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La nonviolenza e' in cammino. 391



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 391 del 21 ottobre 2002

Sommario di questo numero:
1. Psichiatria democratica e Movimento nonviolento, un incontro a Verona
2. Aldo Capitini, che cos'e' l'obiezione di coscienza
3. Edoarda Masi, la burocrazia
4. Ettore Masina ricorda Ernesto Balducci
5. Peppe Sini, il colpo di stato e la Resistenza nonviolenta
6. Pietro Ingrao, l'aggressione all'articolo 11 della Costituzione
7. Danilo Zolo, il ripudio della guerra sancito dalla Costituzione
8. Alcuni "cadaveri squisiti"
9. Maria Grazia Meriggi presenta la rivista "Giano"
10. Riletture: Archivio Arendt 1. 1930-1948
11. Riletture: Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore
12. Riletture: Ingeborg Bachmann, Poesie
13. Riletture: Quentin Bell, Virginia Woolf
14. Riletture: Heinrich Boell, Christa Wolf, Fraternita' difficile
15. Riletture: Gabriella Fiori, Simone Weil
16. Toto' Merumeni Mastigofori d'Ajaccio: pacifisti da operetta e da cortile
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. PSICHIATRIA DEMOCRATICA E MOVIMENTO NONVIOLENTO: UN INCONTRO
A VERONA
La Societa' Italiana di Psichiatria Democratica e il Movimento Nonviolento
organizzano il convegno "Il normale della violenza" che si terra' a Verona
sabato 26 ottobre dalle ore 9,30 alle ore 17,30 presso l'Antica Biblioteca
del Monastero di San Zeno Maggiore, in piazza San Zeno 1.
Programma:
- ore 9,30: presentazione, di Alessandro Ricci (Psichiatria Democratica) e
Mao Valpiana (Movimento Nonviolento);
- ore 10,15: Paolo Rigliano (psichiatra) "Le violenze antiche e moderne
della psichiatria";
- ore 10,30: Paolo Tranchina (psicoanalista) "Violenza, alterita', norma.
Interrogando antiche storie";
- ore 10,45: Italo Valent (Universita' di Venezia) "Una violenza normale";
- ore 11,30: Daniele Lugli (Movimento Nonviolento) "Societa', istituzioni,
nonviolenza";
- ore 11,45: Michael Bruhl, Pio Zanatta, Cinzia Panzanato, Ettore Vecchiato,
Andrea Mion (infermieri professionali) "Testimonianze di nonviolenza nelle
istituzioni psichiatriche".
Segue discussione.
- ore 15,15: Sandra Rogialli, Maria Pia Teodori (Psicologhe) "Violenza e
minori: quotidianita' dei servizi e rappresentazioni collettive";
- ore 15,30: Sergio Materia (Giudice Corte d'Appello) "Violenza della
strada, violenze del potere";
- ore 15,45: Renato Fiorelli, Matteo Soccio (Movimento Nonviolento)
"Un'esperienza nonviolenta con Franco Basaglia";
- ore 16: Testimonianze di nonviolenza nelle istituzioni psichiatriche.
Segue discussione.
*
La Societa' Italiana di Psichiatria Democratica e il Movimento Nonviolento
intendono promuovere una giornata di dibattito sul tema della violenza,
nelle istituzioni e piu' in generale nella societa' civile. La proposta
nasce da discussioni fatte in comune e separatamente sia sul diffondersi di
un vero e proprio "paradigma violento" che sembra regolare interi settori
dei comportamenti collettivi, sia sull'emergere di forme nuove di violenza e
di controllo sociale, sia sul fenomeno piu' terribile e preoccupante della
legittimazione della guerra su scala mondiale.
Il tema della sicurezza, sia personale che collettiva, si svolge
prevalentemente sul registro del controllo e della autodifesa, piuttosto che
su quello della solidarieta' e del confronto.
Oggi le forme piu' drammatiche e a volte incomprensibili di violenza nel
tessuto sociale appartengono quasi tutte al mondo della assoluta normalita',
quasi che dietro all'opacita' del normale si celassero i modi di un nuovo
irrazionale. Contemporaneamente la follia (e il dolore della follia) sembra
avviata ad un percorso di normalizzazione affidato all'arte e alla tecnica
medica. Follia prevedibile quindi e normalita' imprevedibile, la violenza
assume i segni di un disagio ancora difficilmente definibile.
Questo seminario e' rivolto a quanti oggi sentono come urgente il problema
della violenza e non si accontentano di analisi superficiali e di una
cultura sempre piu' appiattita sull'esistente.
*
Per ulteriori informazioni: Movimento Nonviolento, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it; sito: www.nonviolenti.org

2. MAESTRI. ALDO CAPITINI: CHE COS'E' L'OBIEZIONE DI COSCIENZA
[Da Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 99
(si tratta dlel'incipit del libro del 1959 su L'obbiezione di coscienza in
Italia). Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899, antifascista e
perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative
per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia il 19 ottobre 1968. E'
stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia.
Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di
Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977; recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le
tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di
scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano
1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso
la redazione di "Azione nonviolenta" sono disponibili e possono essere
richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in
libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937,
e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di
una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti
sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e religiosi. Opere su
Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato
Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo
Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini,
Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana
Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica
laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, BFS, Pisa 1998; Antonio
Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini,
Edizioni del Rosone, Foggia 1999. Cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini
in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino
2001]
L'obiezione di coscienza contro il servizio militare e' l'opposizione a
partecipare alla preparazione e all'esecuzione della guerra, vista
particolarmente come uccisione di esseri umani. Obiezione vuol dire l'atto
di gettare qualche cosa contro; e in questo caso e' la coscienza che
presenta e oppone all'ordine legale di preparare ed eseguire la guerra,
motivi che essa trae da se stessa.

3. MAESTRE. EDOARDA MASI: LA BUROCRAZIA
[Questo frammento abbiamo estratto dall'intervento di Edoarda Masi in AA.
VV., Potere e opposizione nelle societa' postrivoluzionarie, Alfani, Roma
1978, p. 82. Edoarda Masi, intellettuale di straordinaria lucidita', e' nata
a Roma nel 1927, bibliotecaria nelle biblioteche nazionali di Firenze, Roma
e Milano, ha insegnato letteratura cinese nell'Istituto Universitario
Orientale di Napoli; ha vissuto a Pechino e a Shangai, dove ha insegnato
lingua italiana all'Istituto Universitario di Lingue Straniere. Ha
collaborato a numerose riviste, italiane e straniere, tra cui "Quaderni
rossi", "Quaderni piacentini", "Kursbuch", "Les temps modernes". Opere di
Edoarda Masi: La contestazione cinese, Torino 1968; Per la Cina, Milano
1978; Breve storia della Cina contemporanea, Bari 1979; Il libro da
nascondere, Casale Monferrato 1985; Cento trame di capolavori della
letteratura cinese, Milano 1991. Tra le sue traduzioni dal cinese in
italiano: una raccolta di saggi di Lu Xun, La falsa liberta', Torino; e
Confucio, I dialoghi, Milano]
La burocrazia deforma i conflitti nel gioco delle fazioni politiche.

4. MAESTRI. ETTORE MASINA RICORDA ERNESTO BALDUCCI
[Questo ricordo di padre Balducci Ettore Masina (per contatti:
ettore.mas@libero.it) lo ha pronunciat a Firenze il 18 febbraio 2002. Ettore
Masina, giornalista e scrittore, gia' parlamentare, impegnato per la pace e
i diritti umani, animatore dell'esperienza di solidarietà della Rete Radie'
Resch, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della pace; tra i
suoi libri segnaliamo in particolare Il vangelo secondo gli anonimi; Un
passo nella storia; El nido de oro; Un inverno al sud; Oscar Romero; Il
vincere. Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto)
nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992.
Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di
numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista
"Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un
pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi
sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici
problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo
particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio,
Bompiani; La pace. Realismo di un'utopia, Principato, in collaborazione con
Lodovico Grassi; Pensieri di pace, Cittadella; L'uomo planetario, Camunia,
poi Ecp; La terra del tramonto, Ecp; Montezuma scopre l'Europa, Ecp. Si
vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude, Marietti;
la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa, Ecp; il
manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano, Cremonese; ed
il corso di educazione civica Cittadini del mondo, Principato, in
collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due
fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto
Balducci, "Testimonianze""nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga
marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995. Un'ottima
rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e'
il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita',
Libreria Chiari, Firenze 1996. Recente e' il libro di Bruna Bocchini
Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari
2002. Cfr. anche Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo,
Manifestolibri, Roma 2002; indirizzi utili: Fondazione Ernesto Balducci, via
Badia dei Roccettini 11, S. Domenico di Fiesole (Fi)]
La sorridente gara di poc'anzi sulla primogenitura delle amicizie
balducciane, ha riportato in me tante immagini del nostro grande amico:
quella di lui magro, quasi esile (l'anno era il 1954) conferenziere nella
Corsia dei Servi: un ragazzo troppo razionale e persino troppo colto, che
nei dibattiti manovrava l'arguzia toscana e la scienza teologica come corpi
contudenti per atterrare l'avversario; una "storica" fotografia del 1957 con
lui, padre Davide Tiroldo, padre Camillo De Piaz, don Primo Mazzolari e, mi
pare, don Abramo Levi, affacciati al balcone della villa di Luigi Santucci:
mirabile pattuglia di evangelizzatori nella Missione di Milano voluta
dall'arcivescovo Montini; e un Balducci piu' maturo, anche nel fisico, a un
dibattito romano in cui, durante l'ultima sessione del Concilio, io
"moderavo", con qualche interno tremore, due giganti della teologia come
Danielou e Chenu...
*
E tuttavia, anche in me, sopra ogni altra, prevale l'immagine di Balducci
nella Badia Fiesolana. Quando noi "foresti" vi giungevamo, percepivamo che
la Badia, la comunita' che vi si raccoglieva, erano per Balducci il centro
della sua cosmogonia. Mi e' capitato di dire e qui lo ripeto per avviare poi
un discorso che mi portera' in altri luoghi, mi e' capitato di dire una
volta che Balducci abitava la Badia come l'indio amazzonico abita la propria
capanna: e cioe' come il centro del mondo, spazio sacro nel quale non
soltanto egli vive, ma anche seppellisce i suoi morti, a reciproca custodia.
Dunque anche nei miei ricordi prevale la figura di un Ernesto in qualche
misura davvero abate, benche' senza titolo ecclesiastico: il quale celebrava
liturgie e accoglieva fiorentini o fiesolani, ma anche persone giunte da
ogni parte d'Italia per deporre nel suo cuore sacerdotale e davanti alla sua
limpida ragione dolori e problemi; il Balducci che nella Badia riceveva dai
confratelli e dagli amici affetti, notizie, consigli, persino sorridenti
rimbrotti per quel tanto di narcisismo che c'era in lui, com'e' inevitabile
per tutti gli intellettuali; e aveva amanuensi devote e capaci che ci hanno
conservato il tesoro delle sue parole; e pie donne che si occupavano dei
pranzi per lui e i suoi amici, spazio conviviale in cui Ernesto si apriva ai
suoi rari, ma cosi' limpidi, sorrisi. Insomma nei ricordi di noi che tante
volte approdammo alla Badia e' difficile per cosi' dire enuclearlo da quella
dimora, la quale - pietre e creature - era per lui una casa-madre, chiostro
popolato di voci amiche, "portico di Salomone"; in cui gli era
indispensabile tornare rapidamente, quando ne era partito.
*
Ma io, oggi, voglio parlare, invece, del Balducci pellegrino, itinerante.
Non per viaggi in terre lontane: quelli, in qualche misura, egli non li
sentiva necessari. La sua cultura, la sua insaziabile fame di culture
"altre" e di notizie significanti, la vastita' della sua erudizione, la
capacita' di manovrare una sterminata biblioteca (che non stava tutta negli
scaffali ma anche nella sua prodigiosa memoria) gli rendevano possibile
raggiungere i luoghi piu' alti e drammatici della storia umana: senza
muoversi dalla Badia, Balducci scendeva fra le immense folle radunate da
Gandhi lungo le rive del Gange, o saliva i sentieri scoscesi delle Ande
percorsi dalle torme dei conquistadores ossessionati dalla smania dell'oro;
camminava idealmente sulle strade silenziose  dell'Umbria, con Francesco e
con Chiara; e in tutti questi cammini non avanzava soltanto con l'acume e la
scienza interpretativa ma anche con la capacita' di cogliere le sofferenze
dei vinti, le loro disperse memorie, le massacrate speranze: il figlio del
minatore del Monte Amiata non dimenticava mai la preziosita' germinativa
delle lotte e delle sofferenze dei poveri. E proprio la partecipazione al
dolore della povera gente gli faceva contemplare con orrore le guerre: le
tecnologicamente ferocissime, come quella del Golfo, e le piu'
ancestralmente selvagge, come quelle balcaniche di cui intravvide i primi
lividi bagliori. Soltanto la detestazione per la disseminazione di dolori,
per la stupidita', per la follia, per la teratologia di tutte le guerre,
qualunque etichetta esse portassero, fece progettare a Balducci, alla fine
del 1990, per un istante, un viaggio geograficamente lungo e politicamente
rischioso: penso' di accompagnarsi a Raniero La Valle nella missione a
Baghdad intesa ad annunziare allo spietato rais iracheno la grandezza della
pace e a fargli rilasciare gli ostaggi occidentali che egli aveva
sequestrato.
*
Ma non e' nemmeno di questi viaggi al di la' del nostro Paese che io voglio
parlare, e' di quelli per i quali si puo' dire che Balducci aro' l'Italia
cristiana (e forse soprattutto quella non-cristiana) con il vomere della sua
fede, irruente e insieme mai dimentica delle esigenze dell'intelletto ("la
mia  profezia ragionevole" la definiva); e semino' ovunque l'evangelo che
gli bruciava nel cuore. Voglio dire qualcosa del Balducci viaggiatore nella
cosiddetta periferia, e cioe' non soltanto a Roma ma anche nei luoghi
lontani dalle metropoli o dalle citta' di cultura prestigiosa come Firenze.
A ben pensarci, gia' l'apparato ecclesiastico aveva piu' volte deciso di
collocare Balducci, per cosi' dire, in periferia, fuori porta: a Frascati e
non a Roma; poi non nel centro di Roma ma nella parrocchia periferica di San
Francesco a Monte Mario, poi a Fiesole e non a Firenze. Compromessi
miserandi, puntigli clericali che oggi ci appaiono ridicoli - o peggio. La
Badia Fiesolana non fu certo luogo d'esilio; aveva anzi, soprattutto agli
inizi, molte possibilita' di diventare, com'e' successo del resto in altre
avventure di sacerdoti cui fu data disponibilita' di grandi case, devoto
buen retiro, o, peggio ancora, istituzione paralizzante. Il Balducci "abate"
non si rinserro' nel suo chiostro. Con quasi temeraria generosita', per
tutti gli anni della sua vita, aderi' alle richieste che gli venivano
incessantemente rivolte da gruppi e comunita' che con lui volevano rileggere
il vangelo e i segni dei tempi. La sua ruvida dedizione non ebbe limiti al
riguardo. Oggi che e' diventato abituale per tanti intellettuali (qualche
sacerdote fra essi) muoversi soltanto dopo avere ricevuto ampie
assicurazioni sulle dimensioni numeriche e qualitative del pubblico e
sull'entita' del cosiddetto "gettone di presenza", appare ancora piu'
toccante la disponibilita' di Balducci a donarsi gratuitamente, sino
all'esaurimento delle forze. Perche' non della fatica sui libri, non di una
malattia, non di un impazzimento delle cellule e' morto il nostro amico, ma
della sua fatica di evangelizzatore. Se si pubblicasse l'agenda dei suoi
viaggi, apparirebbero chiare - e sorprendenti - le dimensioni per cosi' dire
geografiche della sua dedicazione alla costruzione di una Chiesa che sapesse
immergersi nel futuro per accogliere le sfide della liberazione dell'uomo; e
della sua convinzione che questa Chiesa non potesse nascere senza radici che
si allungassero nell'humus di quella che appunto abbiamo chiamato periferia
perche' molto di buono puo' venire dalla galilee di tutti i tempi e di tutte
le nazioni. Balducci e' morto su una strada, viandante come gli apostoli,
alla sequela del Cristo. Quando guardiamo al suo ingegno sfolgorante, a
quelle sue prontezza ed eleganza di eloquio, ai suoi libri, alla sua
santita' (uso con convinzione questa parola forte per dire della sua
intensita' di preghiera, della delicata tenerezza che egli seppe donare ai
dolenti che gli si presentarono o che egli ando' a trovare, per esempio
nelle carceri), quando ricordiamo tutto questo, non dobbiamo dimenticare
come e perche' Balducci e' morto: in itinere.
*
A me e' toccato, nei mesi seguenti la sua fine terrena, l'onore (e lo
strazio) di andare a concludere alcuni dei cicli di conferenze che egli
aveva iniziato: a Frascati, a Fabriano, a Cesena, a Senigallia, in tanti
centri apparentemente piccoli ma per lui egualmente importanti. E la cosa
che piu' mi ha colpito, nei racconti di chi gli si era stretto accanto in
quei luoghi e' stata la "pastoralita'" dei suoi viaggi. Ovunque si recasse
c'era molta gente ad ascoltarlo, venuta anche da lontano (da questo punto di
vista Balducci fu forse l'ultimo epigono degli "uomini della penitenza", i
grandi predicatori medievali), ma c'erano anche creature doloranti che
attendevano da lui una parola o un gesto che restituisse loro una ragione di
vita: vecchie signore che si sentivano inutili, emarginate e che egli
portava a casa con la sua auto, ridando loro autostima e un po' di prestigio
sociale, donne e uomini smarriti in qualche pena psichica, cui egli affidava
piccole mansioni che li facevano sentire suoi collaboratori; atei conclamati
e detestati per la loro irruenza cui Balducci mostrava le braccia spalancate
del crocefisso; e questi episodi di tenerezza - mi testimoniavano i
gruppi -erano andati crescendo in numero e qualita' negli ultimi anni,
cosicche' in molti e molte e' rimasta l'immagine di un Balducci non soltanto
intellettualmente grande ma anche, e soprattutto, buono, amabile.
*
La seconda caratteristica dell'incontro di Balducci con i tanti gruppi al
cui servizio egli pose il suo cuore e la sua intelligenza fu il profondo
rispetto che egli porto' loro. Esistono molte trascrizioni dei suoi discorsi
fatti in varie sedi, anche in giorni successivi; ed e' quasi incredibile
vedere come ciascuno di essi sia diverso dagli altri se non nell'impianto
almeno in molte significative notazioni. Egli avrebbe potuto calare
dall'alto la propria cultura e la propria riflessione in un discorso ormai
collaudato; invece risulta evidente dai confronti che ogni occasione fu
preparata, costantemente arricchita dalla attualita', da quel dipanarsi
della storia nella cronaca di cui Ernesto sapeva cogliere le implicazioni
con mirabile prontezza.
Ai suoi ascoltatori non elargiva mai della retorica ne' la accettava da
loro. Il suo dire era solenne, fluiva in un discorso che sembrava scritto
(mentre egli non aveva davanti a se' neppure una "scaletta") , ma
all'infuori di questa eleganza egli non concedeva sconti, per cosi' dire.
Citava autori come Freud e Jung, Habermas, Levinas e Levi Strauss, e non
sempre usava parole facilissime; senza compiacimenti intellettuali, sapeva
di avere una funzione magisteriale e chiedeva di fatto ai suoi ascoltatori
di ampliare le proprie conoscenze. Nei dibattiti era paziente ma non celava
la sua insofferenza per le spiritualita' evanescenti tipo new age, ne' per i
settarismi o per i movimenti esclusivi, ancorche' graditi in Vaticano, dei
quali detestava l'arroccamento isolazionista o la furia proselitistica. Non
accettava volentieri di discutere di riforme della Chiesa, che non gli
parevano di grande sostanza. Preferiva parlare con passione (una passione
che e' rimasta nel ricordo di molti gruppi), di una Chiesa-comunita' che
doveva accettare il rischio di mutare profondissimamente, giorno dopo
giorno, secondo le sfide del futuro. Ma respingeva l'idea che con la
Chiesa-istituzione si potesse (o addirittura si dovesse) rompere. Le
tensioni potevano e dovevano essere portate, diceva, sino al limite di
rottura e quel limite doveva essere coraggiosamente indagato, Ma non doveva
essere varcato perche' la carita' doveva prevalere. Con qualche ruvidezza
disse una volta a un acceso "progressista": "Non vogliamo una fede di
sinistra, quello che vogliamo e' che la fede si liberi dagli involucri
ideologici che vanificano il mistero dell'universalita' della Croce".
*
Ovunque semino' cultura e inquietudini ma soprattutto speranza. Ai tanti
abituati, allora come adesso, a vedere il presente e il futuro prossimo come
lacrimevole tragedia, Balducci insegno' a leggere l'eschaton, l'"oggi di
Dio", come lui diceva, la storia che andava redenta dall'ingiustizia
dell'uomo sull'uomo, del Nord sul Sud, dell'ideologia sulla profezia. Un
eschaton che si poteva cogliere soltanto votandosi alla liberazione dei
poveri, lasciandosi convocare dal grido degli oppressi. E a chi gli
ripeteva, come ripete anche oggi, il lamento della sconfitta, egli additava
speranze raccolte non soltanto nella Parola rivelata o almeno non soltanto
in quella contenuta nei libri canonici. Mi ricordo un motorista di Cesena
che, venuto alla commemorazione di Balducci, mi chiese: "Ma tu che cosa
pensi di  quel Levistro' di cui lui sempre parlava?". Quell'idea di Levi
Strauss che anche nell'uomo banale e incerto che e' ciascuno di noi abiti un
homo ineditus, un cumulo di energie positive che, ad un tratto, una
condizione storica puo' far emergere, Balducci la esponeva con una
convinzione che credo sia rimasta in non pochi, oggi piu' preziosa che mai.
*
Un giorno del 1990, in un convegno, a Rimini, della Rete Radie' Resch,
un'associazione di solidarieta' internazionale, Ernesto rivelo' una delle
ragioni che lo portavano a raggiungere cosi' frequentemente certi gruppi.
Disse: "Ho bisogno di queste prefigurazioni di quella cittadinanza
planetaria, senza la quale io cadrei per la vertigine, per la perdita totale
del mio vivere quotidiano e del mio vivere storico". L'uomo al quale non era
mancata la possibilita' di raggiungere le grandi folle virtuali dei
mass-media, sentiva il bisogno di incontrare di persona, occhi negli occhi e
mano nella mano quelle che Helder Camara chiamava "comunita' abramitiche".
Balducci seppe dunque accettare cio' che risulta difficile a molti, e
specialmente a molti intellettuali: il dare e il ricevere come eguale
espressione di amore.
E giacche' ho citato la Rete Radie' Resch, vorrei concludere con le parole
che Ernesto scrisse nella prefazione a un libro che ne narra la storia
trentennale. E' un testo che ci pervenne il giorno seguente alla sua morte e
ci parve non soltanto un testamento spirituale ma anche un autoritratto: "Il
"genio" della Rete e' nella sua totale immanenza ai rischi e agli imprevisti
della liberta'. Una condizione che richiede, per non venir meno, una
costante dinamica della fantasia creativa. Ma sono proprio queste le
qualita' essenziali dell'uomo planetario: la totale apertura allo spazio e
al tempo, senza schermi di autodifesa, in un atteggiamento di servizio in
cui si attua il pronostico evangelico: solo chi e', in ogni momento, pronto
a morire, porta frutto. Esser pronti a morire non e' morire, e' trasformare
la morte da minaccia temibile in intima generosita' oblativa. E' a queste
profondita' che nel seno del presente nasce il futuro".

5. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: IL COLPO DI STATO E LA RESISTENZA NONVIOLENTA
Anche illustri personalita' sono cadute in trappola: hanno accettato di
discutere sulla violazione dell'articolo 11 della Costituzione come se si
trattasse di cosa su cui si puo' discutere. Ed invece c'e' solo da chiamare
il 113 e mandarlo a casa dei golpisti.
Poiche' occorre ricordare che l'articolo 11 della Costituzione, che in modo
assoluto ripudia la guerra sia come strumento di offesa alla liberta' degli
altri popoli sia come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali, fa parte di quei "principi fondamentali" della Carta su cui
si fonda il nostro ordinamento giuridico che sono immodificabili se non con
un colpo di stato.
Che si permetta ai signori Berlusconi e D'Alema di teorizzare il colpo di
stato e' davvero troppo.
Che si permetta al governo e al parlamento di violare impunemente l'articolo
11 della Costituzione (con la ripetuta criminale partecipazione italiana a
scellerate guerre dal '91 in qua) e' davvero troppo.
Che si permetta al capo dello stato di tradire il suo compito di supremo
garante della legalita' costituzionale e farsi complice dei golpisti - come
e' ripetutamente avvenuto in questi ultimi anni - e' davvero troppo.
Che si permetta alla magistratura di far finta di niente mentre la legalita'
costituzionale e' massacrata, lo stato di diritto e' distrutto, la
democrazia e' aggredita da una banda di gangster in doppiopetto nelle
persone di coloro che pro tempore rappresentano governo, parlamento e capo
dello stato, persone le quali hanno precipitato e nuovamente spingono
l'Italia verso la guerra illegale e immorale, stragista e golpista, e'
davvero troppo.
E allora bando alle ciance: occorre resistere, in difesa della pace e della
democrazia, in difesa della legalita' costituzionale e del diritto
internazionale, in difesa sia delle vite umane delle vittime designate delle
guerre, sia della dignita' e della civilta' del nostro paese, sia della
nostra gia' cosi' ferita comune umanita'.
Occorre opporsi alla guerra: in nome del diritto alla vita di ogni essere
umano, e in nome della difesa delle leggi buone e giuste. Ed occorre che
questa opposizione alla guerra sia limpida ed intransigente, che sia una
resistenza nonviolenta.
E frattanto chiamiamo il 113 e informiamolo che ci sono in giro per l'Italia
dei golpisti dalle mani sporche di sangue.

6. RIFLESSIONE. PIETRO INGRAO: L'AGGRESSIONE ALL'ARTICOLO 11 DELLA
COSTITUZIONE
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 16
ottobre 2002. Pietro Ingrao e' nato nel 1915 a Lenola (LT), laureato in
giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta clandestina antifascista e
alla Resistenza. Giornalista, direttore de "L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal
1948 deputato del PCI al Parlamento per varie legislature e tra il 1976 e il
1979 presidente della Camera dei Deputati. Collabora attualmente al
quotidiano "Il manifesto". Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui
movimenti, le istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali
attuali. Opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977;
Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori
Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di
fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)]
Gia' "Il manifesto" ieri - sia pure con la zampata mordace della "jena" -
l'aveva sottolineato: Massimo D'Alema, parlando lunedi' nella riunione della
direzione diessina, ha messo apertamente in discussione la validita'
dell'articolo 11 della Costituzione: quello che consente all'Italia solo la
guerra di difesa. Per parte mia apprezzo la schiettezza con cui il leader
diessino - finalmente! - ha affrontato questo tema duro e gravido di
responsabilita'.
Non e' chiaro dai resoconti giornalistici quali siano tutti gli argomenti
con cui il leader diessino motivi e sorregga la cancellazione di
quell'articolo 11 della Costituzione: perche' - a leggere bene - tale e' lo
sbocco, l'esito concreto a cui sembrano approdare le parole dalemiane. E
velare questo sbocco per me sarebbe davvero una sgradevole ipocrisia: come
dire che il presidente dei Ds parla a casaccio anche sulle "cose sacre".
Io invece apprezzo questa dalemiana chiarezza, sia pure abbastanza tardiva.
Spero pero' che chi ha avuto finalmente il coraggio di affermare
pubblicamente - e con nome e cognome - la fine o lo scavalcamento
dell'articolo 11 della Costituzione si spieghi meglio, e ne motivi le
ragioni con la nettezza semplice che e' doverosa nell'affrontare un tema
cosi' delicato: poiche' quella norma costituzionale di certo non fu presa
ne' a caso ne' a cuore leggero.
Quell'articolo della Costituzione, che sembra oggi guardare alle nuvole,
nasceva da un vissuto terribile: sgorgava dall'orrore e dai massacri che
avevano recato con se' due guerre mondiali, in forme mai nemmeno
lontanamente conosciute dalla storia degli esseri umani.
Non mi convince - lo dico con franchezza - la tesi che (stando ai resoconti
dei giornali) sembra sorreggere l'argomentazione dalemiana: perche' lo
scavalcamento dei singoli stati, che egli considera la fonte della svolta,
c'era anche in quel fatale 1914, e poi torno' - ancora piu' vasto - nello
scontro quinquennale col nazifascismo. E i padri costituenti lo sapevano
bene per amara e dolente esperienza diretta. Hitler voleva mettere le mani
sul mondo, e gli antifascisti non difendevano solo la patria, ma lottavano
sulle sorti del mondo.
E tuttavia i nostri antifascisti vollero quella specifica Costituzione
italiana; e in quella Costituzione vollero quel preciso vincolo italiano che
riconosceva solo la guerra di difesa. Stiamo attenti: se gli eventi del
terzo millennio cancellano l'articolo 11 allora - io temo - e' tutta quella
Costituzione che va in frantumi e bisogna dire e sapere quali sono le leggi
che regolano questo paese e su quali carte e poteri poggiano.
Percio' l'affondamento clandestino dell'articolo 11 non e' possibile. Il
discorso stesso di D'Alema ne e' la prova. Quando quella che io chiamo la
"normalizzazione" della guerra (addirittura della "guerra preventiva")
giunge agli esiti di oggi il discorso sull'articolo 11 fatalmente si accende
perche' e' in discussione chi comanda chi in Italia: intendo chi comanda
sull'uccidere di massa.
Vedo bene che c'e' una stranezza in questo dibattito sulla guerra e
sull'articolo 11. Finora tacciono i "consoli", i grandi custodi addetti alla
tutela della legge. Non so, non riesco a sapere (o - se volete - immaginare)
che cosa pensano della sorte dell'articolo 11 il capo dello stato, e i
presidenti del senato e della camera. Dico di piu': non capisco come sia
possibile questo silenzio. Voglio dire: questo silenzio sull'articolo 11
oggi quando il mondo discute sulla guerra e anche sul terrorismo e la piu'
grande potenza del pianeta esalta pubblicamente, e con ardore, la guerra di
prevenzione. E io mi chiedo dentro di me: che cosa e', a che serve la
Costituzione italiana. Chi vincola?

7. RIFLESSIONE. DANILO ZOLO: IL RIPUDIO DELLA GUERRA SANCITO DALLA
COSTITUZIONE
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 18
ottobre 2002. Danilo Zolo, illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel
1936, e' docente di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di
Firenze. Opere di Danilo Zolo: segnaliamo almeno: Stato socialista e
liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico,
Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari
1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi,
Torino 2000]
E' fuori luogo il clamore giornalistico che si e' scatenato attorno alla
"virata" del presidente Berlusconi in tema di guerra contro l'Iraq.
L'ipotesi piu' realistica e' che nel corso del suo viaggio a Mosca
Berlusconi sia stato informato che gli Stati Uniti si sono decisi al
compromesso. Ovviamente si tratterebbe di un compromesso solo procedurale:
due risoluzioni del Consiglio di sicurezza al posto di una. Inalterato
rimane il disegno della guerra preventiva contro l'Iraq per l'abbattimento
dell'attuale regime, l'occupazione militare del territorio e il controllo
dei pozzi petroliferi. E si puo' star certi che al momento giusto
Berlusconi - come faranno i bipartisan Fassino e D'Alema - si mettera'
docilmente al servizio dei signori della guerra globale. Al contrario,
nessun clamore ha sinora investito una vicenda molto piu' grave, come ha
segnalato Pietro Ingrao su queste colonne: e' il processo che sta portando
il nostro paese alla normalizzazione costituzionale della guerra. Il
processo e' iniziato con la guerra del Golfo, e' continuato nelle guerre di
Bosnia e del Kosovo, si e' definitivamente affermato con la guerra contro
l'Afghanistan.
E' ormai un coro unanime: l'articolo 11 della Costituzione italiana e'
superato. Il "ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali" non ha piu' alcun valore normativo nel contesto
della guerra contro il terrorismo. Conserva, al piu', un vago significato
programmatico, e' un nobile auspicio per tempi migliori. Berlusconi aveva
sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo
discorso alla Camera del 25 settembre. Massimo D'Alema, sin dalla guerra per
il Kosovo, ha dato prova, in teoria e in pratica, di credere fermamente che
gli italiani debbano ricorrere "senza tabu' pacifisti" alla guerra e ai suoi
mezzi di distruzione di massa. "Pacifista" e' ormai, nel lessico politico
italiano, anche a sinistra, un termine usato per irridere gli avversari.
Persino Adriano Sofri lo usa in questo senso contro Gino Strada.
Io penso che ci si debba invece schierare con chi, come Gino Strada - e, con
lui, un numero crescente di italiani - dice fermamente no alla guerra. E lo
dice, in particolare, alla guerra "imperiale" contro l'Iraq che nessuna
risoluzione del Consiglio di sicurezza puo' legittimare: una guerra
destinata a perpetuare la sequenza di odio, di paura, di dolore, di
distruzione e di morte alla quale i grandi mezzi di comunicazione di massa
ci stanno abituando.
Non deve passare sotto silenzio, soprattutto, l'eversione costituzionale in
atto nel nostro paese, inclusa quella perpetrata dalla Corte di cassazione
che con una recente sentenza ha di fatto cancellato ogni valore precettivo
dell'articolo 11 della Costituzione, semplicemente ignorandolo. La pace deve
essere considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che ne'
il parlamento, ne' il governo dovrebbero mai mettere in discussione.
Parlamento e governo dovrebbero al contrario impegnarsi a realizzarlo
collaborando alla costruzione della condizioni politiche ed economiche
generali che rendano meno spietati e violenti - meno "terroristici" - i
rapporti fra le nazioni. Questa sembra essere oggi, in Germania, la scelta
"realistica" del cancelliere Schroeder.
Il ripudio della guerra, come ha scritto Domenico Gallo, appartiene in dote
al popolo italiano. E al popolo italiano spetta oggi la responsabilita' di
ripristinarlo, delegittimando le scelte in senso contrario del governo, del
parlamento e della magistratura. Per questo, oggi piu' che mai, e'
importante - come e' stato fatto per l'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori - che una larga mobilitazione politica impugni la bandiera
dell'articolo 11, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno
servilmente ammainato.

8. ESPERIENZE. ALCUNI "CADAVERI SQUISITI"
[Nei corsi di educazione alla pace e di formazione alla nonviolenza che
sovente sono invitato a tenere, da anni propongo come una delle
esercitazioni conclusive la scrittura collettiva di poesie con la tecnica
surrealista del "cadavere squisito". Ne sortiscono dei piccoli gioielli. Il
metodo e' noto: si fanno piccoli gruppi - io propongo di solito di quattro
persone - ed ogni partecipante ha un foglio: vi scrive sopra un verso, lo
piega in modo che quanto ha scritto non sia leggibile, e lo passa alla
persona che gli siede al fianco, che aggiunge un verso, piega il foglio e lo
passa; finito il giro si leggono tutte le poesie (e' importante che ci siano
piu' gruppi, per attenuare l'effetto di riconoscimento del contributo
individuale e della distorsione in chiave "competitiva" dell'esperienza; ed
ovviamente e' importante la lealta' dei partecipanti, che nella fase della
scrittura non devono mettersi d'acordo su cosa scrivere ne' sbirciare quel
che hanno scritto gli altri). Per chi non ha mai fatto questo gioco, l'esito
e' spesso sorprendente. Si trova sovente nei testi scritti cosi' non solo
una qualita' di parola poetica autentica, ma anche una coerenza di
ragionamento e un gioco di rimandi formali che ad una persona ignara
dell'effettivo processo di scrittura sembrano il frutto di un lungo lavoro
di lima di un autore di acuminata concentrazione. Perche' cio' accade?
Accade, penso, per due motivi. Il primo, il clima di serieta' e di affinita'
creatosi tra le persone che partecipano al gioco, gioco che propongo sempre
verso il termine dei training, o dei corsi, quindi dopo che per piu' giorni
e per diverse ore il gruppo ha riflettuto insieme, ha studiato insieme, ha
potuto conoscersi e costruire l'affinita' nel rispetto e nella benevolenza
reciproca. Il secondo, perche' ogni opera di scrittura (e di comunicazione)
e' opera aperta: e' il destinatario che la colma di contenuti cooperando con
l'autore, che vi trova le sue ragioni anche laddove l'autore non sapeva di
avercele messe. La scrittura e' sempre dialogo e apertura. E poi vi e' una
terza idea, che mutuo da Borges, che amava spesso ripeterla: ovvero che la
bellezza (di cui la poesia e' una delle manifestazioni) la incontri per
strada, e' frequente, basta solo mettersi all'ascolto, volerla riconoscere.
Cosi' offro in saggio ai lettori queste miniature scelte tra molte non meno
belle realizzate con amici assai cari a Viterbo, Orte, Gubbio,
Acquapendente, Amelia (Peppe Sini)]

Amore, parola sublime
amore, la parola piu' dolce
nel dolce riposo del meriggio
la chioma d'oro del vento.
*
Andavo per i campi
il sole imperturbabile scalda
vorrei dispiacermi profondamente
per ogni mia codardia.
*
C'e' bisogno di luce
tra le reti dei pescatori e le imbarcazioni di pesci cariche nel porto
spettrale
sto dietro la finestra e tocco il vetro e tutto
uno diceva: spero che voi salviate il mondo
la penna scivolava lenta sul foglio.
*
E si va verso le nuvole
una voce rompeva le tenebre
sulla base del principio di non contraddizione
parto e subito ritorno.
*
Era notte e una voce disse:
anche perche' il vino non era molto buono
vado alla deriva
al buio.
*
Il giorno del ricordo
il ricordo del tuo viso
la neve si e' fatta ghiaccio
la pace comincia dal proprio cuore
avendo fame di luce e d'amore
e' grande il privilegio dell'uomo che puo' fare progetti
l'amore e' l'unica emozione che fa provare in momenti diversi
            tutti gli altri sentimenti.
*
Il merlo erede del bosco spinoso canta antiche melodie di pace
il fuoco e' caldo e brucia quando fuori e' buio
frattanto il mondo veniva distrutto
e l'oscurita' regno' sovrana
una nuova vita.
*
La coscienza
il blu del mare e le sue sfumature mi ricordano il tuo dolce sorriso
arrivera'
i pensieri fluttuano nell'aria
quando a me verrai?
amore fraterno per una pace vera
la porta resto' chiusa. Ma la luce filtrava.
*
La gente e' libera di pensare
con i tuoi traguardi di donna
meccanico amore inutile
l'alba illumina il tuo viso, il mio tempo e' giunto.
*
La vita e' un dono
disse, ed aveva paura del buio
ogni giorno e' diverso dall'altro
un giorno vorrei svegliarmi grazie al calore del sole
            al profumo dei fiori
            e alla freschezza del vento
ci coinvolgera' in uno splendido sogno
sincero come lo sguardo di un bambino
corrono i bambini mentre ridono felici.
*
O le labbra di lei
incrocia il mio sguardo e vivro' per sempre
la liberta' e' un diritto
attendo i ricordi e la malinconia.
*
Quando aprirai quella porta
gli alberi in festa ospitavano le anime felici
da domani la nonviolenza non e' piu' tabu'
il desiderio di unirci ci ha di nuovo diviso.
*
Sei un immenso volo d'amore
mi sembrava troppo dolce il profumo di rose
ricordo di valli nascoste da torrenti
il mondo e' una distesa di idee
*
Un palpito nel cielo azzurro
suona il libro solo per chi sa ascoltarlo
il sole brucia gli occhi
la musica filtrava il mio sangue
ando' verso il ritorno.
*
Urlarono sconvolti e inorriditi
la sedia e' percepibile nel buio solo per chi vi e' seduto
la cornamusa sprofonda nel mare
fiori erano sparsi sull'asfalto dopo il silenzio.
*
Verra' un giorno bello, verra'
lacrima dolce carezza
frattanto veniva una notte di fuoco
ognuno deve dare all'altro il massimo di se'
sono felice
e' stata un'esperienza positiva
dolce ricordo di un'esperienza passata.

9. RIVISTE. MARIA GRAZIA MERIGGI PRESENTA LA RIVISTA "GIANO"
[Questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre
2002. Maria Grazia Meriggi e' una acuta intellettuale]
Il primo numero della rivista "Giano" esce nel 1989 , alla fine del "secolo
breve" e alla vigilia dell'esplosione dei feroci conflitti regionali e dei
micronazionalismi etnici che hanno ridicolizzato le speranze irenistiche in
un indefinito progresso consentito dalla scomparsa dell'anomalia sovietica.
Ma esce anche alla vigilia dell'affermarsi di una storiografia incentrata
sulla retorica della fine della storia, dello scontro di civilta' e
dell'eternita' del capitalismo liberale. Da allora, negli Stati Uniti si
sono diffuse culture politiche che hanno puntato alla costruzione di un
nemico esterno utile per legittimare il dominio imperiale degli Usa.
In quell'anno, dunque, iniziava la serie di "Giano", prevalentemente per
iniziativa di Luigi Cortesi, cioe' di uno degli storici che insieme a
Stefano Merli hanno collaborato con Franco della Peruta nel costruire
l'archivio e la biblioteca della Fondazione Feltrinelli. Cortesi ha diretto
a lungo la biblioteca della Fondazione e, con Stefano Merli, la "Rivista
storica del socialismo", rivista che era riuscita per un decennio, dal `58
al `67, a scrivere una storia delle classi e dei conflitti di classe che
teneva conto delle culture politiche che avevano permeato la societa'
italiana. Solo per citare alcuni esempi: la sottolineatura di un Turati
giovane educato dall'autonomia e creativita' politica degli operai milanesi
che non era in continuita' con il Turati del dopoguerra che cercava di far
sospendere uno sciopero per raggiungere Roma, da vero "socialista in 'gile'
de gess'", come lo accusavano di essere alcuni dei suoi vecchi compagni
operaisti; oppure che il Pcd'I era nato a Livorno sulla base di una rottura
d'epoca maturata nel cuore della guerra e che non era lecito rimuovere le
idee di Bordiga dal suo patrimonio.
Credo che a fare da continuita' fra quell'esperienza e gli anni di "Giano"
sia proprio la radicalita', la stessa con cui lo storico napoletano affronta
con voluta semplicita' ed esplicite intenzioni militanti il tema che sara' a
suo parere al centro dei conflitti del nuovo secolo e del nuovo millennio.
Il riferimento e' all'opuscolo La cultura storica e la sfida dei rischi
globali, allegato al n. 40 di "Giano" (gennaio-aprile 2002).
Proseguendo una serie di ragionamenti anticipati dal saggio introduttivo
agli scritti di Sebastiano Timpanaro (Il verde e il rosso. Scritti
militanti, 1966-2000, Odradek, Roma 2001) Cortesi libera l'ambientalismo e
il pacifismo - quindi l'opposizione ai rischi globali - da ogni possibile
ambiguita': un malcelato malthusianesimo, l'idea di uno sviluppo sostenibile
inteso come risarcimento rispetto alla rinuncia a redistribuire la
ricchezza, l'umanitarismo disarmante. Al contrario, individua nell'ideologia
apologetica di tanta storiografia figlia del "crollo dell'89" la principale
ragione della rinuncia a comprendere le potenzialita' distruttive della
crescita capitalistica illimitata.
Il gruppo di "Giano" si richiama agli aspetti piu' radicali del pensiero del
Capitale marxiano e a quello pur contestato dell'Accumulazione del Capitale
di Rosa Luxemburg, ricordando che lo sviluppo capitalista travolge "universi
vitali" e che e' basato su una quota immensa di lavoro non pagato e
costretto alla cooperazione su scala mondiale. Cosi' che gli storici
economici che hanno cominciato ad approfondire la formazione
dell'agricoltura capitalistica (Sori e, soprattutto, Bevilacqua) dispongono
di maggiori strumenti interpretativi rispetto agli storici politici che
hanno rimosso dal loro orizzonte l'idea stessa delle alternative al modello
dominante. La radicalita' della proposta di "Giano" garantisce
l'impossibilita' di una qualche tipo di nostalgia o una qualche difesa di
ipotetiche isole sottratte al mercato mondiale.
Credo che il pubblico a cui l'opuscolo si rivolge con passione - gli storici
di mestiere, i militanti, gli uomini e le donne attaglianati dall' ansia di
fronte alle prospettive autodistruttive dello sviluppo e alle guerre come
orizzonte permanente dello scenario mondiale - dovrebbero farsi coinvolgere
da queste interrogazioni cosi' definitive e contaminarle con le proprie
minuzione ricerche e le proprie tenaci battaglie quotidiane.

10. RILETTURE. ARCHIVIO ARENDT 1. 1930-1948
Archivio Arendt 1. 1930-1948 (a cura di Simona Forti), Feltrinelli, Milano
2001, pp. 272, euro 48,41. Una bella raccolta di scritti di Hannah Arendt,
la piu' grande pensatrice della politica del Novecento.

11. RILETTURE. INGEBORG BACHMANN: INVOCAZIONE ALL'ORSA MAGGIORE
Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore, Se, Milano 1994,
Mondadori, Milano 1999, pp. XLII + 246, lire 15.000. Una raccolta di versi
della grande poetessa a cura di Luigi Reitani, con testo a fronte ed
ampiamente commentata; con uno scritto di Heinrich Boell.

12. RILETTURE. INGEBORG BACHMANN: POESIE
Ingeborg Bachmann, Poesie, Guanda, Parma, Tea, Milano 1996, pp. 166, lire
13.000. Una scelta di alcune delle piu' belle poesie della Bachmann, con
testo a fronte; cura e traduzione di Maria Teresa Mandalari.

13. RILETTURE. QUENTIN BELL: VIRGINIA WOOLF
Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974, 1994, pp. 558, lire
26.000. La fondamentale biografia della grande autrice de Le tre ghinee, Una
stanza tutta per se', e tanti magnifici saggi e romanzi.

14. RILETTURE. HEINRICH BOELL, CHRISTA WOLF: FRATERNITA' DIFFICILE
Heinrich Boell, Christa Wolf, Fraternita' difficile, Edizioni e/o, Roma
1999, pp. 160, lire 15.000. Un intervento di Christa Wolf su Heinrich Boell,
ed alcuni noti saggi dello scrittore. Due grandi figure dell'impegno per la
pace.

15. RILETTURE. GABRIELLA FIORI: SIMONE WEIL
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1981, 1990, pp. 494, lire
20.000. Un saggio di grande finezza ed empatia, che vivamente raccomandiamo.

16. SALOTTO. TOTO' MERUMENI MASTIGOFORI D'AJACCIO: PACIFISTI DA OPERETTA E
DA CORTILE
[Con un nome cosi'...]
Mi creda conte Agenore, vi son proprio dei bei tipi.
Ad esempio cotali che presumono di convincere altri a volere la pace
sputando loro addosso. Fine virtu' di persuasione, da far venir la bile a
Lisia e Gorgia.
O tali, giurabacco, cosi' ottusi da non saper neppur prender sul serio le
cose ragionevoli che altri per loro erudizione pur lor dice.
E invece mi par chiaro, e mi par giusto, che chi s'ingaggia (e scusi il
francesismo) in pro di monna pace e dei signori diritti umani che agli umani
tutti vanno riconosciuti, ebbene, allora, che si abbia la pazienza di
ascoltare e la bonta' di argomentare in modo da esser convincente e non
servile ne' tracotante. Creda, caro conte, vi e' gente che non sa quel che
si fa.
Dovro' parlarne al buon mio amico Bumbury...

17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 391 del 21 ottobre 2002