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La nonviolenza e' in cammino. 380



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Numero 380 del 10 ottobre 2002



Sommario di questo numero:

1. Enzo Mazzi, Firenze ripudia la guerra

2. Il 10 ottobre davanti al Senato contro il commercio di armi

3. Rossana Rossanda, lo stato delle cose

4. Augusto Cavadi, la teologia di Bernardo Provenzano

5. Peppe Sini e Tomas Stockmann, sulla sciagurata persistenza di alcuni
tratti di pregiudizio antiebraico che purtroppo si presentano anche nella
sinistra italiana

6. Paul Oriol, petizione per la cittadinanza europea di residenza

7. Una bibliografia delle opere di Giuliano Pontara

8. Letture: Mohsen Makhmalbaf, In Afghanistan

9. Riletture: Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia

10. Riletture: Nadine Gordiner, Vivere nell'interregno

11. Riletture: Susan Sontag, Contro l'interpretazione

12. La "Carta" del Movimento Nonviolento

13. Per saperne di piu'



1. MAESTRI. ENZO MAZZI: FIRENZE RIPUDIA LA GUERRA

[Ringraziamo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi@videosoft.it) per averci
messo a disposizione questa sua testimonianza pronunciata alla
manifestazione contro la guerra promossa dal Social Forum in piazza S.
Maria Novella a Firenze sabato 5 ottobre 2002, e pubblicata nell'edizione
fiorentina del "Manifesto" il 6 ottobre. Enzo Mazzi, animatore della
Comunita' dell'Isolotto, e' una delle figure piu' vive della cultura della
pace e della dignita' umana]

Ripudia la guerra quest'anima pacifista e nonviolenta di Firenze citta'
aperta, citta' solidale, citta' sul monte, citta' innervata dal dissenso
creativo planetario.

Ripudia questa guerra e ripudia ogni guerra: patologia cancerosa che uccide
i corpi e le coscienze; piovra orrenda che produce e difende
l'arricchimento infinito delle minoranze opulente del mondo e causa
l'impoverimento senza sosta e senza speranza delle grandi maggioranze.

Ripudia non solo la guerra del ferro e del fuoco ma anche questa guerra
mediatica, questo bombardamento quotidiano delle nostre coscienze dagli
schermi televisivi, questo senso di terrore che esso incute in tutti,
questo vero e proprio terrorismo molto piu' pernicioso di quello gia'
orrendo che ha distrutto le torri gemelle.

Firenze citta' aperta ripudia non solo la guerra ma anche le radici della
guerra. E innanzitutto ripudia le radici palesi, il sistema di guerra, il
cosiddetto "ordine mondiale" fondato su arsenali militari capaci di
incenerire la terra. Come sara' consolante per i superstiti di una ecatombe
atomica o biologica prodotta dalla risposta difensiva di una potenza
democratica, ecatombe ipotetica ma nelle reali possibilita' umane, sapere
che la distruzione della terra e' avvenuta non per mano di un pericoloso
dittatore, di un qualsiasi Saddam, ma per mano di un legittimo
rappresentante democraticamente eletto, di un qualsiasi Bush, rispettoso di
tutte le procedure previste dalla democrazia!

Per questo il nostro ripudio della guerra non e' utopia illusoria ma e'
l'unica razionalita' possibile nell'era delle armi di distruzione globale.

Ripudiamo le radici palesi dunque, ma ripudiamo anche le radici della
guerra che covano in tutte le pieghe apparentemente innocenti della nostra
cultura e della nostra civilta'.

E questo ripudio delle radici nascoste e' il piu' difficile perche' chiama
in causa ognuno di noi e ci chiede scelte personali.

Fuori Firenze dalla guerra.

Fuori l'Italia dalla guerra.

Fuori il mondo, fuori la donna e l'uomo, fuori la natura intera e la vita
dalla guerra.



2. INIZIATIVE. IL 10 OTTOBRE DAVANTI AL SENATO CONTRO IL COMMERCIO DI ARMI

[Dal nodo di Roma della rete Lilliput (stampa_lilliput_roma@yahoo.it)
riceviamo e diffondiamo]

Le associazioni del "coordinamento 185" invitano a partecipare giovedi' 10
ottobre, dalle ore 10, al sit-in davanti al Senato contro la riforma della
legge 185 che salvaguarda la trasparenza nel commercio di armi.

Saranno presenti, oltre alle associazioni del "coordinamento 185" con i
loro rappresentanti, gruppi missionari ed alcune figure impegnate a
promuovere la difesa della 185. Tra questi padre Alex Zanotelli, don Luigi
Ciotti, mons. Diego Bona, mons. Luigi Bettazzi, don Albino Bizzotto.

La campagna prosegue intanto on line con l'invio ai senatori della
petizione, gia' firmata da oltre ottantamila cittadini, per salvare la
legge 185.

Attraverso l'indirizzo web www.retelilliput.org e' possibile inviare al
senatore del proprio collegio una lettera di pressione affinche' voti
contro l'approvazione del disegno di legge 1547 che sara' in discussione al
Senato proprio a partire dal 10 ottobre.

L'approvazione del disegno di legge 1547 impedisce la trasparenza bancaria
e la pubblicazione dei dati sul valore delle esportazioni di armi. Nessuno
piu' potra' disporre di dati e informazioni sul commercio d'armi.

Vastissimo il fronte di reti unitosi per la campagna, da associazioni come
Rete Lilliput ad Emergency, Amnesty International, Medici Senza Frontiere,
Pax Christi, a riviste come "Vita" e "Nigrizia", solo per citarne alcune.

Per maggiori informazioni: Campagna banche armate, www.banchearmate.it

Per informazioni su Roma: onlus.satyagraha@tiscalinet.it



3. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: LO STATO DELLE COSE

[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 6
ottobre 2002. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del
filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla
radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su
posizioni di sinistra), in rapporto con le figure pi vive della cultura
contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano)
su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene
costantemente sugli eventi di pi drammatica attualit e sui temi politici,
culturali, morali pi urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre,
Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione
sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria,
dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii,
Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo
Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalit, Pratiche, Parma
1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte
del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli e saggi pubblicati in giornali e riviste]

Grande e' il silenzio sul documento dell'amministrazione di Bush al
Congresso, "The national security strategy of the United States of
America". Lo hanno rilevato soltanto Luigi Pintor e Pietro Ingrao sulle
nostre colonne.

Esso e' in senso stretto eversivo dell'epoca seguita alla seconda guerra
mondiale, che faceva delle Nazioni Unite e della loro Carta il solo luogo
di decisione e fonte di legittimazione delle relazioni fra gli stati. Non
solo cancella l'interdizione di ogni guerra che non sia di difesa, ma anche
il principio, che pareva ovvio dopo la carneficina, che le nazioni
avrebbero concertato assieme gli obiettivi planetari e le regole dei
conflitti che in essi sorgono. Le potenze vincitrici del 1945 se ne
assicuravano il supercontrollo nel Consiglio di sicurezza - e qui avvennero
i maggiori scontri -ma mantenevano come fine un mondo, se non pacificato,
comunemente regolato.

Con il documento di due settimane fa, gli Stati Uniti negano sostanza e
metodo: sono loro a decidere i fini universalmente validi, individuano i
pericoli e procederanno con ogni mezzo a imporli. Meglio, ma non
necessario, se altri li seguira'. L'Onu non e' consultata: ne e' informata.
Vale la pena di leggere questo statement, che consta di una
lettera-prefazione a firma George W. Bush e di un programma per punti; ben
scritto, niente affatto burocratico, e' opera del brain trust di Condoleeza
Rice. Scopo dell'umanita' sono "la liberta' politica, la democrazia e la
liberta' d'impresa", "imprescindibili per tutti i paesi e in qualsiasi
momento", "unico modello accettabile", uscito vittorioso dalla "terribile
minaccia di distruzione che faceva pesare (sugli Stati Uniti) l'Unione
Sovietica".

Oggi esso e' minacciato non da una nazione, non essendocene piu' "in grado
di accedere ai mezzi di distruzione totale" ("ineguagliabile" e' la potenza
militare degli Usa), ma dal fatale "incrocio fra radicalismo e tecnologia".
Grazie alla quale il "radicalismo", che non ha piu' rappresentanza politica
ne' eserciti, opera per attentati, tentativi di destabilizzazione e ricatto
attraverso il terrore. Non e' un pericolo pari a quello rappresentato
dall'Urss, ammette lo staff di Bush, non essendo in suo potere una
"distruzione totale", ma puo' far sanguinare le democrazie. Come l'11
settembre. Della "urgenza e complessita'" del pericolo sono coscienti solo
gli Stati Uniti, la cui Costituzione s'e' dimostrata nel secolo appena
finito la sola a buona tenuta, e sono determinati a impedire che la
minaccia si coaguli e cresca.

La colpiranno nei suoi nidi (di qui la guerra preventiva) e disinfesteranno
ab ovo gli stati che sono terreno d'infezione (quelli canaglia). E' una
guerra senza limiti territoriali ne' di tempo: il nemico e' oscuro e
pervasivo come il Male, anzi e' il Male. "Non e' piu' tempo di trattare un
ideale sul registro simbolico senza far nulla di concreto per
raggiungerlo", sarebbe come proporre a San Giorgio di discutere con il
drago. Gli Stati Uniti agiranno e se gli altri stati non li seguiranno "la
storia non sara' clemente con loro". Quanto alle Nazioni Unite, Bush le ha
avvertite, o seguono o "saranno inutili". Forse perche' dovrebbe
dichiararlo inaccettabile, l'Onu ha finto di non sentire. Eppure per la
prima volta dal 1945 la maggior potenza del mondo dichiara in sede formale
che il suo modello di societa' e' l'unico, che ogni opposizione ad esso e',
dati i rapporti di forza, potenzialmente terrorista, che non c'e' ipotesi
politica legittimata se non quella vincente dopo il 1989. La sua
universalita' avrebbe prodotto l'universalita' d'un nemico, tale e quale
l'antica lotta fra Bene e Male. Non ci sono piu' che l'occidente da una
parte e il terrorismo dall'altra, oggi sottospecie del "radicalismo"
islamico. Con il quale e' un errore il negoziato, si tratta di pura
criminalita', per la quale non valgono ne' le regole di guerra (quindi
Guantanamo) ne' l'intangibilita' dei diritti civili (quindi misure
d'eccezione). Alle Nazioni Unite spetta di applicare questa dottrina, il
che spiega perche' gli Usa invochino le loro risoluzioni indirizzate
all'Iraq ma non quelle indirizzate a Israele; Israele e' una democrazia, la
Palestina e' terreno di terrorismo, e se non e' inserita fra gli stati
canaglia e' solo perche' non la si riconosce come stato.

Questa e' la dottrina Bush, che ribalta l'ipotesi internazionale che ha
sorretto il secondo Novecento. Essa declassa tutti gli altri paesi da
membri a pari diritti dell'Onu ad alleati piu' o meno renitenti degli Usa,
e si capisce che le Nazioni Unite o incassano o devono aprire un
contenzioso gigante. Cosa tanto meno semplice in quanto il Palazzo di vetro
ha coperto in passato troppi interventi illeciti degli Stati Uniti, diretti
o per interposta Cia, e dopo l'11 settembre ha accettato l'ampliamento dei
poteri speciali del loro presidente su tutto il globo terrestre sanciti
(contro spirito e lettera della loro Carta) dal Congresso. Resta una
opposizione in parte dell'Europa, nella speranza - gia' condivisa da Al
Gore e Edward Kennedy - che Francia, Russia e Cina mettano il veto alla
spedizione in Iraq (la Germania, che ha dichiarato l'ostilita' piu' netta,
non puo' porre veti). Il nodo esplodera', se esplodera', soltanto al
Consiglio di sicurezza, e potra' anche incancrenirsi in veti incrociati.
Insieme all'intervento nell'Iraq e alle conseguenze che esso avra' nel
Medio Oriente, si andra' o a una obbedienza generale agli States, o a una
tensione sconosciuta da trent'anni e che dopo il 1989 pareva esclusa. Altro
che casa comune. Sola superpotenza, gli Usa fanno quel che vogliono. E non
e' Kofi Annan l'uomo che avra' il coraggio di dirlo. Forse lo sarebbe stato
Boutros Ghali.

E questo pone diversi problemi incandescenti. Il primo e' la guerra,
ristabilita come mezzo di "soluzione" dei conflitti. Il secondo e' che la
tendenza degli Stati Uniti a sottrarsi a ogni istituzione che non
controllano, rifiutando il protocollo di Kyoto e la Corte penale
internazionale, mina la possibilita' stessa d'un diritto internazionale. Il
terzo e' la validita' della corrispondenza, affermata nel 1989, fra mercato
e democrazia (il mercato vuole liberta', dunque la base della liberta' e'
nel mercato). Il quarto riguarda la natura della democrazia americana: se
Norman Birnbaum riprende Tocqueville sul tema di un autoritarismo specifico
della "medieta' democratica", stigmatizzando l'unanimismo di cattiva lega
formatosi attorno a Ground Zero (ein Volk, eine Heimat, ein Fuhrer), viene
al dunque anche la tesi, non nuovissima, di Negri e Hardt, ripresa da
Bertinotti, per cui il generalizzarsi dell'attuale modo capitalistico di
produzione comporterebbe un indebolimento delle meccaniche piu'
propriamente politiche dei poteri, a cominciare dallo stato. Un impero
senza imperialismo, senza spinta a dominare manu militari e a impadronirsi
delle materie prime? Alla domanda pertinente posta da Ida Dominijanni ("Il
manifesto" del 14 settembre), Negri risponde, certo con preoccupazione, che
la dottrina Bush e' un rigurgito di arcaismo, che il capitale trascinera'
via.

Dopo qualche tempo e qualche massacro. Ma se ne puo' dubitare. La dinamica
fra soggettivita' storiche sedimentate, poteri mediati dagli interessi e il
costituirsi di un sistema mondiale di produzione che ne sarebbe
"razionalmente esente" non e' semplice. L'ideologia dei padri fondatori, il
richiamo a Dio, alla sacralita' della proprieta' e dell'ordine, la sua
secolarizzazione nei western, la certezza di usare per il meglio delle
risorse del pianeta dunque a prendersele, formano una coscienza compatta,
che produce Bush. E pesa di piu' della memoria degli anni sessanta, cara
all'Europa ex sessantottina. E' con sincerita' che Washington canta God
bless America portando la mano destra al cuore intriso di petrolio.

La storia ha sterzato pesantemente nei tredici anni che ci separano dal
1989. La democrazia moderata flette sotto il vento di destra e la sinistra
va in pezzi. Partiamo da questa constatazione.



4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA TEOLOGIA DI BERNARDO PROVENZANO

[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a dispsizione questo suo articolo gia' apparso in versione abbreviata
nell'edizione palermitana di "Repubblica" dell'8 ottobre 2002. Augusto
Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora
a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e
che partecipano dellimpegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo
1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999;
Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus,
Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese
1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale,
Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare
ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, 2a ed.; Il vangelo e
la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1994); Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, 2a ed.; voce "Pedagogia"
nel cd-rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia
Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio
della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le
ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001]

La cultura teologica dei mafiosi non finisce di stupire.

Ancora in questi giorni abbiamo potuto leggere sui giornali le parole
edificanti di Pino Lipari a Bernardo Provenzano: "Rileggo quei passi della
Bibbia che tu mi hai inviato e mi ha colpito la massima secondo cui
l'albero si riconosce dal suo frutto. Vedo che trovi tanto del tuo tempo
per dedicarlo alla lettura ma la tua saggezza (...) non si forma con la
lettura che certamente aiuta molto ma bisogna che l'uomo nella sua
struttura sia propenso alla riflessione, alla calma e all'altruismo
nell'aiutare il prossimo. Tu hai tutte queste caratteristiche e quindi
affronti la vita cosi' per come si presenta come un dono di Dio. La tua
fede e' massima e ti aiuta moltissimo. Dio ti ha molto illuminato e spero
sempre con preghiera che ti protegga sempre per il bene tuo e di tutti
quelli che ti vogliamo bene".

Di fronte a dichiarazioni di questo tenore ci sono solo due possibilita': o
si ipotizza una sorta di surreale, geniale  umorismo alla Benigni di
"Johnny Stecchino" o le si prende maledettamente sul serio. Dal momento che
i mafiosi non sanno ridere, la performance autoironica va esclusa: resta,
in piedi, purtroppo, la tesi del registro serioso. Il che significa che,
piaccia o non piaccia, esiste una teologia mafiosa.

Chi e' lontano da queste problematiche se ne puo' lavare le mani con
generalizzazioni affrettate: per lui non e' una novita' che i mafiosi siano
tendenzialmente cristiani, che i cristiani siano tendenzialmente mafiosi,
che la secolarizzazione ci rendera' ben presto emancipati dalla fede
cristiana e dalla mafia.

Ma, studiata un po' piu' da vicino, la questione non e' cosi' semplice.
Innanzitutto per una ragione sociologica: supporre che la dimensione
religiosa scompaia nella societa' post-industriale e' una pia, o empia,
illusione. Le statistiche e le ricerche sul campo mostrano il contrario e,
se non si vuole ricorrere ai paradossi, mostrano una dislocazione dei modi
in cui si esprime il bisogno religioso. In parole povere: le parrocchie si
svuotano, ma gli agriturismi si riempiono di seguaci della New Age (che non
fanno male a nessuno) e i crocicchi delle strade di statue di Padre Pio
(che sono un pugno nell'occhio educato esteticamente). Se dunque la
tendenza della dimensione religiosa non e' di scomparire ma di
metamorfizzarsi, sarebbe interesse degli intellettuali in generale  - e dei
teologi cristiani in particolare - accompagnare e orientare questi processi
di trasformazione.

Per l'aspetto che ci riguarda - la cultura religiosa e la mafia- sarebbe
opportuno riconoscere gli elementi "mafiogeni" del cattolicesimo
mediterraneo e cercare, nelle radici stesse della fede cristiana, gli
eventuali antidoti. Riconoscere gli elementi "mafiogeni" del cattolicesimo
mediterraneo significa ammettere che piu' di una dottrina del catechismo e'
stata interpretata, adattata, strumentalizzata dal sistema di potere
mafioso per legittimare il suo codice culturale: pensiamo soltanto, per non
disperderci in cento dettagli, alla necessita' che il Figlio placasse col
suo sangue le offese dell'umanita' a Dio o alla necessita' di ottenere le
"grazie" ricorrendo alla intercessione dei "santi protettori". Basta
leggere le dichiarazioni dei mafiosi piu' "religiosi" per rendersi conto
quanto profondamente abbiano inciso nel loro immaginario, e nella loro
pratica, simili credenze. Ma - e qui scatta la seconda operazione possibile
- siamo sicuri che questo modo di intendere la redenzione di Cristo o la
mediazione dei santi sia il piu' fedele al messaggio evangelico originario?

Sono ormai decenni che la teologia va avanti, rivede posizioni
insostenibili, critica come illegittime delle conclusioni che sino al
Concilio Vaticano II (1965) sembravano derivare inconfutabilmente dalla
fede autentica. Di questo travaglio interno alle chiese cristiane, il mondo
laico non sa nulla - e non gli interessa. Poco male. Molto piu' grave e' il
fatto che non ne sanno nulla molti catechisti di quartiere, molte suorine
di periferia, anche preti interessati piu' a contare le ostie distribuite
durante le messe che a studiare ed aggiornarsi (ovviamente con eccezioni
tanto piu' ammirevoli quanto piu' rare): perche' se non si rinnova il modo
comune di predicare e di recepire il messaggio cristiano, cercando di
capire meglio che cosa veramente e' stato Gesu' di Nazareth e che cosa ha
voluto veramente testimoniare nella storia, ancora numerose saranno le
generazioni di mafiosi che lo infangheranno convinti, con spaventosa
sincerita', di essere discepoli del Maestro di liberta', di giustizia e di
mitezza.



5. RIFLESSIONE. PEPPE SINI E TOMAS STOCKMANN: SULLA SCIAGURATA PERSISTENZA
DI ALCUNI TRATTI DI PREGIUDIZIO ANTIEBRAICO CHE PURTROPPO SI PRESENTANO
ANCHE NELLA SINISTRA ITALIANA

Un cosi' lungo titolo e' indice di un'angoscia, osservo' uno che passava di
la'. E diceva bene. Anche l'organizzazione formale di questo articolo ha
funzione di difesa dello sguardo dinanzi a una materia incandescente. Si
vede. Lo diciamo.



* Primo: Andante con moto

Troviamo necessario condannare la politica di Sharon. Ma vogliamo farlo con
le parole luminose di Primo Levi, non con l'iconografia infame de "La
difesa della razza".

Troviamo necessario sostenere il popolo palestinese, ma vogliamo farlo
sulle posizioni di Ali Rashid o di Edward Said, non del fondamentalismo
terrorista.

Troviamo necessario contrastare la destra razzista al potere (in Israele,
come in Italia), ma vogliamo farlo senza dire idiozie e senza commettere
orrori.

Troviamo necessario il rispetto di tutte le opinioni, tranne quelle
opinioni che negano ad altri esseri umani il diritto di esistere.

Troviamo che il modo migliore di aiutare gli esseri umani che sbagliano e'
di denunciare e combattere i loro errori.

E questo per cominciare.



* Secondo: Minuetto

Che la destra italiana al potere sia connotata dal razzismo e' un dato di
fatto.

La legge Bossi-Fini e' solo l'ultimo atto di un'azione ideologica e pratica
che per alcuni partiti al potere e' addirittura costitutiva (il fenomeno
leghista), per altri e' identita' di lungo periodo e profonda (pochi
ricordano che il basamento della fiamma del simbolo dell'Msi - che ancora
fa bella mostra nel simbolo di An - rappresentava per convinzione comune
dei fascisti che in quel partito si riunirono la tomba di Mussolini da cui
scaturisce la fiamma dell'identita' nazionale), per altri ancora e'
richiamo a quanto vi e' di peggio nella tradizione di potere cattolica
(quella parte peggiore contro di cui anche tanti cattolici si sono battuti,
e tra essi primo e principe l'indimenticabile papa Giovanni XXIII), ed
infine per il partito del presidente dubbio non v'e' che chi aderisce a un
movimento fondato sul "fuhrerprinzip", un residuo di ideologia propria dei
movimenti autoritari indagati da Hannah Arendt ne Le origini del
totalitarismo e' pressoche' di prammatica (quali fantasmi si agitano
nell'inconscio individuale e collettivo di quanti ritengono che il loro
scopo nella vita sia l'identificazione con l'attuale capo del governo?
Misteri della psiche umana, e come diceva Thomas Mann: profondo e' il pozzo
dell'animo umano).

E non v'e' dubbio che la destra razzista al governo va contrastata nel modo
piu' limpido ed intransigente, per difendere i dirtti umani di tutti gli
esseri umani, per difendere la democrazia e la civile convivenza.

Ma qui e' della sinistra italiana che vogliamo dire, e di noi stessi in
quanto in questo schieramento ci collochiamo.

Dobbiamo avere da qualche parte una vecchia lettera di Livia Turco,
all'epoca ministro, che rispondeva all'incirca a una nostra in cui se la
memoria non ci inganna le chiedevamo conto di cio' che il governo di cui
era membro aveva fatto e non fatto in relazione alla sorte degli esseri
umani che in fuga dalla fame e dalla morte arrivavano in Italia. Livia
Turco e' persona d'onore. Ma quella legge che porta anche il suo nome (la
cosiddetta "Turco-Napolitano"), ha riaperto i campi di concentramento in
Italia.

Se la condizione fatta ai fratelli e alle sorelle immigrate e' oggi cosi'
turpe, tale che noi - che pur abbiamo cercato nella poverta' dei nostri
mezzi e nella pochezza delle nostre persone di fare qualcosa - proviamo
vergogna di noi stessi in quanto cittadini di questo paese che
imbarbarisce, ebbene, e' anche perche' le rappresentanze politiche della
sinistra italiana, quando erano al governo, hanno ceduto al razzismo.
Certo, una parte della sinistra: un'altra - pensiamo al movimento anarchico
in primo luogo, a istituzioni e movimenti d'ispirazione religiosa, ed a
tante esperienze di solidarieta' capillarmente diffuse ancorche'
prepolitiche o di una politica con molti aspetti purtroppo ambigui - non ha
ceduto, e li ammiriamo per questo e li sentiamo piu' vicini al nostro cuore.

Son cose tristi, ma dobbiamo pur dircele.

Ma e' di altro che qui vogliamo dire.



* Terzo: Farandola

Crediamo che non aiutino il popolo palestinese quanti pensando di esprimere
ad esso solidarieta' si abbandonano a ragionamenti, atteggiamenti e gesti
di effettuale antisemitismo che quanto piu' sono inconsapevoli, tanto piu'
sono gravi  e inquietanti.

Lo diciamo con strazio: nel corso della nostra vita abbiamo conosciuto
amici palestinesi, militanti politici della Resistenza palestinese, che
annoveriamo tra le persone che ammiriamo di piu' e per la cui sorte
trepidiamo e la cui parola conta per noi come e' giusto che conti la parola
dei buoni e dei saggi. Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che il popolo
palestinese avesse ed abbia diritto a un paese in cui vivere libero e
solidale.

Ma non abbiamo mai ammesso la falsificazione delle vicende storiche che per
comodita' di propaganda certi personaggi nostrani compiono credendo di
aiutare di piu' la causa palestinese con qualche penosa menzogna, ed invece
danneggiandola molto.

E sarebbe interessante ricostruire la storia delle posizioni che le
sinistre di palazzo e quelle di piazza hanno avuto nel corso dei decenni
sulla situazione mediorientale per scoprirne, ahinoi, delle belle. Sono
cose che chi ha la nostra eta' ricorda, ma che un po' tutti fanno finta di
non ricordare, col risultato che i piu' giovani che oggi si affacciano
all'impegno politico ricevono idee false e crescono in un brodo di coltura
che agevola il ritorno dell'antisemitismo come tratto ricorrente in diversi
movimenti sociali radicali europei.

Il popolo palestinese merita la nostra solidarieta' piu' profonda e nitida.
La sua sorte e' figura della nostra, di quella dell'intera umanita'. In
questo senso cosi' come Dietrich Bonhoeffer seppe dire che chi non aiutava
il popolo ebraico perseguitato dal nazismo non aveva diritto di cantare il
gregoriano, noi dobbiamo dire che chi non aiuta il popolo palestinese non
ha diritto di chiamarsi amico della nonviolenza.

Si', Il popolo palestinese merita la nostra solidarieta' piu' profonda e
nitida. Invece certi sedicenti amici del popolo palestinese non meritano
rispetto alcuno.

E vanno smascherati. E dobbiamo smascherarli noi, e non permettere che le
loro sconcezze diventino arma nelle mani delle destre razziste come quella
oggi al potere nei palazzi della politica e della comunicazione in Italia
(in tutti: noi non siamo di quelli che pensano che la democrazia consista
nel difendere sempre e solo i boiardi entrati alla Rai con le lottizzazioni
pregresse).

Certi slogan, striscioni, vignette, che riciclano il piu' infame
armamentario dell'antisemitismo europeo, e che fanno disgustosa mostra di
se' in tante manifestazioni odierne, ebbene, rivelano quanto persistente e
pervasiva sia la tradizione dell'antsemitismo nel continente in cui e'
avvenuta la Shoah. E il fatto che chi quegli slogan esibisce e propala non
se ne accorga, ebbene, rivela la profondita' - diremmo: la radicalita' - di
questa inquietante presenza all'interno di esperienze, culture e
ragionamenti che pure a livello conscio sono del tutto nemiche
dell'hitlerismo, ma forse non abbastanza della bimillenaria tradizione di
pregiudizio e persecuzione antiebraica in Europa.

E qui le ideologie islamiste non c'entrano un bel niente: e'
l'antisemitismo (per usare questa definizione - che sappiamo imprecisa e
inadeguata - per descrivere la persecuzione antiebraica) europeo: romano
prima, cristiano poi, quindi scientista e reazionario, ed infine nazista;
l'antisemitismo europeo contro cui la lotta e' ancora aperta, e nessuno
puo' illudersi che sia un rudere di un immondo passato che non potra'
tornare mai piu'.

Sentire un segretario di partito (di un partito che ha anche meriti grandi
e militanti valorosi) che in una massima assise della sua organizzazione
urla orwellianamente all'incirca "noi siamo ebrei, noi siamo palestinesi,
noi siamo questo e quello" (e "noi", naturalmente, e' il Partito, che si
pretende totalita' e nega cosi' la concreta esistenza delle diversita' e il
loro diritto a persistere come tali) significa l'esposizione di un
totalitarismo mentale che pretende di tutto divorare ed a tutto
sostituirsi, negando l'identita' altrui nella pretesa di partecipare di
tutto, di tutto sussumere a se', di rappresentare tutto, anzi di "essere"
tutto, cosi' facendo la stessa operazione di chi pensava di essere la
classe, la storia, eccetera, ed usava i gulag per chi non si sentiva
rappresentato dal partito che e' tutto e ne stava al di fuori (ed in
effetti secondo questo ragionamento se il partito e' tutto e tutti, chi e'
al di fuori non esiste: ergo i gulag).

Una cosa e' il motto "siamo tutti ebrei polacchi" detto dai giovani piu'
generosi in solidarieta' con una persona perseguitata; una cosa e' dire che
"Marcos" e' gay a S. Francisco, nero in Sudafrica e asiatico in Europa per
dire che tutti gli oppressi del mondo subiscono una sostanzialmente analoga
denegazione di umanita' ed aspirano tutti ad una umanita' di liberi ed
eguali nel rispetto della diversita' di ognuno; e una cosa di segno opposto
e' un prominente personaggio del panorama politico italiano che ricicla e
degrada uno schema retorico senza avvedersene metamorfosandolo in
totalitario.

Leggere di Israele definito come "mostro americano" da parte di un vecchio
amico e compagno (anche di partito, un partito che si suicido' un paio di
decenni fa) sul giornale cui piu' siamo legati (sebbene assistiamo con pena
a come sia stato pervaso di volgarita' e irresponsabilita') ci rattrista e
incupisce.

Leggere nei notiziari di certe ong (che pure fanno un lavoro grande di
solidarieta' concreta e di riflessione critica; beninteso: largamente
usando di soldi pubblici, ed e' bene non dimenticarlo) la definizione di
"martiri" per i terroristi suicidi, e' peggio che un errore di traduzione,
e' la riproduzione di un'ideologia.

Leggere certe giustificazioni che in guisa di "excusatio non petita" taluni
intellettuali e militanti si sentono in dovere di addurre, e nelle quali
cio' che emerge accecante e' ancora una volta il non rendersi conto di
quanto sia privo di rispetto per l'altrui dolore il riempirsi la bocca di
proclami secondo cui ai figli delle vittime dei campi neppure il diritto di
rivendicare la loro condizione di addolorati resta, poiche' essa stessa si
pretende di loro sottrarre come peculiarmente sentita (ancora per il vizio
di fondo di essere la sinistra che rappresenta la totalita' e chi non si
sente rappresentato e' un eretico o peggio un nemico del popolo); e si
sorvola frattanto sul fatto che Israele - e non solo nella percezione dei
superstiti dei campi di sterminio -  e' anche, oltre che tante altre cose
su cui discutere e' piu' che lecito doveroso, l'ultimo rifugio per i
sopravvissuti dell'episodio piu' satanico della storia dell'umanita',
quella Shoah di cui intera e ineludibile la responsabilita' grava
sull'Europa; ebbene, tutto questo non ci dice nulla di terribile su noi
stessi?

Non sara' necessario rifletterci sopra, discuterne apertamente, smascherare
pregiudizi e ipocrisie?

E naturalmente non parliamo neppure di chi sistematicamente agisce la
provocazione per comparire in tivu': non a caso finisce in tivu', poiche'
e' il prediletto dei potenti che allo scardinamento dello stato di diritto
sovrintendono e che a tal fine sono ben lieti di servirsi di personaggi che
non degli "utili idioti" ma dei furbastri di tre cotte sono, e che ai piani
berlusconiani cooperano con la massima alacrita' mentre proclamano di
essere il rappresentante designato di tot miliardi di esseri umani che non
hanno mai dato loro alcuna delega (noi almeno non gliela abbiamo mai data).



* Quarto: Presto con fuoco

L'aiuto che possiamo e dobbiamo dare al popolo palestinese e' anche questo:
combattere l'antisemitismo che e' in noi, perche' solo cosi' il nostro
aiuto sara' comprensibile ed efficace. E non per equilibrismo, ma per
dovere morale ed anche per necessita' pratica.

Solidali col popolo palestinese e il suo diritto alla vita e a uno stato;
solidali col popolo israeliano e il suo diritto alla vita e a uno stato. Su
questa base si potra' costruire poi una societa' senza stati e senza classi
nel mondo intero, ma frattanto questi diritti minimi esatti da popoli che
hanno subito persecuzioni immani nessuno deve negarli.

Una sinistra che tollera o promuove espressioni di antisemitismo non e'
degna del nome che reca. E' solo un'estrema propaggine di quel
totalitarismo contro cui un'altra sinistra, quella dei resistenti e dei
fucilati, ha combattuto e dovra' combattere ancora e ancora.

Ha scritto all'incirca Primo Levi che la lotta contro l'oppressione e'
senza fine: e proprio per questo e' compito della persona di volonta' buona
condurla adesso e sempre. "Ora e sempre", sono le ultime parole di una
delle lapidi che Piero Calamandrei ebbe a dettare, e che finisce con una
parola ancora, magnifica, e che non puoi pronunciare se non tra le lacrime:
Resistenza.

Quando parliamo di nonviolenza parliamo anche di questo, parliamo
essenzialmente di questo.



6. PROPOSTE. PAUL ORIOL: PETIZIONE PER LA CITTADINANZA EUROPEA DI RESIDENZA

[Dall'Enar (network europeo contro il razzismo; per contatti:
lscagliotti@enar-it.org) riceviamo e diffondiamo questa petizione]

Gentile Signora, Signore,

noi ci impegniamo nei prossimi mesi a rendere pubblica la petizione, che
troverete qui allegata, in favore di una cittadinanza europea di residenza,
cittadinanza basata sul riconoscimento del diritto di voto, attivo e
passivo, per i cittadini non comunitari alle elezioni comunali ed europee.

E' nostra intenzione raccogliere le firme di personalita' rappresentative
dei 15 paesi dell'Unione europea. Questo momento, infatti, ci sembra
particolarmente favorevole, poiche' la Convenzione per il futuro
dell'Europa ha appena cominciato i suoi lavori e preparera' una proposta di
Costituzione per l'Unione Europea. Diventa allora necessario che i voti di
milioni di residenti stranieri, finora esclusi dalla cittadinanza
dell'Unione Europea, possano essere presi in considerazione.

Per questo motivo e se siete d'accordo con la nostra proposta vi chiediamo
di firmare e di rispedirci il testo della petizione da voi sottoscritto.

Vi saremmo, inoltre, grati se aveste la gentilezza di indicarci i
nominativi e relativi indirizzi di personalita' dell'Unione Europea cui far
pervenire la petizione.

Nel caso in cui vogliate voi stessi contattare tali personalita', noi
saremmo lieti di fornirvi i testi della petizione nelle undici lingue
ufficiali dell'Unione.

Nell'attesa di un vostro riscontro, vogliate ricevere, gentile signora e
signore, i sentimenti della nostra stima rispettosa.

*

Testo della petizione

La Carta europea dei diritti fondamentali ha affermato la necessita' di
mettere "la persona al centro della sua azione" richiamando ai popoli
d'Europa i loro "valori comuni" come la dignita', la liberta',
l'uguaglianza, la solidarieta', la cittadinanza, la giustizia.

In accordo con questi valori i firmatari di questa petizione affermano che
una Europa democratica, non puo' costruirsi sull'esclusione di milioni di
persone che vivono, lavorano, consumano, si incontrano nelle stesse
associazioni, partecipano alla vita economica, sociale, sindacale,
culturale, e sono direttamente toccati da tutte le disposizioni emanate
dalle diverse istanze europee.

Provenienti da "Paesi terzi", essi sono esclusi dalla cittadinanza
dell'Unione europea come e' definita dal trattato di Maastricht, essi sono
esclusi dalle elezioni europee (e in alcuni paesi, essi sono anche esclusi
dalle elezioni comunali). Anche se residenti di lunga data, essi non hanno
garantita la liberta' di circolare e stabilirsi in Europa.

La nostra idea d'Europa esige l'abolizione di tale discriminazione politica.

Per questo motivo chiediamo che la cittadinanza dell'Unione europea,
specialmente il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni comunali ed
europee, sia riconosciuto a tutti i residenti dell'Unione Europea
indipendentemente dalla loro nazionalita'.

Petizione da rispedire firmata a: Paul Oriol (Pour une citoyennete'
europeenne de residence), 1, bd des J. O. F 78000 Versailles, e-mail:
Paul_Oriol@compuserve.com



7. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI GIULIANO PONTARA

[Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti:
giuliano.pontara@philosophy.su.se) per averci messo a disposizione questo
ampio elenco delle sue pubblicazioni in ordine cronologico. Giuliano
Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello
internazionale]

1. Appunti su 70 famiglie di Roccamena, in collaborazione con G. Adler
Karlsson, Il Ponte, XV, 5, 1959, pp. 695-711.

2. L'etica di Gandhi alla luce del suo rifiuto alla violenza, Rivista di
filosofia, LIII, 3, 1962, pp. 273-312.

3. Nonviolenza e costrizione nell'etica di Gandhi, Rivista di filosofia,
LIV, 3, 1963, pp. 294-316.

4. Den syditalienska fragan (la questione meridionale), Tiden, 9-l0, 1964,
pp. 577-582.

5. The Rejection of Violence in Gandhian Ethics of Conflict Resolution,
Journal of Peace Research, 1965, 3, pp. 197-215.

6. Liberta' di decisione e potere dell'uomo, Rivista di filosofia, LVII,1,
1966, pp. 57-70.

7. Etica e  conflitti di gruppo, De Homine, 24-25, 1968, pp. 71-90.

8. La ricerca interdisciplinare e multidisciplinare sulla pace, in
Dissacrazione della guerra, a cura di F. Fornari, Feltrinelli, Milano 1969,
pp. 125-188.

9. Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande
(Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione),
in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag,
Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70.

10. Introduzione  a M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a
cura di G. Pontara, Einaudi, Torino, 1973 (e successive edizioni), pp.
VII-CXXXVII.

11. Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974, pp. 344.

12. In Defence of Intrinsic Value, Stockholms Universitet, Stockholm 1974.

13. Socialism och totalitarism i Tommaso Campanellas Solstat, (Socialismo e
totalitarismo nella "Citt del sole" di Campanella), in BLM, Stockholm
1976, pp. 76-80.

14. Giustizia locale e giustizia globale, Biblioteca della libert, XIV,
65- 66, 1977, pp. 253-267.

15. Definizione di violenza e nonviolenza nei conflitti sociali, in
Marxismo e nonviolenza, a cura del Movimento Nonviolento, Editrice
Lanterna, Genova 1977, pp. 59-80.

16. Marxismo, violenza e nonviolenza, in Marxismo e nonviolenza, cit., sub
12, pp. 151-165.

17. Replica di Giuliano Pontara (a Bobbio, Badaloni e Balducci), in
Marxismo e nonviolenza, cit., pp. 227-245.

18. Chi ha diritto alla vita e a non essere fatto soffrire?, Azione
nonviolenta, nov.-dic. 1977.

19. Nationell versus internationell rattvisa i J. Rawls' kontraktteori
(Giustizia  nazionale e giustizia internazionale nella teoria
contrattualistica di J. Rawls), Norsk filosofisk tisdskrift, 1978, 3, pp.
161-172.

20. The Concept of Violence, Journal of Peace Research, XV, 1, 1978, pp. 19-32.

21. Vald (violenza), in Filosofi och Samhalle, a cura di G. Andren, G.
Pontara, T. Tannsjo, Doxa, Lund 1978, pp.160-191.

22. Violenza e terrorismo: il problema della definizione e della
giustificazione, in Dimensioni del terrorismo politico, a cura di L.
Bonanate, Angeli, Milano 1979 (seconda edizione), pp. 25-98.

23. Conoscenza e valutazione: lo scetticismo etico di Calderoni, Rivista
critica di storia della filosofia, 1979, 3, pp. 349-366.

24. Fredsfostran i dagens samhalle och skola (L'educazione alla pace nella
societa' e nella scuola contemporanea), in  Normer och normloshet, a cura
di Normgruppen, Liber, Stockholm 1980, pp. 153-157.

25. International Charity or Global Justice?, in Justice, Social and Globte
definierat, a cura di L. O. Ericsson, H. Ofstad, G. Pontara,
Akademilitteratur, Stockholm 1980, pp. 89-111.

26. Vi sono diritti fondamentali? (dibattito tra Giuliano Pontara e
Norberto Bobbio), Rivista di  filosofia, l8, 1980, pp. 455-460 (e risposta
di Bobbio, pp. 460-463) (ristampato nel lavoro citato sub 37; tr. spagnola,
Hay derechos fundamentales? cit. sub 37).

27. Esiste una terza via al socialismo?, in AA. VV., Nonviolenza e
marxismo, Libreria Feltrinelli, Milano, 1981, pp. 9-27.

28. Neocontrattualismo e socialismo, Rivista di filosofia, 19, 1981, pp.
138-158.

29. Gandhismo, in Dizionario di politica, a cura di N. Bobbio, N.
Matteucci, G. Pasquino, Utet, Torino, seconda edizione, 1983, pp. 461-65.

30. Nonviolenza, Dizionario di politica, cit. sub. 29, pp. 720-724.

3l. Pace, ricerca scientifica sulla, Dizionario di politica, cit., pp. 769-772.

32. Utilitarismo, Dizionario di politica, cit., pp. 1225-1234.

33. Vad ar filosofi? (che cos'e' la filosofia?), in Humaniora och samhalle,
Liber,  Stockholm 1982, pp. 99-109.

34. Diritto di resistenza?, Critica liberale, 22-23, 1983, pp. 9-13.

35. Satyagraha e anarchia, Volonta', 4, 1983, pp. 67-85.

36. Diritto alla vita e diritto di sopravvivenza, Rivista di filosofia, 25-
27, 1983, pp. 142-169.

37. Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N.
Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo,
Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Neocontratualismo,
socialismo y justicia internacional, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca,
Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985, pp. 45-83.

38. Ne' libert ne' uguaglianza, Teoria politica, I, l, 1985, pp. 47-72.

39. Utilitarism, lycka och jamlikhet (Utilitarismo, felicit e
uguaglianza), Filosofisk tidskrift, 3, 1985, pp. 1-13.

40. Il presupposto teorico del razionalismo etico, in Etica e diritto, a
cura di L. Gianformaggio ed E. Lecaldano, Laterza, Bari 1986, pp. 117-148.

4l. Utilitarismo e giustizia distributiva, in Utilitarismo oggi,  a cura di
E. Lecaldano e S. Veca, Laterza, Bari 1986, pp. 61-96.

42. Il razionalismo  etico di Emilio Juvalta e i suoi limiti, Rivista di
storia della filosofia, XLI, III, 1986, pp. 513-541.

43. La teoria neoliberista di Nozick e i rapporti di giustizia tra Nord e
Sud,  Pace, diritti dell'uomo, diritti dei popoli, 2, 1987, pp. 9-30.

44. Quale disuguaglianza?, Fondamenti, 9, 1987, pp. 63-96.

45. Introduzione a J. Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1987, pp. 5-20.

46. Utilitaristerna, Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M.
Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144.

47. Le ragioni di Creonte e quelle di Antigone. Il rapporto tra etica e
politica,  AA. VV., Nonviolenza e pacifismo, Angeli, Milano 1988, pp. 13-40.

48. Non oggettivismo e razionalismo in etica. Replica a P. Comanducci ed E.
Zecchinato, Materiali per una storia della cultura giuridica,  XVII, 2,
1988, pp. 535-547.

49. La nonviolenza come aggiunta alla democrazia e alternativa alla
violenza, Studiar per pace, a cura di G. Catti, Thema Editore, Bologna,
1988, vol. I, pp. 13-24.

50. Responsabilita' per le generazioni future?, Linea d'ombra, VI, 31,
1988, pp. 31-36.

51. International Charity or International Justice?, in Democracy State and
Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm
1988, pp. 179-93.

52. Interdipendenza e indivisibilita' dei diritti economici, sociali,
culturali, civili e politici, AA. VV., I diritti umani a 40 anni dalla
dichiarazione universale, Cedam, Padova 1989, pp. 75-92.

53. Filosofia  pratica, Il Saggiatore, Milano 1989.

54. Ne' Nietzsche ne' Aristotele, Iride, 3, 1989, pp. 265-271.

55. Il valore etico-politico del messaggio di Gandhi, Scuola di pace-Boves,
Verso la pace. 3: Come imparare la pace studiando la filosofia, Elle Di Ci,
Leumann (Torino) 1990, pp. 203-213.

56. Utilitarismo della media e giustificazione dei giudizi etici, Politeia,
17, 1990,  pp. 27-33.

57. Etica e ricerca scientifica , Politeia, 18, 1990, pp. 11-15.

58. Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti,
Roma 1990.

59. Gandhi e la questione ebraica. Quale risposta alla violenza?, Linea
d'ombra, settembre 1991, pp. 23-28.

60. La questione dell'utilitarismo, in AA. VV., La questione
dell'utilitarismo, Marietti, Genova 1991, pp. 33-56.

61. Pace, violenza, etica, in Pace e conflitti nel Mediterraneo e nel Medio
Oriente, a cura di I. Brower, Bonanno Editore, Acireale 199l, pp. 47-60.

62. Per un orientamento nonviolento nel mondo d'oggi, in  G. M. Cazzaniga,
D. Losurdo, L. Sichirollo, a cura di, Prassi. Come orientarsi nel mondo,
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Edizioni QuattroVenti,  Urbino
1991, pp. 43-52.

63. Pacifismo e nonviolenza , Giano, 9 , 1991, pp. 31-43.

64. Sulla disobbedienza civile, Teoria politica, VII, 3, 1991, pp. 29-45.

65. Insegnamento dell'etica nella secondaria superiore, Bollettino della
Societ  Filosofica Italiana, sett.-dic. 1991, pp. 45-54.

66. Guerre giustificate?, Teoria politica, VIII, 1-2, 1992, pp. 123-55.

67. Utilitarismo e rispetto della persona, Quaderni  di Politeia, 1992, pp.
1-34

68. Gandhi e la giustificazione della violenza, prefazione a  M. K. Gandhi,
Sulla violenza, a cura di G. Pontara, Edizioni Linea d'ombra, Milano 1992,
pp. 5-24.

69. La nonviolenza dopo la guerra del Golfo, in AA. VV., Se vuoi la pace
prepara la liberazione, Trento 1992, pp. 41-53.

70. La prospettiva della nonviolenza dopo la guerra del Golfo, in AA. VV.,
Fare la pace, Kaos edizioni, Milano 1992, pp. 81-89.

71. Responsabilit per le generazioni future?, in Diritti degli uomini e
diritti dei cittadini in prospettiva, a cura di P. Magri e G. Magnani,
Universita' degli Studi di Ferrara, 1992, pp. 16-28, e ristampato in AA.
VV., Etica dell'ambiente, Guida, 1994, pp. 141-180.

72. La nonviolenza si impara, Bozze, VX, 4, dicembre 1993, pp. 15-36.

73. Il mite e il nonviolento. Su un saggio di Bobbio (con risposta di
Bobbio), Linea d'ombra, marzo 1994, pp. 67-70; ripubblicato in N. Bobbio,
Elogio della mitezza, Linea d'ombra edizioni, Milano 1994, pp. 33-45.

74. Una lettera (replica a Bobbio), Linea d'ombra, maggio 1994, pp. 71-72;
ripubblicato in N. Bobbio, cit. sub 73, pp. 48-51.

75. Nonviolenza e educazione, in Il Mahatma Gandhi: ideali e prassi di un
educatore, a cura di D. Dolcini, E. Fasana, C. Conio, Istituto propaganda
libraria, Milano 1994, pp. 21-31.

76. La responsabilita' nei confronti delle generazioni future: l'approccio
etico-filosofico, in Costituzioni, razionalita', ambiente, a cura di Sergio
Scamuzzi, Bollati Boringhieri, Torino 1994, pp. 33-89.

77. Responsabilita' per le generazioni future: commenti introduttivi al
numero 4 di Ragion Pratica, 1995.

78. Etica e generazioni future. Una introduzione critica ai problemi
filosofici, Laterza, Bari 1995.

79. Utilitarismo, delitto e castigo, Materiali per una storia della cultura
giuridica, XXV, 2, 1995, pp. 463-476.

80. Gandhi, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires
de France, Paris 1996 (paperback 1998).

81. La Non violence, ivi.

82. La Violence, ivi.

83. Il pensiero etico politico di Gandhi (nuova edizione riveduta e
accresciuta del saggio introduttivo alla antologia di scritti gandhiani,
Teoria e pratica della nonviolenza), Einaudi, Torino 1996. pp. IX-CLXI.

84. Etica y Generationes Futuras, Ariel, Barcelona 1996 (tr. del lavoro sub
78).

85. La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996.

86. Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996.

87. La vana ricerca di certezze assolute (risposta a Rebuffini), Segno,
XXIV, n. 193, marzo 1998, pp. 85-89.

88. Utilitarismo e generazioni future, Filosofia e questioni pubbliche,
1997, 1, pp. 165-184.

89. Breviario per un'etica quotidiana, Editrice Pratiche, Milano 1998.

90. Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, 10, ottobre 1998, pp.35-49.

91. L'utilitarismo classico e la dottrina etica di Rosmini, Il pensiero di
Antonio Rosmini a due secoli dalla nascita, a cura di Giuseppe Bedeschi,
Alfeo Valle, Silvano Zucal, Morcelliana, Brescia 1999, vol. I, pp. 321-329.

92. Il messaggio di Gandhi per il XXI secolo, Quaderni Asiatici, Rivista di
studi sullAsia, n. 48/49. gennaio-giugno 1999, pp. 151-160.

93. Guerra etica, etica della guerra e tutela globale dei diritti, Ragion
Pratica, VII, n. 13, 1999, pp. 51-68.

94. Perche' e come insegnare l'etica, Politeia, anno XV, n. 56, 1999, pp.16-24.



8. LETTURE. MOHSEN MAKHMALBAF: IN AFGHANISTAN

Mohsen Makhmalbaf, In Afghanistan i buddha non sono stati distrutti, sono
crollati per la vergogna, Baldini & Castoldi, Milano 2002, pp. 112, euro
12. Le note di viaggio del grande regista iraniano durante la lavorazione
di Viaggio a Kandahar.



9. RILETTURE. BENEDETTO CROCE: TEORIA E STORIA DELLA STORIOGRAFIA

Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Adelphi, Milano 1989,
2001, pp. 438, euro 14,46. A quasi novant'anni ancora si legge con
passione. Ah, la bella prosa, l'immensa erudizione, la chiarezza analitica
e di dettato di don Benedetto.



10. RILETTURE. NADINE GORDIMER: VIVERE NELL'INTERREGNO

Nadine Gordimer, Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990, pp. 240,
lire 38.000. Una bella raccolta di saggi d'impegno civile della grande
scrittrice sudafricana.



11. RILETTURE. SUSAN SONTAG: CONTRO L'INTERPRETAZIONE

Susan Sontag, Contro l'interpretazione, Mondadori, Milano 1967, 1998, pp.
410, lire 15.000. Alcuni dei saggi critici piu' belli della grande
intellettuale americana.



12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza delluomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



13. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it



Numero 380 del 10 ottobre 2002