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La nonviolenza e' in cammino. 379
- To: news@peacelink.it
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 379
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Thu, 10 Oct 2002 16:10:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 379 del 9 ottobre 2002
Sommario di questo numero:
1. Alex Zanotelli, noi possiamo la pace
2. Operazione Colomba, testimonianza da Khan Younis
3. In linea il nuovo portale del risparmio solidale
4. Per un 29 novembre di pace e dialogo
5. Giuliana Sgrena: Kabul, una citta' di sfollati
6. Giulio Vittorangeli, c'era una volta
7. Norma Bertullacelli, la nonviolenza esige il massimo di coerenza tra
mezzi e fini
8. Gianni Mina', le guerre nascoste dall'informazione
9. Maria Teresa Gavazza, memorie con-divise. Dalle storie alla storia
10. Tiziana Valpiana, una interrogazione al ministro della Difesa
11. Il premio "Alexander Langer" a Esperanza Martinez
12. Riletture: Emilio Butturini, La pace giusta
13. Riletture: Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar
14. Riletture: Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza
15. Riletture: Lori Wallach, Michelle Sforza, WTO
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'
1. APPELLI. ALEX ZANOTELLI: NOI POSSIAMO LA PACE
[Dall'ottimo sito di "Namaste" (per contatti: ass.namaste@katamail.com)
Riprendiamo questo appello di padre Alessandro Zanotelli, missionario
comboniano, una delle voci piu' nitide nel nostro paese dell'impegno
nonviolento per la pace e i diritti umani]
I tamburi di guerra all'Iraq diventano sempre piu' incalzanti. Se non e'
oggi, sara' a gennaio, ma gli Usa quella guerra la vogliono. E' possibile
che il governo Berlusconi voglia trascinare il nostro Paese in questa
avventura.
Dobbiamo dire no a una guerra all'Iraq e bollarla come "illegale e
immorale". Ma dobbiamo dirlo in tanti, in tutte le citta' di questo Paese.
Per questo proponiamo a tutti i cittadini (l'idea e' nata dentro la Rete di
Lilliput) di esporre al davanzale della propria casa (l'importante e' che
sia visibile) la bandiera della pace o un pezzo di stoffa bianco con
scritto "No alla guerra".
Sara' un vero ed effettivo processo di crescita democratica del popolo
italiano.
Piu' tardi verra' lanciata una giornata in cui, in tutte le citta'
italiane, la gente dira' il suo no alla guerra portando in piazza le
bandiere o i pezzi di stoffa bianchi. (Si pensa al 10 dicembre, Giorno dei
diritti umani). Se l'attacco avverra' prima, quella giornata verra'
anticipata.
Tutto questo e' stato lanciato a Roma venerdi' 27 settembre 2002, in
Campidoglio.
E' l'ora di rimetterci in piedi.
2. TESTIMONIANZE. OPERAZIONE COLOMBA: TESTIMONIANZA DA KHAN YOUNIS
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dei volontari dell'Operazione
Colomba, presenti nei territori occupati palestinesi con la loro
testimonianza e azione nonviolenta di pace. Per contatti:
operazione.colomba@libero.it]
Ancora una volta dal nostro arrivo in Medio Oriente ci siamo trovati
difronte ad un crimine. Il crimine della violenza indiscriminata che si
traduce in attacchi suicidi ad opera di gruppi armati palestinesi in
Israele o come in questo caso ad azioni criminali compiute sempre piu'
frequentemente dall'esercito israeliano nei Territori Palestinesi.
La scorsa notte infatti 15 palestinesi, per la maggioranza civili, sono
rimasti uccisi in seguito ad un attacco compiuto dalle forze di sicurezza
israeliane nella municipalita' di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza.
Siamo stati testimoni dell'attacco e nella giornata di oggi ci e' stato
possibile visitare i posti colpiti nella notte.
L'incursione ha avuto inizio poco dopo la mezzanotte quando
dall'insediamento di Gani Tal si sono mossi diversi mezzi corazzati, con
l'obiettivo di penetrare nella citta' di Khan Younis da tre diverse
direzioni, supportati dal cielo da elicotteri da combattimento Apaches uno
dei quali, intorno alle ore 1,20, ha lanciato un razzo contro
un'abitazione, ferendo gravemente tre civili palestinesi.
Circa mezz'ora piu' tardi gli abitanti della zona si sono riversati per
strada, dopo un ripiegamento delle forze israeliane. A questo punto un
secondo razzo e' stato lanciato da un elicottero sulla folla scesa in
strada, provocando otto morti e piu' di settanta feriti.
Intanto, nell'area di al-Amal le forze israeliane hanno circondato
l'abitazione della famiglia di un attivista di un gruppo armato palestinese
e nel tentativo di penetrare nella casa hanno ferito la madre ed un
fratello di questi. Nelle due ore di perquisizione tutta la famiglia e'
stata rinchiusa in una stanza della casa e non e' stato permesso ne' ai
familiari ne' alle ambulanze di soccorrere la donna ferita, deceduta piu'
tardi per dissanguamento.
Gli scontri tra forze israeliane e miliziani palestinesi sono proseguiti
nell'area di Mnamsawi fino al mattino quando in seguito a colpi di mortaio
sparati contro l'insediamento, le forze israeliane hanno risposto tirando
con armi automatiche di grosso calibro sull'ospedale di Nasser, provocando
la morte di una persona e il ferimento di altri otto palestinesi
all'interno della struttura.
Dopo un'intera notte di scontri il bilancio e' di 15 palestinesi uccisi, in
maggioranza civili, e 115 feriti, alcuni dei quali versano in condizioni
gravissime.
Condanniamo questo atto che non puo' essere definito un'azione di difesa
per la sicurezza dello stato di Israele ma che e' un'operazione volta ad
alimentare la tensione e a radicalizzare le posizioni delle due parti.
3. STRUMENTI. IN LINEA IL NUOVO PORTALE DEL RISPARMIO SOLIDALE
[Dall'Associazione Finanza Etica (per contatti: info@finanza-etica.org)
riceviamo e diffondiamo]
www.finanza-etica.org e' il nuovo portale del risparmio solidale.
E' finalmente in linea il nuovo sito dell'Associazione Finanza Etica, un
vero e proprio portale d'ingresso nell'ormai complesso e variegato mondo
del risparmio solidale.
Un sito leggero, ricco di documenti e ricerche, con tutte le informazioni
necessarie per mettersi in contatto con l'associazione che rappresenta e
coordina le sempre piu' numerose organizzazioni che operano nella finanza
etica italiana. Uno strumento di comunicazione trasparente, espressione di
una volonta' di relazione precisa e determinata.
Una struttura grafica gradevole, allo stesso tempo elegante ed innovativa;
un utilizzo della tecnologia sobrio e pulito, la predilezione per
l'accessibilita' assoluta per tutti gli utilizzatori, siano essi studenti o
professori, responsabili e attivisti del mondo del non profit, persuasi di
tutte le estrazioni che un utilizzo alternativo del denaro possa
significare ricercare la pace nei gesti di tutti i giorni.
Naturalmente il portale ha un'ampia sezione dedicata alla scoperta di tutti
i soci dell'Associazione Finanza Etica e di tutti coloro che pur non
essendo soci indirizzano le sue attivita' attraverso la rielaborazione di
contenuti e significati.
Non vi resta che darci un occhiata, magari approfittando dell'imminente
"Seconda giornata nazionale della finanza etica e solidale" che si terra'
il 23 novembre 2002.
4. APPELLI: PER UN 29 NOVEMBRE DI PACE E DIALOGO
[Da Giovanni Sarubbi (per contatti: redazione@ildialogo.org) riceviamo e
diffondiamo il seguente appello]
Vogliono fare del 29 novembre prossimo, una giornata di lutto e
distruzione. Sarebbe quello, secondo notizie della stampa internazionale,
il giorno dell'attacco all'Irak.
La data non e' casuale: quel giorno e' l'ultimo venerdi' del Ramadan di
questo 2002. Il Ramadan e' il mese sacro per i musulmani, il mese che essi
dedicano al digiuno e alla preghiera. Si vuole colpire un popolo ma anche
un simbolo religioso, aizzando l'odio contro una specifica religione,
l'Islam, e promuovendo l'idea folle dello "scontro di civilta'".
I promotori dell'appello ecumenico per la realizzazione in Italia della
"giornata del dialogo cristiano-islamico", ti chiedono invece di fare del
29 novembre prossimo, un giorno di preghiera, di condivisione, di festa
comune ma anche di scambio di esperienze al fine di rafforzare la pace e la
conoscenza reciproca, fra cristiani e musulmani. E' un modo per togliere
alla guerra in corso qualsiasi alibi ideologico o religioso: cristiani e
musulmani possono convivere arricchendosi reciprocamente. Lo dicono, fra
l'altro, due importanti documenti delle chiese cristiane, che sono la
dichiarazione Nostra Aetate, del Concilio Vaticano II, e la Charta
Oecumenica europea approvata nel 2001.
Se sei contro la guerra, se sei a favore del dialogo ecumenico e
interreligioso, diffondi questo appello ai tuoi amici. Organizza insieme ad
essi e dovunque sia possibile per il 29 novembre prossimo iniziative comuni
fra cristiani e musulmani.
Spetta a tutti fare qualcosa contro la guerra anche a te.
Per firmare l'appello ecumenico, per adesioni o segnalazione di iniziative,
ci si puo' rivolgere a:
- redazione@ildialogo.org, tel. 3337043384
- b.salvarani@carpi.nettuno.it, tel. 3291213885
Per l'elenco completo dei firmatari dell'appello ecumenico, per tutti i
materiali ad esso relativi e per le iniziative in corso si puo' visitare il
sito: www.ildialogo.org
5. REPORTAGE. GIULIANA SGRENA: KABUL, UNA CITTA' DI SFOLLATI
[Questo articolo della prestigiosa giornalista e saggista, inviata a Kabul,
e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 6 ottobre 2002]
La prima notizia della Bbc, ancora molto ascoltata qui a Kabul dopo che
durante l'oscuro periodo dei taleban era stata l'unica porta aperta -
clandestinamente - sul mondo, riguarda l'Iraq. Le reazioni sono diverse:
c'e' chi rimane indifferente, l'Iraq e' lontano, e poi qui gli arabi non
sono ben visti, erano chiamati
"arabi" tutti i militanti di al Qaeda e lo stesso Osama bin Laden lo e'. E
da allora "arabo" suona quasi come un insulto. Non a caso, a parte l'Arabia
Saudita presente con un residuo dei tempi taleban, nessuna ambasciata araba
e' stata riaperta. Un timore e' tuttavia alimentato da un probabile attacco
all'Iraq: l'Afghanistan sara' di nuovo abbandonato a se stesso come dopo il
ritiro dell'Unione Sovietica. L'attacco non e' cosi' scontato, dice un
giovane ingegnere che ha studiato prima in Iran e poi in Turchia, "gli
Stati Uniti dovranno pur tener conto delle opposizioni a questa guerra". In
molti altri, pessimisti anche sul futuro dell'Afghanistan, prevale il
catastrofismo: potrebbe essere l'inizio della terza guerra mondiale. Per
tutti comunque l'Iraq e' lontano, anche per i governanti che quasi non ne
fanno menzione mentre il presidente Karzai, uomo degli Stati Uniti, non
puo' che appoggiare la linea bellicista di Bush. Qui, anche la
continuazione della guerra antiterrorista in Afghanistan viene ormai
spacciata come guerra "preventiva" rispetto a una riesplosione del
terrorismo. E ad approfittare dell'attacco all'Iraq potrebbero essere
proprio al Qaeda, c'e' infatti chi teme una riesplosione di atti
terroristici come dimostrazione di forza ad un anno dall'inizio dei
bombardamenti, il 7 ottobre 2001.
Un anno dopo, siamo tornati a Kart-i-Parwan, nel centro di Kabul, dove una
bomba aveva distrutto l'ala di una casa uccidendo Said Iqbal e Zarlasht,
appena sposati. Gli altri familiari si erano salvati per miracolo. Allora,
nel giardino, avevamo trovato ancora i resti della bomba - che avrebbe
dovuto colpire una presunta sede di al Qaeda, poco lontano - e nella casa
le macerie. Un anno dopo l'abitazione e' tutta ricostruita, appena
imbiancata. Sembra di buon auspicio, ma quando entriamo non ci sono piu' i
vecchi inquilini, le vittime del bombardamento, se ne sono andati alla
ricerca di un tetto da rimettere in piedi in periferia. Troviamo invece una
giovane coppia: Ismail e Huria, con un bambino piccolo. E' stato il
proprietario, padre di Huria, a sistemare la casa per la coppia tornata sei
mesi fa da Peshawar, in Pakistan. Erano fuggiti dieci anni prima durante
gli scontri tra i mujahidin. Ismail in Pakistan vendeva pezzi di ricambio e
ora ha messo su' un negozio al bazar. Guadagna quanto gli basta per
mantenere la famiglia, ma non per costruirsi una nuova casa. E gli
inquilini che c'erano prima? Non sanno dove sono finiti, erano parenti
lontani dicono.
Proviamo allora a cercare a Macrorian, il quartiere costruito dai
sovietici, la famiglia rimasta traumatizzata dopo aver perso una bambina di
tre anni sotto una bomba. Avevano problemi di soldi, non riuscivano nemmeno
a pagare l'affitto, 30 dollari al mese. Nel frattempo sono stati sfrattati,
nessuno sa dove sono finiti. Storie di ordinaria miseria qui a Kabul.
Purtroppo.
La ricostruzione, un po' caotica e affidata quasi esclusivamente
all'iniziativa privata, e' comunque in corso. I lavori fervono ovunque, per
ospitare tutti gli stranieri (Onu, ong, imprenditori) piombati sulla
capitale afghana e anche per sistemare una parte dei profughi rientrati
negli ultimi mesi, circa 500.000 persone, anche se non tutti resteranno. Si
parla gia' di un nuovo esodo: circa 400.000 su 2 milioni di rientri. Chi
nell'esilio ha avuto un lavoro e ha potuto racimolare qualche soldo ora
ripara la vecchia casa o mette in piedi un negozio. Anche il bazar si e'
ulteriormente ampliato. Ma non tutti possono approfittare della nuova
situazione.
A nord della citta', nel quartiere Chaman-i-Babrak, un enorme spiazzo
polveroso ospita decine di tende, alcune sono state fornite dell'Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), altre sono solo
un insieme di teli. Qui vivono circa cinquanta famiglie rientrate a ondate
successive negli ultimi mesi dai campi profughi del Pakistan, dove erano
fuggite dopo che le loro case nella valle di Shomali, a una cinquantina di
chilometri da qui, erano state distrutte dai combattimenti - si trovavano
proprio sulla linea del fronte dove a lungo si sono combattuti taleban e
Alleanza del nord - o per ritorsione dai taleban. Distrutte anche le loro
piantagioni, soprattutto la vite, tutta la loro ricchezza. Ora sono
tornati, "dopo che Karzai ha detto che il paese era in pace, il governo
pakistano ha fatto di tutto per farci partire", racconta Shajan, che ha in
braccio il figlio piu' piccolo con la pelle raggrinzita dal vento e dal
sole che picchia forte. Non hanno nessun sostentamento, per il rientro
hanno ottenuto un po' di viveri e 20 dollari ciascuno dall'Unhcr, ma sono
bastati solo per il trasporto, dicono. E raccontano che tre mesi fa, in una
di queste tende un bambino e' morto perche' la madre non aveva piu' latte
per nutrirlo.
Un'ondata di vento alza una nuvola di polvere che avvolge tutte le tende,
Ghamai, sugli ottant'anni - qui nessuno sa con esattezza la propria eta' -,
seduto per terra, viene sopraffatto. Polvere, puzza, immondizia, bambini
nudi che fanno i loro bisogni sul greto di una sorta di canale, asciutto.
Non c'e' nemmeno l'acqua, bisogna andarla a prendere negli edifici che
costeggiano la strada. L'hotel Intercontinental, che non ha nulla a che
vedere con lo standard della prestigiosa catena internazionale, appare
sullo sfondo, in cima alla collina, come un miraggio. Ora il problema e' il
caldo, anche se di notte la temperatura si abbassa notevolmente, ma fra
poco sara' il freddo. Che fare? Tornare in Pakistan, nei campi di Peshawar?
L'idea sconvolge tutti, ma molti ammettono che alla fine non avranno altra
scelta. Tentare l'avvenutura di tornare nel Shomali? Senza mezzi non c'e'
futuro: "non abbiamo piu' una casa, un lavoro". E allora hanno costituito
un comitato per fare pressioni su ministeri, governo e ong affinche' li
aiutino. Ma finora nessuna risposta, riferisce Raz Mohammed, 26 anni, che
guida il comitato. Non e' ancora sposato perche' ha una famiglia di nove
persone da mantenere, in Pakistan faceva il muratore ma qui non c'e'
lavoro. "Gli unici aiuti che abbiamo avuto in tutti questi mesi sono un
sacco di farina dall'Unhcr e alcune coperte e una tanica per prendere
l'acqua da una ong giapponese o cinese", dice Raz Mohammed. Si avvicina
anche un poliziotto, e' incaricato della sicurezza nel quartiere, temiamo
ci voglia allontanare perche' intorno a noi si e' formato un enorme
capannello. Invece vuol dire la sua: si impegna a cercare di ottenere dal
ministero degli interni questo terreno per gli sfollati affinche' possano
costruire delle capanne di fango per difendersi almeno dal freddo, il
pericolo maggiore con l'avvicinarsi dell'inverno. Allontanandoci dal campo
degli sfollati, attraversiamo Taimani, il quartiere dove pochi giorni fa
una donna e' stata rapita, stuprata, uccisa a coltellate e poi avvolta in
una coperta e buttata per strada.
Insicurezza, violenza, sopraffazione, traffici, miseria sono ancora
all'ordine del giorno a Kabul.
6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: C'ERA UNA VOLTA
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, e una delle figure piu' generose
della solidarieta' internazionale]
Come tanti, il tempo di leggere lo rubo alla TV e al sonno. Del resto lo
stato della televisione italiana e' pietoso. Non mi riferisco solo alle TV
commerciali, ma anche alla Rai che dovrebbe garantire il servizio pubblico.
Penso, per esempio, ai notiziari depurati, morti, velinari.
In questo triste scenario ci sono delle rarissime eccezioni, come il
programma di Silvestro Montanaro "C'era una volta" (mira a raccontare con
l'intonazione di una fiaba, ma e' tagliente come una lama affilata), alla
sua terza edizione, su Rai Tre ogni giovedi' alle 23,30.
Una serie in dieci puntate su varie realta' urbane dal titolo "Le citta' di
frontiera" a partire da "Luanda - Chi aiuta chi" sul dopoguerra angolano.
L'Angola e' stata martoriata da trent'anni di guerre civili, prima per
l'indipendenza poi contro i ribelli armati dalle potenze dell'apartheid e
fino a pochi mesi fa i signori della guerra, incontrastati, hanno portato
allo stremo il paese sotto il silenzio - e la complicita' colpevole -
dell'occidente allettato dalle ricchezze enormi di petrolio (e' uno dei
maggiori fornitori degli Usa), uranio e diamanti. "Ora che e' finita la
guerra tra ribelli e governativi e' cambiato qualcosa? La telecamera
(spesso respinta quando va a ficcare il naso dove non deve) risponde
mostrando il benessere dei pochi ed e' il vero pugno allo stomaco" (Norma
Rangeri, "Il manifesto", 5 ottobre 2002).
Anche l'Angola conferma la drammatica condizione dei bambini nel mondo, i
corpi deformati dalla fame e le madri disperate. Dall'Africa all'America
Latina squarci terrificanti sulle atrocita' di cui sono protagonisti (a
volte come vittime, a volte come carnefici) i ragazzini, dai primi anni di
vita fino all'adolescenza. Carne fresca per il mercato della guerra o della
prostituzione.
Certo, non c'e' nulla di nuovo; i rapporti dell'Unicef ci dicono che ogni
anno circa dodici milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono
senza ragione, soprattutto a causa di malattie infantili facilmente
prevedibili. Sappiamo che questa situazione e' determinata dallo squilibrio
Nord/Sud del mondo: i paesi ricchi con il 15% della popolazione mondiale,
controllano l'80% delle risorse di tutto il pianeta. Per cui un neonato
comincia la sua vita con debito di 1.213 dollari se vede la luce in
Nicaragua e di 1.872 nel Congo. Inevitabilmente, in questo contesto di
poverta' diffusa e disperata, i bambini diventano un problema, un pericolo.
Come i meninos de rua in Brasile, o i ragazzi/ragazze di strada in
Guatemala, las quetzalitas. Per non parlare dell'arruolamento di minori
nelle forze armate o nei gruppi paramilitari, addestrarti a sgozzare e
tagliare mani e piedi. Spesso non sanno per cosa combattono, non raramente
vengono drogati a forza per diventare piu' combattivi e violenti. Spesso
sono ridotti a schiavi dei loro capi.
Non esistono dati ufficiali, ma si stima che in almeno 62 paesi le forze
armate utilizzano ragazzi al di sotto dei 18 anni.
Al primo posto, in questa terribile classifica, c'e' la Sierra Leone, con i
bambini di otto anni arruolati in organizzazioni paramilitari. In questo
paese, forse il piu' povero del mondo, la situazione rimarra' esplosiva
finche' i paesi vicini continueranno a puntare alle sue ricche risorse
diamantifere. Cosi' la gente della Sierra Leone sembra fatta di tanti
mendicanti seduti su un mucchio di diamanti e di ricchezze.
Scriveva, oltre 20 anni fa, Primo Levi (nella prefazione al libro di Lidia
Beccaria Rolfi e Bruno Maida, Il futuro spezzato, Giuntina, Firenze 1997):
"Il 1979, anno internazionale del bambino, si e' concluso con molte parole
ed intenzioni e con scarsi risultati. Era gia' stato un sintomo malinconico
il fatto che la coscienza collettiva, in tutti i Paesi, avesse avvertito il
bisogno di questa sorta di celebrazione: essa e' nata, con tutta evidenza,
da un diffuso senso di colpa, dalla consapevolezza che ancora oggi, ed
anche nelle nazioni piu' civili, non esiste verso i bambini la reverenza
prescritta dal Vangelo, e che ai bambini del nostro tempo gli adulti stanno
preparando un avvenire pieno di ombre. Eppure l'amore per i bambini e'
scritto in noi: la vicinanza di un bambino, anche sconosciuto, ci rende
responsabili, ci rallegra, rafforza e rasserena. E' un amore postulato,
indiscutibile, frutto delle nostre lontane radici evolutive di nutritori
dei propri nati: ma nella specie umana esso e' arricchito di significati e
di simboli. Per noi il bambino e' (o dovrebbe essere) la personificazione
dell'innocenza, della illimitata potenzialita' che tutto puo' divenire,
della tavola rasa su cui tutto puo' essere scritto. Non c'e' e non c'e'
stata civilta' che non abbia riconosciuto ed esaltato questo amore, ad
eccezione della "civilta'" instaurata dal nazionalsocialismo nel cuore
dell'Europa (...) Non credo che esistano oggi, in nessun luogo del mondo,
impianti per la strage di massa come quelli nazisti, ne' lucidi piani di
genocidio immediato e differito quali sono descritti in questo terribile
libro: ma i bambini continuano a soffrire ed a morire a milioni, di fame,
di malattia, o intrappolati nelle maglie di guerre incomprensibili e
feroci. Finche' questo avviene, tali pagine dovranno essere lette, anche se
la loro lettura non puo' avvenire senza angoscia: esse sono nutrimento
vitale per chi si proponga di vegliare sulla coscienza e sull'avvenire del
mondo".
7. DIBATTITO. NORMA BERTULLACELLI: LA NONVIOLENZA ESIGE IL MASSIMO DI
COERENZA TRA MEZZI E FINI
[Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b@libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo intervento diffuso nella rete
telematica qualche mese fa, ed evidentemente rivolto (circostanza che
motiva alcune specifiche scelte lessicali, esemplificative ed argomentative
su cui si potrebbe discutere) a interlocutori con le idee assai poco chiare
su cosa sia la nonviolenza e su come ci si impegna per l'affermazione di
tutti i diritti umani per tutti. Norma Bertullacelli, insegnante, amica
della nonviolenza, e' impegnata nella Rete controg8 per la globalizzazione
dei diritti]
Durante l'assemblea del movimento che si e' tenuta a Genova qualcuno ha
liquidato velocemente la questione della nonviolenza definendola "non
all'ordine del giorno". Dissento fortemente da questa posizione e credo
invece che il problema dei metodi di lotta da adottare per sovvertire un
ingiusto ed inaccettabile "ordine" internazionale sia di importanza vitale;
anche se non tutti diamo al nome "nonviolenza" lo stesso significato.
Sgomberato doverosamente il campo dall'equivoco di chi ritiene che
nonviolenza significhi accettazione dell'esistente o rinuncia alla lotta
(basti citare ancora una volta la frase di Gandhi che dichiarava di
preferire la lotta violenta alla passivita'), e consapevole di dire cose
arcinote alla maggior parte di quanti sono attivi nel movimento o
frequentano le sue liste, desidero sottolineare due questioni.
Non credo quindi che possa essere definito un atto violento occupare una
casa sfitta, distruggere una piantagione di mais transgentico o bloccare
una strada: e' indubbiamente illegale, e chi lo fa deve essere
informatissimo su cio' che sta facendo e su cio' che sta rischiando, sotto
ogni possibile punto di vista; puo' alzare il livello dello scontro, e
anche questo aspetto deve essere accuratamente valutato; puo' avere
conseguenze negative per persone terze, e anche questo deve essere
assolutamente evitato; ma non e' "violento" di per se'.
La lotta nonviolenta esige il massimo di coerenza tra mezzi e fini. In
altre parole, ritiene impossibile costruire un mondo piu' giusto senza
esercitare da subito il massimo rispetto per qualsiasi persona.
Il nostro movimento sara' davvero rivoluzionario quando, cercando di
sovvertire le regole del commercio internazionale, praticando l'obiezione
di coscienza alla guerra ed alle leggi antimmigranti, sovvertira' anche
continuamente ruoli e strutture di vecchio tipo al proprio interno, e si
dara' la necessaria organizzazione tenendo presente questo aspetto
cruciale. Perche' tutti e tutte dovremo sapere e potere prendere la parola
ed il potere.
8. RIFLESSIONE. GIANNI MINA': LE GUERRE NASCOSTE DALL'INFORMAZIONE
[Il seguente articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2
ottobre 2002. Gianni Mina' (per contatti: g.mina@giannimina.it) e' un
giornalista e saggista molto noto e fortemente impegnato nella solidarieta'
con i popoli dell'America Latina e del sud del mondo]
L'esercizio della verita', nel momento che stiamo vivendo, e' certamente il
piu' disagevole per molti giornalisti, intellettuali, politici, carenti di
memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso, di Cesare Previti al
tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex avvocato delle cause
scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente il suo diritto a
commettere reati trattandosi di "fatti suoi") ha costretto, in questi
giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi alla tesi della persecuzione
dei giudici di Milano verso Berlusconi e i suoi fidi, a prendere le
distanze e a chiedere addirittura, come Angelo Panebianco sul "Corriere
della Sera", che Forza Italia dimetta Previti dal mandato di senatore. Una
richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita da un contesto inquietante,
nel quale proprio Previti, qualche settimana fa, aveva mandato un
avvertimento esplicito al presidente del Consiglio: "Berlusconi sa come
sono andati i fatti".
Costa sempre piu' fatica, evidentemente, raccontare o analizzare con
onesta' una realta' che ormai smentisce ogni sicurezza sulla bonta' del
sistema che prevale nel mondo. E questa fatica e' ancora piu' palese nelle
risicate due paginette che i grandi quotidiani in Italia riservano agli
accadimenti del resto del mondo.
La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna ed
estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione seria
ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul "Manifesto". Un
fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire "antiamericano"
se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33
inquietanti pagine del "National security strategy of the United States",
cioe' la insensata logica della guerra preventiva.
La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili, e'
che bisogna essere "politicamente corretti". Come se mentire sulla realta',
o eludere, ignorare, nascondere accadimenti fosse un esercizio morale,
giusto e accettabile. E la guerra preventiva, decisa senza l'autorizzazione
di nessuno, oltre "a stabilire un precedente imbarazzante", come ha
segnalato l'ex presidente degli Stati uniti Bill Clinton, e' una realta'
che puo' essere spiegata con le sordide esigenze della grande industria
delle armi, dell'energia e del petrolio, non con motivazioni strategiche
come, con poca dignita', sostengono opinionisti provenienti perfino
dall'intellighenzia di sinistra.
Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso molto
cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni
povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi
sarebbero responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti.
Corrotti da chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perche'
Galli della Loggia, nella sua requisitoria, si e' dimenticato di chiarirci
perche', ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in mano dei
cittadini, ma proprieta' della Compagnia generale delle miniere belga che,
per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto dalle nazioni
coloniali), ha imposto a Kinshasa, un dittatore come Mobutu Sese Seku. E il
professore si e' dimenticato di spiegarci anche perche' in Sierra Leone e'
in corso da tempo una guerra dimenticata per il possesso dei diamanti. Un
conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano anche i bambini come
soldati, al soldo di alcune delle democratiche nazioni d'Europa. Questi
stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi la guerra in prima
persona perche' "sarebbe sconveniente". E allora in vece loro combattono
adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente, le armi piu' moderne in
circolazione. La fazione che vincera' questo conflitto portera' in dote
alla nazione "democratica" che l'ha sovvenzionata i diamanti della Sierra
Leone.
Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri,
comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli
speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per
smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando la
ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza
pero' l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli la
vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei gas e
del greggio, proprio gli Stati Uniti (Bush senior era il capo della Cia)
che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee.
Fra cui l'Italia che costrui' per il rais, alla Oto Melara di La Spezia, il
super cannone e per oliare l'affare utilizzo' la sede di Atlanta della
Banca Nazionale del Lavoro.
Qual e' l'idea di verita' che hanno questi intellettuali? In questi giorni
i maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato il tiro a segno
contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto, presidentessa
delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro, con pallottole
dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni fa, la figlia
Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo anni di
"desaparecion". La colpa di Estella Carlotto? Aver denunciato, proprio alla
vigilia dell'attentato, la violenza della polizia argentina che il
fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato nel n. 78 della
rivista "Latinoamerica". Il messaggio, specie in questo momento di
disgregazione dell'Argentina e' chiaro, mafioso e rivelatore, come ha
spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunita' e di incubo gia'
vissuto nella recente storia argentina sta per tornare, favorito proprio
dalle presunte misure "antiterrorismo" volute dagli Stati Uniti in America
Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione come l'Argentina, che era
l'allieva piu' ubbidiente delle ricette neoliberali del Fondo monetario e
della Banca mondiale, e' sfuggita all'attenzione dei piu' importanti mezzi
d'informazione italiani.
Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del "Corriere della
Sera", rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei gulag dei
paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione, ha
dimenticato questa realta' consueta anche nella "macelleria" Colombia del
presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei narcotrafficanti
e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico del presidente
Fox, dove piu' di 200 persone sono scomparse negli ultimi anni nei
commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno alla Birmania o
all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo di Washington, che,
in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila "comunisti", e messa a
ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato il Vietnam e
perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale di Amnesty
International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione a Cuba e' infatti
quello creato a Guantanamo dal governo degli Stati Uniti per rinchiudere,
in condizioni penose, i prigionieri talebani.
Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio
mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani, ma
colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione dei
diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane
o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'e' nessun rispetto per la
dignita' dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti per i nostri
commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina dell'epoca
dei desaparecidos. Ed e' triste notare come anche questi famosi riformisti,
siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che vincoli la possibilita'
di stabilire rapporti economici con questi governanti all'impegno di
instaurare nei loro paesi una credibile realta' sociale, civile e
democratica.
Il problema di fondo e' che tutte le efferatezze commesse nel nome del
capitalismo sono considerate deprecabili "effetti collaterali", come le
bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti, e comunque
accadimenti ineluttabili. Cosi' il fatto che l'amministrazione di George W.
Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire in quel paese
una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente delle masse
povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai militari
latinoamericani formati a Fort Benning o nella "Escuela de las americas",
non interessa piu' ne' all'informazione di quella che fu la borghesia
illuminata, ne' alla politica rinunciataria di parte di quella che fu la
sinistra italiana.
Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman
che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e
data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una
poliziotto di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perche'
l'opinione pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano
Battle a impegnarsi a ritrovare i resti della nuora in una delle tante
fosse comuni sorte in America latina negli anni '70. Le fosse comuni come
gli squadroni della morte o il terrorismo di stato, erano gli "effetti
collaterali" dell'Operazione Condor, una delle piu' spietate campagne di
repressione contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della
seconda guerra mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni
'70, dal presidente nordamericano Richard Nixon.
All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio negli anni '80 delle
popolazione maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo quello
nazista. I dati che il rapporto Onu "Memoria del silenzio" ha documentato,
solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti, trentamila
desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento villaggi
scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni. Il rapporto
documento' anche la complicita' del governo di Washington nel genocidio
tanto che Bill Clinton volo' a Citta' del Guatemala per chiedere scusa agli
eredi dei maya. E' per storie indecenti come questa che Bush junior
osteggia e rifiuta il Tribunale penale internazionale.
Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera a Mieli
che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di questo
terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella societa' che
viviamo, quella della "guerra continua", pochi si vogliono ricordare forse
perche' piu' inquietanti di molte efferatezze del comunismo.
L'esercizio della verita', il rispetto della memoria, la forza
inconfutabile di certe realta' non sono convenienti e quindi vanno elusi.
Con buona pace dell'etica dell'informazione.
9. RIFLESSIONE. MARIA TERESA GAVAZZA: MEMORIE CON-DIVISE. DALLE STORIE ALLA
STORIA
[Ringraziamo Maria Teresa Gavazza per averci messo a disposizione questo
intervento. Maria Teresa Gavazza e' impegnata nell'associazione
"Comunicando", per contatti: teregav@tin.it]
E' solo ritrovando la nostra identita', le nostre radici (il locale) che
potremo confrontarci con la nuova era (il globale). Attraverso la
ricostruzione della memoria e' possibile capire il cambiamento ed essere
soggetti attivi, in grado di partecipare in modo critico e consapevole. La
presenza del male nel divenire storico non deve indurre allo sconforto, ma
spingere ad affermare la missione dell'uomo, di ogni uomo (o donna) ad
operare dentro il mistero della storia. Inoltre solo coloro che hanno avuto
il coraggio di sognare sono riusciti a coltivare una profonda aspirazione,
un ideale, una tensione e perche' no, un'utopia.
Oggi l'insegnamento storico declina a poco a poco e prevale il
disorientamento delle nuove generazioni insieme alla mancanza di
consapevolezza sulle comuni radici soggettive e collettive. A questo si
accompagna, tra le numerose riflessioni che affollano il secolo breve, una
pericolosa confusione tra vittime e carnefici (spesso risolta nelle aule
dei tribunali), certamente decisiva nel dare il colpo di grazia ad una Clio
ormai inerme.
Il coraggio deve animarci in una visione quasi profetica. Chi vuole salvare
lo spirito profondo dell'insegnamento della storia e della trasmissione del
sapere dovrebbe negare la conoscenza oggettiva paragonandola alla
conoscenza di un'altra persona, la quale non sara' mai pienamente esaustiva
e soddisfacente. Non esiste alcuna conoscenza storica realmente oggettiva,
universalmente valida, cogente. L'io storico inoltre si incontra con
l'Altro e queste diverse soggettivita' entrano in relazione per cercare di
comprendere la realta': come non ricordare il concetto di storico
militante, l'uso delle fonti orali, la critica femminista? Entra in gioco
una nuova visione del mondo, non e' solamente questione di metodologie. Lo
storico e' la' ben presente, uomo tra gli uomini, animato da passioni,
costretto a fare una scelta necessariamente arbitraria, poiche' dipende da
una "teoria" la cui verita' non sara' mai d'ordine scientifico, ma soltanto
filosofico.
Chi fa ricerca storica si sceglie il suo passato perche' si gioca il suo
presente.
Non accettare il fatto compiuto, non ripetere il giudizio dei primi venuti,
ma svelare cause sotterranee che nessuno aveva potuto scorgere, appare una
sfida per tutti i volgarizzatori, gli imbonitori, quei maestri saccenti che
tendono a dare una visione manichea dei fatti storici.
Scrivere, raccontare, conoscere, salvare la memoria storica diventa un
monito per le giovani generazioni; sperimentare le fonti, tutte le fonti,
per rendersi contemporanei degli avvenimenti che si narrano, assume un alto
valore pedagogico ed etico, e' un'educazione della volonta' e del coraggio,
che restituisce all'uomo il senso della responsabilita' per poter
combattere il fatalismo.
Alla fine, in un mondo globalizzato, dove qualche volta la paura del
diverso proietta lugubramente il passato sul presente, dichiarare che il
recupero della memoria rinnova ed arricchisce, connota la storia come
amicizia e fratellanza, e non e' cosa da poco.
10. PROPOSTE. TIZIANA VALPIANA: UNA INTERROGAZIONE AL MINISTRO DELLA DIFESA
[Tiziana Valpiana, deputata, e' da sempre impegnata per la pace e i
diritti. Per contatti: valpiana_t@camera.it]
Al Ministro della Difesa.
Per sapere
- premesso che:
l'Italia ha ratificato i Protocolli alla Convenzione ONU sui diritti del
fanciullo con la legge 11 marzo 2002, n. 46, "Ratifica ed esecuzione dei
protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo,
concernenti rispettivamente la vendita dei bambini, la prostituzione dei
bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei
bambini nei conflitti armati, fatti a New York il 6 settembre 2000";
la legge 8 gennaio 2001, n. 2, ha abrogato l'articolo 3 della legge 31
maggio 1975, n. 191, in contrasto con i citati protocolli;
la Convenzione di New York vieta espressamente ai minori di 18 anni i
lavori pericolosi e nessun lavoro e' piu' pericoloso di quello del soldato;
trattandosi di "zona militare" e' evidente che, in caso di conflitti o di
altre ostilita', un'Accademia Militare potrebbe divenire obiettivo
sensibile, con grave pregiudizio e pericolo per la vita e l'incolumita' dei
minori ivi alloggiati;
- per quali ragioni le Accademie Militari continuino ad ammettere minorenni;
- quando intenda, in ottemperanza alla legge, assumere le opportune
iniziative affinche' nelle Accademie Militari siano accettati solo
ultradiciottenni.
11. RICONOSCIMENTI. IL PREMIO "ALEXANDER LANGER" A ESPERANZA MARTINEZ
[Dalla Fiera delle utopie concrete (per contatti: via Marconi 8, 06012
Citta' di Castello (Pg), tel. e fax: 0758554321, e-mail:
segreteria@utopieconcrete.it, sito: www.utopieconcrete.it) riceviamo e
diffondiamo]
Il Comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer ha
deciso di attribuire il Premio Internazionale Alexander Langer per l'anno
2002 ad Esperanza Martinez, fondatrice in Ecuador dell'associazione Accion
Ecologica, coordinatrice dell'Osservatorio socio-ambientale dell'Amazzonia
e cofondatrice di Oilwatch, la rete internazionale sorta per difendere i
delicati ecosistemi e gli antichi diritti delle popolazioni indigene dai
danni conseguenti alle attivita' petrolifere.
Esperanza Martinez, 43 anni, madre di tre bambini, e' una biologa con
specializzazione in sistemi di gestione dell'ambiente. Oilwatch, da lei
coordinato, organizza oggi su tutto il pianeta la resistenza contro
l'estrazione petrolifera nelle foreste pluviali. L'attivita' di estrazione
del petrolio in ecosistemi cosi' delicati, produce un drastico
peggioramento delle condizioni ambientali e di vita delle popolazioni
indigene, mettendo in crisi un sapiente uso del territorio e delle sue
risorse naturali, nonche' un consolidato sistema di relazioni sociali.
Esperanza Maritinez riunisce nella sua persona la lotta per il
riconoscimento dei diritti violati della parte piu' indifesa della societa'
e l'impegno per l'ambiente e la salvaguardia dell clima, affrontati
all'Assemblea ONU di Johannesburg.
Negli ultimi anni Accion Ecologica si e' concentrata nella lotta contro la
costruzione di un nuovo oleodotto lungo 500 km, che attraversa l'Ecuador da
est a ovest, colpendo aree attualmente protette e abitate dai popoli
indigeni Huarani, Quichua, Shuar e Achuar. Il contestato progetto e' stato
affidato al consorzio di imprese OCP di cui fanno parte anche l'AGIP e la
Banca Nazionale del Lavoro, che si occupa della collocazione dei titoli sul
mercato.
L'impegno di Esperanza Martinez per l'affermazione del diritto ad un
ambiente sano e' stato energico, ma sempre nonviolento nei metodi, svolto
con passione e intelligenza, senza tregua, ma anche con allegria. Per il
suo stile di lavoro e la sua coerenza, lo scrittore Jeo Kane l'ha definita
"el corazon verde del Ecuador". E Nnimmo Bassy ha scritto di lei:
"Esperanza e' una donna con delle convinzioni molto forti e profonde. Ha le
caratteristiche di una rivoluzionaria. Ecco cio' che ti trasmette:
convinzioni. Ti aiuta a camminare nell'oscurita'. Non importa quanto
profonda, sapendo che ci sara' la luce alla fine del tunnel".
Con questo riconoscimento ad Esperanza Martinez, il Comitato scientifico
della Fondazione Alexander Langer vuole segnalare che i grandi eventi
internazionali, cosi' carichi di aspettative, come il vertice di
Johannesburg, possono infine deludere se non vengono accompagati da un
diffuso impegno di individui e comunita', in direzione di una conversione
ecologica profonda e socialmente desiderabile, che promuova, come ripeteva
Alexander Langer, una vera "pace tra gli uomini e con la natura".
La cerimonia di consegna del premio, domenica 13 ottobre alle ore 10 nella
sala consiliare del Comune di Citta' di Castello, sara' presieduta dal
vicepresidente del Comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer,
il prof. Gianni Tamino. La laudatio sara' tenuta dal prof. Sami Adwan,
palestinese di Beit Jala che, insieme all'israeliano Dan Bar-On ha avuto il
Premio Alexander Langer 2002.
12. RILETTURE. EMILIO BUTTURINI: LA PACE GIUSTA
Emilio Butturini, La pace giusta, Casa Editrice Mazziana, Verona 1993,
1999, pp. 336, lire 30.000. Un'ampia presentazione (ed antologia) di alcuni
testimoni e maestri di un cammino di pace: Ruskin, Tolstoj, Gandhi,
Montessori, Capitini, Milani.
13. RILETTURE JOSYANE SAVIGNEAU: MARGUERITE YOURCENAR
Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar, Einaudi, Torino 1991, 1993, pp.
502, lire 16.000. Una biografia della grande scrittrice.
14. RILETTURE. CLAUDIO TUGNOLI (A CURA DI): MAESTRI E SCOLARI DI NONVIOLENZA
Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli,
Milano 2000, pp. 320, s. i. p. Utilissima raccolta di riflessioni,
testimonianze e proposte; con molti densi profili di figure-chiave della
teoria-prassi nonviolenta scritti da studiosi profondi ed affini.
15. RILETTURE. LORI WALLACH, MICHELLE SFORZA: WTO
Lori Wallach, Michelle Sforza, WTO, Feltrinelli, Milano 2000, 2001, pp.
256, euro 6,71. "Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio
globale", recita il sottotitolo. Le autrici sono due ricercatrici di
"Public citizen", il movimento ambientalista americano fondato da Ralph
Nader.
16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 379 del 9 ottobre 2002