del movimento antinucleare (1977) e sulla difesa popolare
nonviolenta (1978). Feci anche moltissimi viaggi. Si faceva spesso
l'autostop. Andai a Montalto di Castro per le manifestazioni contro la
centrale nucleare, a Comiso contro i missili, a Bruxelles dove allora c'era
la sede della War Resisters' International, a Parigi, Londra, Strasburgo per
incontri sull'obiezione in Europa; e tanti incontri del Movimento in ogni
parte d'Italia. Iniziarono anche a chiamarmi per qualche conferenza.
All'inizio dovetti davvero fare violenza su me stesso per parlare in
pubblico, ma poi ci si fa l'abitudine.
Sempre insieme a Sergio mi iscrissi alla Scuola Superiore di Servizio
Sociale, e mi diplomai con una tesi su "La nonviolenza come metodo
innovativo di intervento nel sociale".
*
Fu in quegli anni che feci incontri fondamentali di persone straordinarie.
Fra i tanti possibili, cito solo quelli con i quali e' nata anche
un'amicizia personale e che mi hanno insegnato qualcosa di cui faccio tesoro
non solo nell'attivita' pubblica, ma anche nella vita privata: Alfredo Mori,
Angela e Beppe Marasso, Giannozzo Pucci, Piercarlo Racca, Davide Melodia,
Tonino Drago, Alberto e Annaluisa L'Abate, il monaco Morishita, Francuccio
Gesualdi, Alex Zanotelli, Suor Irene Bersani, don Domenico Romani, Michele
Boato, Matteo Soccio, Daniele Lugli, Edi Rabini, Emilio Butturini, Tano
Latmiral, Donata De Andreis, Giuliana Martirani, Hedy Vaccaro, Danilo Dolci,
Alberto Trevisan, Sandro Canestrini, Gianni Tamino, Giuliano Pontara, Nanni
Salio, Christoph Baker, e chiedo scusa a coloro che ho dimenticato di
nominare.
*
Un capitoletto a parte lo voglio riservare ad Alex Langer. L'ho incontrato
la prima volta per fargli un'intervista per "Azione nonviolenta" sulla sua
esperienza di lista interetnica. Ho capito subito che avevo a che fare con
una persona speciale. Non solo per l'acume politico e la capacita'
espositiva, ma per quel "di piu'" di empatia che ci metteva. Ci incontrammo
in varie altre occasioni, legate alla nascita delle Liste Verdi attorno al
1985 (con l'esperienza verde sono stato consigliere comunale a Verona
dall'85 all'87 e poi consigliere regionale del Veneto dall'87 al '95, e poi
ancora consigliere comunale dal '98 al 2002).
Ma il legame forte tra noi nacque nel 1989 quando mi propose di
accompagnarlo in Amazzonia ad un convegno organizzato dai missionari sui
problemi ambientali e sociali di quella regione. Questo invito mi stupi'
molto ma accettai, incuriosito. Fu un'esperienza straordinaria. Da li'
inizio' per me l'avventura della Campagna Nord Sud e l'amicizia intima (un
dono davvero speciale) con Alex.
Molte cose restano nel mio cuore, ma se devo dire un insegnamento politico
che mi ha lasciato, e' sintetizzabile in questa sua frase: "per fare una
seria attivita' di movimento sono essenziali due cose: un buon archivio e un
buon indirizzario". E' un consiglio prezioso che non dimentico mai.
Considero Alex come colui che e' riuscito ad entrare ed uscire dalle
istituzioni restando integro. Ho visto nel suo modo di fare politica
l'incarnazione del pensiero capitiniano. Consiglio a tutti la lettura del
suo libro Il viaggiatore leggero (Edizioni Sellerio).
*
Ci sarebbero tante altre cose da raccontarti, ma voglio limitarmi a tre
esperienze formative.
Una prima vera e propria "scuola politica" per me sono state le Marce
Antimilitariste, quelle da Trieste ad Aviano degli anni '70, che si
concludevano poi a Peschiera del Garda davanti al carcere militare. Ho avuto
la fortuna di parteciparvi stando vicino a Pietro Pinna, e ti devo dire che
piu' di ogni altra cosa mi hanno fatto capire che cos'e' e come si conduce
un'azione diretta nonviolenta.
Ne ho fatto tesoro in particolare nel gennaio del 1991 quando con altri ho
organizzato il blocco ferroviario di un treno che passava da Verona e
trasportava armi dirette in Iraq. Fu un'azione organizzata nei minimi
dettagli, esemplare per il suo svolgimento: fummo processati e poi assolti.
*
Una seconda scuola per me sono stati i 22 processi per l'obiezione fiscale
alle spese militari che abbiamo subito ed affrontato con una squadra
eccezionale di avvocati, che voglio qui ricordare per la qualita' del loro
lavoro, l'abnegazione dimostrata e l'amicizia concessami: Sandro Canestrini,
Giuseppe Ramadori, Maurizio Corticelli, Nicola Chirco. Dopo un lunghissimo
iter fu sancito che propagandare il rifiuto del pagamento delle tasse
destinate alle armi non e' reato. In quelle aule di tribunale, da Sondrio a
Ragusa, si sono scritte pagine memorabili, si e' fatta giurisprudenza, si e'
dato corpo alla Costituzione Repubblicana, ed ho imparato cos'e' l'amore per
la Legge.
*
La terza scuola e' stata (e continua ad essere) la Casa per la Nonviolenza.
La prima volta che andai a Perugia, nella sede del Movimento Nonviolento,
che era stata la casa di Capitini, rimasi affascinato. In se' non era gran
cosa, ma c'era quel senso di autorevolezza, di nobilta', di sacro, di
saggezza, che traspare da certe case piene di storia oppure da certi oggetti
appartenuti a generazioni passate. Cosi', quella prima volta, pensai che mi
sarebbe piaciuto far nascere a Verona qualcosa di simile.
Iniziammo nel 1974 prendendo in affitto (autotassandoci mensilmente) un
vecchio umidissimo seminterrato (la gloriosa sede di via Filippini 25/a dove
anche tu mandavi per posta i tuoi comunicati, che conservo ancora ben
ordinati) e poi nel 1987 la decisione, con il Movimento Nonviolento
nazionale, di lanciare la campagna "un mattone per la pace" e acquistare una
casa per farne un "centro" permanente per la nonviolenza, cosi' come intui'
e volle fare Capitini.
Gestire, organizzare, avere a cuore, prendersi cura quotidianamente della
Casa per la Nonviolenza e farlo con spirito di servizio, e' una vera scuola.
L'archivio, la biblioteca, l'emeroteca sono oggi un grande patrimonio
collettivo.
Se dovessi fare un bilancio dei miei 47 anni di vita, direi che la Casa per
la Nonviolenza e' una delle cose migliori che ho fatto.
Un rammarico, invece, ce l'ho sul piano lavorativo: sono impiegato part-time
nella Asl di Verona, ormai senza entusiasmo.
Le energie che ho le dedico all'impegno come amico della nonviolenza.
*
Ci sono tante altre cose che forse andrebbero dette, ma appartengono ad una
sfera molto personale, e forse hanno valore solo per me.
Ma lasciamene citare solo una, che forse ti fara' sorridere: la passione per
la musica dei Beatles e di John Lennon in particolare (le sue canzoni e la
sua vicenda hanno avuto per me grande importanza).
Non diro' nulla di Marta, mia figlia di undici anni, e la sua amatissima
cagnolina Onda, senza le quali le giornate sarebbero vuote.
Come vedi, caro Peppe, non ho grandi meriti, nella mia vita sono
semplicemente stato molto fortunato. Devo tutto agli incontri che mi e'
stato concesso di avere. A coloro di cui ti ho parlato, e a molti altri di
cui nulla ho detto, va la mia grande gratitudine.
Come devo a te l'occasione particolare di fermarmi a ripensare alcuni pezzi
della mia vita. Mi hai fatto davvero un grande dono. Grazie.
Un abbraccio,
Mao

3. STRAGI. CINZIA GUBBINI: UN MEDITERRANEO MORTALE
[Il seguente articolo abbiamo tratto dal quotidiano "Il manifesto" del 3
dicembre 2002]
L'appello di papa Giovanni Paolo II affinche' si combatta "ogni forma di
xenofobia e nazionalismo esasperato", anche all'interno della stessa chiesa,
lanciato in occasione della "Giornata del migrante e del rifugiato", fa da
eco all'ennesima tragedia del mare.
Quarantaquattro morti accertati, cinquanta dispersi da due giorni,
cinquantadue sopravvissuti e' il tragico bilancio dei due naufragi avvenuti
nella notte tra sabato e domenica. L'uno avvenuto di fronte alle coste
libiche, dove un peschereccio che trasportava 120 africani e' affondato: i
sopravvissuti sono 52. L'altro avvenuto sulla costa di Amgriwe, 40
chilometri a nord del capoluogo del Sahara occidentale, El Ayoun: 32 i corpi
recuperati. Il peschereccio affondato a meta' strada tra Libia e Italia era
diretto in Sicilia, mentre l'altro era diretto in Spagna. Insomma, la
tragica fine di due viaggi verso l'Europa.
La nuova sciagura ha spinto il ministro degli interni italiano Beppe Pisanu
a porsi un interrogativo legittimo: "Per ogni carretta del mare che arriva
sulle nostre coste, quante ne affondano?". Domanda destinata a rimanere
senza risposta. Ma per quanto riguarda le risposte da dare a questa
insopportabile sequela di morti, il ministro degli interni si e' limitato a
dire le stesse cose: piu' collaborazione da parte dei paesi di partenza,
piu' collaborazione da parte dell'Europa. In realta', come nota il
responsabile per l'immigrazione dell'Arci, Filippo Miraglia, qualcosa in
piu' la potrebbe fare anche l'Italia, servendosi degli strumenti legislativi
a disposizione: "Come i fatti dimostrano - osserva Miraglia - una politica
delle frontiere che si fondi sulla sistematica chiusura dei canali di
ingresso non fara' che incrementare drammaticamente il numero delle vittime
di simili incidenti".
Nonostante i leader dei paesi europei - e in particolare quelli di Francia e
Spagna - siano sempre pronti a puntare il dito contro la scarsa
collaborazione dei paesi africani, principali punti di imbarco dopo la
flessione migratoria dei paesi balcanici, c'e' da registrare la scarsa
collaborazione dei paesi europei, che continuano a lesinare quote di
immigrazione legale. In Italia, a partire dal 1998 - anno di istituzione del
decreto flussi - le quote di ingresso ammesse dai governi italiani sono
state meno di duecentomila (compresi gli stagionali). Se si considera che
l'ultima sanatoria ha raccolto settecentomila richieste di regolarizzazione,
si comprende quale sia il divario tra offerta di canali legali per
l'immigrazione e la richiesta del mercato del lavoro.
Ma a essere messa sotto accusa dai governi dei paesi africani e' anche la
politica economica europea. Detta in soldoni, i paesi nordafricani non ci
stanno a fare i cani da guardia d'Europa, visto che l'Unione insiste ad
attuare una politica protezionistica, ad esempio sui prodotti agricoli. Per
i paesi africani, che da una parte sono costretti a cambiare la propria
economia in senso liberistico, e dall'altra scontano la finta
liberalizzazione dei mercati, l'emigrazione e' quasi una scelta obbligata.
Ma le tragedie di questo fine settimana parlano anche di un altro problema:
quello dei richiedenti asilo. Oltre a interrogarsi sulle "nuove rotte",
infatti, occorrerebbe interrogarsi sulla nazionalita' dei naufraghi.
Purtroppo, le fonti libiche non hanno reso noto la provenienza ne' delle
vittime, ne' dei sopravvissuti. La nave che affondo' il 14 settembre scorso
a Capo Rossello, e che era salpata dalla Libia, trasportava cittadini
liberiani. Attualmente la pressione migratoria sulle coste nordafricane
proviene da paesi in situazioni drammatiche, come la Liberia, appunto, la
Sierra Leone, il Sudan, la Somalia. E anche quando la richiesta di espatrio
viene dai cittadini tunisini, non si tratta sempre di disoccupati in cerca
di lavoro, ma anche di perseguitati politici. Quanti potenziali richiedenti
asilo c'erano, dunque, sulla nave affondata di fronte a Tripoli?
Come nota l'avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione,
Fulvio Vassallo Paleologo, "l'unico canale reale di ingresso dei richiedenti
asilo e protezione umanitaria rimane ancora quello clandestino". Quelli che
qualche tempo fa il ministro Pisanu defini' "un problema marginale". Quelli
che spesso neanche vengono a sapere della possibilita' di chiedere asilo
politico. Miraglia propone a questo proposito la creazione di un
coordinamento, del quale facciano parte ong e associazioni dell'area del
Mediterraneo, che vigili sull'attivita' della polizia di frontiera e sul
rispetto dei diritti umani in materia di immigrazione e asilo.

4. APPELLI. PEPPE SINI: UNA RAGIONEVOLE PROPOSTA PER FAR CESSARE LE STRAGI
DI IMMIGRATI IN MARE: INGRESSO LEGALE E TRASPORTO PUBBLICO E GRATUITO PER
TUTTI
C'e' un solo modo per mettere fini alle stragi di immigrati in mare e
all'arricchimento delle mafie che gestiscono i trasporti clandestini di
persone in fuga dalla fame e dalla persecuzione, dalle guerre e dalla morte:
ed e' riconoscere a tutti gli esseri umani il fondamentale diritto umano a
vivere, che in concreto significa anche il diritto di tutti gli esseri umani
a  muoversi sul pianeta che e' a tutti noi comune alla ricerca di un luogo
in cui poter vivere in pace e dignita'.
Piaccia o dispiaccia, le migrazioni sono la conseguenza della feroce
oppressione che il modello di sviluppo trionfante ed i sanguinari poteri
dominanti hanno imposto sul mondo: nessuna misura repressiva potra' fermare
i processi migratori finche' alla maggioranza del genere umano sara' reso
impossibile di avere una vita sicura e degna nel proprio paese d'origine.
E quindi mentre occorre che tutti ci adoperiamo a contrastare il regime di
apartheid planetario che ai quattro quinti dell'umanita' nega la stessa
qualita' di esseri umani, occorrono azioni costruttive immediate per fermare
le stragi e venire in socccorso delle sorelle e i fratelli in fuga
dall'orrore e dalla morte.
E quindi una cosa da fare subito e senza esitazioni, lo predichiamo da anni,
e' garantire a tutti - e diciamo tutti - gli esseri umani che nel loro paese
non vedono riconosciuti i diritti che il nostro paese (e perlomeno il nostro
ordinamento giuridico e la sua legge fondamentale) riconosce ai cittadini
italiani, a venire qui. Ad entrare in Italia e in Italia trovare salvezza.
Come recita il comma terzo dell'articolo 10 della Costituzione della
Repubblica Italiana.
E' stabilito dalla legge su cui si fonda tutto il nostro ordinamento
giuridico, il nostro stato di diritto, la nostra democrazia: sarebbe ora di
cominciare ad applicarla.
E per fare questo occorre anche un provvedimento amministrativo urgente piu'
di ogni altro: che lo stato italiano istituisca un servizio di trasporto
pubblico e gratuito per quanti nel nostro paese vogliono venire fuggendo la
fame, la guerra, le persecuzioni e  la morte. Non sara' facile organizzarlo,
ma occorre muovere in questa direzione. Non sara' facile costruire il
consenso su questo, ma occorre muovere in questa direzione.
E vadano alla malora gli accordi razzisti e assassini di Schengen; e vadano
alla malora le leggi nazifasciste come quella che reca la firma di due
prominenti ministri in carica. Si rinegozino gli accordi europei; e si
abroghi la legge razzista e incostituzionale.
La scelta e' tra salvare vite umane, o esser nel novero degli assassini.
Ciascuno scelga quale e' la sua parte.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: PANAMA, L'INVASIONE DIMENTICATA
[Giulio VIttorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo notiziario, e una di quelle persone che
tutti cercano quando hanno bisogno di aiuto]
"Ritengo che questa guerra ci sara', che ormai e' gia' stata decisa, per
altri motivi contingenti ma strategici. La guerra contro l'Iraq fa parte di
un disegno generale che l'amministrazione attuale degli Stati Uniti sta
perseguendo, che e' quello che io definisco militarizzazione del pianeta.
Loro hanno bisogno di prepararsi a una grande, grandissima, immensa
battaglia che sara' quella per la sopravvivenza. Gli Stati Uniti vogliono il
controllo totale sul petrolio, vogliono gestire, da soli, l'intera politica
energetica del pianeta per i prossimi 50 anni". Lo scenario prospettato da
Giulietto Chiesa e' inquietante e non lascia spazio a rosee illusioni; anche
se, per certi versi, non e' una novita' in assoluto.
La febbre della guerra che oggi pervade gli Stati Uniti, non e' una novita';
la sostanza dell'atteggiamento del governo americano, un dualismo manicheo
che divide il mondo in bianco e nero, buoni cattivi, nostro e loro, non e'
una novita'; il loro procedere sul doppio binario: dichiarare di proteggere
la democrazia e contemporaneamente sostenere i dittatori, non e' una
novita'.
Lo sanno molto bene i popoli dell'America Latina, in particolare quelli del
Centro America, considerato da sempre dagli Stati Uniti come il giardino o
l'orto di casa, a cui imporre i propri "interessi nazionali".
Prendiamo Panama: 1901-1903, gli Usa si annettono il Canale dopo aver
organizzato la secessione dalla Colombia; 1908, intervento dei marines nel
corso delle elezioni; 1912, nuovo sbarco dei marines durante le elezioni;
1918-1920 occupazione "di polizia" dopo una rivolta post-elettorale; 1925, i
marines utilizzati per schiacciare uno sciopero generale; 1958, intervento
contro manifestazioni per la restituzione del Canale; idem nel 1964; 20
dicembre 1989, intervento contro l'ex-protetto Noriega e installazione di un
governo fantoccio.
*
Quest'ultimo intervento e' il piu' tremendo. Ancora oggi e' incerto il
numero delle vittime. Sicuro solo il numero dei caduti statunitensi, 26. Per
i caduti panamensi si oscilla fra i trecento dei comunicati ufficiali del
pentagono e i cinquemila, in massima parte civili inermi, denunciati dalle
associazioni pacifiste americane. L'enorme differenza tra le perdite
panamensi e quelle nordamericane e' dovuta proprio al tipo di operazione
deciso dagli Stati Uniti: attacco a sorpresa nel cuore della notte. I
bombardamenti si susseguono a ritmo continuo (una bomba ogni due minuti nel
perimetro della capitale), ed invece l'utilizzo della fanteria (in totale
piu' di 24.000 militari statunitensi partecipano all'invasione) viene
ridotto al minimo, per evitare un alto numero di perdite umane.
Inoltre l'invasione e' un'occasione per provare nuove armi di guerra
(saranno massicciamente applicate nella successiva guerra del Golfo da
George Bush padre), proprio nel momento in cui con l'allora Unione Sovietica
si parla di pace e di distensione. I militari nordamericani sono orgogliosi
per la dimostrazione di nuove tecnologie data a Panama. Vengono utilizzati
il segretissimo caccia anti-radar F-117 Stealth; gli elicotteri d'attacco
Apache (da 14 milioni  di dollari), in sostituzione dei Cobra AH-1 del
Vietnam, e persino un nuovo tipo di razioni alimentari semisecche. Armi
sofisticate ed "intelligenti" che risparmiano i quartieri "bene" di Panama
City e radono al suolo le zone popolari di presunta resistenza
all'invasione.
Quest'ultima fu legittimata, agli occhi internazionali, dagli Stati Uniti
come una lotta contro il narcotraffico e la dittatura, legame rappresentato
dal generale Manuel Antonio Noriega; poco importa se fino ad allora Noriega
era sul libro paga della Cia (da dittatore fantoccio amico degli Usa ad una
sorta di Frankenstein incontrollabile), o se altre dittature vecchie e
feroci, come quella di Augusto Pinochet in Cile o quella di Videla in
Argentina, non hanno mai subito invasioni.
*
L'invasione di Panama e' passata alla storia come una guerra breve ed
"efficace", come modello d'intervento "pulito" e quasi indolore, e subito
dopo dimenticata.
Su di essa e' sceso un silenzio che ha investito i morti, i quartieri ed i
paesi distrutti, i danni fisici e morali.
Solo che le guerre pulite ed indolori non esistono.
Anche a Panama non sono mancati gli orrori, le fossi comuni, desaparecidos,
repressione selettiva e di massa. Come sempre sono stati i poveri quelli che
hanno portato sulle proprie spalle il peso della crisi e della guerra. Sono
i quartieri dei poveri ad essere bombardati, come il barrio El Chorrillo
quasi distrutto perche' adiacente quartier generale militare di Noriega;
sono loro a rimanere senza casa e senza beni. Tutto questo non ha fatto
notizia presso un'opinione pubblica mondiale, disattenta, distratta e
disposta ad accontentarsi delle versioni ufficiali dei grandi network
dellíinformazione.
E' vero: l'Onu espresse i suoi dubbi, ma il veto Usa mise fine a quel
"capriccio infantile". La vecchia saggezza popolare di una nenia indigena
dice cosi': "E' come se avessimo la casa piena di topi che mangiano
l'arrosto e il pane. Quando non ne possiamo piu', decidiamo di portare un
gatto. Il gatto si mangia un po' di topi, ma poi non vuole andarsene e si
mangia anche il resto". Sara un caso, se dopo la guerra in Afghanistan,
contro Osama bin Laden e il regime dei talebani, gli Usa hanno stabilito una
loro presenza militare in Georgia e in alcune repubbliche ex-sovietiche
dell'Asia centrale, nell'area del Caspio?

6. RIFLESSIONE. EMANUEL ANSELMI: FROMM E LA PSICOANALISI DELLA SOCIETA'
CONTEMPORANEA
[Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie@libero.it) e' un collaboratore del
Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottore in economia, gia'
obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo, ha
svolto ricerche soprattutto sulle relazione economiche internazionali ed il
rapporto Nord/Sud. Erich Fromm, psicoanalista e sociologo (Francoforte
1900 - Locarno 1980), collaboratore della scuola di Francoforte, esule in
America, nella sua riflessione unisce analisi e suggestioni di Marx, Freud,
della tradizione ebraica e cristiana, del buddhismo zen. Opere di Erich
Fromm: segnaliamo tra le principali: Fuga dalla liberta', Comunita'; Dalla
parte dell'uomo, Astrolabio; Il linguaggio dimenticato, Garzanti;
Psicoanalisi della societa' contemporanea, Comunita'; L'arte di amare, Il
Saggiatore; Psicoanalisi dell'amore, Newton Compton; Marx e Freud, Garzanti;
La rivoluzione della speranza, Bompiani; La crisi della psicoanalisi,
Mondadori; Anatomia della distruttivita' umana, Mondadori; Avere o essere?,
Mondadori; Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Mondadori; La
disobbedienza, Mondadori. Fromm ha anche curato il volume di AA. VV.,
L'umanesimo socialista, Rizzoli. Opere su Erich Fromm: Rainer Funk, Erich
Fromm. La vita e il pensiero, Massari Editore]
Il lavoro di Erich Fromm che qui analizziamo e' Psicoanalisi della societa'
contemporanea (Edizioni di Comunita', Milano 1960), scritto nel 1955, in
piena guerra fredda; a detta dello stesso Fromm puo' essere considerato la
continuazione di Fuga dalla liberta' (1941; trad. it. Comunita', Milano
1963) nel quale l'autore analizzava la tendenza dell'uomo moderno a
rifiutare la liberta' ed a trovare rifugio nella sottomissione ai movimenti
totalitari.
L'intento dell'opera che si va a riassumere e' di sostenere che la societa'
a carattere procedural-democratico (come si presentava all'epoca in cui e'
stata scritta, ed anche come per molti versi si presenta all'osservatore di
oggi), pur libera - nel senso di non totalitaria -, costituisce anch'essa un
rifugio per gli uomini che si trovano in balia della perdita della primitiva
correlazione tra uomo e natura, perdita biblicamente rappresentata
dall'episodio della cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden.
L'obiettivo dell'autore e' partire da una definizione di quella che egli
chiama patologia della normalita' (della societa' occidentale
contemporanea), che non e' una patologia individuale ma collettiva, per
poter poi tentare di trovare delle alternative che eliminino l'alienazione
dell'uomo e ne favoriscano il pieno sviluppo intellettuale e pratico, con la
conseguente liberazione. Il linguaggio usato dallo scienziato e' molto
semplice ed accessibile, visto l'intento divulgativo dell'opera.
Il lavoro e' tutto impregnato di una critica decisa all'industrialismo, sia
nella sua forma libero-concorrenziale, quindi capitalistica, sia nella forma
burocratico-autoritaria, cioe' quella adottata dagli stati ad economia
pianificata. La societa' industriale contemporanea e' malata perche'
inadatta a soddisfare i bisogni dell'uomo: questi sono molteplici e non
riconducibili al puro consumo, che, nella societa' contemporanea, coincide
essenzialmente con la soddisfazione di aspirazioni artificialmente
provocate, "un atto di fantasia alienato dal nostro concreto e reale Io".
*
Per la critica del capitalismo Fromm distingue quello del XVII e XVIII
secolo da quello del XIX e dal capitalismo del XX secolo. Nel primo egli
vede - in verita' piuttosto romanticamente - un certo carattere positivo
dovuto allo spirito imprenditoriale e pionieristico dei padri del
mercantilismo e della prima manifattura, nonostante la condanna che
proveniva da piu' intellettuali del periodo riguardo alle attivita' dei
traffici mercantili, all'uso "pernicioso" della tecnologia - che espelleva
lavoratori dai singoli processi produttivi - ed alla corsa al ribasso del
prezzo delle merci.
Il giudizio sul modo di produzione del XIX secolo e' invece totalmente
negativo: di questa epoca e' il massimo sfruttamento dei lavoratori,
assecondato da una legislazione che aumentava la lunghezza delle giornate di
lavoro e permetteva il lavoro infantile.
Per quel che concerne invece il capitalismo del XX secolo, si assiste ad un
netto miglioramento delle condizioni dei lavoratori, ma, di contro, alla
tendenza alla quantificazione ed astrattizzazione sia del lavoro che nei
consumi, ad un crescente livello di anonimato dovuto alla diffusione delle
societa' per azioni (che rappresentano il livello di sviluppo piu' alto
nella tendenza alla separazione tra proprieta' e conduzione e gestione delle
imprese) e al processo di progressiva alienazione nella produzione e nei
consumi (per la verita' gia' caratteristico del periodo precedente, ma che
assume in questo secolo una valenza tale da potersi rintracciare in ogni
manifestazione dell'agire umano); tutto cio' determina comportamenti che
popolarmente vengono semplicemente definiti "consumistici": nelle compere,
nel tempo libero, nell'educazione, nei rapporti con gli altri, tutto diventa
acquistabile e fruibile da tutti, e tutti hanno la necessita' di rinnovare
frettolosamente i propri acquisti per dimostrare il proprio status,
diffondendo l'illusione di vivere finalmente nella societa' del benessere
che tanti attendevano e profetizzavano, che invece si rivela una societa'
dell'avere e non dell'essere.
Importante a questo punto e' evidenziare una fondamentale differenza tra gli
atteggiamenti del XIX secolo e quelli del XX: nel secolo precedente, vi era
ancora una forte esigenza di risparmio ed accumulazione che necessariamente
imponeva una morigeratezza negli acquisti, scartando tutto cio' che veniva
considerato superfluo, mentre nel XX secolo la situazione muta nella
direzione opposta, e la predilezione per il superfluo diviene la regola,
insieme con la soddisfazione immediata dei desideri sessuali, poiche'
altrimenti i rischi che si corrono sono la frustrazione ed i traumi della
repressione (sia detto di passata che qui Fromm non tiene conto del
mutamento di orientamento politico-economico causato dalla crisi del '29,
che impone un intervento diretto dello Stato in economia attraverso le
imprese statali da un lato, e dall'altro un sostenimento dei consumi di
massa, con la conseguente propaganda ideologica, che va di pari passo con
l'istituzione del welfare state).
L'anonimita' verificabile a livello delle societa' per azioni e' vista anche
come connaturata in generale alle depressioni economiche ed alle guerre,
percio' le catastrofi (economico-finanziarie e/o militari, ma tutte rodotte
dagli uomini) vengono avvertite come inevitabili, come leggi di natura,
piuttosto che come prodotti dell'uomo e dovute al suo sfruttamento; le leggi
del mercato, allo stesso modo con il quale la volonta' di Dio e'
imperscrutabile per un calvinista che cerchi di scoprire se egli stesso sia
predestinato alla salvezza oppure no, sono viste come fuori dalla portata
della volonta' ed influenza umane. In questo tipo di societa' - dove il
sentimento egoistico viene esaltato quale impulso istintivo, primo e
naturale, dell'uomo, mentre dalla sommatoria di ogni singola azione
individuale che da quel sentimento consegue deriverebbe una soluzione
ottimale per tutti - si sviluppa la definitiva frattura tra l'esistenza
pubblica, rappresentata dallo Stato (che viene visto come l'autorita' cui e'
demandato il compito di rappresentare la illusoria coesione sociale), e
quella privata, determinata dall'agire egoistico: in questo modo, la
proiezione di tutti i sentimenti sociali nello Stato comporta un generale
atteggiamento idolatrico da parte delle masse, le quali vi scorgono la
personificazione dei propri sentimenti che l'uomo adora come potenze
alienate da se stesso.
Nella sfera privata, il valore della persona viene stabilito dal complessivo
"valore" delle sue qualita' spendibili, cioe' investibili sul mercato; da
qui la considerazione della propria vita come un'impresa, nel bilancio della
quale si puo' avere un utile oppure subire il fallimento, evento questo che
puo' portare chi ne rimane vittima anche alla rinuncia alla vita stessa (qui
Fromm fa esplicito riferimento a un classico della sociologia: Il suicidio
di Emile Durkheim, 1897).
*
Il capitalismo, sostituendo il vecchio modo di produzione feudale, basato
sull'aperto sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo - giustificato dalla
forza della tradizione, che pur prevedeva una certa solidarieta' di tipo
religioso tra le classi -, ne sostituisce anche l'autorita', che da
manifesta diviene strisciante, mascherata, subdola, ed agisce attraverso il
conformismo, che deriva a sua volta dal guadagno, dalle necessita'
economiche, dal mercato, dal senso comune, dall'opinione pubblica...
Il metodo produttivo - industriale, alienato, di massa - necessita
l'adattamento del lavoratore alla macchina, un disciplinato comportamento
collettivo, dei gusti il piu' possibile comuni, l'obbedienza all'autorita'
anonima senza l'uso della forza.
Il lavoro, che con il protestantesimo era divenuto un'ossessione ed un
dovere (da momento di unione con la cultura ed il gioco, quale era), nel XX
secolo muta in routine, impiego alienante, tanto spiacevole che pure e'
preferibile rispetto alla circostante noia del superconsumo, e diviene per
questo il rifugio dell'uomo svuotato della propria volonta'. Il lavoro e'
"il compimento degli atti che, finora, non possono essere compiuti da una
macchina" (p. 197).
In questo contesto la psicologia diventa la scienza che tenta di adattare
l'uomo all'industria e alla sua logica: nasce l'ingegneria umana.
Da un punto di vista propriamente politico, in questo tipo di democrazia
anche l'espressione delle preferenze nei sistemi elettorali si presenta
alienata: in effetti ciascun individuo, non avendo volonta' propria in
generale, lo dimostrera' in particolare nei momenti in cui viene chiamato ad
esprimere una preferenza. "Se una qualita' di dentifricio intensamente
propagandata e' usata dalla maggioranza della gente a causa di alcune
immaginose affermazioni fatte nella sua pubblicita', nessuno che abbia il
minimo di raziocinio direbbe che la gente ha 'preso una decisione' a favore
della pasta dentifricia. Tutto quel che si potrebbe dire e' che la
propaganda e' stata abbastanza efficace per far si' che milioni di persone
credessero nelle sue affermazioni" (p. 202).
A tal proposito l'autore cita lo Schumpeter di Capitalismo, socialismo e
democrazia, secondo il quale senza la responsabilita' immediata (che invece
si manifesta in ciascun individuo per i fatti che lo riguardano
professionalmente) ognuno perde l'interesse negli affari politici. La
strenua fiducia nel capitalismo e nella sua progressivita' quale leva per la
liberazione dell'uomo perde un po' dell'antico vigore anche in uno dei suoi
piu' accaniti sostenitori.
*
Fromm nota che autori molto diversi politicamente tra loro avevano previsto
la barbarie del XX secolo: egli cita il Tolstoj religioso russo ed il
conservatore svizzero Burkhardt, i quali vedono nell'impoverimento morale e
spirituale dell'uomo la causa della sua decadenza; il socialista francese
Proudhon, il conservatore francese Baudelaire, l'anarchico americano
Thoreau, Marx, per citare alcuni appartenenti al secolo precedente. Al
secolo successivo appartengono R. H. Tawney, Lewis Mumford, il romanziere
Aldous Huxley, che nel suo Brave New World prevede una societa'
completamente automatizzata ove tutti vivono "felicemente"; Schweitzer, che
si scaglia contro la propaganda delle organizzazioni e delle influenze
finanziarie; A. Einstein, che pubblica un articolo intitolato Perche' il
socialismo sulla "Monthly Review" (vol. 1, 1949), storica rivista di una
prestigiosa isola marxista del Nord America.
La risposta dell'umanita' alla disumanizzazione della societa' e' variegata:
una forma di reazione e', secondo Fromm, l'idolatria autoritaria che si
identifica col fascismo, il nazismo e lo stalinismo (quest'ultimo e' da lui
paragonato al primo capitalismo, caratterizzato dalla rapida accumulazione
del capitale e dallo spietato sfruttamento degli operai, irreggimentato dal
terrore politico piuttosto che dalle leggi economiche); altra soluzione e'
il super-capitalismo, ben pubblicizzato dall'"Incentive Management" di
Lincoln, il quale si esprime con la soave affermazione che il denaro non
puo' essere la meta dell'uomo, bensi' questi deve necessariamente trovare
soddisfazione nel lavoro, percio' l'incentivo alla produzione viene fornito
attraverso il riconoscimento della capacita' dell'operaio da parte di tutti
gli altri, ed egli, continuamente valutato, e' punito, oppure premiato,
legando il suo reddito agli utili dell'azienda, illudendolo a sentirsi un
po' capitalista e partecipe attivo del sistema (quindi, in definitiva, non
vengono messi in discussione la competitivita' e l'egoismo); una terza via
d'uscita e' il socialismo, da troppi frainteso e banalizzato, quando non
misconosciuto. A questo proposito vi e' da dire che, insieme a Freud, Marx
e' l'autore che in modo piu' pieno ha influenzato il pensiero di Fromm, che
pur ne ha riconosciuto i limiti, soprattutto nella deriva scientista della
sua analisi.
Secondo il nostro, Marx ed Engels trascurarono troppo le passioni umane e
questo li condusse a tre errori fondamentali: 1) non tennero in
considerazione il fattore morale (sostenendo che comunque l'uomo fosse buono
di natura, ma oppresso e deviato dalle necessita' economiche); 2) ebbero una
eccessiva fiducia nell'imminente avvento della societa' nuova; 3)
considerarono la socializzazione dei mezzi di produzione come la condizione
necessaria e sufficiente per la trasformazione. Questi errori derivarono dal
fatto che il loro ingenuo ottimismo ed il loro orientamento centralizzatore
erano molto piu' radicati nella tradizione borghese del XVIII e XIX secolo
che non il pensiero degli altri socialisti "meno fortunati", Fourier, Owen,
Proudhon, Kropotkin.
La critica al materialismo storico, cosi' come interpretato dai due
pensatori rivoluzionari, si allarga alla piu' ampia e generale critica di
Fromm al particolarismo delle precedenti analisi della societa' moderna,
sostenendo che ciascun autore rappresentativo tende a ritenere che la
condizione dell'uomo alienato sia dovuta a singole motivazioni: percio',
mentre Marx ed Engels sottolineano le determinanti economiche, condannando i
rapporti capitalistici di produzione, Burkhardt e Tolstoj a loro volta
fondano la loro critica sulle motivazioni spirituali, mentre Freud si limita
a quelle psicologiche, secondo cui l'uomo diviene nevrotico poiche' sono
represse in lui alcune fondamentali componenti istintive. Questo metodo di
reciproca esclusivita' e' per Fromm del tutto sbagliato.
Similmente, i grandi movimenti piu' o meno dichiaratamente escatologici si
rivelano limitati: il cristianesimo punta sul rinnovamento spirituale
dell'uomo, mentre l'illuminismo postula il primato della ragione, ma
entrambi trascurano il ruolo essenziale dei mutamenti socio-economici sulla
personalita' dell'individuo; il marxismo, al contrario, basa la propria
critica sociale sui fattori sociali ed economici, mentre soprassiede alla
necessita' di un radicale cambiamento intimo negli uomini.
La soluzione che l'autore propone quale medicina per la societa' nel suo
complesso, e di conseguenza per gli individui, e' cio' che egli chiama
"socialismo umanistico comunitario", e chiama a deporre in proprio favore la
fondamentale esperienza delle Comunita' di Lavoro, ben descritte nel libro
di Claire Huchet Bishop, All things common (1950), nelle quali vengono
sperimentate forme di democrazia diretta e unioni radicalmente nuove tra
lavoro ed educazione, per una sensibile politicizzazione della vita
all'interno dell'industria ove si lavora e dove ognuno partecipa attivamente
e continuamente alla presa di decisioni per quel che concerne la gestione
della fabbrica, ognuno tiene sotto controllo il processo produttivo nella
sua interezza e l'uso che si decide di fare dei prodotti, ed ognuno ha
l'opportunita' di sentirsi in piena unione con il proprio lavoro e con la
comunita' medesima. In essa si tenta di realizzare, dunque, l'unico
orientamento realmente e significativamente sociale, cioe' quello della
solidarieta' con l'intera umanita'. Ma le Comunita' di Lavoro certamente non
bastano: e' necessaria una trasformazione, oltre che di natura industriale,
anche di tipo politico, con l'istituzione della democrazia diretta pure e
soprattutto in ambito civile; ed una trasformazione di carattere culturale:
e' opportuna una modifica dei sistemi di educazione, eliminando la
separazione tra conoscenza pratica e sapere teorico, tra manipolazione
dell'esistente e speculazione scientifica, che lo stesso Marx aveva
denunciato nella critica al programma di Gotha del partito socialista
tedesco, per ribadire l'esigenza di una "combinazione feconda di lavoro con
istruzione e disciplina umanistica (...), come il solo metodo per produrre
esseri umani completamente sviluppati"; cio' prevedrebbe dunque il costante
contatto con l'istruzione e l'educazione anche dell'adulto che lavora. Tutto
questo e' indispensabile affinche' la persona umana possa finalmente
"nascere" nella sua totalita', affinche' abbia inizio la storia dell'essere
umano propriamente detto.

7. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI DICEMBRE
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti:
capitini@tiscalinet.it) riceviamo e diffondiamo]
Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di dicembre 2002 del "C. O. S. in
rete", www.cosinrete.it, una selezione critica di alcuni riferimenti trovati
sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo, tra cui: Dubbi e certezze sulla
nonviolenza; Gesu' pensato da Capitini; Rosetta e Merlo; Fascista per caso;
Partecipazione e nonviolenza; Il giornale a scuola; La scoperta della fame;
Panebianco a carte scoperte; Il tacco di Dio: Il migliore governo del mondo;
Religioni aperte, in museo; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo
noi alla riflessione attuale sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C. O.
S. in rete" e' libera e aperta a tutti.

8. RILETTURE. AA. VV.: FEMMINISMO
AA. VV., Femminismo, Stampa Alternativa, Viterbo 1996, cofanetto con cinque
volumetti, lire 10.000. Saggi di Alessandra Bocchetti, Rosi Braidotti,
Anselma Dell'Olio in dialogo con Kate Millett, Cettina Militello, Luisa
Muraro. Imperdibile.

9. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': IN PRIMA LINEA
Maria Antonietta Calabro', In prima linea, Sperling & Kupfer, Milano 1993,
pp. XXX + 226, lire 24.500. Nove magistrati, Almerighi, Borrelli,
Bricchetti, Caselli, Cesqui, Cordova, Priore, Siclari, Vigna, si raccontano
alla prestigiosa giornalista e saggista; con prefazione di Ettore Gallo.

10. RILETTURE. FRANCA D'AGOSTINI: ANALITICI E CONTINENTALI
Franca D'Agostini, Analitici e continentali, Raffaello Cortina Editore,
Milano 1997, pp. XX + 556, lire 58.000. Della notissima studiosa e
tematizzatrice dell'argomento, questa "guida alla filosofia degli ultimi
trent'anni" e' uno dei libri piu' suggestivi.

11. RILETTURE. PAUL FROELICH: ROSA LUXEMBURG
Paul Froelich, Rosa Luxemburg; Rizzoli, Milano 1987, pp. 474, lire 10.000.
Una delle migliori monografie sulla "Rosa rossa", a tutte e tutti maestra;
con una allitterante e consecutrice prefazione di Rossana Rossanda.

12. RILETTURE. LIA LEVI: UNA BAMBINA E BASTA
Lia Levi, Una bambina e basta, e/o, Roma 1994, 1997, 1999, pp. 128, lire
12.000. Il racconto dell'infanzia di una bambina ebrea a Roma durante
l'occupazione nazifascista.

13. RILETTURE. ANTONELLA LORENZI, CRISTINA MORROCCHI, MIRELLA PEZZINI, ANNA
SAVOJA: OBIETTIVO: COSCIENZA CIVILE
Antonella Lorenzi, Cristina Morrocchi, Mirella Pezzini, Anna Savoja,
Obiettivo: coscienza civile, La Zisa, Palermo 1990, pp. 88. Alcuni materiali
di una ricerca nelle scuole sulle iniziative finalizzate a promuovere una
coscienza civile antimafia, condotta dal Cidi su proposta del Centro "Cesare
Terranova".

14. LE DESOLAZIONI DI CICCIO PAROLAIO: PER FARLA FINITA CON LE CICALATE SU
"IMPERO" E "MOLTITUDINI"
Lo sappiamo: sono etichette di appartenenza per essere ammessi al club; e
vezzi linguistici, ma di superficialita', ci si passi l'ossimoro, abissale.
Non sono strumenti ermeneutici ma maschere per far dimenticare con nuove
corbellerie le corbellerie dette in passato e per occultare la banalita'
sotto il velame delli versi strani.
Cosi' una parola poetica come "moltitudine" viene profanata da un uso
scempio e irriflesso, e diventa ridicola (lo stesso accadde anni fa alla
parola, anch'essa bellissima, "virtuale", che e' stata degradata
all'equivalente di una cloaca).
Ed un termine di onusta tradizione ma di eccessiva polivalenza come "impero"
si cerca di sostituire con una sorta di mentale e ideologico gioco delle tre
carte all'inadeguatezza di categorie consolidate per descrivere gli sviluppi
ultimi del capitalismo e dell'imperialismo: ma noi abbiamo bisogno di piu'
chiarezza analitica ed ermeneutica e non di maggior genericita' e
confusione; invece di scrivere nuovi e tanto logorroici quanto sfocati libri
forse sarebbe piu' utile rileggere quelli vecchi ma sempre nutrienti di Marx
e della Luxemburg e di Mariategui, o le analisi queste si' nuove e feconde
che ci vengono dal sud del mondo: da Enrique Dussel a Vandana Shiva.
Forse se cominciassimo anche a rispettare le nostre stesse parole ci
verrebbe piu' facile rispettare le parole e i pensieri altrui, e le altre
persone.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 435 del 4 dicembre 2002