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Operazione Colomba Rafah 12.11.02
12.11.02
La parola buldozer non rende l'idea, forse con vicino
l'aggettivo "grande" qualche cosa in più si capisce. Se dico che è
anche corazzato forse si incomincia ad intuire che macchina pazzesca
sia.
A Rafah queste macchine stanno portando via una parte di cielo. Stanno
costruendo un muro nero formato da spesse lastre metalliche alte almeno
una decina di metri. E' pazzesco, dove la settimana scorsa c'era una
casa ora ci sono solo macerie, è il primo stadio, poi tutto diventa
deserto. I buldozer sono i principali artefici di questo macabro
lavoro. Rafah è questo, è sofferenza, è assistere ad un funerale di un
bambino che è stato ucciso dall'obice di un carro armato mentre viveva
la sua infanzia deformata dove si dimenticano i giochi, il sorriso e i
sogni. La rabbia che senti nell'aria durante un funerale, qui a Gaza, è
faticosa da sopportare, le preghiere si mescolano agli slogan, i gruppi
armati rendono omaggio al defunto sparando in aria colpi che partono da
armi automatiche. Ti senti spettatore di uno spettacolo che magari hai
visto in tv, ma esserci in mezzo è un'altra cosa, la salma viene
trasportata a braccia e secondo l'uso mussulmano non c'è bara. Vedi la
testa della piccola vittima muoversi a causa dei sobbalzi continui. Chi
la sorregge è dentro un fiume di persone che si muovono in fretta,
urlano, pregano, sparano, piangono. Poi arrivi al cimitero, la rabbia
si placa o semplicemente si sposta. Noi ci muoviamo e torniamo nel
posto dove le case scompaiono sotto la forza dei buldozer e dove una
gru corazzata sta costruendo un muro nero che oscura il cielo:
il "blocco O". Incontriamo una famiglia che ha pagato un forte
contributo alla sicurezza di Israele. Il 17 ottobre due donne stavano
sulla strada, si sentiva sparare da un po', ma questa è una triste
normalità qui. Un tank israeliano, quel giorno perٍ, si è parcheggiato
in cima alla strada dove prima c'erano altre case ma ora c'è il
deserto. Tre colpi ben assestati e la vita di sette per
finisce in
un boato che lacera le carni. Le due donne sulla strada vengono
colpite, la più anziana muore sul colpo, le sue carni sono straziate.
La seconda, la più giovane, perde molto sangue e prima di spirare
riesce a parlare con un parente. La sua morte è lenta e forse
evitabile, ci impiega due ore, due ore aspettando un ambulanza che non
puٍ arrivare, le forze di sicurezza israeliane bloccano la strada.
Saluti le donne fiere che ti hanno raccontato questa storia con un nodo
alla gola. Rafah non è grande ma basta spostarsi di poco e ti trovi di
fronte ad una promessa sposa che ti racconta di suo padre morto,
colpito da un colpo di fucile, mentre usciva da una gioielleria dove si
era recato per comprare l'anello nuziale di sua figlia. Questa sposa
che non si è sposata, suo padre è morto e il matrimonio è stato
rinviato, è bella. Il suo sguardo e il suo viso sono giovani ma i suoi
occhi sono spenti, racconta di aver sentito il richiamo della polizia
palestinese a evacuare l'area ma che suo padre non ha nemmeno fatto in
tempo a girare la chiave nel quadro: un colpo in testa. "Non era
armato, non stava sparando sulle difese israeliane" racconta la giovane
figlia con il suo chador nero in testa. Il padre era stato uno sportivo
oltre che un uomo dell'Olp. Negli anni sessanta una squadra calcistica
israeliana gli aveva proposto di giocare con loro, al suo rifiuto è
seguito un arresto. Queste sono le storie di Rafah e ad un certo punto
non vedi l'ora di andar via lontano di dimenticare tutta questa
disperazione e questi sguardi.
La gente soffre, la sofferenza che nasce dall'occupazione e dalla
mancanza di libertà alimenta dei difetti di fondo presenti in questa
società e nella sua amministrazione. Quando vivi nella Striscia ci
entri dentro in questi problemi che non si vedono a prima vista. Ci
sono quelli di Hamas che un giorno decidono di uccidere un gerarca
della polizia locale perché pare abbia usato metodi forti per reprimere
alcune manifestazioni.
di check point palestinesi (nulla a che vedere con
quelli israeliani) che ti fanno capire che il reale controllo non lo ha
nessuno. C'è poi la storia di un uomo e del suo gruppo di combattenti.
Si guarda intorno e vede che gente che ha combattuto meno di lui occupa
posti migliori. Si fa sentire, vuole la sua giustizia. Le autorità che
ora lo vedono come una minaccia più che come un eroe lo vogliono
trasferire a Gaza city dove sarebbe meno potente. Lui rinuncia e i
suoi "uomini" lo seguono. Vengono tutti licenziati. L'autorità non paga
più i loro servigi di soldati. L'uomo decide di fare qualche cosa di
eclatante, forse prende ispirazione da qualche film americano. Rapisce
tre attivisti stranieri venuti qui per cercare di supportare la gente
che soffre. Lui, nelle dieci ore di rapimento, gioca a fare il
galantuomo e offre la cena ai suoi tre "ospiti" mentre molte telefonate
corrono sui telefoni dell'autorità. Tutto risolto, finisce
a "tarallucci e vino", con la promessa della reintegrazione al posto di
lavoro. Questo non avviene e allora un altro straniero, questa volta un
funzionario della Croce Rossa Internazionale, si fa un paio d'ore in
compagnia dell'uomo che vuole essere di nuovo un soldato regolare.
Anche questa volta non c'è il carcere ad attendere l'uomo che ama cosى
tanto la compagnia degli stranieri ma bensى la possibilità di
passeggiare per la città senza problemi. In questo posto tutto si sta
rompendo, i difetti dell'autorità che sono tipici di tutti gli stati in
formazione sono diventate delle piaghe infette. Questo aiuta l'opera di
chi non vuole che sulle carte geografiche ci sia scritto Palestina. Chi
costruisce muri, check point che limitano il movimento, chi abbatte le
case, chi guida i buldozer, sono tutti pezzi di un'oppressione che è un
cancro cutaneo che si sta ormai propagando agli organi interni e sono
sicuro che tutto questo rende felice Sharon e chi sogna la deportazione
dei palestinesi.
Quante cose si vedono e si impar
in un giorno a Rafah.
www.operazionecolomba.org
per le immagini
www.inventati.org/liberapalestina