[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
Democrazia nella comunicazione di Giulietto Chiesa
Democrazia nella Comunicazione
di Giulietto Chiesa
Lo stato dell'informazione-comunicazione, in Italia e nel mondo, è
altamente preoccupante. Il pluralismo dell'informazione è più apparente che
sostanziale. E la tendenza è al peggioramento. Ciò che milioni e milioni di
persone ascoltano, leggono -e soprattutto vedono- ogni giorno è definito da
gruppi ristretti, che decidono ciò che il grande pubblico deve sapere e ciò
che non deve sapere. Il cosiddetto "quarto potere" è in gran parte ormai
così strettamente intrecciato al potere politico, e dipendente da forti
interessi privati, detentori e controllori dei media, da aver rinunciato
quasi del tutto a funzioni di controllo e di critica. Mai il nostro paese
era stato così dominato da testate che agiscono come giornali "di partito"
(anche se dichiaratamente e pomposamente autoqualificatisi come
"indipendenti"). La situazione italiana -di totale monopolio televisivo e
di quasi totale monopolio mediatico, ulteriormente entrambi inquinati da un
gigantesco conflitto d'interessi- è un caso limite. Altrove le cose sono
solo leggermente meno gravi. La soverchiante maggioranza dei flussi di
comunicazione (l'informazione in senso stretto è un sottoinsieme della
comunicazione, e non è il principale) è ormai rodotta da un pugno di
colossi mondiali, tra cui spiccano conglomerati impressionanti per
dimensione e potenza come America on line - Time Warner, Vivendi
International [Vivendi Universal, NdE], Sky News, Bertellsman [Bertelsmann,
NdE] ecc.
La società globale, la cosiddetta "società della conoscenza", è
letteralmente nelle mani dei produttori di una gigantesca "fabbrica dei
sogni", che lavora all'istupidimento collettivo e serve -essendone al tempo
stesso figlia e sorella- gl'interessi della globalizzazione americana. Se
c'è un luogo dove questa globalizzazione ha già espresso tutta la sua forza
e virulenza, questo è il campo della comunicazione. È proprio in questo
campo che si istituzionalizzano e si riproducono false conoscenze,
pregiudizi, luoghi comuni e si rafforza la costruzione sociale della realtà
dominante. Costruzione cui non sfuggono gli stessi operatori della
comunicazione che funzionano da ripetitori. Il criterio dominante, anzi
esclusivo, di questi conglomerati è quello del mercato, in cui tutto
(informazione, intrattenimento, ovviamente pubblicità) è parte integrante,
sinergica, del processo di creazione dei bisogni, per una produzione
forzosa, artificiale, di merci. Anche l'informazione, i processi culturali
di massa, l'intratenimento, sono essenzialmente merci.
Come tali sono usati dai loro proprietari e creatori in funzione delle
esigenze del mercato, e soprattutto dell'organizzazione del dominio. Il
sistema mediatico finisce con l'imporre una definizione della realtà
selezionando ciò che è rilevante o di pubblico interesse, producendo
automatismi, indebolendo ogni forma di riflessività. Attraverso questo
processo di definizione e di selezione della realtà si produce un modo di
pensare e di conoscere acritico che si cristallizza come un vero e proprio
sfondo cognitivo. Ma proprio questo modo di conoscere, "ciò che tutti
pensano", è usato poi dai media come fonte di legittimazione per la
produzione e la selezione delle notizie.
L'informazione diviene così tautologica, riproducendo la realtà sociale che
ha contribuito a creare. Basti pensare all'informazione sulle guerre in
atto che, attraverso la costruzione delle notizie, l'assunzione -
sacralizzazione di stereotipi, riproduce il senso comune sulla
inevitabilità e "naturalità" della guerra. Ne consegue che, per essi, è del
tutto indifferente, comunque secondario, che vi sia un rapporto tra ciò che
producono e la realtà. Se serve -e serve sempre ai proprietari della
"fabbrica di sogni"- la realtà può essere sostanzialmente modificata nel
passaggio verso la sua raffigurazione virtuale, abbellita o incupita non
importa, comunque manipolata, in funzione delle esigenze del mercato e,
soprattutto, dell'organizzazione del dominio.
Estreme e miserabili propaggini italiane di queste logiche sono le
applicazioni operative dell'Infotainment (informazione più intrattenimento)
e delle soft news (notizie leggere): cavalli di Troia introdotti negli
spazi informativi residui con lo scopo di ridurre ulteriormente il loro
contenuto, fino ad annullarlo del tutto. Giornali e televisioni diventano
sempre più auto-referenziali, parlano di sé, tra di loro e con il potere,
si riempiono di pettegolezzi, amplificano le inezie e le pongono al centro
dello schermo (o delle prime pagine), "dimenticando" i problemi della
gente, le contraddizioni della società e del mondo, la cultura, i valori
civili. La disgregazione e la svalutazione della sfera pubblica, ad
esempio, viene rafforzata dai media che tendono a spettacolarizzare sempre
più il privato a scapito del discorso pubblico. Le apparentemente innocue e
leggere rubriche d'intrattenimento rendono sempre più confusi a livello
esperenziale e cognitivo i confini tra pubblico e privato.
Responsabilità collettive e individuali, diritti e doveri vengono annegati
in un mare di lacrime e di false emozioni. Si sostiene che questo è ciò che
il pubblico desidera, ed è in parte vero. Ma si dimentica di dire perché lo
vuole e come e da cosa venga nutrito questo desiderio; si dimentica di dire
che il pubblico desidera e pensa ciò che è socialmente disponibile; si
dimentica di dire che quello stesso pubblico viene deprivato
quotidianamente dai media e dall'organizzazione sociale di risorse che
possano indurlo ad una qualche riflessività, ad andare oltre il proprio
impoverito piccolo io.
Ma consegue da tutto ciò che milioni di persone sono sottoposte
incessantemente a un "rumore di fondo" che viene deciso e creato in luoghi
senza alcuna legittimazione democratica e che influenzano tuttavia la loro
vita in modo radicale . Il grande pubblico non sembra accorgersi che la
comunicazione è sempre più decisiva per determinare non solo il livello
d'informazione di una società, la sua cultura collettiva, ma soprattutto il
suo livello emozionale e perfino il suo livello etico. Pochi capiscono che
la scuola e la famiglia (ma anche l'oratorio e la parrocchia) sono già
state travolte dalla pervasività e dalla potenza dei messaggi comunicativi
cui sono sottoposte le giovani generazioni. La discesa del tasso
d'intelligenza e dei valori morali e civili è scandita dagli editti
quotidiani dei vari "Auditel", divenuti inappellabili giudici del nostro
vivere comune, del nostro modo di consumare, perfino di divertirci.
Inappellabili, insindacabili, perché determinanti nel definire le correnti
di milioni di euro'investimenti pubblicitari.
Nuoce alla democrazia? Peggio per la democrazia, perché non rientra nei
calcoli aziendali. Nuoce all'educazione civica? Peggio per l'educazione
civica. Nuoce all'equilibrio psichico dei telespettatori? Peggio per loro.
Quasi nessuno si prende cura del fatto che l'homo videns è una variante
antropologica che modifica i termini di tutte le più importanti componenti
della vita sociale, e che non occuparsene è cosa di gran lunga più
irresponsabile di quanto sarebbe il decidere l'abolizione di qualunque
sistema d'istruzione pubblica. La contro-informazione è sempre stata -ed è-
uno strumento importante per aiutare il formarsi e l'estendersi dello
spirito critico, per fornire contenuti diversi da quelli ammanniti dal
sistema mediatico, per incoraggiare la partecipazione democratica alla
formazione dell'opinione pubblica. La contro-informazione è troppo spesso
anche un ghetto, nel quale ci si rinchiude dimenticando che la stragrande
maggioranza dei fruitori di informazione resta tagliata fuori. Una sola
serata di Bruno Vespa annichilisce lo sforzo compiuto da migliaia di
attivisti per emancipare un pubblico necessariamente succube di meccanismi
che non può conoscere (perché nessuno glieli ha mai spiegati). Et pour
cause.
Ed è perfettamente inutile spegnere il televisore, perché questa scelta
individuale contro la stupidità non risolve il problema dell'istupidimento
collettivo, della lobotomizzazione di massa. E' una constatazione: milioni
di persone questa sera, e domani, e sempre, non spegneranno i loro
televisori. Se dunque, come diceva Marshall Mc Luhan, non possiamo
difenderci come un "polipo che lotta contro l'Empire State Building",
diviene indispensabile passare alla carica e -sempre citando Mc Luhan-
"prenderli a calci negli elettrodi". Affrontando il problema in termini
politici, promuovendo un progetto capace di investire il sistema mediatico
nel suo complesso, coinvolgendo l'intero processo della comunicazione
-addetti, strumenti, linguaggi- avviando una "critica pratica" sistematica,
multilaterale, distribuita sul territorio, continua. Una intenzione
diffusa, che nei fatti già esiste, ma, allo stato attuale disgiunta in 100,
mille gocce, ciascuna isolata dalle altre. Gruppi, circoli, associazioni,
soggetti individuali, istituti, sono variamente impegnati in un prezioso
lavoro d'informazione e contro-informazione, ma che non può -così com'è-
sfidare con risultati apprezzabili, l'intero sistema mediatico. Lo stesso
risveglio della sensibilità collettiva, ravvisabile in quel potente e
complesso arco d'esperienze che prende le mosse da Seattle 1999 per
dispiegarsi fino ai più recenti fermenti movimentisti della società civile,
è certamente una condizione necessaria ma non sufficiente ad aprire un
varco adeguato nella blindatura dell'informazione. Ci si trova dunque di
fronte ad una singolare congiuntura, nella quale al rinnovato desiderio di
partecipazione ed alla straordinaria convergenza sui contenuti, si
contrappone una decisa restrizione degli spazi democratici
dell'informazione. Su questo terreno, diviene essenziale ampliare la
capacità propositiva, tesaurizzare le molteplici esperienze, garantirne la
visibilità, fino a raggiungere, sensibilizzare, coinvolgere attivamente
coloro i quali del sistema mediatico sono sempre stati considerati
semplici, e passivi fruitori. A fronte di questo complesso d'esigenze e con
l'obiettivo di garantire risposte efficaci nasce oggi MegaChip. Una
proposta aperta all'intero circuito della comunicazione e
dell'informazione. Realizzata, attraverso l'apporto essenziale di
molteplici esperienze operative e progettuali, ciascuna con propri
referenti e competenze, ma con la finalità di rivolgersi congiuntamente
all'essenziale battaglia per la democrazia nel sistema mediatico. Le
competenze e gli obiettivi di MegaChip sono dunque: Avviare un osservatorio
democratico sul sistema mediatico. Attraverso la collaborazione con i più
rigorosi e competenti esperti del settore, effettueremo una verifica
analitica dell'intero sistema; strumenti e segni, contenuti e
mistificazioni, prodotti ed effetti. Un'indagine condotta a partire
dall'immenso patrimonio già presente su Internet -coll'obiettivo di
realizzare una banca dati dedicata-, fino a giungere ad una ricerca
scientifica sull'"homo videns", evidenziando la complessa varietà d'effetti
indotti dai messaggi televisivi sul pubblico. La stessa verifica, puntuale
e sistematica, sarà estesa al mondo della produzione giornalistica,
pubblicitaria, cinematografica, radiofonica. Garantendo al contempo
strumenti operativi e visibilità alle realtà coinvolte nell'iniziativa. In
estrema sintesi dunque una lettura critica complessiva e permanente sullo
"stato dell'arte", componente essenziale ai fini della battaglia per la
democrazia nella comunicazione e per l'elaborazione di un'efficace
piattaforma progettuale. Offrire una competente organizzazione di servizio
agli operatori della comunicazione. MegaChip si prefigge di divenire un
punto di riferimento essenziale per l'intero movimento della comunicazione
democratica. Un libero spazio informativo, puntualmente mirato e
qualitativamente garantito, a disposizione degli operatori del settore.
Dall'aggiornamento su tutto quanto prodotto in rete riferibile all'ambito
mediatico, fino alla ricerca delle intelligenze più vigili e sensibili.
Essenziale sarà dunque l'ambito operativo per la formazione delle
competenze sull'informazione-comunicazione. Laddove vi è un vuoto completo
d'attenzione, nel quale attualmente passano le più scandalose, e moralmente
degradanti, forme di stravolgimento della professione giornalistica.
Saranno inoltre coinvolte in maniera decisiva le organizzazioni dei
consumatori; considerando la comunicazione alla stregua di un consumo
primario, reputiamo essenziale garantire una tutela di primo piano.
Garantire un univoco riferimento politico-sociale. E' crescente, ed oramai
diffusa, la consapevolezza di essere minacciati non da un fantomatico
nemico esterno all'Occidente, ma da forze potenti che nascono dall'interno
dell'Occidente. Tuttavia, sul terreno dell'etica, della correttezza, della
qualità della comunicazione, costruttori di notizie e disinformatori sono
più deboli di quanto sembrano, perché sono servi di tutti i padroni. La
loro apparente invulnerabilità deriva dal fatto che non sono mai stati
realmente sfidati. MegaChip vuole dunque dare battaglia, con obiettivi
mirati e dichiarati. Un'azione politica e culturale contro il sistema
mediatico così come funziona e opera, per incalzarlo dovunque sia possibile
e imporgli correttezza informativa e comunicativa. Una prassi di
sensibilizzazione e pressione nei confronti della rappresentanza politica.
Una capacità propositiva costante per assicurare qualità, attendibilità e
visibilità all'intero progetto, fino a divenire, laddove non sia garantita
sufficiente permeabilità ai contenuti, riferimento democratico esso stesso.
MegaChip è dunque un progetto articolato, che fa della sua complessità un
punto di forza. Vogliamo unire le mille gocce in un'esperienza comune,
capace in prospettiva, di agire in forme coordinate e simultanee, divenendo
in questo modo, "notizia". Valorizzeremo le molteplici specificità in una
proposta comune, salvaguardando l'identità di ciascuno. Questo ci
proponiamo di fare. Su questo apriamo una discussione con tutti coloro che
avvertono l'esigenza strategica di affrontare questo inedito versante di
lotta. Lo riteniamo un passo decisivo per l'irrinunciabile tutela della
democrazia, dei diritti sociali e civili, e della pace. (Di Giulietto
Chiesa e tanti altri, Roma, 25aprile 2002)