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VOLONTARI ITALIANI A RAMALLAH SOTTO LE BOMBE DEGLI F16



COMUNICATO STAMPA

VOLONTARI ITALIANI A RAMALLAH SOTTO LE BOMBE DEGLI F16

Associazione Papa Giovanni XXIII - Associazione PeaceLink

Alcuni giorni fa abbiamo deciso di andare in medio oriente, recandoci in 
Israele e in Palestina. Confidiamo che la nostra voce, possa fare da 
tramite tra la voce di tante persone che rimangono qui a continuare il loro 
lavoro quotidiano di Testimonianza, e chi sta li' a subire gli effetti 
dell'ulteriore imposizione di un modello di sviluppo scellerato, di cui la 
guerra, ogni guerra, non e' che un corollario inscindibile.

Oggi [3 marzo] siamo a Ramallah sotto le bombe degli F16. Ieri sera eravamo 
a Gerusalemme, dove si e' fatto saltare in aria il kamikaze. Vorremmo 
riuscire a comunicarvi cio' che stiamo provando. E' difficile. Il rumore 
delle bombe e' uguale, "di la'" e "di qua".

Proviamo a raccontare. Ieri sera abbiamo sentito lo scoppio, nel quartiere 
ultraortodosso di Mea Sharim. E' la fine dello Shabbat. Le famiglie 
passeggiano numerose per le strade attorcigliate sulla collina. Spingono i 
passeggini sulle salite, i bimbi si alternano dalle braccia dei padri a 
quelle piu' esili delle madri. Quelli piu' grandi camminano al fianco dei 
genitori. Noi siamo qui, non per curiosita' ma per tentare di capire. La 
gente sbigottita, attonita. I piu' giovani sono arrabbiati. "Ci stanno 
ammazzando!", ci urlano. Si parla di 5-8-9 morti, tra cui dei bambini. Una 
macchina, un uomo- bomba, non si capisce niente.

Torniamo a casa. Abitiamo nel quartiere musulmano, a Gerusalemme Est, ai 
confini della citta' vecchia. Siamo un po' scioccati, incontriamo Saed, il 
palestinese che ci ospita, e gli raccontiamo. Sono morti dei bambini, 
diciamo e lui ci risponde che si, e' vero, ma ogni giorno muoiono dei 
bambini, dei bambini palestinesi e noi non ne parliamo, la nostra stampa 
occidentale non ne parla, poi quando c'e' un attentato contro gli 
israeliani, tutto il mondo si indigna e i palestinesi diventano tutti 
terroristi.

Questa mattina, arrivati al check-point di Qalandia, al confine con i 
Territori Occupati, non ci fanno entrare, neanche con il passaporto 
europeo. Non passa neppure la stampa. Un amico palestinese ci indica una 
via alternativa per evitare i militari. Arrivati alla periferia di Ramallah 
sentiamo le raffiche. Ci copriamo la testa e per la prima volta abbiamo 
davvero paura. Riusciamo a raggiungere il centro della citta', dove ci 
aspetta Issa Samandar, coordinatore del Land Defense Committee, un gruppo 
di volontari che si oppone alla distruzione delle case palestinesi 
effettuata sistematicamente dai bulldozer israeliani, fornisce assistenza 
legale alle vittime, monitora gli insediamenti dei coloni. L'associazione 
lavora in tandem con l'associazione israeliana ICAHD (Israeli Committee 
Against House Demolition).

Ramallah e' sotto i bombardamenti degli F16 israeliani. Siamo allibiti nel 
vedere come la gente, seppure la tensione sia fortissima, continui comunque 
le proprie attivita' quotidiane. Per loro da 16 mesi tutto questo e' la 
normalita'. Andiamo con Issa nel suo ufficio che ci dicono sia un posto 
sicuro. DUrante il tragitto ci racconta che per arrivare da noi, i coloni e 
i militari gli hanno sparato sulla macchina due volte. Ci sentiamo piu' 
protetti anche se gli scoppi delle bombe sono molto vicini. Parliamo un po' 
e lui ci mostra una mappa della Palestina, ci mostra dove sono ubicati i 
check-point e l'espansione degli insediamenti. Dopo gli accordi di Oslo, le 
colonie sono cresciute in modo esponenziale. Comprare una casa costa un 
sesto rispetto alle citta' israeliane. I check-point sono distribuiti 
strategicamente e per andare da un villaggio a un altro che dista mezz'ora 
a piedi bisogna fare un giro assurdo e il viaggio dura un giorno. Guardando 
la mappa ci sembra che si stia giocando a Risiko, "they play game"... 
"who's they?"... "they, the governments" mormora Issa.

All'improvviso entra un volontario dell'LCD e ci dice che e' meglio uscire 
in fretta: due elicotteri Apache stanno sorvolando la zona. Sulla strada 
alcuni ragazzi palestinesi urlano verso gli elicotteri: "Sparateci, siamo 
qui". Il nostro amico ci dice che le nuove generazioni sono assuefatte a 
questa realta', l'unica che conoscono.

Ora la citta' e' immobile. Tutti guardano il cielo. E' orribile camminare 
con gli Apaches che ti volano sulla testa. Issa cerca di esorcizzare la 
nostra paura, scherza, "this is a very crazy world" ci dice sorridendo. 
Riusciamo a tornare a casa dopo ore, cambiando vari mezzi, passando altri 
check-point.

Guardando indietro vediamo soltanto due giorni di follia.

Fuori stanno ancora sparando. E noi non abbiamo piu' parole.

Francesca, Giovanni, Luca, Fabio

Associazione Papa Giovanni XXIII - Associazione PeaceLink

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