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La nonviolenza e' in cammino. 398



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 398 del 28 ottobre 2002

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: passare dal pacifismo generico alla nonviolenza
2. Peppe Sini, la nonviolenza e' piu' forte
3. Un appello per un nove novembre senza violenza
4. Arundhati Roy, settembre
5. Luisa Morgantini, per il rispetto dei diritti umani
6. Riletture: Guenther Anders, Essere o non essere
7. Riletture: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo
8. Riletture: Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa
9. Riletture: Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza
10. Riletture: Primo Levi, I sommersi e i salvati
11. Riletture: Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta'
12. Rletture: Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane
13. Riletture: Virginia Woolf, Le tre ghinee
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: OCCORRE PASSARE DAL PACIFISMO GENERICO ALLA
NONVIOLENZA
[Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta", la rivista fondata da
Aldo Capitini nel 1964, e una delle persone piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; lo ringraziamo per averci messo a disposizione questo
suo intervento in questa forma cosi' nitida e ineludibile per promuovere una
riflessione necessaria ed una chiarificazione urgente tra quanti sono
impegnati contro la guerra, contro il terrorismo, contro le dittature; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it]
Non vorrei che un serio dibattito sul pacifismo venisse trasformato nella
solita lite da pollaio. Dinanzi alla posizione che dice che "non ci puo'
essere guerra in nome dei diritti umani", e a quella che dice che "l'uso
della forza serve ad impedire ulteriori massacri", non mi sento in
contraddizione nell'essere d'accordo con l'una e con l'altra.
Il centro di questa discussione credo stia proprio nei due termini "guerra"
e "forza". Essere contro la guerra non significa escludere la forza. Ma per
fare questa distinzione bisogna aver chiara anche la diversita' fra il
generico pacifismo e la nonviolenza specifica.
Infatti, la nonviolenza gandhiana si basa proprio sull'uso della forza per
combattere la violenza. La verita' contro la menzogna; la legge dell'amore
contro la legge della giungla.
La nonviolenza, diceva Gandhi, e' per i forti, non per i deboli. E nella
ricerca esigente di una purezza nonviolenta, si spingeva anche piu' in la':
se la nonviolenza assoluta non e' ancora possibile, cerchiamo almeno di
raggiungere il minor grado possibile di violenza. Spesso faceva l'esempio
(purtroppo attualissimo) di un cecchino che spara sulla folla. Per fermarlo
bisogna usare una forza che serve ad evitare una violenza maggiore. Questo,
naturalmente, vale anche su scala mondiale. Bisogna fermare i dittatori (o i
terroristi) e soccorrere le vittime.
Per uscire dall'apparente contraddizione fra chi e' sempre, e comunque,
contro la guerra, e chi e' favorevole, a volte, ad azioni di forza, bisogna
saper vedere la differenza che c'e' tra la guerra e un intervento armato;
tra un esercito e una polizia internazionale.
I nonviolenti sono sempre stati favorevoli alla legge e alla polizia, due
istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E'
per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di
Alexander Langer, sia sul fronte del diritto e dei tribunali Internazionali,
sia per l'istituzione di Corpi civili di pace.
Da sempre i nonviolenti chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il
sostegno finanziario alla creazione di una polizia internazionale, anche
armata, che intervenga nei conflitti a tutela delle parti lese, per
disarmare l'aggressore e ristabilire il diritto.
Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, i nonviolenti sono contro
la preparazione della guerra (qualsiasi guerra: di attacco, di difesa,
umanitaria, chirurgica o preventiva), contro il commercio delle armi, contro
gli eserciti nazionali, contro i bilanci militari, e lo fanno anche con le
varie forme di obiezione di coscienza.
La proposta politica dei nonviolenti non e' l'utopia del disarmo mondiale,
bensi' il realismo del disarmo unilaterale.
Vogliono uno stato che rinunci al proprio esercito militare, e si impegni a
fornire mezzi, soldi e personale per la polizia internazionale sotto l'egida
delle Nazioni Unite.
Insomma, limitarsi a dire no alla guerra quando questa e' scoppiata, non
serve a molto; bisogna lavorare prima per prevenire il conflitto armato.
Innanzitutto abolendo gli eserciti e dotandosi invece degli strumenti
efficaci per fermare chi la guerra la vuole fare comunque. La storia e'
piena di esempi.
Auspico che nel movimento si sviluppi un'approfondita discussione sul tema
"dal pacifismo alla nonviolenza"; ringrazio coloro che l'hanno avviata.
A chi voglia affrontarla seriamente consiglio la lettura del testo Sui
conflitti e sulle guerre di Simone Weil (disponibile presso la redazione di
"Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it).

2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: LA NONVIOLENZA E' PIU' FORTE
Passare dal pacifismo alla nonviolenza e' il salto di qualita' reso
necessario dagli eventi cruciali del XX secolo: Auschwitz, Hiroshima, i
Gulag, la globalizzazione della fame e del terrore.
Un pacifismo generico che lasci indisturbati gli esecutori della Shoah non
e' neppure pacifismo, ma solo complicita' con i carnefici.
Un pacifismo generico che distingua tra armi buone e guerre giuste da una
parte e armi cattive e guerre ingiuste dall'altra, nell'eta' atomica non e'
piu' pacifismo, ma irresponsabilita' che coopera alla fine della civilta'
umana.
Un pacifismo generico che si preoccupi di quello che accade qui e dimentichi
quello che accade altrove, dove la fame e la violenza opprimono popoli
interi, non e' affatto pacifismo ma un egoismo che coopera a che l'umanita'
intera sia travolta.
Occorre passare dal pacifismo alla nonviolenza: ovvero opporsi a tutti gli
eserciti e a tutte le guerre, a tutte le dittature e a tutti i terrorismi;
opporsi lottando con la forza della nonviolenza, con gli strumenti del
diritto, con l'affermazione concreta della solidarieta' con le vittime.
Disarmando gli oppressori, i devastatori, i criminali; opponendo forza a
forza: la nonviolenza e' piu' forte.
Cosa e' infatti la nonviolenza? E' la lotta - la lotta - piu' forte, piu'
limpida e piu' intransigente contro la violenza; o non e' nulla.

3. APPELLI. UN APPELLO PER UN NOVE NOVEMBRE SENZA VIOLENZA
[Riceviamo e volentieri diffondiamo questo appello del Partito Umanista -
che riprende, e lo apprezziamo, alcune formule dell'appello diffuso dal
Centro di ricerca per la pace di Viterbo agli inizi di ottobre - affinche'
il 9 novembre a Firenze il "movimento dei movimenti" caratterizzi la sua
manifestazione contro la guerra con la scelta rigorosa della nonviolenza.
Siamo grati ad Anna Polo (anna.polo@tin.it) per avercelo trasmesso. Per
adesioni e contatti: tel. 024814092, e-mail: puinfo@lycos.it]
Il 9 novembre vogliamo manifestare contro la guerra in modo pacifico e
nonviolento, senza finire coinvolti nei gesti provocatori e irresponsabili
di una minoranza prepotente.
La nonviolenza deve essere la discriminante per chiunque voglia opporsi alla
guerra e ad ogni altra forma di violenza.
I violenti e i provocatori vanno isolati.
Basta con le ipocrisie e le ambiguita': chi copre i violenti e' loro
complice.

4. RIFLESSIONE. ARUNDHATI ROY: SETTEMBRE
[Riportiamo il testo del discorso tenuto da Arundhati Roy presso il "Lensic
Performing Arts Center" di Santa Fe, Nuovo Messico, il 29 settembre 2002.
Riprendiamo la traduzione da "Rossonotizienet" numero 21 dell'ottobre 2002,
l'utilissimo notiziario telematico diffuso dall'Associazione culturale punto
rosso (per contatti: puntorosso@puntorosso.it). Ovviamente non tutte le
affermazioni e le ricostruzioni di Arundhati Roy sono attendibili, e non
tutte le sue opinioni sono convincenti; ma ci sembra che questo discorso,
nell'insieme molto bello e appassionato, meriti comunque di essere
conosciuto e discusso. Arundhati Roy e' una grande scrittrice indiana,
impegnata contro il riarmo, in difesa dell'ambiente e per i diritti dei
popoli. Opere di Arundhati Roy: cfr. almeno il romanzo Il dio delle piccole
cose, Guanda, Parma 1997; poi in edizione economica Superpocket, Milano
2000; e i due saggi di testimonianza e denuncia raccolti in La fine delle
illusioni, Guanda, Parma 1999, poi in edizione economica Tea, Milano 2001; i
saggi editi ne La fine delle illusioni sono stati recuperati poi nella piu'
ampia raccolta di saggi di intervento civile, Guerra e' pace, Guanda, Parma
2002]
Grazie. Vorrei  potervi vedere meglio, ma e' piuttosto buio. Sono felice di
essere qui, e sono anche felice che sia Howard Zinn a presentarmi a voi,
perche' pur non avendolo mai incontrato prima d'ora, penso che sia un essere
umano veramente magico. Grazie, Howard.
Proprio in questo momento Howard mi chiede con quale criterio decido se
accettare  o no di partecipare  ad un evento o ad una conferenza. La mia
risposta e' che in media accetto di partecipare una volta su cinquanta, e
che sono felice e orgogliosa di essere qui perche so che le persone che mi
hanno preceduta sono persone che ammiro e rispetto. Ringrazio quindi la
Fondazione Lannan per avermi invitata.
Ho tante cose da dire e spero di non dilungarmi troppo. Sono una scrittrice,
ed ho preferito scrivere  le cose che desidero dirvi, per due motivi. Primo,
perche' sono certa che siate piu' interessati al mio modo di scrivere che al
mio modo di parlare. Secondo, perche' le cose che desidero dire sono
complicate, pericolose in questi tempi pericolosi, e credo sia mio dovere
essere molto precisa circa quello che dico, su come lo dico e con quale
linguaggio. Mi auguro quindi che siate d'accordo se leggero'.
Il mio discorso oggi ha per titolo Settembre.
Gli scrittori pensano di cogliere le loro storie dal mondo. Sto cominciando
a credere che sia la vanita' a farglielo pensare. Perche' e' esattamente il
contrario. Sono le storie che scelgono gli scrittori. Le storie si rivelano
a noi. La narrativa pubblica, quella privata, ci colonizzano. Ci
commissionano. Insistono nel volere essere raccontate. Narrativa e
saggistica sono solo tecniche diverse per raccontare una storia. Per ragioni
a me non del tutto comprensibili, la narrativa danza fuori da me e la
saggistica viene strappata fuori dal mondo dolente e spezzato in cui mi
risveglio ogni mattina.
Il tema di molto di cio' che scrivo, sia di narrativa che di saggistica, e'
la relazione tra potere e assenza di potere e il conflitto eterno e
circolare in cui essi sono impegnati. Il bravissimo scrittore John Berger
scrisse: "Mai piu' una singola storia sara' raccontata come se fosse l'unica
storia". Non ci puo' mai essere una sola storia. Ci sono solo piu' modi di
vedere. Cosi', quando racconto una storia, non la racconto come un ideologo
che desidera contrapporre una ideologia assolutista ad un'altra, ma come un
narratore che vuole condividere il suo modo di vedere. Sebbene possa
sembrare il contrario, io non descrivo nazioni e storie, io descrivo il
potere. Descrivo la paranoia e l'inesorabilita' del potere. La fisica del
potere. Io credo che l'accumularsi di potere vasto e incontrastato da parte
di uno stato o di un paese, di una grande impresa o di una istituzione - o
perfino di un individuo, un coniuge, un amico, un compagno - non importa di
quale ideologia, porta con se' eccessi come quelli che io qui riferisco.
*
Vivendo come vivo, come milioni di noi, all'ombra dell'olocausto nucleare
che i governi di India e Pakistan continuano a promettere alla loro
cittadinanza cui e' stato fatto il lavaggio del cervello, e nella vicinanza
globale della Guerra Contro il Terrorismo (che il presidente Bush ha
denominato abbastanza biblicamente "Missione Senza Fine"), sono costretta a
pensare insistentemente al rapporto tra Cittadini e Stato.
In India, quelli tra di noi che hanno espresso pareri sugli ordigni
nucleari, sulle grandi dighe, sulla globalizzazione delle grandi imprese e
sulla minaccia insorgente del fascismo indu' - pareri che sono in disaccordo
con quelli del governo indiano - sono tacciati di "antipatriottismo". Questa
accusa non mi riempie di indignazione, ma non la considero una valutazione
esatta di cio' che faccio o penso. Perche' un "antipatriota" e' una persona
che e' contro la propria nazione e, di conseguenza, e' a favore di qualche
altra nazione. Ma non si e' necessariamente "antipatriottici" se si diffida
profondamente di ogni forma di nazionalismo, se si e' "contro il
nazionalismo". Tutte le forme di nazionalismo furono causa del maggior
numero dei genocidi del ventesimo secolo.
Le bandiere sono pezzi di stoffa colorata che i governi usano dapprima per i
fasciare i cervelli della gente atrofizzandoli e poi come sudari per
seppellire i morti. Quando la gente che normalmente ragiona in modo
indipendente (e non includo qui i mezzi di comunicazione legati alle
corporations) inizia a radunarsi sotto bandiere, quando scrittori, pittori,
musicisti, registi, mettono da parte le loro opinioni e pongono ciecamente
la loro arte al servizio della "Nazione", e' giunto il momento per noi di
svegliarci e di preoccuparci.
In India l'abbiamo visto accadere subito dopo gli esperimenti nucleari del
1998 e durante la Guerra  tra Kargil e Pakistan nel 1999. Negli Stati Uniti
l'abbiamo visto durante la guerra del Golfo e lo vediamo ora con la "Guerra
contro il Terrorismo". Quel turbinio di bandiere americane "Made in China".
*
Di  recente, chi ha criticato le azioni del governo degli Stati Uniti (me
compresa) e' stato definito "antiamericano". Non ci vorra' molto prima che
l'"Anti-Americanismo" venga considerato una ideologia. Il termine
"antiamericano" viene normalmente usato dalla classe dirigente americana per
screditare e definire (non voglio dire in modo falso, ma piuttosto
impreciso) chi li critica. Per chi venga marchiato anti-Americano c'e' la
possibilita' di venire giudicato prima ancora di essere ascoltato, e la
controversia si perdera' nel tumulto dell'orgoglio nazionale ferito.
Ma cosa significa il termine anti-americano? Significa che si e' anti-jazz?
O che si e' contrari alla liberta' di linguaggio? Che non si prova piacere
leggendo Toni Morrison o John Updike? Che si e' contro le sequoie giganti?
Significa forse che non si nutre ammirazione per le centinaia di migliaia di
cittadini americani che hanno marciato contro le armi nucleari, o le
migliaia di oppositori alla guerra che costrinsero il loro governo a
ritirarsi dal Vietnam? Significa forse che si odiano tutti gli americani?
Questa subdola fusione di cultura americana, musica, letteratura, bellezza
mozzafiato del paese, piaceri comuni della gente comune con la critica alla
politica estera del governo degli Stati Uniti (di cui, purtroppo, grazie
alla "libera stampa" d'America, la maggior parte degli americani e' molto
poco informata), e' una strategia deliberata ed estremamente efficace. Un
po' come un esercito in ritirata che si nasconde in una citta' densamente
popolata, sperando che la prospettiva di colpire obiettivi civili funga da
deterrente al fuoco nemico.
Ma ci sono molti americani che si sentirebbero umiliati di essere associati
alle politiche del governo. Le critiche piu' colte, mordaci, incisive,
ironiche, mosse all'ipocrisia ed alle contraddizioni nella politica del
governo degli Stati Uniti vengono proprio da cittadini americani. Quando il
resto del mondo desidera sapere cosa sta combinando il governo degli Stati
Uniti, noi ci rivolgiamo a Noam Chomsky, Edward Said, Howard Zinn, Ed
Herman, Amy Goodman, Michael Albert, Chalmers Johnson, William Blum e
Anthony Amove, perche' ci raccontino cosa sta realmente accadendo.
*
Allo stesso modo, in India, non centinaia, ma milioni di noi si
vergognerebbero e si sentirebbero offesi se fossero in qualche modo
associati alle politiche fasciste dell'attuale governo indiano che, oltre a
perpetrare il terrorismo di stato nella valle del Kashmir (in nome della
battaglia contro il terrorismo) ha anche ignorato il recente progrom di
stato contro i Musulmani del Gujarat.
Sarebbe semplicemente assurdo pensare che chi critica il governo indiano sia
anti-indiano, sebbene il governo stesso non esiti a pensarla cosi'. E'
pericoloso concedere al governo indiano o al governo americano o a chiunque,
il diritto di definire cosa "India" o "America" siano o dovrebbero essere.
Definire qualcuno anti-americano (o allo stesso modo anti-indiano o
anti-timbuctuano) non e' solo razzista, ma e' anche un fallimento
dell'immaginazione. Una incapacita' di vedere il mondo in termini diversi da
quelli che la classe dirigente ha stabilito per voi. Se non sei un
"bushiano" sei un Talebano. Se non ci ami, ci odi. Se non sei Buono, sei il
Male. Se non sei con noi, sei con i terroristi.
*
Lo scorso anno anch'io, come molti altri, ho commesso l'errore di ironizzare
su questa retorica del dopo 11 settembre, considerandola pazza e arrogante.
Ma mi sono resa conto che non e' per niente pazza. E' in realta' uno scaltro
reclutamento per una malconcepita e pericolosa guerra.
Ogni giorno scopro con sorpresa quanti credono che opporsi alla guerra in
Afghanistan significhi appoggiare il terrorismo, parteggiare per i talebani.
Ora che lo scopo principale della guerra - catturare Bin Laden (vivo o
morto) - sembra essere incappato nel "cattivo tempo", gli obiettivi prefissi
sono stati spostati. Si sta sostenendo che il punto focale della guerra era
rovesciare il regime dei talebani e liberare le donne afgane dai loro burka,
e a noi si chiede di credere che i marines degli Stati Uniti sono impegnati
in una missione femminista (se e' cosi', la loro prossima fermata sara'
presso l'alleata militare dell'America, l'Arabia Saudita?).
Mettiamola cosi': in India vi sono alcune riprovevoli pratiche sociali
contro gli "intoccabili", contro cristiani e musulmani, contro le donne.
Pakistan e Bangladesh hanno perfino modi peggiori di trattare le minoranze e
le donne. Dovrebbero essere bombardati? Si dovrebbero distruggere Delhi,
Islamabad e Dacca? E' possibile estirpare con le bombe il fanatismo
dall'India? Possiamo aprirci con le bombe una strada per il paradiso
femminista? E' cosi' che le donne hanno conquistato il diritto di voto negli
Stati Uniti? O che la schiavitu' e' stata abolita? Si puo' riscattare il
genocidio dei milioni di nativi Americani sui cui cadaveri furono fondati
gli Stati Uniti bombardando Santa Fe?
*
Nessuno di noi ha bisogno di anniversari per ricordarci cio' che non
possiamo dimenticare. E' solo una coincidenza che io sia qui, sul suolo
americano, in settembre - questo mese di tremendi anniversari. Sopra a
tutto, nella memoria di tutti, in particolare qui in America, e' l'orrore di
cio' che viene conosciuto come "Undici settembre". Quasi tremila civili
persero le loro vite in quell'attentato terroristico letale. Il dolore e'
ancora profondo. La rabbia ancora acuta. Le lacrime non si sono ancora
asciugate. Ed una strana guerra mortale infuria intorno al mondo. Tuttavia,
chiunque abbia perso una persona cara sa per certo, in segreto, nel piu'
profondo del suo intimo, che nessuna guerra, nessun atto di vendetta,
nessuna mina anti-uomo lasciata cadere sulle persone care di qualcun altro o
sui figli di qualcun altro, potranno attenuare la  sua pena o restituirgli
la persona amata. La guerra non puo' vendicare i morti. La guerra e' solo
una brutale profanazione della loro memoria.
Alimentare ora un'altra guerra - questa volta contro l'Iraq - manipolando
con cinismo il dolore della gente, confezionandone le immagini per servizi
televisivi sponsorizzati da societa' che producono detersivi o scarpe
sportive, significa sminuire e svalutare il dolore, privarlo del  suo
significato. Quello a cui assistiamo e' una volgare ostentazione del
"business" del dolore, del commercio del dolore, il saccheggio perfino dei
sentimenti umani piu' intimi, a scopo politico. Che uno stato faccia questo
alla sua gente, e' una cosa terribile, violenta.
Forse non e' argomento abbastanza intelligente di cui parlare da un pubblico
palco, ma cio' di cui mi piacerebbe veramente parlare con voi e' la Perdita.
La Perdita ed il Perdere. Dolore, fallimento, disperazione, insensibilita',
incertezza, paura, la morte dei sentimenti, la morte dei sogni.
L'assolutamente implacabile, infinita, scontata ingiustizia del mondo.
Cosa significa per gli individui la perdita? Cosa significa per intere
culture, intere popolazioni che hanno imparato a vivere in sua costante
compagnia?
Dato che stiamo parlando  dell'11 settembre, forse e' giusto che ricordiamo
cosa significa quella data, non solo per chi ha perso i suoi cari in America
lo scorso anno, ma anche per coloro per cui, in altre parti del mondo,
quella data ha da lungo tempo un significato.
Questo scavare nella storia non vuole essere una accusa o una provocazione.
Vuole solo che sia condiviso il dolore della storia. Diradare un poco le
nebbie. Dire ai cittadini d'America nel modo piu' gentile ed umano:
"benvenuti nel mondo".
*
Ventinove anni fa, in Cile, l'11 settembre 1973, il generale Pinochet
rovescio' il governo eletto democraticamente di Salvador Allende, con un
colpo di stato appoggiato dalla CIA. "Al Cile non dovrebbe essere permesso
di diventare marxista solo perche' la sua gente e' irresponsabile" disse
Henry Kissinger, premio Nobel per la pace e allora segretario di stato degli
Stati Uniti.
Dopo il colpo di stato il presidente Allende fu trovato morto all'interno
del palazzo presidenziale. Se sia stato ucciso o se si sia suicidato non lo
sapremo mai. Nel regime di terrore che segui', furono uccise migliaia di
persone. Molti, piu' semplicemente, "scomparirono". Squadre armate
effettuarono esecuzioni pubbliche. In tutto il paese furono istituiti campi
di concentramento e camere di tortura. I morti furono sepolti nei pozzi
delle miniere o in tombe anonime.
Per diciassette anni la gente del Cile visse nel terrore di udire bussare
alla porta in piena notte, nel terrore delle abitudinarie "scomparse", di
improvvisi arresti e di torture. I cileni raccontano di come il musicista
Victor Jara ebbe ambedue le mani amputate nello stadio affollato di
Santiago. Prima di sparargli, i soldati di Pinochet gli buttarono la sua
chitarra e gli chiesero sarcasticamente di suonarla.
Nel 1999, in seguito all'arresto del generale Pinochet in Inghilterra,
migliaia di documenti segreti furono declassificati. Essi contengono la
prova inconfutabile del coinvolgimento della CIA nel colpo di stato ed anche
che il governo degli Stati Uniti possedeva informazioni dettagliate sulla
situazione in Cile durante il regime del generale Pinochet.
Tuttavia, Kissinger garanti' il suo appoggio al generale. " Come voi sapete,
negli Stati Uniti siamo solidali con quanto voi state tentando di fare",
egli disse, "auguriamo bene al vostro governo".
Per quelli di noi che hanno vissuto in una democrazia, per quanto
imperfetta, sarebbe difficile immaginare cosa significa vivere in una
dittatura e soffrire la perdita assoluta di liberta'. Non si deve pensare
solo a tutti quelli che Pinochet ha ucciso, ma anche a tutte le vite che ha
rubato a chi e' rimasto in vita.
Purtroppo il Cile non fu l'unico paese in Sud America a subire le
"attenzioni" del governo degli Stati Uniti. Guatemala, Costa Rica, Ecuador,
Brasile, Peru', la Repubblica Dominicana, Bolivia, Nicaragua, Honduras,
Panama, Salvador, Messico e Colombia, sono stati tutti terreno di operazioni
(sotto copertura, e ufficiali) della CIA. Centinaia di migliaia di
latinoamericani sono stati uccisi, torturati o sono semplicemente scomparsi
sotto i regimi totalitari che furono favoriti nei loro paesi.
Se questo non fosse sufficientemente umiliante, le popolazioni del Sud
America dovettero subire anche l'umiliazione di essere marchiate come
incapaci di democrazia - come se colpi di stato e massacri  fossero in
qualche modo insiti nei loro geni.
Naturalmente la lista non comprende i paesi in Africa o Asia che hanno
subito interventi militari statunitensi - Vietnam, Corea, Indonesia, Laos e
Cambogia.
Per quanti mesi di settembre, per decine di anni, milioni di asiatici sono
stati bombardati, bruciati e massacrati?
Quanti mesi di settembre sono passati dall'agosto del 1945, quando centinaia
di migliaia di civili giapponesi soccombettero nelle esplosioni nucleari di
Hiroshima e Nagasaki?
Per quanti mesi di settembre quelle migliaia di persone che ebbero la
sfortuna di sopravvivere a quelle esplosioni hanno dovuto subire
quell'inferno vivente che aveva investito loro, i loro figli non ancora
nati, i figli dei loro figli, la terra, il cielo, l'acqua, il vento, e tutte
le creature che camminano, che strisciano e che volano?
Non lontano da qui, ad Albuquerque, c'e' il Museo Atomico Nazionale, dove
"Fat Man" e "Little Boy" ( affettuosi soprannomi dati alle bombe che furono
sganciate su Hiroshima e Nagasaki) si possono acquistare come orecchini
ricordo. I giovani alla moda li indossano. Un massacro che pende da ciascun
orecchio.
Ma sto andando fuori tema. E' di settembre  che stiamo parlando, non di
agosto.
*
L'11 settembre ebbe una risonanza tragica anche in Medio Oriente.
L'11 settembre 1922, ignorando l'oltraggio fatto agli arabi, il governo
britannico proclamo' un ordine in Palestina, conseguente alla Dichiarazione
Balfour del 1917 che fu sancita dall'impero britannico, e concentro' il suo
esercito  fuori dai confini di Gaza. La Dichiarazione Balfour prometteva ai
sionisti europei una patria per il popolo ebraico (a quei tempi, l'impero su
cui il sole non tramontava mai era libero di togliere e dare patrie cosi'
come uno scolaretto arrogante distribuisce palline di vetro). Con quanta
incoscienza il potere imperiale ha vivisezionato antiche civilta'. Palestina
e Kashmir sono i doni avvelenati e grondanti sangue dell'impero britannico
al mondo moderno. Ambedue sono linee difettose nei rabbiosi conflitti
internazionali di oggi.
Nel 1937 Winston Churchill disse dei palestinesi, "non sono d'accordo che un
cane alla mangiatoia abbia alcun diritto sulla mangiatoia anche se vi e'
stato per lungo tempo. Non riconosco quel diritto. Non credo, per esempio,
che sia stato fatto un grande torto agli indiani d'America o agli aborigeni
in Australia. Non reputo che quelle popolazioni abbiano subito un torto con
il fatto che una razza piu' forte, una razza superiore, una razza piu'
saggia se vogliamo metterla in questo modo, sia arrivata ed abbia preso il
loro posto".
Cio' influenzo' la tendenza dello Stato di Israele nei confronti dei
palestinesi. Nel 1969, il primo ministro israeliano Golda Meir disse: "i
palestinesi non esistono". Il suo successore, il primo ministro Levi Eschol
disse:" Cosa sono i palestinesi? Quando io sono arrivato qui (in Palestina),
c'erano 250.000 non-ebrei, per lo piu' arabi e beduini. Era un deserto, piu'
che sottosviluppato. Il nulla". Il primo ministro Menachem Begin denominava
i palestinesi "bestie a due gambe". Il primo ministro Yitzhak Shamir li
denominava " cavallette" che si possono calpestare. Questo e' il linguaggio
dei capi di stato, non sono le parole della gente comune.
Nel 1947, le Nazioni Unite ripartirono formalmente la Palestina e
assegnarono il 55% del territorio palestinese ai sionisti. Entro un anno gli
stessi si erano impossessati del 76%. Il 14 maggio 1948 fu dichiarato lo
Stato di Israele. Pochi minuti dopo la dichiarazione, gli Stati Uniti
riconobbero Israele. La West Bank fu annessa alla Giordania. La striscia di
Gaza fu posta sotto il controllo militare egiziano, e quella che fu la
Palestina cesso' di esistere se non nelle menti e nei cuori di centinaia di
migliaia di palestinesi che divennero profughi. Nel 1967 Israele occupo' la
West Bank e la striscia di Gaza. Negli anni che seguirono vi furono
insurrezioni, guerre, intifada.
Le vittime sono state decine di migliaia.
Sono stati firmati accordi e trattati. Cessazioni del fuoco sono state
dichiarate e violate. Ma lo spargimento di sangue non ha fine. La Palestina
resta occupata illegalmente. La sua gente vive in condizioni disumane, in un
virtuale Bantustan, dove e' soggetta a punizioni collettive, con 24 ore di
coprifuoco su 24, umiliata e brutalizzata quotidianamente. Non sa quando
verranno demolite le sue case, quando i suoi figli verranno uccisi, quando i
suoi preziosi alberi verranno tagliati, quando le sue strade verranno
bloccate, quando avra' il permesso di andare al mercato a comperare cibo e
farmaci. E quando non lo avra'.
Vive senza una parvenza di dignita'. Senza molte speranze. Non ha alcun
controllo sulla sua terra, la sua sicurezza, i suoi movimenti, le sue
comunicazioni, le sue forniture d'acqua.
Cosi', quando vengono firmati  gli accordi, e termini come "autonomia" e
perfino "stato" vengono sbandierati, vale sempre la pena di domandare. Che
genere di autonomia? Che genere di stato? Che tipo di diritti avranno i suoi
cittadini? I giovani palestinesi che non riescono a controllare la loro
rabbia si trasformano in  bombe umane e devastano le strade di Israele e i
luoghi pubblici, facendosi saltare in aria, uccidendo gente comune,
iniettando terrore nella vita quotidiana, ed infine aumentando il sospetto e
l'odio reciproco su ambedue i fronti. Ogni attentato suscita una spietata
rappresaglia e maggiori difficolta' per il popolo palestinese. L'attentato
suicida e' un'azione di disperazione individuale, non una tattica
rivoluzionaria. Se da un lato gli attacchi palestinesi seminano il terrore
tra i cittadini israeliani, dall'altro essi offrono la perfetta copertura
per le incursioni quotidiane del governo di Israele nel territorio
palestinese, il pretesto perfetto per un colonialismo fuori moda datato XIX
secolo, mascherato da moderna "guerra" del XXI secolo.
Gli Stati Uniti sono e sono sempre stati gli alleati politici e militari
piu' fedeli di Israele. Il governo degli Stati Uniti ha bloccato, insieme ad
Israele, quasi tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che cercavano una
soluzione pacifica ed equa al conflitto. Ha appoggiato quasi ogni guerra che
Israele ha combattuto. Quando Israele attacca la Palestina, sono americani i
missili che radono al suolo le case palestinesi. Ed ogni anno Israele riceve
parecchi miliardi di dollari dagli Stati Uniti - denaro dei cittadini che
pagano le tasse.
Quale insegnamento dobbiamo trarre da questo tragico conflitto? E' veramente
impossibile per il popolo ebraico, che tanto crudelmente ha sofferto - forse
piu' crudelmente di qualsiasi altro popolo nella storia - capire la
vulnerabilita' e lo struggimento di coloro che ha scacciato? Possibile che
l'estrema sofferenza generi sempre crudelta'? Quale speranza lascia tutto
questo alla razza umana? Cosa succedera' al popolo palestinese nel caso di
una vittoria? Se una nazione senza uno stato proclama uno stato, che razza
di stato sara'? Quali orrori si commetteranno sotto la sua bandiera?
Dobbiamo batterci per uno stato separato, o piuttosto per il diritto ad una
vita di liberta' e dignita' per tutti, al di la' di etnia e religione?
La Palestina era un tempo baluardo secolare in Medio Oriente. Ma ora il
debole, antidemocratico, a detta di tutti corrotto, ma dichiaratamente non
fazioso OLP, sta perdendo terreno nei confronti di Hamas, che adotta una
ideologia apertamente faziosa e lotta in nome dell'Islam. Per citare le
parole del loro manifesto "noi saremo i suoi soldati e la legna per il suo
fuoco, che brucera' i nemici". Al mondo viene chiesto di condannare le bombe
umane. Ma si puo' ignorare il lungo cammino che hanno percorso prima di
arrivare a questo punto? Dall'11 settembre 1922  all'11 settembre 2002 -
ottanta anni e' un periodo ben lungo di guerra.
C'e' qualche consiglio che il mondo puo' dare al popolo della Palestina? O
devono accettare quello di Golda Meir e fare di tutto per non esistere?
*
In un'altra parte del Medio Oriente, l'11 settembre tocca una corda piu'
recente. L'11 settembre 1990 George W. Bush Sr., allora presidente degli
Stati Uniti, tenne un discorso all'assemblea del Congresso, annunciando che
il suo governo aveva deciso di fare guerra all'Iraq. Il governo degli Stati
Uniti dice che Saddam Hussein e' un criminale di guerra, un crudele despota
militare che ha commesso genocidio verso il suo stesso popolo. Descrizione
sufficientemente accurata del soggetto. Nel 1988 Saddam Hussein rase al
suolo centinaia di villaggi nel nord dell'Iraq, uso' armi chimiche e
mitragliatrici  per uccidere migliaia di kurdi. Oggi noi sappiamo che quello
stesso anno il governo degli Stati Uniti gli dette sussidi per 500 milioni
di dollari per acquistare prodotti agricoli americani. L'anno successivo,
dopo che egli aveva completato con successo la sua campagna di genocidio, il
governo degli Stati Uniti raddoppio' il sussidio a un miliardo. Gli forni'
inoltre batteri di antrace di "prima qualita'" ed elicotteri e materiali a
doppio uso, che potevano essere usati per fabbricare armi chimiche e
biologiche.
Si scopre insomma che, mentre Saddam Hussein compiva le sue peggiori
atrocita', il governo degli Stati Uniti e quello britannico erano i suoi
piu' stretti alleati. Cosa e' cambiato allora? Nel 1990, Saddam Hussein
invase il Kuwait. Il suo peccato non fu tanto l'avere compiuto un atto di
guerra, quanto l'avere agito in maniera indipendente, senza ordini dal suo
padrone.
Questa manifestazione di indipendenza fu sufficiente per sovvertire
l'equazione del potere nel golfo. E si decise che Saddam Hussein doveva
essere eliminato, come un cagnolino che e' sopravvissuto all'affetto del suo
padrone.
Il primo attacco alleato all'Iraq avvenne nel gennaio del 1991. Il mondo
guardo' l'inizio della guerra in prima serata, perche' fu ripresa in
televisione. (In quei giorni, in India, bisognava andare nell'atrio di un
albergo a 5 stelle, per potere vedere la CNN). In un mese di bombardamenti
devastanti furono uccise decine di migliaia di persone.
Cio' che molti non sanno e' che da allora la guerra non e' mai finita. La
furia iniziale si stempero' nell'attacco aereo piu' lungo che mai sia stato
effettuato su un paese dopo la guerra in Vietnam. Negli ultimi dieci anni,
le forze armate americane e inglesi hanno lanciato migliaia di missili e
bombe sull'Iraq.
Nel decennio delle sanzioni economiche che segui' alla guerra, ai civili
iracheni sono stati negati cibo, medicine, attrezzature ospedaliere,
ambulanze, acqua potabile - tutto l'essenziale. A causa delle sanzioni ha
perso la vita circa mezzo milione di bambini. Di loro, Madeleine Albright,
allora ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite,
incredibilmente disse: "e' una scelta molto difficile, ma penso che ne valga
la pena". "Equivalenza morale" fu il termine usato per denunciare quelli di
noi che criticarono la guerra in Afghanistan. Madeleine Albright non puo'
essere accusata di equivalenza morale. Cio' che disse fu direttamente
algebra. Un decennio di bombardamenti non e' riuscito a rimuovere Saddam
Hussein, "la bestia di Baghdad".
Ora, dopo circa 12 anni, il presidente George Bush Jr. cade nell'ingranaggio
della retorica ancora una volta. Propone una guerra incondizionata il cui
scopo e' niente meno che un cambiamento di regime. Il "New York Times" dice
che l'amministrazione Bush sta seguendo "una strategia meticolosamente
programmata per convincere il pubblico, il Congresso e gli alleati sulla
necessita' di affrontare la minaccia Saddam Hussein". Andrew H. Card Jr, il
capo del personale della Casa Bianca, ha descritto come l'amministrazione
stava mettendo a punto i suoi piani di guerra per l'autunno e: "dal punto di
vista del marketing", ha detto, "non si immettono nuovi prodotti in agosto".
Questa volta l'espressione tranello di Washington per "nuovo prodotto" non
e' la difficile situazione del popolo kuwaitiano, bensi' la dichiarazione
che l'Iraq possiede armi di distruzione di massa. "Dimenticate la
moralizzazione inetta delle 'lobbies' pacifiste", ha scritto Richard Perle,
ex-consigliere del presidente Bush, "dobbiamo arrivare a lui prima che lui
arrivi a noi". Gli ispettori agli armamenti hanno stilato rapporti
contrastanti sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, e molti di loro
hanno detto chiaramente che gli arsenali sono stati smantellati e che il
paese non e' in grado di costruirne di nuovi.
Tuttavia, non c'e' alcun dubbio sull'estensione e sulla gamma dell'arsenale
americano di armi nucleari e chimiche. Accetterebbe volentieri il governo
americano la visita di ispettori agli armamenti? O il governo britannico? O
Israele?
Se anche l'Iraq avesse armi nucleari, puo' questo giustificare un attacco
preventivo da parte degli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possiedono il piu'
vasto arsenale di armi nucleari al mondo e sono al momento l'unico paese al
mondo che ne abbia fatto uso su popolazioni civili. Se gli Stati Uniti sono
giustificati nello sferrare un attacco preventivo sull'Iraq, allora
qualsiasi potenza nucleare sarebbe giustificata nel fare altrettanto su
qualunque altra potenza nucleare. L'India potrebbe attaccare il Pakistan, o
viceversa.
E se il governo degli Stati Uniti sviluppa un'avversione per, diciamo, il
primo ministro indiano, si puo' "eliminarlo" con un attacco preventivo? Di
recente gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante nel convincere India
e Pakistan, sull'orlo della guerra, a rinunciarvi. E' cosi' difficile
seguire il proprio consiglio? Chi e' colpevole di moralizzazione inetta? O
di predicare la pace mentre fa la guerra? Gli Stati Uniti, che George Bush
ha definito "la piu' pacifica nazione della terra", sono stati in guerra con
un paese o un altro ogni anno negli ultimi cinquant'anni.
*
Le guerre non sono mai combattute per motivi di altruismo.
Generalmente lo sono per egemonia, per ragioni economiche. E poi
naturalmente c'e' l'industria della guerra. Proteggere il proprio controllo
sul mondo del petrolio e' fondamentale per la politica estera degli Stati
Uniti. Il recente intervento militare degli Stati Uniti nei Balcani e in
Asia Centrale hanno a che vedere con il petrolio. Hamid Karzai, il
presidente fantoccio dell'Afghanistan insediato dagli Stati Uniti, si dice
fosse in precedenza impiegato alla Unocal, la locale compagnia petrolifera
americana. Il pattugliamento paranoico del Medio Oriente da parte del
governo degli Stati Uniti e' dovuto al fatto che esso possiede i due terzi
di tutte le riserve petrolifere mondiali. Il petrolio fa ronzare dolcemente
i motori d'America. Il petrolio fa girare il libero mercato.
Chiunque controlli il mondo del petrolio, controlla il mercato mondiale. E
come si controlla il petrolio?
Nessuno lo dice in modo piu' elegante del giornalista del "New York Times",
Thomas Friedman. In un articolo intitolato "la Follia Paga" dice, "gli Stati
Uniti devono mettere bene in chiaro con l'Iraq e con gli alleati che
l'America usera' la forza senza negoziazioni, esitazioni o approvazione da
parte delle Nazioni Unite". Il suo consiglio e' stato subito messo in
pratica. Con le guerre contro Iraq e Afghanistan e con le quasi quotidiane
umiliazioni che  il governo degli Stati Uniti riversa sulle Nazioni Unite.
Nel suo libro sulla globalizzazione, "The Lexus and the Olive Tree",
Friedman dice "la mano nascosta del mercato non potra' mai lavorare senza il
pugno nascosto. McDonalds non puo' prosperare senza McDonnel Douglas... e il
pugno nascosto che conserva il mondo affinche' le tecnologie di Silicon
Valley prosperino, e' chiamato esercito degli Stati Uniti, Aeronautica
Militare, Marina, e Corpi della Marina".
Forse tutto questo e' stato scritto in un momento di debolezza, ma e'
certamente la descrizione piu' succinta ed accurata del progetto di
globalizzazione corporativa che io abbia mai letto.
Dopo l'11 settembre 2001e la Guerra contro il Terrorismo, la mano ed il
pugno nascosti  si sono scoperti - e noi abbiamo ora una chiara visuale
dell'altra arma dell'America - il Libero Mercato - che opprime il mondo in
via di sviluppo, con un sorriso contratto e sinistro. La Missione Senza Fine
e' la guerra perfetta per l'America, il perfetto veicolo per l'espansione
senza fine dell'imperialismo americano. In Urdu, profitto si dice Fayda. Al
Qaida significa La Parola, La Parola di Dio, la Legge. Cosi', in India
alcuni di noi chiamano la guerra contro il terrorismo, Al Qaida contro Al
Fayda - La Parola contro il Profitto. (Nessun intenzionale gioco di parole).
*
Per il momento sembra che Al Fayda conduca il gioco. Ma non si sa mai.
Negli ultimi dieci anni di sfrenata globalizzazione, le entrate totali del
mondo sono cresciute in media del 2,5% l'anno. Tuttavia il numero dei poveri
del mondo e' cresciuto di 100 milioni. Dei cento massimi poteri economici,
51 sono corporazioni, non paesi. L'1% delle classi dirigenti del mondo
totalizza le stesse entrate del 57% delle classi inferiori e questa
disparita' sta crescendo. Ed ora, sotto la dilagante copertura della guerra
contro il terrorismo, questo processo incalza.
I colletti bianchi hanno una fretta inedita. Mentre le bombe piovono sulle
nostre teste e i missili Cruise sfrecciano attraverso i cieli, mentre le
armi nucleari vengono ammassate per fare del mondo un luogo piu' sicuro, si
firmano contratti, si registrano brevetti, si installano oleodotti, si
saccheggiano le risorse naturali, si privatizza l'acqua e si minano le
democrazie.
In un paese come l'India, il fine dell'"adattamento strutturale" della
globalizzazione e' di attraversare velocemente la vita della gente. Progetti
di "sviluppo", privatizzazioni massicce e "riforme" del lavoro, stanno
spingendo la gente fuori dalla sua terra e dal suo lavoro, determinando una
specie di barbara espropriazione che ha ben pochi esempi nella storia.
A livello mondiale, mentre  il libero mercato protegge spudoratamente i
mercati occidentali e spinge i paesi in via di sviluppo ad eliminare le loro
regole commerciali, i poveri diventano piu' poveri ed i ricchi piu ricchi.
Il fermento civile ha cominciato a ribollire nel villaggio globale. In paesi
come Argentina, Brasile, Messico, Bolivia e India, i movimenti di resistenza
contro la globalizzazione stanno crescendo. Per arginarli, i governi stanno
intensificando il loro controllo. Chi protesta e' marchiato come
"terrorista" e come tale viene trattato. Ma il fermento civile non significa
solo marce e dimostrazioni e proteste contro la globalizzazione.
Sfortunatamente significa anche  una disperata spirale verso il basso di
crimine e caos e di tutti i tipi di disperazione e disillusione che, come la
storia ci insegna (e da quello che vediamo svolgersi davanti ai nostri
occhi), diventa gradatamente terreno fertile per cose terribili -
nazionalismo culturale, bigottismo religioso, fascismo e, naturalmente,
terrorismo. Tutto questo marcia sotto braccio alla globalizzazione.
Vi e' una opinione che sta guadagnando credibilita' e cioe' che il libero
mercato abbatte le barriere nazionali, e che la destinazione finale della
globalizzazione e' un paradiso hippy dove il cuore e' l'unico passaporto e
tutti noi viviamo felicemente insieme, in una canzone di John Lennon
("Imagine there is no country..."). Ma questa e' una  menzogna. Cio' che il
libero mercato indebolisce non e' la sovranita' nazionale, bensi' la
democrazia.
Quando aumenta la disparita' tra ricchi e poveri, ecco dove entra in campo
il pugno nascosto. Le corporazioni multinazionali alla ricerca di "affari
facili" che fruttano enormi profitti non possono portare a termine quegli
affari ed amministrare quei progetti nei paesi in via di sviluppo senza
l'attiva connivenza della macchina dello stato - polizia, tribunali, a volte
perfino l'esercito. Oggi, nei paesi piu' poveri, la globalizzazione
necessita di una confederazione internazionale di governi che siano leali,
corrotti, preferibilmente dittatoriali, per introdurre riforme impopolari e
reprimere le ribellioni. Serve una stampa che finga di essere libera.
Servono tribunali che fingano di dispensare giustizia. Servono ordigni
nucleari, eserciti permanenti, leggi piu' severe sull'immigrazione e attenti
ricognitori costieri che assicurino che saranno globalizzati solo denaro,
beni di consumo, brevetti e servizi - non libero movimento di popoli, non
rispetto per i diritti umani, non trattati internazionali sulle
discriminazioni razziali o sugli ordigni chimici e nucleari, o sulle
emissioni di gas nell'atmosfera, sui cambiamenti di clima, o sulla
giustizia. Come se perfino un gesto verso la responsabilita' internazionale
potesse far naufragare l'intera impresa.
*
A quasi un anno di distanza da quando la guerra contro il terrorismo fu
ufficialmente sbandierata sulle rovine dell'Afghanistan, in un paese dopo
l'altro le liberta' vengono limitate in nome di una liberta' da proteggere,
le liberta' civili vengono sospese in nome di una democrazia da
salvaguardare.
Qualsiasi tipo di dissenso viene definito "terrorismo". Qualsiasi legge
viene approvata per occuparsi di questo. Sembra che Osama Bin Laden si sia
dissolto nell'aria. Il Mullah Omar pare sia riuscito a fuggire in
motocicletta. (avrebbero potuto farlo inseguire da Tin Tin). I Talebani
possono essere spariti ma il loro spirito ed il loro sistema di giustizia
sommaria sta affiorando nei posti piu' diversi. In India, in Pakistan, in
Nigeria, in America, in tutte le repubbliche centro-asiatiche rette da ogni
sorta di tiranni, e naturalmente in Afghanistan sotto l'Alleanza del Nord
appoggiata dagli Stati Uniti.
*
Nel frattempo, giu' nel centro commerciale c'e' una svendita di mezza
stagione. Tutto e' scontato - oceani, fiumi, petrolio, corredi genetici,
calabroni, fiori, infanzie, industrie dell'alluminio, compagnie telefoniche,
buonsenso, lande sconfinate, diritti civili, eco-sistemi, aria - tutti i
4,600 milioni di anni di evoluzione. Viene tutto incartato, sigillato,
etichettato, prezzato ed e' la', a disposizione sullo scaffale (non si
accettano rese). Riguardo alla giustizia - mi dicono che anch'essa e' in
offerta. Potete procurarvi la migliore che il denaro possa comprare.
Donald Rumsfeld ha detto che il suo incarico nella guerra al terrorismo era
di convincere il mondo che gli americani devono potere continuare ad avere
il loro stile di vita. Quando il re impazzito pesta i piedi, tremano gli
schiavi nei loro alloggiamenti. Cosi', essendo io qui oggi, mi e' difficile
dirlo, ma "lo stile di vita americano" e' semplicemente non sostenibile.
Perche' non riconosce che c'e' un mondo oltre l'America.
*
Fortunatamente anche il potere ha una data di scadenza. Quando verra'  il
momento, e' probabile che questo potente impero, come altri in precedenza,
fallira' ed implodera'. Sembra che siano gia' comparse delle crepe
strutturali. Mentre la Guerra contro il Terrorismo continua a gettare la sua
rete sempre piu' ampia, il cuore corporativo d'America sta dissanguandosi.
Con tutte le infinite, vuote chiacchiere sulla democrazia, oggi il mondo e'
retto da tre delle istituzioni mondiali piu' reticenti. Il Fondo Monetario
Internazionale, la Banca Mondiale, e l'Organizzazione Mondiale del
Commercio, e tutte e tre sono, a loro volta, dominate dagli Stati Uniti. Le
loro decisioni vengono prese in segreto. Le persone che le dirigono vengono
scelte dietro porte chiuse. Non si sa nulla di loro, della loro politica,
delle cose in cui credono, delle loro intenzioni. Nessuno li ha eletti.
Nessuno li ha autorizzati a prendere decisioni per nostro conto.
Un mondo diretto da una manciata di banchieri avidi e amministratori
delegati che nessuno ha eletto, non puo' durare.
Il comunismo sovietico e' fallito, non perche' fosse intrinsecamente
cattivo, ma perche' era difettoso. Permetteva a troppo poca gente di
usurpare troppo potere. Il capitalismo di mercato del XXI secolo, lo stile
di vita americano falliranno per le stesse ragioni. Sono ambedue costruzioni
edificate dall'intelligenza umana, distrutte dalla natura umana.
E' giunto il momento, disse il Tricheco di Alice. Forse le cose
peggioreranno e poi miglioreranno. Forse c'e' una piccola divinita' in cielo
che si sta preparando per noi. Un altro mondo e' non solo possibile, lei sta
venendo. Forse molti di noi non saranno qui ad accoglierla, ma in un giorno
tranquillo, se ascoltera' con molta attenzione, potra' sentirla respirare.
Grazie.
Desidero solo dire che ero cosi' spaventata all'idea di venire in America,
perche', quando si leggono i giornali e quando si guarda quello che si puo'
vedere in televisione, che e' "Fox News", sapete, in India, questi mezzi di
comunicazione vi fanno credere che in America tutti sono cloni di George
Bush. Sono cosi' contenta di essere venuta, perche' vedere voi qui e non
ricevere pomodori in faccia riconferma la mia fede nell'umanita'.

5. APPELLI. LUISA MORGANTINI: PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI
[Questo articolo abbiamo tratto dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre
2002. Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int),
parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo
per i rapporti con il Consiglio Legislativo Palestinese, e' da sempre
impegnata per la pace e la nonviolenza]
Nella riunione del Consiglio di Associazione Unione Europea-Israele di
mercoledi' a Lussemburgo, inutilmente e' continuato il contenzioso sui
prodotti marchiati "made in Israel" ma di fatto provenienti dagli
insediamenti illegali israeliani della Cisgiordania, della Striscia di Gaza
e delle alture del Golan. Ancora una volta, la delegazione israeliana,
guidata dal ministro degli esteri Shimon Peres, non ha presentato, come ci
si aspettava, alcuna proposta per dimostrare la propria volonta' di
rispettare gli accordi firmati con l'Ue.
Pur ritenendo positivo l'accordo per una riunione tecnica su questo tema da
tenersi "immediatamente", come affermato da Gunnard Wiegrand, portavoce del
commissario europeo per gli affari esteri Chris Patten, adesso vanno
applicati con rigore i principi dell'Accordo di Associazione Ue-Israele e
del diritto internazionale.
E non solo nel caso delle rules of origin, riguardanti la provenienza dei
prodotti esportati da Israele, ma soprattutto dell'articolo 2 dell'Accordo
di Associazione, riguardante il rispetto dei diritti umani.
Israele dovrebbe astenersi da pratiche non riguardanti in alcun modo la
propria sicurezza e porre fine ai coprifuoco imposti alle citta'
palestinesi, agli omicidi extragiudiziali, alla deportazione di familiari
nonche' alle punizioni collettive quali la demolizione di case e la
distruzione di uliveti con in piu' l'impedimento militare in questi giorni
della raccolta delle olive.
In un contesto in cui non si esige il rispetto delle Risoluzioni dell'Onu,
e' importante che l'Ue dia un segnale di credibilita' e legalita'
internazionale. Il messaggio politico che deriverebbe dalla non applicazione
di agevolazioni doganali ai beni prodotti negli insediamenti - benche'
riguardanti solo il 2% del totale annuo delle esportazioni israeliane verso
l'Ue - sarebbe notevole.
Dopo 35 anni l'occupazione non solo non ha visto termine, ma la
proliferazione di insediamenti e' stata inarrestabile, rendendo vano ogni
tentativo di segnare confini o creare contiguita' territoriali che potessero
aprire la strada ad una soluzione pacifica.
Ora l'Unione europea, che si dice "impaziente" per la soluzione del
contenzioso sui prodotti degli insediamenti israeliani - bloccato da 7
anni - dovrebbe dare avvio a mezzi di pressione piu' incisivi, arrivando
alla sospensione dell'Accordo di Associazione. Una misura necessaria per il
rispetto della legalita' nei rapporti tra Ue e Israele.
Il Parlamento europeo invece ha chiara finora solo la schizofrenia del
ministro Peres che da un lato dice di voler arrivare ai due Stati,
palestinese ed israeliano, entro il 2005, e dall'altro avalla la politica
del governo israeliano, che continua ad espropriare terre per creare nuovi
insediamenti e viola i diritti umani facendo sempre piu' vittime tra i
civili.

6. RILETTURE. GUENTHER ANDERS: ESSERE O NON ESSERE
Guenther Anders, Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961, pp. XVIII + 210.
Una lettura indispensabile.

7. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano
1967, 1996, pp. LIV + 712, lire 36.000. Una lettura indispensabile.

8. RILETTURE. DIETRICH BONHOEFFER: RESISTENZA E RESA
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(Mi) 1988, pp. 582, lire 28.000. Una lettura indispensabile.

9. RILETTURE. MOHANDAS GANDHI: TEORIA E PRATICA DELLA NONVIOLENZA
Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973,
1996, pp. CLXXVI + 410, lire 22.000. Una lettura indispensabile.

10. RILETTURE. PRIMO LEVI: I SOMMERSI E I SALVATI
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Enaudi, Torino 1986, 1991, pp. 192, lire
11.000. Una lettura indispensabile.

11. RILETTURE. NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA'
Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995,
pp. 606, lire 45.000 (ma vi e' una successiva edizione economica). Una
lettura indispensabile.

12. RILETTURE. SIMONE WEIL: LA GRECIA E LE INTUIZIONI PRECRISTIANE
Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974,
pp. 308. Una lettura indispensabile.

13. RILETTURE. VIRGINIA WOOLF: LE TRE GHINEE
Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli,
Milano 1979, 1987, pp. 256 (ma vi sono anche altre edizioni). Una lettura
indispensabile.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 398 del 28 ottobre 2002