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Catena di Sanlibero Edizione straordinaria



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riccardo orioles <ricc@libero.it>
tanto per abbaiare
20 marzo 2002
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Il padre dello Statuto dei Lavoratori e dell'articolo 18, l'economista
Gino Giugni, e' l'unico, dei tre nomi che oramai si legano insieme:
Giugni, D'Antona e adesso purtroppo Marco Biagi, che riusci' a
sopravvivere: i terroristi o sbagliarono mira o mirarono basso,
limitandosi a storpiare la vittima. D'Antona e Biagi erano invece
destinati a morire. Morire perche'?
Non lo sapremo mai, probabilmente. Potremo (probabilmente) intuirlo, ma
se l'assassinio di Biagi e' stato condotto, cio' che appare dai
primissimi dati, con la spietata professionalita' di quello di
D'Antona, dubito che si potra' risalire di molto la catena esecutori-
mandanti-ideatori. Ci restano solo, ma e' bene in momenti come questi
fissarli ad uno ad uno nitidamente, i background politici e i "cui
prodest" che naturalmente, come insegnavano gia' gli antichi, non fanno
comunque prova in tribunale.
Il momento e' quello, solito nella grande storia italiana, dei giorni e
settimane prima di una grande manifestazione moderata, popolare e di
massa.
Io sono vecchio abbatsanza per ricordarmi che nel dicembre del 1969
l'agenda politica ruotava essenzialmente attorno alle grandi
manifestazioni per il contratto degli operai metalmeccanici, ciascuno
dei quali prendeva allora l'equivalente di circa cinquecento euro
attuali; fra gli obiettivi degli operai c'era la razionalizzazione di
un sistema di categorie e incentivi che divideva ad esempio i
metalmeccanici - non si sa con quanto beneficio per la produzione - in
otto categorie salariali e una sessantina di sub-categorie.
I giornali di quel dicembre sono pieni, a rileggerli, di fosche
previsioni sulle catastrofiche conseguenze di tali rivendicazioni; e di
sanguinolente previsioni sugli orrori di piazza che tanta folla di
lavoratori mobilitata insieme non avrebbe mancato sicuramente di
scatenare. Per fortuna dei bempensanti, il contratto metalmeccanici
fini' li': le bombe di piazza Fontana cancellarono le rivendicazioni
operaie dall'agenda, e da allora in poi e per quasi dieci anni (fino,
diciamo, alle bombe del 75-76) chi volle scendere in piazza lo fece
essenzialmente per difendere la democrazia dalle bombe.
Reggeva lo stato, in quel periodo, il partito sicuramente
discutibilissimo della Democrazia cristiana; discutibile si', ma
democratico e, con l'eccezione di Scelba negli anni Cinquanta e
Sessanta, poco proclive dallo sparare sulla folla. All'opposizione
(l'unica opposizione mai esistita in Italia, con tutti i suoi difetti)
c'era un altro partito molto discutibile, il Pci, anch'esso tuttavia
sicuramente e - cio' che oggigiorno appare incredibile - estremamente
efficiente e serio. Questi due partiti, che insieme avevano fondato la
Repubblica dopo la guerra, la salvarono, insieme, negli anni del primo
terrorismo e delle bombe. Soccombettero invece, sempre insieme, al
secondo terrorismo, quello dei tardi anni Settanta, piu' ricco di sigle
rivoluzionarie ma anche di infiltrati e faccendieri.
Tutto questo, solo per ricordare che oggi non ci sono piu' ne' la Dc
ne' il Pci. Al governo, c'e' un partito che deve ancora rispondere
dell'aver portato a Genova, con la connivenza della propria polizia,
bande di black bloc, lasciate libere di mettere a ferro e fuoco la
citta' (e di farsi fotografare spalla a spalla con i poliziotti in
borghese) e onorate della compresenza in citta', in una centrale di
polizia nel momento in cui massimo era il loro impegno, di un
vicepresidente del consiglio.
All'opposizione, di converso, non abbiamo dei Pecchioli o dei
Berlinguer o dei Pajetta, gente che sapeva affrontare, e che aveva
affrontato, le emergenze, ma dei simpatici Rutelli e Fassini e
Margheriti e Ulivi.
Bene. Questa e' la situazione. Ne succederanno delle altre, in questa
situazione drammatica in cui la destra non riesce a governare e la
sinistra a fare opposizione ma il tempo e' scandito, come un orologio
grottesco ma, in prospettiva, potenzialmente sanguinoso, dai mesi,
settimane e giorni che mancano alla condanna per reati civili del
premier e dunque all'inabilitazione civile di costui.
Di fronte a questa scadenza, che e' sempre piu' il centro di tutto il
gioco politico nazionale, nessuno e' pronto e tutti hanno paura; la
paura di alcuni e' gia' una paura feroce, da conigli mannari, di quelle
che giustificano quasi tutto. Bisogna stare uniti, mantenere i nervi
freddi "come se" avessimo Di Vittorio e Berlinguer e non i signorini di
ora alla nostra testa. Bisogna cercare i no-global, se siamo
girotondini, bisogna cercare gli amici dei giudici, se siamo quelli di
Genova, bisogna stare insieme ai lavoratori e ai sindacati tutti,
comunque e tutti insieme, perche' nei momenti come questi il vecchio
bestia rozzo Sindacato e' quello che tiene duro e fa cordone.


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