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Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono lapidate in Italia.
Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono lapidate in Italia.
In Italia vivono, clandestine e prostitute, migliaia di ragazze nigeriane,
sfruttate da un racket che le ha portate in Europa con false promesse e le
ha ridotte in stato di vera e propria schiavitù.
L incoscienza di clienti che nemmeno si rendono conto di questo e, quindi,
contribuiscono a sfruttarle; il perbenismo di quanti ritengono che il
problema può esser risolto solo rispedendole in Africa; il moralismo di
quanti non sopportano neppure l idea di dover parlare dei problemi della
prostituzione; l indifferenza di quanti vivono solo del loro egoismo; il
razzismo sempre e comunque presente e perfino l imperfetto impegno civile
di chi esprime solidarietà per Safiya che rischia di essere lapidata in
Nigeria, ma non sa far nulla per le tante Safiya che vivono in Italia &.
queste sono le pietre con le quali, ogni giorno, le africane sono lapidate
in Italia.
A tutte loro dedico un pensiero e queste righe. Amo una giovane africana,
ma - in realtà - amo tutte le africane che vivono in Italia; credo che
tutti dovrebbero amarne una, come padri, fratelli, amici, compagni, mariti
o, più semplicemente, come esseri umani: queste ragazze hanno lasciato l
Africa dove si muore di fame e di malattie; dove le loro famiglie
sopravvivono negli stenti. Non lapidiamole e liberiamole dalla loro schiavitù.
<mailto:claudio.magnabosco@tiscalinet.it>claudio.magnabosco@tiscalinet.it
In allegato la storia di una Safiya italiana.
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Alle spalle ho un matrimonio ed una convivenza finiti male; ho creduto in
un solo amore "per sempre", ma -Ed ora un amore nuovo, io cinquantenne, lei
poco più che ventenne, nigeriana e prostituta. Ci siamo conosciuti in una
situazione molto particolare e questa ragazza, quasi analfabeta,
clandestina, fiera ma schiava di una situazione per uscire dalla quale deve
trovare il denaro per il proprio riscatto e qualcuno che le dia un rifugio
sicuro, è entrata nel mio cuore, come se tutto il resto - compresi i miei
due figli - l'avessi vissuto sì, mi appartenesse sì, ma riguardasse
un'altra vita. Nel darmi la sua mano per camminare insieme, la stringe
forte con una sorta di vergogna quando i passanti ci guardano e commentano
la mia non più verde età ed il colore della sua pelle, o quando bevendo
qualcosa in un locale pubblico, una lacrima appare nei suoi occhi che
guardano in che modo vivono gli altri giovani come lei, bianchi però,
liberi però, felici però. Così mi sento suo padre, suo fratello, il suo
fidanzato, il suo amico, un suo compagno di scuola e molte altre cose,
tutte le altre cose che lei non ha avuto e non ha conosciuto, perché la sua
vita non è stata quella di una giovane donna, ma quella di una dea
predestinata al sacrificio del proprio corpo per sopravvivere e far
sopravvivere la propria famiglia.
Un anno fa è stata accoltellata, roba da poco in una situazione del genere,
perché vivendo quella vita è stata esposta a tutto. La storia di molte sue
connazionali è ben più drammatica, segnata da ogni genere di violenza e
spesso anche dalla morte. Lei stessa l’ha di nuovo rischiata pochi giorni
or sono quando due energumeni per rapinarla delle sue poche e piccole cose
o per punirla del suo tentativo di cambiar vita, l’hanno massacrata di
botte. Vorrei che chi ascolta questo mio appello provasse ad aiutare le
tante sue connazionali che vivono una quotidianità nella quale il pane è
incerto (i loro "guadagni" sono considerevoli, ma finiscono in mano a
protettori e maman senza scrupoli) e il resto è attesa; e vorrei che,
avvicinandosi a queste ragazze di colore che si vendono ai bordi delle
strade, i clienti s'interrogassero sulle loro responsabilità in queste
storie di fame e sfruttamento, di povertà e disperazione nascoste dietro ai
gesti di tutte loro, perfino di quelle apparentemente più spudorate,
perfino di quelle che non conoscono più il confine tra la bugia e la
verità, ma conoscono solo la paura che impedisce loro di rivolgersi a
quelle autorità ed a quei centri che potrebbero aiutarle.
Potrei sposarla, offrirle una vita "normale", ma mi chiedo se non finisco
col farle del male proprio perché l'amo e le parlo di una vita diversa che
forse non potrò darle davvero, poiché i problemi sono gravi e le differenze
tra noi sono molte; meglio sarebbe che neppure ne intravedesse la
possibilità, perché la speranza può diventare sofferenza, mentre la
rassegnazione è una medicina che rende la vita sulla strada, ai margini di
un paese opulento, comunque più sopportabile della lenta morte per inedia
in un lontano villaggio.
Di certo aiutando questa ragazza aiuto me stesso, spezzo le mie catene: non
si può conoscere la schiavitù altrui senza condividerla almeno un po’ ed io
mi sento, sono schiavo delle ingiustizie alle quali non so porre rimedio.
Ma non sono forse un'ingiustizia anche la mia arroganza di ritenere che
posso "aiutarla", perché - se non altro per una questione sociale -
diversamente da lei io vivo in modo "regolare" (ma regolare per chi, per le
convenzioni sociali, per i moralisti, per i benpensanti?) e la mia
presunzione di "salvarla" che nasce da un malcelato senso di superiorità,
quasi come se i piccoli segni che lei porta tatuati sul viso ed indicano la
sua identità e la sua provenienza tribale, fossero una lettera scarlatta,
il marchio di una condizione inferiore? E il mio desiderio di lei non ha,
forse, le componenti di un razzismo rovesciato, visto che mi attraggano la
sua bellezza, la sua giovane età e proprio il colore della sua pelle sulla
quale vivo un'avventura ricca di mistero?
Lei mi dà amore con semplicità, senza chiedermi nulla, né di essere più
giovane, né di essere più bello o più ricco, ma semplicemente di essere
presente e di continuare ad essere l'uomo capace di parlarle solo perché è
un essere umano, di "amarla" solo perché lei è lei. Senza porle troppe
domande, in parte perché forse si vergogna delle risposte che dovrebbe
darmi, in parte perché ancora ha paura che la verità sia dolorosa e
pericolosa. E’ questo l'amore per sempre che cercavo? Avrò il coraggio di
vivere con lei, di avere dei figli e presentarli ai due figli - "bianchi" -
che ho già e che adoro?
Ma che amore cerca, invece, questa giovane donna che alla mia proposta di
vivere insieme e, quindi, anche di affrontare insieme i pericoli del suo
sottrarsi al giro che controlla le ragazze come lei, non ha risposto di no,
ma si è chiesta se sarà "per sempre" o se, invece, le offro soltanto una
vacanza, una momentanea evasione dal suo inferno, se non sarò spietato nel
liberarmi di lei quando la nostra storia si rivelasse, per mille ragioni,
meno poetica e meno drammaticamente romantica di ora, rendendole
insopportabile tornare a lavorare sulla strada, dopo aver toccato con mano
la possibilità di vivere in modo diverso e migliore?
Può esistere un amore "per sempre" se non si è liberi non solo di
scegliersi, ma neppure di vivere? Non ho risposte, so soltanto che quando
la sua mano scorre tra i miei capelli, non ho 50 anni, ma ho la sua stessa
età - e sono nero anch'io.
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Claudio Magnabosco - Aosta
claudio.magnabosco@tiscalinet.it